di Luciana Viarengo |
Recensione di Roma senza papa, Guido Morselli
Tra le profezie più conosciute, particolarmente curiosa è la ‘Profezia dei papi’, datata intorno al 1100 e attribuita al monaco e primate irlandese Malachia. Apocrifa per molti, e pubblicata per la prima volta alla fine del 1500 nel libro Lignum Vitae del monaco benedettino Arnold Wion, prevede con apparente veridicità – ma si sa, l’interpretazione a posteriori permette di ritrovare nel nebuloso linguaggio del vaticinio ogni possibile riscontro – una lista di 111 papi che si sarebbero avvicendati al soglio pontificio, ciascuno dei quali identificato non da un nome ma da un motto in latino.
Esaurita la lunga teoria di pontefici, Dio avrebbe giudicato il suo popolo e la città dei sette colli sarebbe stata distrutta.
Per buona pace dei leghisti e degli anticlericali, va sottolineato che secondo tale profezia l’attuale regnante Benedetto XVI parrebbe essere il penultimo, vaticinato con il motto ‘de gloria olivae’ (i benedettini – quando si dice il caso! – sono chiamati anche olivetani, a meno che Malachia non intendesse ‘dopo la gloria dell’ulivo’, alludendo alla concomitante decadenza dell’omonimo schieramento di centrosinistra). Dopo Benedetto, un ‘Petrus romanus’ e poi il gran botto finale, di quale portata non ci è dato sapere. Un futuro possibile. Anzi, per taluni addirittura auspicabile dopo il gran polverone dello scorso gennaio (1).
Tuttavia, agli scettici che non confidano nella veridicità delle profezie, ma soprattutto a coloro i quali sentono infiacchirsi, giorno dopo giorno, la speranza di poter vivere in uno Stato laico, di veder rispettata la libertà di pensiero, di poter godere di leggi libertarie che diano a tutti una possibilità di scelta avendo ben chiara la differenza fra diritti, doveri e possibilità, è dedicata la lettura di Roma senza papa di Guido Morselli: profezia di tutt’altro tenore, prezioso antidoto sotto forma di divertissement all’incombere di tempi bui.
Di Morselli si è parlato solo a posteriori poiché nonostante la sua validità indiscussa nessun editore gli consentì, all’epoca, di trovare spazio fra i suoi contemporanei. Solo la pubblicazione postuma dei suoi romanzi, di brevi saggi e del suo Diario, tutti a opera di Adelphi, ha permesso di scoprire il valore della sua scrittura e l’originalità del suo pensiero.
Roma senza papa è un romanzo ambientato nel futuro, un futuro per noi già passato giacché, come il sottotitolo recita, si tratta di Cronache romane di fine secolo ventesimo.
Volendo riassumere la trama in poco più di due parole, il narratore è il prete svizzero don Walter, a Roma dopo trent’anni dal suo ultimo soggiorno nell’Urbe, in attesa di essere ricevuto da papa Giovanni XXIV. L’udienza viene di volta in volta rimandata (“finendo di essere una corte per ridursi a una burocrazia, la S. Sede ha perso in splendore senza guadagnare in precisione”) e nel protrarsi del soggiorno romano lo sguardo ‘gotico’ e conservatore di don Walter ci mostra l’esilarante sconvolgimento religioso e, come diretta conseguenza, sociale che ha investito il centro geografico e spirituale della cristianità.
L’abilità di Morselli è quella di captare con grande attenzione le tendenze allora emergenti sia sul piano sociale sia su quello religioso, ed estremizzarle in un futuro – forse troppo prossimo.
La sua cultura teologica, e la creatività con la quale è in grado di declinarla negli anni a venire, unite all’ironia sottile che pervade l’intero romanzo, gli permettono di creare questa proiezione travolgente e paradossale che centrifuga il lettore in un mondo di valori capovolti dove tutto è cambiato, a partire dalla residenza papale, trasferita a Zagarolo.
