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Home Cultura Letteratura

Occidente-Damasco, andata e ritorno

Rivista Paginauno by Rivista Paginauno
10 Febbraio 2009
in Letteratura
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Occidente-Damasco, andata e ritorno
  • (Paginauno n. 11, febbraio – marzo 2009)
di Luciana Viarengo

Recensione de Il traditore, Robin Yassin-Kassab

Deve essersi sentita così la fata cattiva, spinta dal desiderio di dimostrare con il suo dono quanto fosse arrabbiata. Ma a differenza dell’incantesimo perraultiano, questa volta il dono legato alla nascita in questione dovrebbe, anziché addormentare per sempre, favorire il risveglio delle coscienze incoscienti; inoculare coi suoi temi puntuti il dubbio che la verità non sia unica e incontrovertibile.
La nascita è stata annunciata proprio alla soglia di quella gravidanza spirituale che è l’Avvento. Forse un parto tatticamente programmato per sottolineare quanto questo pargolo, infinitamente meno salvifico, sia comunque riverberato dalla luce del sacro.

Il padre, con l’annuncio via internet e sulla stampa nazionale, ha pure reso nota la decisione di immolare sulla culla la sua carriera di giornalista: Magdi Cristiano Allam si occuperà solo del nuovo nato, il partito politico Protagonisti per un’Europa cristiana.
Allam definisce questa sua nuova creatura, ‘laica’. Fare atto di fiducia è difficile vedendolo sul banner del sito inchinarsi a Benedetto XVI e da lui venire battezzato; ancora più difficile leggendo nello statuto che il partito “si assume la storica missione di riscattarci sul piano personale collettivo proclamando uno ‘stato d’emergenza etico’, che consideri come priorità nazionale italiana e comunitaria europea la riscoperta, l’adesione e la difesa della nostra comune civiltà europea cristiana”. La solita venefica pozione europeo-centrica a base di radici cristiane ed estratti di millantata identità comune.

Anche il coro, per nulla angelico, che accompagna il nuovo nato suona familiare: fede e ragione, verità e libertà, valori e regole. Conoscendo il padre, non servirebbe neppure addentrarsi nel programma per sapere di che tipo di fede, regole, valori e – soprattutto –verità si stia parlando.
Ma se i buonisti irriducibili – attenti, ché il nuovo partito combatterà anche loro – nutrissero qualche dubbio, ecco gli obiettivi contro i quali Magdi Cristiano Allam si impegna al fine di liberare l’Italia e l’Europa prigioniere “di una malattia ideologica”: “nichilismo, relativismo, islamicamente corretto, buonismo, laicismo, soggettivismo giuridico, autolesionismo, indifferentismo e, sul piano più ampio della gestione sociale, il multiculturalismo”.
Tintinna anche la solita congerie di ideali come “sacralità della vita” e “bene comune”: vasi scintillanti e vuoti, da colmare di volta in volta con quanto aggrada a chi mena le danze.

L’atto di fiducia è impossibile: nella totale negazione di un islam moderato e pacifico e nel vagheggiamento di un Occidente dove ‘pluralismo’ stia in cima all’elenco dei vocaboli proibiti, è il fondamentalismo il tratto saliente di questo neonato partito. A lui il dono.
Se per Allam il convertito (o il kafir: gli piaccia o meno, la verità dipende dal lato dal quale la si osserva) la via di ritorno da Damasco porta dritta dritta alla politica, The road from Damascus di Robin Yassin-Kassab –edito in Italia da il Saggiatore con il titolo Il traditore – conduce alle realtà proteiformi della questione identitaria, dell’islam in Occidente, dell’Occidente nei paesi islamici, della lotta perenne fra laicità e religione. La strada nel titolo originale, a differenza di quella intrapresa da Allam in sella allo stereotipo di un islam occidentale violento e primitivo, è priva di fondamentalismo e di enfasi assolutiste. Anzi, è il percorso accidentato di chi, alla ricerca di un centro, è costretto a mettere in dubbio le certezze sulle quali ha fondato la propria vita; di chi sente di aver “tradito tutti, in un modo o nell’altro”; di chi ha il coraggio di rinunciare alla rigidità delle proprie idee per comprendere l’esigenza di spiritualità e le ragioni dell’altro da sé.

Il protagonista di questa epica umana è Sami Traifi, trentenne siriano nato a Londra, appartenente dunque alla ‘seconda generazione’. È musulmano, ma cresciuto nel totale rifiuto della religione da un padre intellettuale, ateo e nazionalista arabo. Con la madre, donna religiosa e conservatrice con tanto di hijab, Sami ha interrotto i rapporti, accusandola tacitamente del tradimento dei principi paterni e non riuscendo a perdonarle il silenzio e la freddezza con i quali ha accudito il marito durante la malattia che lo ha portato alla morte.
Cogliamo Sami in un momento cruciale della sua vita, incapace di uscire dalle sabbie mobili nelle quali il suo luminoso futuro si è impantanato trasformandosi nel presente di un “accademico fallito e perdigiorno internazionale”, mantenuto dallo stipendio da insegnante della moglie, l’irachena Muntaha, suo contraltare e splendido esempio di donna colta e in armonia con le proprie scelte esistenziali e spirituali.

