Paolo Cerboneschi, Eugenia Greco, Giovanna Cracco
Sex toys, gigolò, pornografia al femminile e Cinquanta sfumature di grigio: come vivono oggi le donne la sessualità?
“Non lo fo per piacer mio ma per dar dei figli a Dio”, si diceva. Se le cose sono cambiate da quei tempi, lo si deve sicuramente alla rivoluzione sessuale degli anni ’60/70 e molto anche alla disponibilità di nuovi metodi contraccettivi – la pillola su tutti, arrivata in Europa nel 1961. Le donne hanno iniziato a rivendicare non solo la libertà sessuale ma anche il diritto al piacere, scontrandosi con non pochi tabù culturali, che tuttora persistono, sottotraccia e non – basti pensare all’epiteto offensivo più comune con cui una donna viene apostrofata. Se oggi, almeno sulla carta, nella cultura occidentale unanimemente si riconosce una parità tra uomo e donna a vivere liberamente la propria sessualità, all’apparenza sembra resistere una diversità, che può essere sintetizzata nella frase: l’uomo dà amore per avere sesso, la donna dà sesso per avere amore. È davvero così, o è uno stereotipo? E se è vero, l’emancipazione della donna nella sfera sessuale si concretizza nel diventare come l’uomo? E ancora: se questa diversità appartiene alle donne, è natura o cultura? Infine: è vero, come vogliono i cliché, che tra i due quello più trasgressivo è l’uomo?
Ti presento Manolo
Un salotto, alcune amiche e una valigia strabordante di giochini erotici: quello che è conosciuto come tuppersex (prendendo il nome dal tupperware, le riunioni casalinghe in cui si vendono i famosi contenitori in plastica per la cucina), nasce in Inghilterra, spopola negli Stati Uniti e poi in Europa approdando da noi tra il 2012 e il 2013 con Lovely Toys, il primo esperimento italiano in questo senso.
“Io arrivo con la mia valigia, sistemo il ‘campionario’ sul tavolo e si comincia” racconta Pamela delle sue riunioni Lovely Toys. “In genere rompo il ghiaccio con ironia, con Manolo, un dildo rosso, poi affronto la parte relativa ai lubrificanti, la cosmetica e le cose per adornare il corpo, quindi la parte preliminari per poi passare ad affrontare punto G e tutti i tipi di giochi, dallo stimolatore esterno, stimolatore interno, forme diverse, dimensioni diverse… Faccio toccare tutto, annusare tutto, sentire tutto”.
Due ore e mezza di riunione circa, tra le otto e le tredici partecipanti il numero ideale: al di sotto non si innescano determinate dinamiche, al di sopra diventa ingestibile. La richiesta di incontri è in aumento, sottolinea Pamela, che si muove nell’area lombarda. Sempre più donne (“di tutte le fasce sociali, età tra i trenta e i quaranta”) si riuniscono per acquistare sex toys, e diventa anche un’occasione per parlare di sesso, e non c’è necessariamente dietro la scusa, come si potrebbe pensare, di un addio al nubilato o un compleanno.
“Nell’80% dei casi sono riunioni organizzate tra amiche per passare una serata, stare insieme e divertirsi”. Gli uomini non sono ammessi (etero, i gay sì) e non esistono tuppersex a loro dedicati: l’uomo va da solo al sexy shop. Non che le donne non vi entrino, come ci hanno raccontato i commessi di tre negozi milanesi (zone diverse della città, up, middle e popolare), ma si divertono anche a ritrovarsi in gruppo in un ambiente privato. Seppure in aumento sono una minoranza della realtà femminile, non pensiamo che ci sia la coda… Anche le interviste anonime che abbiamo realizzato tramite questionario – sessantasei donne, dai 18 a oltre 50 anni, classe media, milanesi – lo hanno confermato: solo il 18% possiede sex toys.
“Il fatto che queste riunioni funzionino è la prova che l’esigenza c’è, ma le donne hanno ancora un po’ di resistenza, un blocco, a entrare in un sexy shop” dice Pamela. “I miei incontri sono a un livello più giocoso, delicato, femminile… si parla di olfatto, di fantasia, di gusto, di tatto, del fatto che se ti bendi e usi un piumino la sensazione viene acuita. Quindi siamo a un livello soft, di stimolazione anche mentale. Mi è capitato raramente che mi chiedessero degli oggetti un po’ diversi, tipo un dilatatore anale, per esempio. Chi conosce i toys in realtà non ha bisogno di queste riunioni. Lì l’obiettivo è far volare la fantasia. Non vogliamo dire: questo si usa così, ma: questo nasce per questo utilizzo, però tutto quello che ti dice la tua testa, va ugualmente bene”.
Donne temerarie dunque, che entrano in un sexy shop, sono un segmento della minoranza, ma esistono e anzi costituiscono la maggior parte della clientela dei negozi. “Il 90% delle persone che entrano sono donne, da sole o con amiche,” afferma Vincenzo del sexy shop Flirt, “di tutte le età, comprese quelle più avanti negli anni”. Anche Gianluca di 1000 Positions lo conferma: “Inizialmente la clientela era prettamente maschile e abbiamo mirato ad attirare anche quella femminile, apportando modifiche al negozio, rendendolo più luminoso, più bello, e ci siamo riusciti: le donne sono aumentate, in ogni fascia di età. E sono più curiose. Girano per il negozio alla ricerca di nuovi oggetti, e chiedono se non capiscono l’uso di un toys”. “Anche con imbarazzo, anche nascondendosi dietro la scusa che sono lì per un’amica, ma chiedono” racconta il commesso di Erotika.