La stesura del libro avvenne a metà degli anni ’60, epoca in cui si concluse il Concilio Vaticano II avviato da Giovanni XXIII nel 1959 e proseguito dal suo successore Paolo VI: un momento di importanza estrema nella vita del mondo cattolico, in occasione del quale la Chiesa dimostrò una inusitata apertura verso il proprio gregge, assurto al ruolo di comprimario, e una disponibilità nuova – e mai ripetuta – a sintonizzarsi sui cambiamenti sociali, in un clima di rinnovamento che già vedeva, profilate all’orizzonte, le nubi del temporale sessantottino.
Tuttavia, l’ala più conservatrice della Chiesa cattolica accettò il Concilio obtorto collo e alcuni dei temi avversati sono fondamentali per comprendere il punto di partenza della divertente ‘follia’ di Morselli.
L’attenuarsi di una visione ‘vaticanocentrica’ con l’apertura alle Chiese cristiane ‘diverse’, come quelle africane o sudamericane, il riconoscimento delle possibili ‘verità’ dichiarate dalle altre dottrine religiose, la partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia e, soprattutto, l’apertura di un confronto con l’evolversi del pensiero umano che sembrano contraddistinguere la Chiesa post-conciliare producono nella futura Roma senza papa di Morselli, non solo una ‘protestantizzazione’ del cattolicesimo, ma addirittura un’imminente aggregazione con il buddismo e l’evangelizzazione delle macchine pensanti, a marchio Rand e Westinghouse. L’ateismo stesso è ormai considerato una religione poiché “se ci sono moltissimi atei teorici, tutti quanti siamo atei-pratici”, e anche l’università Gregoriana, confidenzialmente chiamata dai corsisti “la Gregòria”, ne registra almeno un terzo. A risolvere i nodi ci pensa la psicologia, o psicopatia, per la quale la fede “è un caso particolare della casistica studiata da Charcot o da Freud”.
Il celibato degli ecclesiastici è stato ormai abolito e il loro nuovo status di mariti è ben visto dai fedeli di tutta Europa, ma non del tutto in Italia, dove il canzonatorio “fijo de prete” costituisce ancora un insulto fra i ragazzini. Lo stesso papa è concupito da una teosofa indiana, autrice di uno studio monumentale sul neoplatonismo e su come abbia influenzato la mistica orientale. Ma a contenderle l’attenzione di Giovanni XXIV c’è anche la presidentessa degli Stati Uniti, Jacqueline Kennedy (in fondo, per la candidatura di una ex first lady, Morselli ha solo sbagliato marito, per ovvie ragioni) che rivela i propri sentimenti dalle pagine del Time.
E se non c’è stata apertura totale sulla contraccezione (buoni prelati, infatti, sono ritenuti quelli che vantano prole numerosa), completa è stata invece la liberalizzazione della droga, non solo permessa – tanto che i monaci di St.Michel in Bretagna iniziano i propri novizi con dosi progressive di LSD – ma addirittura prodotta nei conventi, come quello dei Minori Osservanti di Riefenbach, Baviera, che con i quintali di GR6 venduti, finanziano la loro clinica per malattie nervose aperta gratuitamente ai malati. “Non discuto – riflette don Walter – ma i bravi frati non potevano seguitare col loro liquore al cardamomo, famoso come l’Arquebuse dei padri Maristi?”
D’altro canto, ci porta a riflettere la Chiesa del duemila morselliano, “le vie del Progresso coincidono con quelle della Provvidenza, inutile e dannoso tirarsi da parte, per poi accodarsi ultimi. […] Incanalare i fenomeni sociali, non ignorarli o combatterli, questa è sapienza cristiana, non l’intransigenza velleitaria. […] L’Oriente, dove l’oppio e la canapa indiana fanno parte dell’alimentazione comune da duemila anni, possiede pure quel profondo senso del divino che in Occidente abbiamo perso da un pezzo […] Sarà un caso ma in Inghilterra, con un 60 per cento della popolazione che ha sostituito il GR6 nelle sigarette alla nicotina, c’è un diffuso revival della fede. Il cattolicesimo ne è il primo beneficiario”.
