Il 2016, oltre che per l’aggressività dell’Isis e gli attentati contro cittadini europei, verrà ricordato sia dagli storici che dai politologi come l’anno delle occasioni mancate dalla sinistra europea di fronte all’avanzata dei partiti populisti di destra, formazioni capaci di cavalcare sia la paura che il malcontento contro le politiche neoliberiste. Eppure il populismo si reinventa: è il caso dell’arcinoto Front national di Marine Le Pen, che invece di fare leva sulla classica islamofobia che caratterizza i populisti nostrani, lancia un progetto innovativo, il collettivo elettorale Banlieu Patriote, puntando sul voto di tutti quei musulmani perfettamente integrati nella società francese, orgogliosi sia del proprio retaggio islamico che del proprio senso di appartenenza alla Repubblica, ma stanchi di essere associati al fondamentalismo islamico; e capaci, inoltre, di identificare nel Front national il partito patriottico e sovranista che li rappresenta, un partito sociale e al contempo conservatore, rispettoso – più di una sinistra di governo che è per i diritti civili per gli omosessuali – dell’ordine naturale, tema particolarmente sentito da alcune culture religiose e infatti minimo comune denominatore con i cattolici più tradizionali, e strumento, notano gli osservatori, per radicarsi nelle periferie delle grandi città, un tempo bacino elettorale delle sinistre social-comuniste.
Populismo è una parola che ormai da un po’ scompagina il dibattito politico e politologico, e spesso usata a sproposito. L’accusa più nota è quella di fascismo, ma è fuorviante. Pur esistendo frange non indifferenti di estrema destra che lo utilizzano per sdoganarsi, i populismi (o meglio, i neopopulismi), spiega Piero Ignazi, “non sono una rivalutazione del ‘mito palingenetico’ del fascismo: essi offrono una risposta ai conflitti della società contemporanea (ed è questa la chiave del loro successo). La difesa della comunità dalle presenze straniere (da cui razzismo e xenofobia) è una risposta in termini di identità all’atomizzazione e alla spersonalizzazione; l’invocazione della legge e dell’ordine, l’appello diretto al popolo e il fastidio per i meccanismi rappresentativi rispondono al bisogno di autorità e di guida di una società dove l’autoregolamentazione e l’individualismo hanno lacerato le maglie protettive dei legami sociali tradizionali” (1).
Ergo, nulla a che vedere con il fascismo, che secondo un autorevole studioso come Emilio Gentile fu una via italiana al totalitarismo, “un fenomeno politico moderno, nazionalista e rivoluzionario, antiliberale e antimarxista, organizzato in un partito milizia, con una concezione totalitaria della politica e dello Stato, con un’ideologia attivistica e antiteoretica, a fondamento mitico, virilista e antiedonistica, sacralizzata come religione laica, che afferma il primato assoluto della nazione, intesa come comunità organica etnicamente omogenea, gerarchicamente organizzata in uno Stato corporativo, con una vocazione bellicosa alla politica di grandezza, di potenza e di conquista, mirante alla creazione di nuovo ordine e di una nuova civiltà” (2).
La confusione che porta all’identificazione del populismo con il fascismo è stata illustrata già nel 2011 dal disegnatore Plantu per il settimanale L’Express del 19 gennaio, con una vignetta che rappresentava la leader del Front national e il candidato del Front de gauche alle presidenziali del 2012, entrambi con il braccio alzato a sfoggiare una fascia rossa mentre leggevano lo stesso discorso; come a sostenere che chiunque contesti, anche con differenti approcci, il sistema, sia un pericolo. Il rimando attuato dalla stampa progressista – per lo più quella vicina a quel Parti socialiste che ha accentuato le misure di austerity imposte dall’Europa e proposto una dura legge del mercato del lavoro – è chiaramente alla cosiddetta convergenza degli ‘estremi’. Una posizione che mira alla demonizzazione – sotto l’etichetta di populismo – di tutti coloro che mettono in discussione il liberismo, anche solo a parole. Perché il programma della Le Pen è un liberalismo mitigato da un pizzico di sovranismo, con alcuni rafforzamenti del welfare state solo per chi è cittadino francese, mentre quello dell’ex socialista Jean-Luc Mélanchon, leader del Parti de la gauche e del Front de la gauche che comprende il Pcf, è un blando programma socialdemocratico.