“L’uomo invece ha più paura a sperimentare” continua Gianluca, e lo conferma anche Vittorio, e un altro aspetto evidenziato da tutti e tre gli intervistati: “L’uomo va principalmente sui DVD, film porno: è la donna che si interessa ai sex toys per la coppia”. La donna quindi, spinge per uscire da una sessualità ‘canonica’ e vivacizzare il rapporto.
“C’è da dire che i giocattoli sessuali sono più rivolti a lei, perché ha la possibilità di essere stimolata in vari modi rispetto all’uomo,” spiega la dottoressa Claudia Giangregorio, psicoterapeuta e consulente in terapia sessuale, “quindi è più disponibile, e ha anche la mente più elastica da un certo punto di vista; l’uomo invece fa più fatica a pensare un oggetto estraneo a sé, lo sente come una cosa un po’ troppo intrusiva anche psicologicamente, vive questa paura della sostituzione”.
Anche Pamela trae questa considerazione dalle chiacchiere che escono durante le riunioni Lovely Toys: “Magari le donne vorrebbero introdurre un vibratore nel rapporto ma non riescono, perché l’uomo l’avverte come una minaccia. Soprattutto quelle che sono all’interno di una coppia vivono un po’ di insoddisfazione, cercano qualche stimolo in più. Io registro negli incontri la voglia di guardare, curiosare, provare, da parte delle donne, ma tante volte non acquistano alcuni toys perché non sanno come proporli al partner, hanno paura a esprimere le proprie esigenze all’interno della coppia.”
“Rispetto a un tempo, oggi le donne sono finalmente molto più capaci ad autorizzarsi ad avere una sessualità più aperta, più soddisfacente, ma sono meno capaci di chiederla, di pretenderla anche, di mettere in campo delle trasformazioni che vadano in quella direzione” conferma la dottoressa Giangregorio. “Soprattutto all’interno della coppia, dove la sessualità è molto chiusa, resiste un cliché classico, diciamo un accordo tra le parti e da lì non si riesce tanto a uscire”.
La lingerie sembra essere l’unico terreno senza pericolo di scontro: lui la compra a lei, e lei l’acquista sia per sé, “per gratificarsi, per mettersi qualcosa di bello”, dice Pamela, sia per stimolare lui: “Vendiamo dai costumi più trasgressivi ai completi intimi anche di altissima qualità”, conferma Gianluca. Le donne dunque hanno voglia di inoltrarsi nel mondo dei sex toys, ed è una tendenza che il mercato ha registrato e sostenuto. Da qualche anno sono nate linee di sex toys colorati, di design, belli da vedere, tecnologici, nulla a che fare con i classici dildo, vibratori, anelli…
“È stata principalmente una scelta strategica aziendale, io credo” racconta Pamela. “Un posizionamento di mercato, alcune marche hanno voluto uscire dal circuito classico dei sexy shop ed entrare in contesti diversi, come nei grandi magazzini, con dei corner, e ci sono riuscite”. A un primo sguardo, non sembrano nemmeno sex toys, in effetti, e si potrebbero benissimo tenere nella vetrinetta del salotto invece che nascosti nel cassetto del comodino. “Poi è chiaro che simili oggetti hanno più presa sul target femminile, belle forme, colori… l’uomo si concentra di più sul semplice uso che ne vuole fare.”
E internet? Diversamente da quanto si possa pensare, nonostante la riservatezza che l’acquisto in rete può offrire, non ha fatto crollare le vendite nei negozi. Toccare con mano è essenziale, in questo genere di articoli. “Le persone preferiscono venire da noi, verificare la qualità dell’oggetto” dicono in coro nei tre sexy shop.
Resta un dato di fatto, registrato anche dalle interviste anonime che abbiamo raccolto: i sex toys sono principalmente usati all’interno della coppia, raramente la donna ne fa un uso individuale. E questo ci dice che la masturbazione femminile è probabilmente ancora uno scoglio culturale da superare, come conferma anche il fatto che raramente se ne parla. Un passo alla volta. “Un tempo si dava per scontato che non era necessario che ci fosse il piacere femminile,” ricorda la dottoressa Giangregorio, “invece adesso le donne si sentono autorizzate a chiedere il piacere per sé, e questo mi sembra una prima parte di trasformazione importante”.
Il porno lo facciamo noi
La domanda può sembrare brutale: le donne guardano film porno? Cliché vuole che l’utilizzo sia appannaggio dei maschi, che notoriamente hanno una sessualità basica, rispondente a ben codificati stimoli. Anche l’iconografia classica dipinge l’uomo che, solo o in compagnia, assiste alle evoluzioni altrui il tempo bastante per attivare il proprio eccitamento. All’interno della coppia, poi, è sempre lui, si pensa, a spingere per ‘guardarsi un filmino’, superando la ritrosia della compagna che lo asseconda pazientemente per buona pace del rapporto. Le cose stanno davvero così?
