intervista di Giuseppe Ciarallo |
Il nuovo libro di Bruno Arpaia, L’energia del vuoto, colpisce per i diversi livelli di lettura che propone: è una spy story ambientata nel frenetico microcosmo del Cern (1) di Ginevra (anche se la forma romanzo sembra essere un mero pretesto per parlare di argomenti che all’autore stanno particolarmente a cuore), è un racconto on the road, è un piccolo manuale divulgativo di fisica antica e moderna, ed è un testo che teorizza, e contemporaneamente mette in pratica, un nuovo modo di intendere e di scrivere letteratura sulla base di intuizioni scientifiche che mettono in discussione concetti più o meno consciamente metabolizzati dalla mente umana quali lo spazio e il tempo. In breve, la storia ruota attorno alle vicende di una coppia, lei ricercatrice del Cern, lui funzionario Onu, che proprio per il lavoro dei due viene a trovarsi invischiata in una fitta trama di sabotaggi, attentati e spionaggio, che mette in pericolo la loro vita e quella del figlio adolescente.
Dunque Bruno, partendo dalle due citazioni all’inizio del romanzo (Isidor Isaac Rabi, premio Nobel per la fisica nel 1944, e Primo Levi, scrittore e chimico) per arrivare ad alcune bellissime pagine del libro, mi pare di capire che trovi insopportabile la separazione che nel tempo è venuta a crearsi tra il mondo delle scienze e quello delle arti, visto che, asserisci nel corso della narrazione, per scrivere un’opera, comporre una sinfonia, vedere una figura dentro un blocco di marmo o elaborare una teoria scientifica ci vuole la stessa, ingente dose di immaginazione… Perché e quando, a tuo avviso, è avvenuta questa frattura, sconosciuta nell’antichità?
È una frattura vecchia, ma non antica: risale più o meno alla metà del XIX secolo. È da allora, infatti, che la scienza ha iniziato a essere considerata un ambito separato dalla cultura, invece che una sua parte fondamentale. Così, dalla metà dell’Ottocento, mentre per gli scienziati (o almeno per la maggior parte di loro) è stato ‘normale’ frequentare la letteratura, la musica, l’arte e la filosofia, gli umanisti hanno cominciato a ignorare bellamente le teorie scientifiche. In Italia, complici l’idealismo e Benedetto Croce, è stato anche peggio che altrove.
Il risultato è che oggi, nelle nostre società, si può essere considerati colti se si conoscono Dante, Mozart, Caravaggio o Platone, ma l’ignoranza su Einstein, Heisenberg o Darwin non viene ritenuta rilevante per determinare il nostro grado di cultura.
E invece perfino la nostra vita di tutti i giorni, dai cellulari ai computer al gps, è segnata dalla conoscenza scientifica (e non solo dalla tecnologia che ne deriva): vi siamo immersi, anche se non ce ne rendiamo conto. E del resto la scienza è solo un modo come un altro di spingersi alle frontiere della conoscenza, di esplorare i confini del nostro mondo, di ampliare la nostra cultura. Senza contare che, nel corso del XX secolo, la relatività e la quantistica hanno rivoluzionato il nostro universo e perfino il modo in cui pensiamo alla scienza stessa. Oggi la scienza, esattamente come l’arte, usa molta immaginazione, si occupa sia di verità sia di bellezza, è più incerta, indeterminata: più misteriosa. Insomma, come ha scritto John Banville, “a un certo livello, essenziale, l’arte e la scienza sono talmente vicine che è difficile distinguerle”.
Il grande fisico e cibernetico napoletano Eduardo Caianiello affermava: “Non esiterei a sostenere che la scienza è fatta di una mescolanza inestricabile di arte, tecnicismi e metodo”.
Qualunque scrittore degno di questo nome non esiterebbe a sostituire la parola ‘scienza’ con ‘letteratura’, a dire lo stesso di un suo romanzo. Perciò, a dispetto del senso comune purtroppo affermatosi nell’ultimo secolo e mezzo o giù di lì, non sono poi tanto diversi gli occhi con cui gli scienziati e gli artisti guardano il mondo.
Ma veniamo al romanzo. Nuria Moreno, una delle protagoniste, giornalista e scrittrice, per scrivere un articolo su un importante esperimento in corso presso il Cern, viene catturata dal magico, ma allo stesso tempo spaventevole mondo dell’atomo. Rimane letteralmente stordita dalla tempesta di protoni, fotoni, elettroni, adroni, neutrini e particelle varie che cominciano a vorticare nel suo cervello, tanto da arrivare a mettere in discussione la propria vita in generale e in particolare le intenzioni e le modalità della propria scrittura.
