La farsa del Parlamento europeo
Ci sono immagini che colgono l’essenza delle cose, e in pochi secondi cristallizzano un momento di verità: le istantanee di un’Aula deserta, quella del Parlamento europeo durante il discorso di Renzi per la chiusura del semestre Ue il 13 gennaio scorso, sono fra queste. L’etica non ufficiale che per un momento fa capolino sul proscenio di quella ufficiale, svelandosi suo malgrado. Come se i 751 parlamentari, consapevoli di non avere alcun peso all’interno dell’Unione europea, si rifiutassero, per una volta (un rigurgito di onesta intellettuale?), di presenziare a una farsa.
La questione Europa-democrazia non è nuova; a sinistra fa parte della storia dei diversi partiti, a destra è stata cavalcata dopo la crisi economica. La cultura politica europea si basa sui concetti di Stato di diritto – l’esistenza di una Carta costituzionale scritta che lo stesso Stato deve rispettare nel proprio agire – e di democrazia – la sovranità appartiene al popolo, che la esercita in modo diretto o indiretto.
Uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto è la separazione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario. Dunque, lasciando da parte il campo giudiziario, uno Stato di diritto a regime democratico è caratterizzato da una Costituzione che non può essere violata, da un Parlamento, eletto dal popolo e suo rappresentante, con il potere di emanare le leggi, e da un governo, espressione della maggioranza politica, a cui spetta il compito di governare. (Non ci interessa in questa sede analizzare quanto la sovrastruttura democratica sia effettivamente inattuata in uno Stato di diritto, per motivi economici, sociali, a causa della struttura capitalistica ecc.; prendiamo per buono il principio democratico e ragioniamo su questo.)
La democratizzazione delle istituzioni europee è stato uno dei punti focali del programma politico della sinistra, soprattutto italiana, a partire dagli anni Sessanta quando, abbandonata la prima fase del rifiuto, il Pci si è arreso all’esistenza della Ue e ha cominciato a discutere su come modificarla dall’interno. Questione centrale della lotta politica è diventata trasformare il Parlamento europeo in un organo elettivo, espressione della sovranità popolare.
Il Parlamento nasce infatti come Assemblea comune della Ceca nel 1951, con 78 membri nominati dai governi nazionali con l’approvazione dei rispettivi Parlamenti; nel 1957, con il Trattato di Roma, i membri diventano 142 e nel 1962 il nome muta in Parlamento europeo e si allarga a 198 delegati; solo nel 1976 l’assemblea diviene elettiva, a suffragio universale diretto, e le elezioni del 1979 portano in Europa 410 parlamentari.
Alla fine degli anni Settanta dunque, formalmente, l’obiettivo è raggiunto. Il problema è che nella sostanza, il Parlamento eletto dai cittadini non esercita alcun potere legislativo, il quale resta nelle mani dell’esecutivo, nella fattispecie la Commissione europea (1) e il Consiglio (2): la prima propone il testo di legge, il secondo lo approva o respinge; il Parlamento ha il solo potere di emettere un parere non vincolante.
Negli anni l’iter legislativo viene modificato, fino al Trattato di Maastricht del 1992 che introduce la ‘codecisione’: Parlamento e Consiglio votano su un piano di parità le proposte di legge della Commissione. La nuova procedura si applica solo in quarantaquattro settori di intervento, e occorre attendere il Trattato di Lisbona (2007) perché i settori siano portati a ottantacinque, in quella che oggi viene definita “procedura legislativa ordinaria”. Ne restano significativamente esclusi ambiti quali le liberalizzazioni di servizi, la concorrenza, le imposte, l’occupazione, in cui il Parlamento è tuttora confinato nell’inutile azione consultiva di un parere non vincolante. In aggiunta, la Commissione è ancora oggi l’unica detentrice del “diritto di iniziativa”: il Parlamento non può proporre una legge, al massimo può chiedere (!) alla Commissione di presentare una sua proposta.
Ottantacinque settori quindi, nei quali attualmente i parlamentari sembrerebbero avere perlomeno voce in capitolo. L’Unione europea si fa forza dell’esistenza di un’Assemblea elettiva: “Il fatto che si tratti di un organo eletto direttamente dai cittadini garantisce la legittimità democratica del diritto europeo” si legge in una delle tante pubblicazioni che mirano ad avvicinare i cittadini alla Ue (3).
Legittimità democratica, dunque. Per verificare quanto essa sia reale, o sia propaganda, occorre a questo punto intraprendere l’irta via delle procedure europee, che paiono scritte con l’intento di far desistere chiunque intenda cimentarsi nel tentativo di comprenderle.