Pornohub è il primo sito al mondo di pornografia in streaming. Ogni anno pubblica le statistiche di accesso e le riclassifica secondo vari parametri: zona geografica, genere dell’utente, età dei visitatori, parole più ricercate, categorie richieste ecc. Nel 2016 ha registrato 23 miliardi di visite, un dato in forte crescita dal 2013 (anno della prima rilevazione statistica) in cui gli accessi ammontavano a 14,7 miliardi. Di questi 23 miliardi, il 26% è rappresentato da donne: tre punti percentuali in più in tre anni (era al 23% nel 2014). Fin qui i dati a livello mondiale.
Se con un ideale zoom focalizziamo sul nostro Paese, scopriamo che la percentuale di utenti donne che nel 2016 si sono collegate al sito è pari al 23%, e da lì non si muove dal 2014. La differenza è poca, ma se nel resto del globo il consumatore femminile di pornografia aumenta, non così in Italia. La fascia di età che accede maggiormente al sito è la più giovane, dai 18 ai 24 anni (il 36% del totale), le meno presenti sono le over 65 (4%).
Un quarto di fruitori donne non è molto, ma non è nemmeno poco se pensiamo alla condanna morale, trasversale alle differenti culture, che da sempre pende sul capo della pornografia. Se poi aggiungiamo il fatto che quella classica è girata da uomini per gli uomini, e quindi con uno sguardo maschile sulla sessualità, il 23-26% ha il sapore di una non facile conquista. Ne parliamo con una figura di spicco nell’attivismo milanese underground e nel panorama culturale indipendente.
“Mi occupo di pornografia da circa sei anni e sono sempre stata all’interno di quello che possiamo definire attivismo femminista”. Titta Cosetta Raccagni è laureata in Storia del Cinema e diplomata alla Scuola di Cinema di Milano come Camera Operator e Filmmaker. Autrice di cortometraggi, documentari e reportage è abituata a indagare con profondità e riflessione sistematica il tema della pornografia con un atteggiamento di continua ricerca e sperimentazione. Ora sta toccando alcune città italiane con la sua nuova performance Pornopoetica. “Dalla fine degli anni ’90 sto ragionando sul femminile e sul genere, fino ad arrivare a oggi, momento in cui non voglio più definirmi e non mi identifico nel genere femminile perché non voglio essere racchiusa da un’etichetta, da un’identificazione, da un orientamento preciso. Anche se sono consapevole che Queer è a sua volta un’etichetta, che purtroppo bisogna usare”.
Poco più di un lustro fa nasce a Roma Le Ragazze del Porno, un progetto che la vede protagonista assieme ad altre personalità femminili italiane del mondo culturale, del cinema e dello spettacolo con lo scopo di girare dieci cortometraggi, scritti e diretti da donne. Produrre insomma una pornografia realizzata da donne per le donne. Non è una novità, la pornografia al femminile esiste da diversi anni.
Nel 1984 Candida Royalle, popolare attrice di film a luci rosse negli anni Settanta, fonda Femme Productions, la prima casa di produzione di porno per donne: l’immaginario è quello del romance, con l’intenzione di riportare lo stile, la trama, il romanticismo all’interno della pornografia. Negli anni ’90 c’è il porno di educazione sessuale, che nasce dall’idea di fare riscoprire alle donne desideri e bisogni e aiutarle a soddisfarle, anche attraverso una migliore conoscenza del proprio corpo. Infine, negli anni 2000, l’esplosione della rete permette la distribuzione – cosa non facile, prima – dei più diversi tipi di pornografia (Queer, lesbico, radical ecc.), e aumenta sia il numero di registe donne che il pubblico femminile.
“Ho aderito al progetto perché, nonostante nel mio percorso io sia andata oltre le categorie di genere, facendo quello che considero un passo avanti, in Italia è ancora necessario educare alle differenze di genere. Inoltre si prefissava di dare l’assalto al mainstream ed è importante, anche se io sono abituata a lavorare di avanguardia”.
Allora al centro del dibattito politico c’era il caso di Ruby Rubacuori. “C’era stata l’ondata di Se non ora quando?, una levata di orgoglio che non chiamerei femminista. Era ancora una volta come se la colpa fosse delle donne che si prostituivano, mentre il punto da mettere in discussione era un sistema che partiva da molto prima. Berlusconi è stato solo il traghettatore di un immaginario legato alla donna, per cui rimaneva il modello italiano puttana-madonna-madre…”
Le Ragazze del Porno è il primo progetto di pornografia al femminile sorto in Italia. “Almeno in maniera così dichiarata. Ci sono diverse porno-attiviste che lavorano da anni su questo tema, però siamo state le prime ad avere volutamente scelto di mettere quell’etichetta, perché in quel momento era necessario affermare che non ci sono solo quei modelli di donne, e soprattutto dire: non condannate la sessualità delle donne, a noi piace la nostra sessualità e anche guardare.
E quindi era importante rivendicare la pornografia come rappresentazione, voler fare un progetto artistico-cinematografico che fosse scritto e diretto da donne e che, pertanto, avesse uno sguardo diverso rispetto a come è stata concepita la pornografia finora”. Le differenze, in effetti, sono marcate: una questione di tempi e sicuramente di sguardo.