Alternative für Deutschland: una destra alla destra della Cdu-Csu
Se le fortune dei populismi d’Oltralpe possono essere facilmente comprese anche in termini storiografici e politologici, per quei soggetti che si mostrano alternativi a un bipolarismo che fa acqua e crea partiti differenti solo su concetti sovrastrutturali, diverso è il caso di Alternative für Deutschland (AfD), partito politico di destra di chiara impronta populista ed euroscettica che sta facendo incetta di voti in Germania, lì dove non si è mai veramente formato un polo di destra anti-sistema eccetto per i soggetti ininfluenti di stampo neonazista (Npd, Dvu, Republikaner ecc.). AfD invece, non presentando un passato neonazista, come la stragrande maggioranza dei neopopulismi europei, eccezione fatta per il Vlaams Belang fiammingo e per il Freiheitliche Partei Österreich, ma essendosi formato in seno al conservatorismo classico, risulta essere maggiormente appetibile per l’elettore tedesco, refrattario, anche per ragioni storiche, all’estremismo.
I tedeschi di Alternative für Deutschland sono infatti membri dell’eurogruppo di centrodestra Conservatori e Riformisti europei, gruppo moderato, liberale ma euroscettico e anti-federalista, a cui sono affiliati non solo i conservatori inglesi, i Tory, ma anche i dissidenti di Forza Italia legati all’ex governatore pugliese Raffaele Fitto, quei Conservatori e Riformisti che stanno cercando di ricostruire il centrodestra italiano. AfD dunque è un partito conservatore e liberale di destra nettamente critico verso l’Unione europea, e soprattutto verso le sue politiche sull’immigrazione.
Fondato nel febbraio 2013, in vista delle elezioni federali di quell’anno, dall’economista Bernd Lucke, professore di macroeconomia presso l’Università di Amburgo, il movimento ha cavalcato il senso di antipolitica diffuso un po’ in tutta Europa e ha raccolto il crescente sentimento anti-europeista tra l’elettorato tedesco: propone l’indizione di referendum popolari per approvare la transizione da una democrazia a sovranità limitata alla sovranità nazionale dei vari Stati membri della Ue, l’uscita dall’euro della Germania e la possibilità di creare unioni monetarie alternative o
parallele a quelle vigenti (3).
Quello che rende AfD non un mero contenitore antipolitico populista ma un movimento di destra è l’etica conservatrice esposta nel suo programma, di fortissima critica nei confronti dei diritti civili, del matrimonio omosessuale, delle adozioni di figli da parte delle coppie dello stesso sesso, dell’aborto e delle cosiddette politiche gender mainstreaming, come per esempio l’incentivazione delle quote rosa, l’equiparazione tra i sessi e le cattedre universitarie sugli studi di genere. Su alcuni temi – questi ultimi – AfD pare addirittura più a destra di partiti euroscettici con un passato neofascista come Fratelli d’Italia, che non si è mai opposto alla parità dei sessi.
Ma è con la crisi migratoria del 2015 che AfD manifesta la sua anima xenofoba, anche a costo di una scissione, che tuttavia non l’ha indebolito: nel mese di maggio si spacca in due tronconi, uno guidato dal neo segretario Frauke Petry, maggiormente favorevole alla revisione, in senso restrittivo, della legislazione in materia di diritto di asilo, presentandosi come un acerrimo avversario della Cdu di Angela Merkel e della sua scelta di accettare profughi dalla Siria, e l’altro guidato dal fondatore Bernd Lucke, che preferisce portare avanti un populismo meramente fiscalista ed economico. Quest’ultimo blocco è fuoriuscito dal partito il 4 luglio scorso, al congresso di Essen, e ha animato il 19 luglio, insieme ad altri cinque europarlamentari, l’Allianz für Fortschritt und Aufbruch (Alleanza per il Progresso e il Rinnovamento), realtà euroscettica ma meno connotata in senso xenofobo.