La codecisione prevede tre possibili letture in Aula e un meccanismo di conciliazione tra Commissione, Consiglio e Parlamento, che si apre quando fallisce il passaggio della seconda lettura e mira a trovare un compromesso prima di arrivare alla terza e ultima (per i dettagli della procedura si rimanda alla Figura 1: descriverla a parole è impresa dai contorni kafkiani).
Secondo la “Relazione di attività sulla codecisione e la conciliazione” dell’ultima legislatura (2009-2014), redatta dai vicepresidenti competenti per la conciliazione (Gianni Pittella, Alejo Vidal-Quadras e Georgios Papastamkos), “rispetto alle due legislature precedenti (1999-2004 e 2004-2009), il numero di accordi raggiunti nella fase iniziale ha registrato un sensibile aumento […] Per un numero molto elevato di fascicoli (455 [su 488, n.d.a.]) sono stati raggiunti accordi nella fase iniziale (vale a dire in prima lettura o all’inizio della seconda lettura). Questo numero rappresenta il 93% di tutti i fascicoli di codecisione approvati, rispetto al 54% e all’82% rispettivamente durante la quinta e la sesta legislatura. […] solo 9 fascicoli sono stati oggetto di conciliazione, di cui 8 sono stati approvati in terza lettura”.
Il Parlamento europeo quindi, tra il 2009 e il 2014 è riuscito ad approvare il 93% delle proposte di legge tra la prima e la seconda lettura, senza dover arrivare al passaggio ristretto della conciliazione. Parrebbe positivo: l’attività di dibattito, confronto, compromesso tra le varie anime politiche all’interno dell’Assemblea ha prodotto nuova legislazione (non entriamo nel merito delle norme approvate, di stampo neoliberista: ancora una volta sottolineiamo che qui ci interessa analizzare solo l’aspetto ‘democratico’ delle istituzioni europee). In realtà le cose stanno diversamente: la maggiore attività e rapidità legislativa è dovuta all’espansione dei ‘triloghi’.
Procedura informale non prevista in alcun trattato europeo, ma via via istituzionalizzata con il suo inserimento nelle ‘modalità pratiche’ della codecisione e successivamente nel regolamento del Parlamento, i triloghi sono riunioni ad accesso ristretto tra Commissione, Consiglio e Parlamento, a cui partecipano tre gruppi negoziali composti ciascuno da non più di dieci persone: trenta persone in tutto quindi, che a porte chiuse – nessuna trascrizione né relazione ufficiale esce da questi consessi – cercano la quadra di una proposta di legge, spesso già in fase di prima lettura. Trovato il compromesso, 751 parlamentari ricevono le istruzioni di voto, e pigiano il relativo bottone.
Per il quinquennio 2009-2014 la Relazione segnala la messa in piedi di 1.500 triloghi su circa 350 proposte di legge, e arriva a definirli “una caratteristica distintiva della procedura legislativa ordinaria”. Poche righe dopo, la stessa Relazione lancia un allarme: “Dati l’aumento del numero di fascicoli di codecisione adottati nelle fasi iniziali e il parallelo aumento dei negoziati interistituzionali ‘dietro le quinte’, le preoccupazioni circa la trasparenza e il rendiconto del processo legislativo sono continuate sotto la legislatura 2009-2014”.
In chiusura, il testo arriva addirittura a suggerire delle proposte per cercare di rendere i triloghi più “trasparenti”: “Inevitabilmente, i timori circa la trasparenza della procedura di codecisione continuano a essere una delle principali priorità dell’agenda politica […] tra gli esperti della codecisione l’impressione generale è che la procedura sia efficiente ed efficace e in grado di offrire normative importanti e di qualità ai propri cittadini. Tuttavia si riconosce nel contempo che, mentre la trasparenza al 100% dei negoziati non è né possibile, né necessaria [!], si potrebbero prevedere alcune misure concrete per migliorare la trasparenza e la pubblicità dei negoziati e dei fascicoli adottati. Per esempio, alla Conferenza il vicepresidente della Commissione Šefcovic ha proposto che le istituzioni prendano in considerazione la creazione di un registro pubblico sui triloghi che potrebbe essere reso pubblico e contenere, tra l’altro, informazioni sui fascicoli oggetto di negoziato e la composizione delle squadre negoziali e, una volta raggiunto l’accordo su un fascicolo specifico, tutta la relativa documentazione. Si tratta di un’idea sulla quale le istituzioni potrebbero riflettere ulteriormente insieme”.