“La pornografica al femminile supera i limiti di quella tradizionale” sottolinea la dottoressa Giangregorio. “Quest’ultima infatti dà un’immagine della donna estremamente passiva, nell’estetica, nella scelta dei personaggi… le bombe sexy. La donna non si riconosce mentre ha bisogno di identificarsi. D’altra parte tutta l’attenzione della pornografia tradizionale sulla prestazione, le immagini legate alla penetrazione, abbassano il desiderio femminile anziché alzarlo, perché il desiderio femminile viene attivato da altri canali. La brillantezza di queste registe è stata proprio creare un formato più di immaginazione che corrisponde di più alla donna”.
Le interviste anonime realizzate tramite questionario confermano la tendenza riscontrata dalle statistiche di Pornhub: solo il 27% guarda film porno. Tra queste, la fascia di età che ne fa maggiormente uso è quella dai 18 ai 25 anni (il 43%), il meno interessato è il segmento che comprende le over 50 (il 9%). Il 90% delle donne tra i 26 e i 35 anni sa dell’esistenza del porno al femminile, percentuale che scende di poco, all’81%, nella fascia precedente (tra i 18 e i 25 anni). Uno sguardo complessivo sul totale delle intervistate fa flettere il dato al 65%. Infine, tra le donne che dicono di guardare film porno è il 72% a scegliere quello al femminile.
“Diciamo che il porno al femminile può avere una funzione liberatoria. Per me poi si tratta di andare ancora oltre, rompere un immaginario, che è quello che sto cercando di fare con i miei progetti, come Pornopoetica,” racconta Titta, “costruire qualcosa che non c’è, perché anche attraverso la pornografia si può lavorare a creare una visione diversa del mondo, di noi”.
Il progetto XConfessions, di Erika Lust, è sicuramente liberatorio. “Le confessioni di massa sono così calzanti perché le donne nell’anonimato riescono a dichiarare, vivono delle fantasie che poi diventano addirittura dei cortometraggi che girano per il mondo. Anche dal punto di vista narcisistico è una cosa molto potente” evidenzia la dottoressa Giangregorio.
Erika Lust è una figura oramai totemica nel campo della pornografia al femminile. Scrittrice e regista svedese trasferitasi a Barcellona dove ha fondato una sua casa di produzione, è stata tra le prime a girare porno e oggi è tra le più conosciute. I suoi film sono considerati da molte voci critiche troppo patinati. Sia nella ricerca dell’ambientazione e della fotografia raffinata, ma soprattutto dal ricorrente utilizzo di una narrazione, pur ridotta all’essenziale. Non per niente la sua produzione viene definita pornografia da HBO, laddove con questo acronimo si intende riferirsi al network televisivo statunitense produttore delle maggiori serie TV (Sex and the City per nominarne una conosciuta). Ma il porno femminile può essere anche ruvido.
“Ci sono degli estremi” evidenzia Titta. “Penso a Diana Pornoterrorista che fa cose molto punk. Porta in giro dei workshop in cui mostra la funzione sessuale di alcune parti del corpo, il punto G, per esempio, che viene visto come il mistero dei misteri, quando non lo è affatto, e questo ci dice quanta poca consapevolezza ci sia anche della semplice anatomia. Oppure Nadia Granados, La Fulminante, un’altra artista. Certo sono attiviste e non registe, e anche in questo sta il valore del progetto Le Ragazze del Porno. Dal mio punto di vista era l’occasione di portare avanti una ricerca che si inserisse tra l’attivismo e la sperimentazione artistica. C’è tutto un mondo possibile in mezzo…”
A San Francisco c’è una performer, Jiz Lee, che lavora con la casa di produzione Pink & White Productions che fa film porno Queer. Non mettono in scena una storia. “C’è lo staging in una stanza e c’è del sesso libero. Anche se sono performance è un sesso liberato, molto legato quindi alla tematica del femminile. Certo vengono ripresi da telecamere, ma si mettono lì un’ora e fanno l’amore. Dopo avviene il lavoro di taglia e cuci. È un sesso autentico, o comunque una rappresentazione del reale. Difficile dire se la naturalezza è una caratteristica del porno femminile, perché ci sono talmente tanti livelli di approccio, ma di sicuro c’è un bisogno assoluto di rendere consapevoli le donne sulla propria sessualità, sui propri desideri”.
Per la dottoressa Giangregorio l’eccitazione femminile davanti a un film porno ha invece bisogno di una trama, che non significa però ‘storia’ ma ‘relazione’, mostrare “un rapporto tra le persone, un connotato relazionale”.
Le Ragazze del Porno intendeva finanziarsi con un’operazione di crowdfunding, anche per sottrarsi alle dinamiche che regolano l’industria cinematografica, non solo quella porno, in mano alle corporation. “All’inizio ha avuto un impatto mediatico forte. C’è stata un’ossessiva curiosità sugli aspetti meno importanti. La pruderie… il porno al femminile… tutti ti chiamano, ricordo la prima pagina su uno dei principali quotidiani. Ma questa visibilità ha dato la possibilità di produrre un solo film. In Italia è difficile parlare di pornografia: se trovi un produttore poi ti scontri con la distribuzione perché in sala devi avere il visto censura, mentre i produttori porno che ci hanno contattato volevano dire la loro sui contenuti. Quindi ci siamo chieste cosa valesse di più, se la nostra libertà o produrre i cortometraggi… è il solito discorso e il progetto è un po’ bloccato”.