Evitando di fare la classica banale domanda: quanto di autobiografico c’è, ecc. (sono almeno tre i personaggi in cui si riconoscono tratti autobiografici, non ultimo Pietro, nel suo rapporto col figlio), credo che la stessa cosa sia avvenuta a te, almeno per la parte che riguarda le finalità e le modalità dello scrivere…
Sì, effettivamente è così. Solo che la mia ‘conversione’ non è stata così repentina. È dai tempi dell’università (cioè moltissimi anni fa, purtroppo) che mi interesso alla fisica e alla scienza.
Avevo un professore di Storia delle dottrine politiche che era stato anche allievo di Schrödinger, e ci insegnava a leggere i cambiamenti politici anche in base a quelli della scienza e dell’immaginario scientifico. Se fossi stato meno cialtrone, avrei studiato fisica e non scienze politiche. Ma è andata così, e poi mi sono dedicato alla letteratura. Così, in tutti questi anni, la fisica è stata una mia passione carsica che si è via via rinvigorita, finché, dopo che avevo scritto Il passato davanti a noi, è diventata una passione travolgente, un’ossessione: quella che ti tiene sveglio la notte, quella che ti deve colpire se vuoi davvero scrivere un romanzo. Forse perché, dopo avere scritto sempre libri basati sulla storia e sulla politica, cercavo qualcosa che indagasse un po’ più a fondo di quanto può fare la Storia. Come faccio dire al personaggio di Nuria: «Non ho mai detto che voglio rinunciare alla letteratura… Voglio trovare un’altra strada, cercare di non aggirarmi soltanto in superficie, voglio provare a disegnare mappe che si avvicinino quanto più possibile alle fondamenta della nostra vita».
Così come fai dire, a un altro personaggio: «Le assicuro che la fisica è molto divertente. È appassionante, intensa, perché può darti fitte di adrenalina da restarci secco…»
L’entusiastica descrizione che fa il fisico del proprio lavoro, fa a cazzotti con l’idea che ha il profano di questa occupazione. Tutti noi pensiamo al ricercatore scientifico, pur riconoscendo l’importanza della sua missione, come a un omino grigio, perennemente in camice bianco, totalmente perso in calcoli astrusi che solo lui capisce o incollato alle lenti di un microscopio a scrutare l’infinitamente piccolo. In effetti non è facile associare l’estro e il divertimento a un concetto talmente alto e fondamentale per l’uomo quale è la scienza.
Come qualunque esplorazione nei territori di frontiera della conoscenza, la scienza è un’avventura, una sfida, che può provocare delusioni profonde e piaceri intensissimi. Ed è, naturalmente, un ambito battuto dal turbine delle passioni umane, da quelle più nobili a quelle più meschine, come l’invidia, la frustrazione, la vendetta, il potere… Altro che omini grigi.
Di più: se uno scrittore usa ingenti dosi di immaginazione, un fisico, per esempio, non è da meno. Anzi. Un qualunque fisico teorico, oggi, ha forse molta più immaginazione di tanti narratori. Se così non fosse, sarebbe stato impossibile elaborare le arditissime ipotesi che sono alla base di molta della fisica del XXI secolo, quella che viene prefigurata oltre il Modello Standard (2), e che, solo una decina d’anni fa, sembravano confinate nel regno della fantascienza.
Un solo esempio: il mondo a undici dimensioni immaginato dalla teoria delle stringhe. E del resto, come è accaduto ai tempi di Galileo e Keplero, e poi in quelli di Einstein o di Schrödinger, l’indagine scientifica sulla realtà ha spesso completamente sovvertito anche l’immaginario degli uomini comuni nella loro vita di tutti i giorni, mentre l’immaginario letterario e artistico ha fornito molti spunti ai fisici per comprendere più a fondo la realtà.