Dalla sua nascita, e nonostante la scissione, il cammino di AfD è gradualmente in ascesa: alle prime elezioni nelle quali si è presentato, quelle federali del 2013, ha ottenuto 2.056.985 voti, il 4,7%, non riuscendo quindi a superare lo sbarramento del 5% per accedere al Bundestag (4). Ma già alle europee del 2014 – che hanno visto l’aumento in tutta l’Unione dei vari movimenti populisti di destra, Front national per primo – ha ottenuto il 7,04% ed è entrato nel Parlamento europeo, non aderendo però all’eurogruppo guidato da Marine Le Pen, il Movimento per un’Europa delle Nazioni e della Libertà, che ha nella Lega Nord, nel Fpö e nel Vlaams Belang i suoi pilastri, ma al citato Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (5).
Fino alle elezioni regionali di quest’anno nelle quali ha raggiunto importanti risultati, cavalcando non solo la sfiducia economica dei tedeschi nei confronti dell’Unione europea ma anche le contraddizioni relative alla crisi migratoria: con l’apertura delle frontiere nazionali ai profughi siriani e gli attacchi terroristici in Francia e in Germania, AfD ha iniziato a identificare gli islamici con i terroristi dell’Isis, e ha raccolto il 15,1% nel Land del Baden-Württemberg, divenendo il terzo partito, il 12,6% nel Land della Renania-Palatinato e il 24,2% nella Sassonia-Anhalt – qui nel 2014 aveva registrato appena il 9,7%.
L’avanzata di oggi della destra nazional-conservatrice euroscettica conferma un’evoluzione dei rapporti di forza tra i partiti tedeschi già in atto dalle elezioni politiche dello scorso anno: il ‘terzo polo’ dei liberali (Fdp) viene politicamente eliminato e l’estrema destra nostalgica del Terzo Reich
totalmente svuotata. Una ricerca fatta dall’Istituto Infratest nel 2014, riporta Limes, dimostrerebbe che “l’elettorato di AfD coincide in gran parte con quello del neonazista Npd, con cui condivide le posizioni politiche contro gli immigrati e a favore della famiglia tradizionale. Si tratta di un fenomeno non nuovo ma che nel caso della Sassonia ha prodotto gli effetti più evidenti. Anche se i rappresentanti di AfD si sono sempre sforzati di prendere le distanze da Npd, è pur vero che gli argomenti usati dai propri leader politici in campagna elettorale sembrano costruiti per attirare anche l’elettorato di estrema destra. In Germania è molto noto un sito [http://afdodernpd.de/, n.d.a.] realizzato dal Partito Pirata in cui vengono confrontati i manifesti elettorali di AfD e Npd al fine di dimostrare la vicinanza di slogan e tesi” (6). La tesi della sovrapposizione dell’elettorato neonazista con quello nazional-conservatore è in parte vera, ma oggi quel 9,7% tramutatosi in 24,2% si spiega solo con un flusso di voti dall’elettorato moderato, quello che tradizionalmente vota per la Cdu-Csu, verso AfD.
Il ruolo della Nuova destra intellettuale e giornalistica nell’ascesa di AfD
Come abbiamo scritto su queste pagine in merito al caso Haider e al suo Fpö (7), spesso gli ambienti intellettuali legati al circuito della Nuova destra (Neue Rechte) cercano di dare un contributo intellettuale alle elaborazioni dei soggetti politici. Con Haider avevamo gli ambienti giovanili dell’ultradestra formatasi nelle Burchenschaften, le corporazioni studentesche intrise di sentimenti nazional-patriottici di marca völkisch, che coltivano idee pangermaniche. Nello specifico, alcuni legati a tali ambienti come Andreas Mölzer, oggi europarlamentare del Fpö, si sono ispirati alle analisi che in Francia sono state elaborate dalla nouvelle droite e dal Grece di Alain de Benoist, e hanno cercato, promossi ai vertici ideologici del partito di Haider, di concretizzarli politicamente.