Solo tre corto infatti sono stati realizzati, e non sono comunque riusciti ad arrivare al grande pubblico. Internet è uno strumento valido ma dispersivo, e senza un minimo di struttura non si raggiunge visibilità. Restano i festival del settore, dove il porno femminile si sta creando un proprio spazio, ma c’è un pericolo: “Un po’ come le quote rosa, rischi di chiuderti dentro un’etichetta”, evidenzia Titta. Politically correct: abbiamo la regista donna, quindi siamo rispettosi di tutte le sensibilità.
Etichette, appiccicate alla pornografia, ce ne sono ancora tante. La prima è morale, perbenista, e trasversale rispetto al genere: il porno è qualcosa di sporco e perverso, da guardare di nascosto. La seconda è quella che più comunemente viene affibbiata dalle donne: il porno uccide la fantasia. In terza battuta, ancora tra le donne: ti ritrovi poi con uomini che, dopo aver visto chilometri di pellicole porno, pensano di avere tra le mani una bambola gonfiabile. Magari la pornografia al femminile riuscirà a mandarle in soffitta.
“Il sesso, che appartiene a tutti, dovrebbe essere un veicolo di consapevolezza di sé e delle relazioni, perché il sesso mette in relazione” conclude Titta. “È fondamentale ed è fondante, e non si può lasciare la pornografia in mano a corporation che ci fanno soldi e indirizzano l’immaginario solo verso determinate direzioni che le persone, nell’inconsapevolezza della fruizione, continuano a ingoiare. Uno degli obiettivi della mia ricerca è liberare, dire che non c’è una norma, che il desiderio è libero e liberatorio”.
What Women Want: Luca
Si dice gigolò e si pensa al sesso a pagamento e quindi a una botta e via. E invece, “una botta e via, come dici tu, succede solo con donne straniere che magari sono in città di passaggio”. Luca Borromeo ha trentasette anni e vive a Milano. È gigolò professionista da dieci, quando si è accorto che l’impiego da assicuratore gli stava stretto. Ha un sorriso aperto, bicipiti e pettorali in evidenza sotto la t-shirt e l’eleganza di chi perfeziona un’indole affabile con la frequentazione di ambienti sociali medio-alti.
“Mi ricordo di una signora molto bella, ingioiellata…” L’ha incontrata in uno degli alberghi più lussuosi di Milano. Gli ha detto quello che doveva fare durante il rapporto, passo per passo. E poi: «Adesso vai a farti la doccia, ti do i soldi e arrivederci e grazie». Si sono salutati e non l’ha più vista. Ma questo, ribadisce, accade solo con donne straniere. “Le donne italiane non sono così. Vogliono essere corteggiate, creare un rapporto, anche se pagano. Ci sono donne che, oltre l’appuntamento, amano scrivere o ricevere un messaggio, avere una risposta che dimostri il mio interesse, anche semplicemente ‘scusami ora sono impegnato’. Desiderano instaurare una relazione, un gioco”.
“È una trama relazionale quella che cercano” dice la dottoressa Giangregorio. “Una situazione nella quale poter sentire un po’ di condividere un pezzo della vita, che può essere anche un giorno, una settimana”. Quelli con le sue ospiti infatti, conferma Luca, sono quasi sempre rapporti continuativi: si instaura fiducia, complicità, “un legame anche affettivo, se vogliamo tenere l’affetto a vari livelli”; ci si vede una volta al mese, per esempio, e nel frattempo spesso, in qualche modo, si resta in contatto. Sono rapporti consapevolmente leggeri, ma nei quali poter lasciarsi andare: “Si può anche dire ‘ti amo’ al culmine del piacere, tanto…”
Il sito di Luca è scanzonato e ironico, parla esplicitamente di sesso e riflette molto il suo carattere. Un giro sui siti web di diversi suoi colleghi, più o meno professionisti (almeno questa è l’impressione che se ne ricava), rivela immediatamente la diversità del suo atteggiamento: negli altri è tutto un rincorrersi di frasi a effetto, dichiarazioni d’amore, promesse di felicità, una vera pletora di cuoricini che piovono e foto laccate in cui i protagonisti assumono pose da macho tenebroso e raffinato. Il fatto che questo modo di porsi sia così diffuso fa pensare che sia vincente nell’approccio con le donne, nonostante si tratti di sesso a pagamento. Luca però si tiene alla larga dallo stereotipo e non cade mai nel sentimentalismo di maniera.
“Io sono così nella mia vita privata, perché dovrei fingere sul lavoro? Mi contatti perché hai un’esigenza, parliamo di questo, vediamo quello che si può fare. A me non piace fingere per cui so che nel mio approccio è importante non tanto il fatto dei cuoricini ma porsi in una situazione di ascolto”. Un atteggiamento che non è certo freddezza, e la personalità calda di Luca lo rivela: leggerezza, forse, è la parola giusta, e in effetti cos’altro dovrebbe essere il tempo passato con uno gigolò, se non una piacevole leggerezza? Anche se capitano donne che lo contattano per esigenze particolari, di superamento di alcune situazioni emotivamente complicate; ma sono la minoranza.