“Una delle sciagure dei nostri tempi” suggerisce l’autore anglo siriano Yassin-Kassab, con il sottile umorismo che permea tutto il romanzo, “è il ritorno alle radici in cerca di soluzioni”. Anche Sami ci casca. Si reca a Damasco in estate, “con la sensazione di un’ultima chance”, per attingere materiale di studio per il dottorato, e per ritrovare se stesso.

A questa esperienza sono dedicate meno di venti pagine sulle quasi quattrocento del libro, sufficienti per vedere Sami incontrare un paese e dei parenti a lui totalmente sconosciuti. E scoprire lo zio Faris, un relitto da decenni inchiodato a una sedia a sgranare il suo rosario, clic clic… ciò che resta del giovane studente di ingegneria entrato nei Fratelli musulmani e passato per le maglie insanguinate del mukhabarat, i servizi segreti. Tradito da un membro della sua stessa famiglia. Sami ha la sfuggente percezione che la narrazione della zia nasconda qualcosa di più di una semplice ‘storia di famiglia’, ma non comprenderà che cosa finché non sarà pronto. “Di ciò che non sai sei innocente,” gli dice la zia, “ma a che scopo tutto questo? A che scopo strappare alle donne per strada l’hijab? A che scopo ammazzare decine di migliaia di persone a Hama?” (la strage che il governo siriano mise in atto nel 1982 uccidendo molte migliaia di civili, per reprimere un’insurrezione, n.d.a.). A un Sami adolescente, il padre aveva giustificato senza esitazioni l’operato del governo, unica replica possibile ai Fratelli musulmani. In questo ricordo, troviamo il germe di uno dei grandi interrogativi del romanzo, ossia se una laicità dogmatica non possa diventare a sua volta una forma di cieco integralismo. Ma anche in questo caso, Sami non è ancora preparato a rispondere.

Si scontrerà, al ritorno da Damasco, con la decisione di Muntaha di indossare l’hijab. Un’istanza identitaria che Sami rifiuta con violenza, incapace di vedere come la mente duttile e aperta di sua moglie sia in grado di condannare l’islam manipolato dagli estremisti più di quanto non riesca a fare lui, ateo convinto, o presunto tale. Per il quale ogni questione islamica finisce sempre per cadere “sull’hijab e sulla barba”. Intorno a questo matrimonio che si sgretola e alla caduta di Sami in una spirale di droga, alcol e sesso occasionale, gravita una girandola di personaggi così perfetti che meriterebbero un’analisi ad hoc. Figure cruciali per le molteplici tematiche di questo romanzo, grazie alla loro ‘monodimesionalità’– come la retorica del radicalismo nel giovane cognato di Sami e il razzismo mimetico in un pretendente di Muntaha. Monolitici eppure credibili, grazie alla sensibilità di Yassin-Kassab per i dettagli e all’umorismo impalpabile con il quale li offre al lettore.

Il romanzo, così denso che è difficile poterne raccontare in modo esaustivo e come tale con pagine (quasi tutte) eccellenti e altre (poche) meno convincenti – è una discesa agli inferi con risalita; è scoperta e accettazione di dimensioni diverse dalla propria; è fotografia del clima crestato che ha preceduto l’11 settembre, i cui eventi irromperanno nelle pagine finali del romanzo, catalizzando l’angoscia e le riflessioni che li hanno preceduti.

Un buon libro deve minare certezze, seminare dubbi, stimolare riflessioni e Il traditore – peccato aver perso il rimando a una ‘controilluminazione’ suggerito dal titolo originale lo fa raccontando antitesi e polarità intimamente legate tra loro: laicismo e spiritualità, multiculturalismo e crisi identitaria, pressione occidentale e orgoglio islamico. Con l’uso sapiente di registri linguistici e citazioni – retorica nazionalista, cifrario pseudo-accademico degli esuli intellettuali, gergo dell’islam radicale mutuato dall’hip hop afro, poesia sufi, Corano – Robin Yassin-Kassab, in questo suo primo romanzo, mostra le infinite sfaccettature dell’islam contemporaneo radicato in Occidente e le correnti politiche che gli ruotano intorno; indaga la dimensione religiosa, nel senso più alto del termine, dove il credo non è strumento politico ma personale filosofia di vita e rispetto per gli altri. Ne emerge un islam dalla grande forza unificatrice, quell’islam illuminato del quale l’integralismo cristiano nega l’esistenza. Il tutto nel gorgogliante meltin’ pot di una Londra multirazziale e babelica, splendidamente lontana dalla xenofobia da campanile e dalla soggezione papalina, da noi sistemiche e sempre più attizzate da fondamentalismi di antico e nuovo conio.

Il traditore, Robin Yassin-Kassab, il Saggiatore, 2008

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