Il papa intanto – “lo dicono agorafobo, scarso di oratoria, timido” – rimanda le udienze, si fa sostituire alle cerimonie e parla un pessimo italiano: lui e il suo predecessore sono stati i primi papi stranieri. In compenso ha istituito in San Pietro, divenuto ormai uno straordinario salone per conferenze all’interno di un Vaticano museale, la ‘sfilata’ dell’ologramma di Paolo VI, a beneficio dei fedeli. Non manca anche un sant’Antonio elettronico e multilingue, ideato da un ingegnere della Siemens.
Il papa latita. Cresce così, nel lettore, la sensazione che l’autoesilio a Zagarolo, sia in realtà l’espressione simbolica di un distacco ben più profondo, avallato dal breve discorso che il papa pronuncerà alla fine, durante la tanto attesa udienza.
Ad accrescere il valore del libro, scorci di vita sociale e di politica internazionale e nazionale che testimoniano, oggi, l’acutezza di Morselli.
Sul piano internazionale l’Urss brucia le tappe perché “il cattolicesimo ufficiale non ha atteso di avere un seggio permanente all’Onu per essere una grande potenza, e i sovietici recuperano il tempo che gli ci è voluto per accorgersene” firmando un concordato con la Santa Sede per strapparla all’”abbraccio mortale” degli USA, mentre in Italia “l’iniziativa dei comunisti è in declino. La propaganda divaga, la linea si è fatta attendistica e riformistica. In sede parlamentare si appoggia abilmente il governo, sia contro la scuola laica sia contro il divorzio”. L’Unità, infatti, si dedica quasi per intero a programmare il tempo libero dei lettori e a commentare il campionato di calcio. Proprio quest’ultimo è il motore dell’unico afflato di rivolta sociale sfiorata negli anni ‘70: contro il governo deciso a “deprofessionalizzare” i calciatori e a ridurre i loro compensi del 60 per cento.
L’entrata in Europa, ha retrocesso l’Italia a ‘Sud’, svalutando la sua economia e la sua tecnologia alla stregua di “relitti anti-economici di un passato autarchico”, tanto che al Parlamento europeo viene avanzata la proposta di hôtelizzazione dell’intero Paese, perché “da voi, solo il sole!”
Ma in Italia non è certo lo spirito creativo imprenditoriale a venire meno in tempi di congiuntura: il benessere economico nazionale si mantiene a livelli europei grazie al “mignottismo”. Una pratica talmente scoperta e aggressiva da costringere le autorità a mobilitare i tutori dell’ordine a difesa dei turisti. Ma l’interrogativo “ chi custodisce i custodi?” è storia risaputa. “Da quando l’Italia ha chiuso altiforni e officine per dedicarsi a quest’unica industria congeniale, il turismo si è ingigantito[…] Si opina che le mignottelle romane siano sovvenzionate (come i banditi sardi) dagli albergatori”.
Del resto, sparito il papa, sparite le guardie svizzere, di qualcosa bisogna pure campare…
Per il resto, i difetti di Roma e per estensione degli italiani, non hanno subito grandi evoluzioni, insieme al tifo dissennato regnano ancora la sporcizia, il chiasso, la pessima manutenzione delle strade e la bambinocrazia, e in questo l’autore non ha sbagliato un colpo.
La visione paradossale che Roma senza papa offre al lettore reca in sé, se non la condanna, la messa in luce delle debolezze che potrebbero minare, come ogni potere temporale, anche l’immenso potere ecclesiastico. Debolezze alle quali l’orientamento degli ultimi anni, con la virata conservatrice imposta, intende porre rimedio. Anche se, come sostiene un sorridente Giovanni XXIV, “Dio non è prete”.
Anche in questo romanzo, Morselli conferma la sua capacità di affrontare realtà spinose – come già ne Il comunista o in Dramma Borghese – con la freddezza di un ricercatore, il distacco di un analista, insofferente alle ‘verità consolidate’. Talmente outsider da potersi permettere una visione dissacrante e disincantata dei tabù contemporanei.
(1) Eterni fedeli, di Luciana Viarengo, PaginaUno n. 7/2008
Roma senza papa, Guido Morselli, Adelphi Edizioni, 1992