Luca è bisessuale, quindi la sua clientela contempla anche coppie, ma “le donne singole sono molte. Va a periodi, ma direi che sono circa il 30%, e hanno dai 20 ai 55 anni”. Non pensiamo alla befana che non sa che santi pigliare. Soprattutto quelle più in su con gli anni sono donne attraenti, dice, emancipate socialmente e nel lavoro, che curano il proprio aspetto e non dimostrano la loro età: “Più vanno avanti con gli anni più diventano belle”.
Sorprende che donne così abbiano bisogno di pagare per avere un rapporto sessuale. “Infatti non ne hanno bisogno. Chi paga è perché vuole farlo, vuole quel tipo di rapporto, creare quel tipo di condizioni, quella dialettica. E quindi cerca il professionista che affronta la situazione senza esitare. Non dimentichiamo che c’è anche un po’ la cultura del Rocco Siffredi della porta accanto, uomini che pensano per lo più a soddisfare il loro piacere, e molte donne mi dicono di non sentirsi al centro della situazione nel rapporto, non solo in quello sessuale ma anche nella frequentazione. Chi viene da me, chi mi contatta, sa già quello che vuole”.
“Le donne riescono a vivere una sessualità sdoganata dall’ideale romantico, anche hard in alcuni casi. Cercano qualcosa che adrenalizzi, che dia un po’ di carica emotiva, che riscaldi, che riattivi, che rigeneri… certo all’interno di una trama relazionale” dice la dottoressa Giangregorio. E con il tempo, non solo il numero delle ospiti single di Luca è aumentato, ma è cresciuta anche la richiesta di utilizzare sex toys: “Vogliono inserirli nel rapporto. Le donne hanno paura di sperimentare solo se non si fidano del proprio compagno, altrimenti non hanno alcun problema, anzi. E poi io non ho tabù e alle donne, almeno alle mie ospiti, questo piace”.
Vicino ai quaranta, quando ha iniziato, a ventisette anni, Luca credeva che avrebbe fatto lo gigolò per un anno o due. E invece: “Nel corso del tempo ho capito che l’aspetto curato è importante, certo, ma la prestanza fisica non è tutto. Quando una donna mi chiama non mi parla dei muscoli, degli addominali o dei pettorali, anche se io tendo a metterli in vista, naturalmente; mi parla degli occhi, dell’ironia che traspare dalle mie interviste. Quello che le convince a fare il passo successivo e a chiedermi un appuntamento è la voce”.
Se comunque poche sembrano essere le donne che vanno a gigolò, pare che nessuna sia disposta a dichiararlo esplicitamente o a confidarlo a un’amica. In questo differenziandosi molto dal modello maschile. “In genere l’uomo si vanta con l’amico di essere stato a prostitute, ma lo fa solo per dimostrare delle possibilità economiche: mi sono portato a letto questa, con i soldi faccio quello che voglio. Tra le donne è difficile, c’è più la volontà di avere un segreto, qualcosa a cui gli altri non abbiano accesso” dice Luca. E c’è l’aspetto culturale, i tabù… Tra le sessantasei donne intervistate in modo anonimo, nessuna afferma di essere stata con uno gigolò. Appena a 12 di loro, il 18%, piacerebbe provare l’esperienza, ma di queste ben il 75% dichiara di trattenersi per motivi connessi in qualche modo alla morale; solo il 25% per ragioni economiche.
Abbiamo poi provato a inserirci in un paio di forum femminili percorrendo due strade diverse e parallele. Da una parte ci siamo presentati esplicitamente dichiarando di voler raccogliere un’intervista sull’esperienza vissuta con uno gigolò, garantendo l’anonimato; dall’altra abbiamo tentato la via delle mentite spoglie, vestendo i panni di una donna in cerca di confidenze e consigli. In entrambi i casi, risposta negativa. O meglio, nessuna risposta. Nel secondo caso, un muro di gomma ci ha rimbalzati; nel primo ci hanno cacciato senza rimorsi. Bannato, si dice in epoca social.
Forse il sesso a pagamento è la boa più impegnativa da aggirare per una donna: si porta dietro secoli di un immaginario capovolto, lui che paga e lei che vende il proprio corpo, con in più il connotato di condanna morale. E poi c’è la questione della ‘trama relazionale’: la necessità di instaurare un rapporto. E un’idea di squallore. Certo ci sono situazioni differenti, quella di Luca è una realtà medio-alta (200 euro la tariffa oraria), ma chiacchierando con lui tutto sembra così semplice, giocoso, leggero, rispettoso… e quindi – a poterselo permettere – perché no?
Cinquanta sfumature di… Cenerentola!
Incassi record in tutto il mondo dopo il primo weekend di programmazione, Cinquanta sfumature di grigio ha raggiunto la cifra di 311 milioni di dollari in otto giorni, di cui 8 milioni e mezzo in Italia. Stesso successo per il secondo film della trilogia, Cinquanta sfumature di nero, che il giorno dell’uscita, lo scorso 14 febbraio, San Valentino, ha incassato un milione di euro nelle sale italiane. Cinquanta sfumature è diventato un fenomeno di massa, prima in romanzo e poi in versione cinematografica, e come tutti i fenomeni di massa è interessante da interrogare perché dice qualcosa di chi siamo. Perché dunque questa storia è piaciuta così tanto alle donne?