Ho trovato molto coinvolgenti le pagine che racchiudono il dialogo tra la giornalista e il fisico teorico Marcello Milanesi, altro personaggio fondamentale del libro. Lo scienziato, al termine di una lunga e affascinante disquisizione che partendo da Newton e passando per Einstein fino ad arrivare alle più moderne teorie, pone l’inquietante domanda: “E se il tempo non esistesse affatto?” Lo stesso, per avvalorare l’ipotesi che il tempo possa essere un’invenzione dell’uomo occidentale, porta a testimonianza il popolo Iraqw della Tanzania e quello aborigeno australiano, presso i quali non esiste il concetto di tempo e dunque nemmeno quelli di cronologia degli eventi e di Storia. Nella lingua dei primi – dice Milanesi – la parola ‘quando’ corrisponde a ‘dove’. Ecco, leggendo L’energia del vuoto mi sembra che tu abbia voluto mettere in pratica questo curioso particolare: il tuo romanzo non ha punti di riferimento temporale certi, la sequenza dei capitoli non è ordinata cronologicamente in modo lineare, e la narrazione è scandita da pochi ‘quando’ e da molti ‘dove’.
Il libro verrà ovviamente giudicato dai lettori, ma se c’è una cosa di cui sono soddisfatto è proprio questa coerenza tra l’argomento e la struttura del romanzo, tra il tempo, di cui i personaggi discutono, e l’architettura romanzesca che tu hai sottolineato. Forse, dice sempre Nuria nel libro, bisognerebbe provare a raccontare mettendo insieme ‘quanti di narrazione’, minuscoli pezzi di narrazione che, come i loop della gravità quantistica ad anelli, compongono il tempo e lo spazio narrativi, di modo che, seguendo gli insegnamenti della teoria della relatività, ogni lettore abbia il suo ‘tempo proprio’ di leggere il romanzo. Questo è stato il mio tentativo.
In un altro episodio della storia, il fisico teorico Marcello Milanesi, e qui non è possibile non far scattare il meccanismo di identificazione con l’autore, dice che il raccontare (e dunque anche lo scrivere), così come il ricercare dello scienziato, dovrebbe consistere nel porre domande complicate al mondo, che portano ad altre domande complicate e mai a risposte definitive e certe. Non credi che per arrivare a questo sarebbe necessaria una maggior consapevolezza, in generale nell’essere umano, e non il baratro di superficialità e di ignoranza in cui il mondo sembra essere precipitato?
Se non credessi fermamente a quello che tu dici, non mi sarei imbarcato in questa difficilissima avventura. Fare intravedere ai lettori i misteri che ci attendono in agguato (nel mondo fisico come altrove), o banalmente le cose che ignoriamo, serve proprio a stimolare la sua immaginazione e la sua curiosità, a risvegliare la sua passione, a trasformarlo in un lettore attivo, in un protagonista, e non in uno spettatore passivo come nel modello televisivo che oggi ci domina. Da questo punto di vista, la cultura è fondamentale, è il vero grimaldello per scardinare e rivoluzionare il penosissimo stato presente delle cose. Io racconto storie e uso il romanzo, altri lo fanno in altri modi, ma lo scopo è sempre quello: porre e far porre domande. Se si pensa di avere già le risposte e di doverle trasmettere a qualcuno, allora non si è più nel campo dell’arte, ma della propaganda. E non mi interessa.
Torniamo a te come scrittore. «Se uno vuole scrivere un romanzo – fai dire a Nuria – dev’essere disposto a lavorarci, almeno con una parte della testa, ventiquattr’ore al giorno, deve pensarci sempre, tenere i sensi continuamente all’erta […]». Immagino che sia proprio quello che succede a te ogniqualvolta ti appresti a scrivere un libro, e che ti è capitato anche con questo tuo nuovo romanzo, con l’aggiunta che la tematica che hai scelto di trattare ne L’energia del vuoto è talmente ‘forte’ e carica di mistero (per i profani quanto per gli stessi studiosi, mi è parso di capire), da essere capace di destabilizzare le menti più salde se vissuta come un’ossessione (e quel ‘pensare e lavorare ventiquattr’ore al giorno’ a un romanzo, che cos’è, alla fin fine, se non una magnifica ossessione per lo scrittore?).
Qualunque romanziere sa che non si può scrivere un romanzo se non si fa questa ‘full immersion’ mentale (che nel mio caso dura quasi sempre quattro o cinque anni) nel mondo che stai creando, nella testa dei tuoi personaggi, nei luoghi che descrivi. All’inizio, quando ho iniziato a scrivere, avevo bisogno di molto tempo libero davanti a me per riuscire a immergermi; oggi sono più allenato, sono capace di entrare e uscire da quel mondo con più facilità mentre faccio la spesa, mi occupo di mio figlio e mia moglie o sto con gli amici. È, in effetti, una ‘magnifica ossessione’. Se sia destabilizzante o meno, dipende da te, dal modo in cui la affronti, dall’importanza che dai alla tua vita reale, dal tuo modo di considerare il mestiere di scrivere. Per me, risulta spesso faticosa, ma se non la trovassi anche appassionante e carica di pienezza, non scriverei più. In fondo, non me l’ha mica ordinato il medico…
Prima abbiamo parlato del difficile rapporto tra arte e scienza, ma esiste un altro ambito dell’essere umano, quello religioso, con il quale la scienza non potrà che essere sempre in conflitto. Nel tuo romanzo, fondamentalisti di ogni culto tentano in tutti i modi di far fallire l’esperimento dell’LHC (3) sabotando i calcoli e immettendo dati falsi negli elaboratori.