In Germania, vista l’assenza di un polo di destra rispettabile, la frastagliata area della Neue Rechte ha cercato sbocchi in alcuni pensatoi legati alla Csu come l’Intereg, ma ora è nel neopopulismo che vede possibili interlocutori. Lo capiamo sfogliando il tabloid settimanale Junge Freiheit, pubblicato a Friburgo dal 1986 da Dieter Stein e da diversi giovani liceali e universitari di destra e che vuole essere un ponte fra gli intellettuali della Neue Rechte (da quelli identitati e völkisch legati al Thule-Seminar, inizialmente costruito sulla falsariga del Grece parigino, ai solidaristen di Junges Forum, rivista rosso-bruna inizialmente legata a tesi nazi-maoiste, antiborghesi, sociali e antiamericane), i politici e gli intellettuali della vecchia destra neonazista del Npd, i neopopulisti del Republikaner Partei e della Deutsch Volk Union e gli ambienti più a destra della Csu-Cdu (8).
Molto intelligentemente però, Junge Freiheit non ha mai detto di rifarsi al nazionalsocialismo, ma piuttosto agli intellettuali dell’ala nazional-conservatrice della Konservative Revolution, terminologia formulata da alcuni studiosi per indicare nel loro complesso una serie di movimenti politico-culturali di destra, parzialmente nostalgici della grandezza imperiale kaiseriana, nati in Germania fra il 1918 e il 1932, e che costituì tuttavia l’humus culturale da cui si sviluppò il nascente nazismo, e che la nouvelle droite ha poi riletta e riattualizzata in chiave postmoderna. Junge Freiheit, nello specifico, elogia fortemente Ernst Jünger, il cui ritratto campeggia nell’ufficio del direttore Dieter Stein, che ha collaborato con il tabloid fino alla propria morte, sopraggiunta nel 1998 (9).
La rivista, disponibile nelle edicole della Germania, ha cercato sin dall’inizio di battersi per togliere ai tedeschi il senso di colpa per le responsabilità della seconda guerra mondiale, e contro la ‘sottocultura’ sviluppatasi dal ’68 in avanti, giudicata “deleteria”, e ha diffuso tesi revisioniste dando voce al negazionista David Irving e al defunto Ernst Nolte (10); è stata anche implicata nel tentativo di condizionare i populismi regionalisti in Europa, a partire dalla Lega Nord di Bossi, elogiando, nell’articolo Rivolta delle Regioni, i tentativi separatisti del Carroccio nella seconda metà degli anni ’90, e sostenendo che “la fondazione della nuova Repubblica federale della Padania, ricca di simbolismi, potrebbe conseguire una dimensione politica reale qualora i centralisti italiani non si decidano finalmente per la federalizzazione dello Stato” (11).
Il tabloid neodestrista è arrivato a giudicare di “estremo interesse le carte geografiche pubblicate dalla Lega sui confini dell’auspicato Stato del Nord. In queste carte dettagliate il Südtirolo rimane fuori, così come le parti del Trentino appartenenti fino alla prima guerra mondiale alla parte austriaca della monarchia danubiana” (12).
Ma di fronte a una crisi economica come quella che l’Europa sta vivendo, il pragmatismo della destra politica porta i suoi settori localisti – è il caso anche della Lega Nord di Matteo Salvini – ad accantonare i temi tipici del regionalismo per sposare “l’interesse nazionale”. E i giornalisti di Junge Freiheit sfruttano le fortune di AfD per aumentare le copie della rivista (una crescita del 16,5% rispetto allo scorso anno), cavalcando la crisi dei rifugiati e le critiche alla politica filoamericana del governo, con forti elogi a Vladimir Putin e contro il politicamente corretto – che a destra è visto come una Kulturkampf contro le ‘piaghe morali’ che hanno indebolito l’Europa – in nome del risollevamento della Germania a potenza sovrana europea (non che oggi non lo sia, ma la Nuova destra e certi settori dell’ultradestra, essendo antiamericani, reputano il governo di Bonn vassallo di Washington) e motore dell’Europa dei popoli.