È indubbio, infatti, che ha colpito l’immaginario femminile molto più di quello maschile. Già i libri circolavano solo dentro le borsette – difficile trovare un uomo che li abbia letti – e i cinema vibravano di estrogeni – se c’era qualche maschietto, era visibilmente stato trascinato lì dalla compagna. Christian Grey ha conquistato le donne diventando l’uomo perfetto, facendo sospirare dalle più giovani alle più mature; Anastasia Steel è invidiata e le ragazze sperano di vivere una storia d’amore e sesso come la sua. Insieme, Anastasia e Christian continuano a far sognare e a far parlare di loro mentre il pubblico freme in attesa del terzo e ultimo film, Cinquanta sfumature di rosso, in uscita a San Valentino del prossimo anno.
Bello, ricco e tenebroso lui, innocente e inconsapevolmente bellissima lei. La storia è nota. Lui è un giovane rampollo ambito e affermato nel mondo degli affari, pratica BDSM e gli unici rapporti che intrattiene con le donne sono contrattuali, legati al gioco sessuale in cui è il Dominatore e loro le sue Sottomesse; lei è una studentessa universitaria, una ragazza semplice che non è mai stata a letto con un uomo. Si incontrano per caso e lui resta ammaliato dal suo candore. Perché lei è diversa dalle donne che solitamente lo circondano, una caratteristica che la storia sottolinea subito. Anastasia si innamora di Christian nonostante venga ben presto a scoprire il suo lato oscuro, e decide di buttarsi nella relazione, convinta di saperla gestire, spinta dalla curiosità ma anche dal desiderio inconscio di salvarlo.
“Il sogno è un po’ questo, della conquista del principe azzurro. Fa parte un po’ di tutte le donne, la crocerossina… C’è un po’ l’idea della cura, che è proprio tipica dell’universo femminile” afferma la dottoressa Giangregorio. Ed è infatti quel che accade in Cinquanta sfumature: la relazione non funziona e Anastasia, afflitta e col cuore spezzato, decide di andare via da Christian, ma cambia idea non appena lui torna e le confessa di essersi innamorato e di non riuscire a vivere senza di lei, disposto a cambiare pur di averla. La storia dunque va come deve andare, come tutte le lettrici/spettatrici volevano andasse, perché la giovane universitaria casta e inesperta ha fatto l’impossibile: ha sciolto il cuore di ghiaccio di Mr. Grey.
“Diciamo che avviene uno scatto collettivo, sia del personaggio maschile che di quello femminile” precisa la dottoressa: “Il primo in qualche modo fa a patti con alcuni suoi fantasmi del passato, e lei si riscatta riuscendo a conquistare quest’uomo”. L’amore infatti trionfa e come nelle favole, il tutto viene suggellato dalla proposta di matrimonio – in ginocchio, con cuoricini, fiori ecc. non manca un solo cliché. Una narrazione che di nuovo ha ben poco, visto che affonda le radici in Cenerentola – sesso a parte, ovviamente… d’altronde Cenerentola è una fiaba per bambine. E forse proprio qui sta l’enorme successo.
“È scritto da una donna che ha saputo cogliere anche l’aspetto femminile dell’erotismo. È riuscita a tenere insieme tanti aspetti: l’erotismo, appunto, dando voce a una fantasia veramente molto popolata, sia tra gli uomini che le donne, di un rapporto di sottomissione,” analizza la dottoressa Giangregorio, “e tante altre dimensioni, come quella della dipendenza, che è sia del maschio che della femmina, perché in fondo anche il personaggio maschile è una figura controllante, ossessiva, dipendente, molto fragile per certi versi, e contemporaneamente la ragazza, che all’inizio è dipendente dall’uomo, alla fine si riscatta”.
Christian, prima dominatore e maniaco del controllo, una volta innamorato ripone in lei le sue debolezze ed è disposto a iniziare un cambiamento pur di non perderla; Anastasia invece acquista fiducia in se stessa, inoltrandosi sempre più nel mondo del sesso di lui fatto di bondage, camera dei giochi e sottomissione, stabilendo lei le condizioni: “Niente più regole, niente punizioni e niente più segreti”, dice. Lei salva lui, e lui le promette amore eterno. Ecco dunque la chiave: Cinquanta sfumature racconta una storia ad alto tasso erotico – sesso trasgressivo, oltretutto, e dove c’è sesso c’è successo, si sa – ma è stato l’aver condito il tutto con l’amore ad aver fatto centro. Al punto da aver innescato dei cambiamenti nel modo delle donne di vivere la propria sessualità.
I commessi dei tre sexy shop milanesi ci hanno raccontato che dopo l’uscita del primo film della trilogia c’è stato, da parte della clientela femminile, un aumento della richiesta di determinati sex toys – manette, mascherine, frustini e lingerie particolare – ed è anche cresciuta la clientela più giovane, le ragazze, che prima si affacciavano raramente in un sexy shop. Una tendenza confermata con l’uscita del secondo film – le palline hanno iniziato a stravendere… E poiché il mercato è sempre attento a cogliere i cambiamenti, non si è fatto scappare l’occasione e sono entrati in commercio anche kit, tutto incluso, ispirati alla trilogia.
