Caterina Cazzola
Inchiesta sulla detenzione femminile: cosa significa essere detenute in una struttura a misura maschile? Incide sui corsi professionalizzanti e sul reinserimento a fine pena? Esiste una condanna morale per aver trasgredito al ruolo sociale di genere che la società ancora impone alla donna? Da uno sguardo di insieme al carcere della Dozza di Bologna
“La presa di coscienza dell’istituzione carceraria femminile è avvenuta in un secondo momento rispetto alla nascita del carcere, quando la storiografia, la sociologia, la filosofia e gli studi di genere, anche di stampo femminista, hanno approfondito l’argomento, mostrando un vuoto: le elaborazioni teoriche sui penitenziari avevano infatti trattato come neutro ciò che in realtà neutro non era: il carcere era sempre stato genderizzato.” Così ci introduce al tema Costanza Agnella, assegnista di ricerca in Sociologia del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino. Eppure ancora oggi, quando si parla di donne e carcere, il focus è unicamente sull’aspetto della maternità, nell’ottica di proteggere il legame madre-figlio e gli interessi del minore. Ma la donna non è certo solo questo. Cosa significa essere detenute in una struttura, di fatto, a misura maschile? Comporta un aggravio di pena per le donne? Comporta un minor accesso a corsi professionalizzanti e maggior difficoltà di reinserimento a fine pena? E come viene percepita socialmente la donna che commette un reato? Esiste tuttora una condanna morale per aver trasgredito non solo alla legge, ma al ruolo sociale di genere che la società le impone? In altre parole, il carcere finisce per essere lo specchio di una società che non è ancora riuscita a liberarsi dei fantasmi del patriarcato?
Con uno sguardo di insieme e un focus sul carcere della Dozza di Bologna, tra dati, report, analisi e interviste, abbiamo viaggiato all’interno dell’universo della carcerazione femminile, per cercare risposte alle nostre domande e tentare di comprendere cosa significhi oggi essere una detenuta.
I numeri
Al 31 marzo 2025 (1) sono 2.703 le donne recluse nelle carceri italiane, pari al 4,3% della popolazione detenuta complessiva. Una percentuale che è rimasta sostanzialmente stabile nel corso degli ultimi decenni. Il censimento più recente che offre l’associazione Antigone, nel report Senza respiro del 29 maggio scorso, restituisce una fotografia altrettanto statica dei crimini femminili: la categoria maggiormente rappresentata si conferma essere quella dei reati contro il patrimonio, che alla fine del 2024 rappresenta il 29,1% (contro il 23,6% per i detenuti uomini); seguono i reati contro la persona (18,6%) e legati alla droga (14,1%), entrambi in linea con le percentuali maschili; infine i reati collegati alle armi (2,4% per le donne e 6,4% per gli uomini) e l’associazione di stampo mafioso, che pesa il 4,1% sui reati femminili e il 6,4% su quelli maschili.
La Relazione annuale dell’anno giudiziario 2025 (2), che riporta dati al 30 giugno 2024, aggiunge che le detenute, pur costituendo una porzione esigua sul totale delle persone carcerate, partecipano in modo significativo alle attività istruttive e lavorative che si svolgono all’interno degli istituti: 1.254 donne lavorano, quasi il 50%, con un lieve incremento di occupazione rispetto all’anno precedente. 1.025 sono alle dipendenze della stessa amministrazione penitenziaria e 229 di datori di lavoro esterni. All’interno delle carceri, quindi, lavorano più le donne che gli uomini: il 50% contro il 32,9% della popolazione carceraria complessiva.
Quella femminile sembrerebbe pertanto una situazione di restrizione quasi ‘privilegiata’, caratterizzata da numeri bassi, scarsa pericolosità dei reati e alto livello di professionalizzazione, teso a un più veloce reinserimento sociale. Eppure, dall’incrocio dei dati di Antigone (3) e del dossier Morire di Carcere di Ristretti Orizzonti (4), emerge un’altra realtà e non è rassicurante. Non è nuovo il numero allarmante di persone che si toglie la vita negli istituti di pena: 70 suicidi nel 2023, almeno 91 nel 2024 – almeno perché numerosi sono i decessi con cause ancora da accertare –, 61 tra il 1° gennaio e il 13 settembre 2025. Disaggregando i numeri per genere, Antigone evidenzia come nel 2023 il tasso di suicidi femminili sia sensibilmente superiore a quello maschile: il primo si attesta a 16 casi ogni 10.000 persone, il secondo a 11,8. In aggiunta, il 63,8% delle donne fa regolarmente uso di psicofarmaci, contro 41,6% degli uomini. Spicca anche il dato relativo agli atti di autolesionismo: 31 ogni 100 donne, più del doppio dei 15 ogni 100 registrati tra i detenuti uomini. Tutti numeri rimasti stabili e che indicano livelli elevati di tensione e malessere.
La questione di genere
È evidente allora che a dispetto di generiche statistiche, per le donne il carcere sia particolarmente più gravoso da un punto di vista psicologico. Viene dunque da chiedersi se la differenza di genere, accanto alle ovvie diversità dovute a fattori biologici, dovrebbe imporre alla detenzione femminile un’altra strutturazione rispetto alla carcerazione maschile…
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