Perché le autorità religiose, di qualsiasi credo, da sempre hanno paura delle domande che gli uomini si pongono per spiegare l’origine della propria esistenza e del luogo in cui vivono? E soprattutto, perché non usano argomenti dialettici per opporsi alla ricerca, anziché imporre i propri dogmi come hanno fatto in passato (il caso più eclatante è quello di Galileo ma ce ne sono molti altri) o fomentare nei fedeli la paura e il terrore, sentimenti che spesso si tramutano in violenza e intolleranza?
Perché i fondamentalisti, religiosi o meno, credono di possedere già tutte le risposte: ulteriori domande sgretolerebbero il loro sistema chiuso, totalizzante, e conseguentemente il loro potere. Per questo ne hanno paura e tentano di imporre i propri dogmi a tutti i costi. Ma si badi: c’è anche una religione che non si oppone necessariamente alla scienza, considerando, a ragione, i due ambiti come distinti e diversi. Nicola Cabibbo, uno dei più grandi fisici italiani da poco scomparso, a cui è stato ingiustamente negato il Nobel, era religioso, legato al Vaticano, ma quando si trattava di fare scienza, la faceva benissimo.
Del resto, la scienza, per esempio, ci parla del Big Bang o, al limite, di un universo che si espande e si restringe in continuazione. Ma quello che c’era prima del Big Bang, prima del nostro universo, è, almeno per ora, scientificamente indecidibile: si può credere in qualche divinità che abbia creato il Tutto o essere atei e agnostici, e questo non ‘pesa’ necessariamente sull’attività scientifica.
Per concludere, ho trovato divertentissimo il ‘mantra’ con il quale Pietro, uno dei protagonisti del romanzo, anche in momenti in cui la propria vita sembra essere in pericolo, non smette di raccomandare al figlio di ‘tirarsi su’ i pantaloni.
Vista la tua esperienza di scrittore, di ‘apprendista scienziato’ e soprattutto di padre di un adolescente, pensi che ci siano più probabilità di scoprire elementi nuovi riguardo alla ‘materia oscura’ o di riuscire a debellare l’orrenda moda, diffusissima tra i giovani di oggi, che impone loro di portare i jeans a vita talmente bassa da mettere in mostra chiappe e logo sull’elastico della mutanda?
Questa orribile moda, come tutte le mode, prima o poi passerà. Temo che avverrà più poi che prima, quando mio figlio sarà già da tempo uscito dall’adolescenza, per quanto lunga oggi sia diventata. Ma niente paura: la nostra vendetta consisterà nel fatto che arriverà un’altra orrenda moda, e allora saranno i nostri figli a lamentarsene.
(1) Il CERN è l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare (in inglese European Organization for Nuclear Research, in francese Organisation Européenne pour la Recherche Nucléaire), il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle
(2) Il Modello Standard è una teoria che descrive tutte le particelle elementari e tre delle quattro forze fondamentali a oggi note, ossia le interazioni forti, quelle elettromagnetiche e quelle deboli. Si tratta di una teoria di campo quantistica, coerente sia con la meccanica quantistica che con la relatività speciale. Anche se le sue previsioni sono state in larga parte verificate sperimentalmente con ottima precisione, il Modello Standard non può essere considerato una teoria completa, non comprendendo la gravità (per la quale non esiste a oggi una teoria quantistica coerente) e non prevedendo l’esistenza della materia oscura, che costituisce gran parte della materia esistente nell’universo
(3) LHC sta per Large Hadron Collider (in italiano: grande collisore di adroni) ed è l’acceleratore di particelle più grande e potente finora realizzato. È costruito all’interno di un tunnel sotterraneo, a circa 100 metri di profondità, lungo 27 chilometri, ed è situato al confine tra la Francia e la Svizzera, in una regione compresa tra l’aeroporto di Ginevra e i monti Giura