“Ho fatto una riunione la settimana scorsa e ho venduto tantissimi kit. Ce n’è uno che contiene un paio di manette di raso, una benda, un piumino per solleticare… diverse cose, insomma; siamo su quel filone adesso, ed è esploso già con il primo film. Anche le mascherine di metallo, per esempio, vanno moltissimo dopo Cinquanta sfumature”, racconta Pamela degli incontri che organizza con la Lovely Toys. “Ho dovuto leggermi il libro, perché già allora è iniziata la richiesta, non c’era riunione in cui qualcuna delle presenti non lo citasse…”.
Sembra quindi che le donne, prendendo spunto da Cinquanta sfumature, siano state spinte a sperimentare e ad apprezzare particolari pratiche sessuali; giochi, certamente, senza spingersi a quella che è realmente la pratica BDSM. Un po’ di pepe nel rapporto, possiamo dire. Fatto che trova conferma anche nelle statistiche di Pornohub.
Il 13 febbraio 2015, giorno prima dell’uscita del primo film, il sito ha registrato un aumento, tra gli utenti donne, intorno al 40% nella ricerca delle parole chiave “submission”, “spank” (sculacciare) e “bondage”; dopo l’uscita nelle sale i termini “submission”, “BDSM” e “dominate” si sono impennati fino a quasi il 200%, sempre tra le utenti femminili. Si potrebbe dire che di passi avanti, nella direzione di voler vivere quello che piace, le donne li abbiano fatti grazie alla storia d’amore e passione di Mr. Grey e Anastasia, ma allo stesso tempo viene da domandarsi: c’era bisogno di Cinquanta sfumature per trovare il coraggio?
Viva la differenza
La donna dunque ha bisogno di una ‘trama relazionale’. “Se pensiamo anche alla conformazione fisiologica degli organi sessuali, ci dice molto di questa storia…” conclude la dottoressa Giangregorio. “L’uomo penetra, utilizza questa dimensione più aggressiva e più espulsiva, nello sperma c’è un espellere, un evacuare e poi andare, una funzione di grande potenza. Invece la donna trattiene e cura, trasforma, lo sperma diventa un piccolo embrione che diventa un piccolo feto in alcuni casi. Quindi anche in questo senso, biologicamente, le donne sono predisposte a sviluppare una relazione di cura; con la loro possibilità di generare hanno questo codice inconsapevole, inconscio, inscritto, di trattenere, di tenere con sé. Primordialmente. Invece l’uomo, anche fisicamente, non ha questa funzione”.
Biologia, quindi. Ma poi c’è anche la cultura. “Siamo educati in una società nella quale le donne hanno determinate caratteristiche e gli uomini altre. Per le donne è accettabile, anzi è rinforzata, l’idea di essere emotive, riflessive, di prendersi cura degli altri, per l’uomo sono rinforzate altre dimensioni. Questo attiva, inconsapevolmente, le modalità relazionali e sessuali che fanno la differenza”. Ma quanto sia cultura e quanto natura è un dilemma dal quale non si può uscire.
“Entrambe le cose. Le ricerche discutono su questo aspetto, sembra che ci siano proprio differenze neurofisiologiche tra maschi e femmine. Pensiamo ai due emisferi: negli uomini sono poco comunicanti tra di loro, nelle donne dialogano molto di più, e questo permetterebbe una maggiore elasticità, un migliore transitare da una funzione mentale a un’altra. Ma è natura? Sono stati fatti diversi studi, e si è visto che a differenza di altri organi il cervello ha una plasticità molto ampia: quindi se alleni la mente ad assolvere determinate funzioni, si trasforma”. Dunque se l’ambiente, la società, la cultura, ti spingono in una direzione, il cervello cambia. Viva la differenza, quindi.
“Io ho la sensazione che le donne abbiano fatto un passo in avanti nella consapevolezza e nell’accettazione della loro sessualità. Bisogna però svincolarsi da questo paradosso per cui si sentono emancipate se hanno una sessualità in qualche modo simile a quella degli uomini: non è questo l’obiettivo”.
E con la trasgressione, come la mettiamo? È la donna che vuole introdurre sex toys e che si fa prendere dalla camera dei giochi di Cinquanta sfumature, e rivendica anche una sua pornografia. Sembra essere lei a spingere per una sessualità meno canonica. “Siamo abituati a pensare che la sessualità normale sia quella che segue il ciclo naturale del piacere, quindi eccitazione, desiderio, orgasmo; se iniziassimo anche culturalmente a pensare che la sessualità si sviluppa in tante forme diverse, saremo anche più liberi di viverla serenamente. La donna godrà a pieno di se stessa se riuscirà a fare quest’ulteriore scatto di flessibilità e di adattamento, se riuscirà a pensare al piacere in tante forme diverse”.
E allora si trascinerà dietro l’uomo. “Non ce ne vogliano gli uomini, ma siamo fatti proprio in modo diverso… Credo che sistematicamente accadrà qualcosa di molto simile, che a un certo punto anche l’uomo faciliterà questa liberazione”. E finalmente, tana liberi tutti.