Dal suggerimento della Relazione si possono trarre alcune considerazioni: non è possibile sapere pubblicamente quali proposte di legge siano oggetto di negoziazione nei triloghi; non è possibile conoscere pubblicamente la composizione dei tre gruppi di lavoro (Commissione, Consiglio, Parlamento) che vi partecipano; tutta la documentazione, come già accennato, è riservata. Infine: è evidente che la parola ‘trasparenza’ è un surrogato del termine ‘democrazia’, la cui assenza non può certo essere evidenziata in una relazione ufficiale; ma per quanto si scelga di usare un linguaggio mediato, la denuncia è forte, se si pensa l’ambito da cui proviene.
Significa che il meccanismo dei triloghi ha raggiunto livelli a tal punto preoccupanti da mettere in allarme la stessa classe dirigente; non tanto per il venir meno del principio democratico – difficile immaginarla affaccendata in simili angustie – quanto per la gestione interna dell’equilibro di potere tra le diverse formazioni politiche, divenuta probabilmente più ardua.
E in effetti, se si entra nel dettaglio delle varie commissioni parlamentari, specializzate nei diversi settori (economico, ambiente, sanità, agricoltura ecc.), si comprende immediatamente l’apprensione manifestata nella Relazione (figure 2 e 3). La commissione per i problemi economici e monetari (ECON), che ha portato il Parlamento ad approvare il 100% delle proposte di legge tra la prima (98%) e la seconda (2%) lettura, ha avuto il più alto numero di triloghi (331, per 54 leggi approvate); la commissione per l’ambiente, la sanita pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) registra il 98% delle proposte legislative approvate tra la prima (84%) e la seconda (14%) lettura, con 172 triloghi su 70 fascicoli di legge; la commissione per le libertà pubbliche, la giustizia e gli affari interni (LIBE) e riuscita a far approvare il 100% delle proposte legislative tra la prima (86%) e la seconda (14%) lettura, con 155 triloghi su 50 fascicoli di legge; e via a seguire (rimandiamo alle tabelle, per una lettura più immediata dei dati).
In sostanza, l’alto numero di triloghi ha portato a una più rapida approvazione delle leggi da parte del Parlamento, attraverso un meccanismo estremamente semplice: la sua esautorazione.
La trasformazione dei parlamentari in utili idioti – non se ne abbiano a male, ma a questa stregua non si sa che altro ruolo attribuirgli, non certo quello di legislatori – che votano a comando.
Stato di diritto, dunque, si diceva, separazione dei poteri, e democrazia. Possiamo considerare i trattati istitutivi dell’Unione come la sua Carta costituzionale, e i triloghi non sono contemplati all’interno della procedura legislativa di codecisione – l’Unione non è dunque uno Stato di diritto. Commissione e Consiglio sono organi esecutivi, eppure detengono anche il potere legislativo – l’Unione quindi non rispetta la separazione dei poteri. Il Parlamento è l’istituzione espressione della sovranità popolare, ma non ha il diritto di iniziativa legislativa ed è di fatto estromesso dall’esercizio del proprio potere – l’Unione quindi non è democratica. Si ribatterà che la Ue, come tipologia di istituzione, non è uno Stato, e questo è certo: nasce come un insieme di trattati economici di impostazione liberista, e tuttora non è nulla più di questo (4). Niente quindi le impone di rispettare principi come Stato di diritto, separazione dei poteri, democrazia. Soprattutto nel momento in cui quest’ultima, per il pensiero neoliberista, è un ostacolo. Ma a questo punto il quesito fondamentale è: per quanto tempo ancora i cittadini europei accetteranno di essere rimbecilliti dalla propaganda?
1) Organo esecutivo in cui siede un rappresentante per ogni Stato membro dell’Unione, designato dal presidente della Commissione in accordo con i governi dei diversi Paesi; il Parlamento europeo deve approvare l’elezione del Presidente – il cui nome, per la prima volta nelle elezioni del 2014, è stato preventivamente indicato nella scheda elettorale accanto al simbolo dei diversi partiti politici – e dei 27 commissari. Attualmente il presidente è Jean-Claude Juncker, e il commissario italiano è Federica Mogherini
2) Composto da un ministro per ogni Paese, competente per il tema trattato (trasporti, giustizia, ambiente, affari economici ecc.
3) Come funziona l’Unione europea. Guida del cittadino alle istituzioni dell’Ue, Pubblicazioni dell’Unione europea, 2013
4) Cfr. Giovanna Cracco, L’Europa vista da sinistra, Paginauno n. 39/2014