Il tutto sfruttando la crisi presso l’elettorato tedesco del Frankfurter Allgemeine Zeitung, troppo schierato su posizioni filoamericane in merito alla crisi ucraina e ai legami fra la giunta sponsorizzata da Cdu-Csu e Spd e i neonazisti di Pravy Sektor. Sfogliando la rivista si nota come Dieter Stein faccia spesso dei paragoni fra la moderna Germania e quella pre-nazista di Weimar.
“Chi vuole capire Alternative für Deutschland – dice Alexander Gauland, vice presidente di AfD – deve leggere Junge Freiheit”; dichiarazione che vale più di mille parole e di mille dossier sul partito o sui legami fra tale movimento nazional-populista e la Nuova destra, legame confermato anche dall’ampio spazio dedicato al partito sul sito web della rivista (13). Il settimanale nazional-conservatore e neodestrista infatti, dà voce a politici come Konrad Adam, ex redattore del Frankfurter Allgemeine Zeitung e, fino al luglio 2015, presidente onorario di AfD, che ora pubblica regolarmente su Junge Freiheit, soprattutto articoli che elogiano il primato tedesco. In un pezzo intitolato Deutschland ruiniert sich (La Germania è rovinata), Adam ha scritto: “Loro [i tedeschi] vogliono essere un modello e un esempio in tutto il mondo, non importa in quale disciplina, nel calcio o in esportazioni di auto, nella guerra lampo, nella vittoria finale o in qualsiasi altra cosa: «Possiamo farcela»” (14).
Il politologo Wolfgang Gessenharter, che ha lavorato in diverse pubblicazioni con la Junge Freiheit, in un’intervista ha affermato che il giornale cerca di irretire AfD, cavalcando l’insoddisfazione verso la Merkel, una via che potrebbe portarlo a essere l’organo ‘ufficioso’ del partito, usando la stessa sintassi politically incorrect. Insomma, un’evoluzione di tutto rispetto per una semplice rivistina ciclostilata creata da alcuni liceali di destra nella metà degli anni Ottanta.
1) P. Ignazi, L’estrema destra in Europa, Il Mulino, 2000, p. 259
2) E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, 2002, pp. IX, X
3) A riguardo rimando a L. McGowan e D. Phinnemore, A Dictionary of the European Union, Taylor & Francis, 2015, pp. 23–24, W. C. Thompson (a cura di), Nordic, Central and Southeastern Europe 2015-2016, Rowman & Littlefield Publishers, 2015, p. 246 e all’articolo AfD chief Lucke denies plans to split the party, in Deutsche Welle, 19 maggio 2015
4) Cfr. AfD freut sich über Mitgliederzuwachs, in http://www.sat1.de/news/politik/afdfreut-sich-ueber-mitgliederzuwachs-100477, 1 gennaio 2016
5) Cfr. A. Nicolaou e L. Barker, Anti-euro German AfD joins Cameron’s EU parlament group, Reuters.com, 12 giugno 2014
6) U. Villani-Lubelli, Oltre la CDU: l’ascesa dell’altra destra in Germania, 5 settembre 2014, http://www.limesonline.com/oltre-la-cdu-lascesa-dellaltra-destra-in-germania/65838
7) Cfr. M. L. Andriola, La nuova destra austrotedesca: dai nazionalrivoluzionari al populismo alpino di Haider, Paginauno n. 31/2013 e La nuova destra austrotedesca: Haider, i contatti con la Lega Nord e il populismo alpino, Paginauno n. 32/2013
8) Cfr. www.junge-freiheit.de e l’archivio online della rivista, al sito www.jf-archiv.de
9) Come dirà con orgoglio Dieter Stein, intervistato dal neodestrista fiammingo Luc Pauwels, cfr. Alla conquista del potere culturale, in Diorama letterario n. 229-230, ottobre-novembre 1999, pp. 40-43
10) Cfr. J.Y. Camus (éd), Exstrémismes en Europe, Paris, CERA, 1997, p. 51-52
11) Junge Freiheit, n. 39, 1996
12) Cfr. Junge Freiheit, n. 38, 1996, p. 8
13) Cfr. https://jungefreiheit.de/thema/afd/
14) K. Adam, Deutschland ruiniert sich, in Junge Freiheit n. 39, 2016