di Felice Accame |
Recensione de La terza giovinezza, Carlo Pizzetti
1. L’ingegneria potrebbe essere definita come la disciplina che ha come obiettivo l’applicazione dei risultati delle scienze alla risoluzione dei problemi che si interpongono tra l’essere umano e la soddisfazione dei propri bisogni. Vaga, dunque, quanto ampia: incoccia nel noto problema di definire cosa s’intenda per scienza, ma, in compenso, non si barrica nell’esclusione di alcunché. L’etimo, d’altronde, non è di quelli che vincolano un granché: ‘ingenius’ – in-gen, nato dentro, natura, indole, qualità connaturata, intelligenza – dunque ‘invenzione’, già attestata in Plinio.
Di ‘ingegnere’ si parla a iosa nel Settecento – di “genio civile e di genio militare”, intesi come organismi cui è affidata la progettazione, la costruzione e la manutenzione di opere di interesse pubblico (e militare), da qui “geniere”, ma anche il “corpo reale degli ingegneri”. Ma ritenere che gli antichi ne abbiano potuto fare a meno sarebbe un grave errore. Lucio Russo, ne La rivoluzione dimenticata (1996, ed. ampliata nel 2003), fa notare che nei Laterculi alexandrini (papiri databili al II secolo a.C.) l’elenco di architetti e ‘meccanici’ memorabili supera di gran lunga quello di legislatori, pittori e scultori – l’età classica, insomma, non è affatto tutta dedita alle belle arti come la leggenda vorrebbe far credere; c’è posto, e parecchio, per la tecnologia. Dalla storia dell’ellenismo vengono alla luce le clessidre ad acqua di Ctesibio – utilizzate dalla prima cortigiana taylorista, Metica, che le usava per regolare i turni dei clienti – le ruote dentate, le cremagliere, le viti cilindriche con madrevite, la coclea di Archimede, le opere di Erone di Alessandria, l’uso del vapore per l’apertura automatica delle porte del tempio, ecc. – ingegneria navale, idraulica e pneumatica. Dalla storia recente, invece, non si ricava medesima brillantezza; l’inventiva dell’ingegnere sembra intorporirsi e i suoi risultati non sempre appaiono commisurati alle esigenze dei molti e del pianeta che abitano. Alla padronanza della tecnologia, insomma, non sempre fa riscontro la riflessione scientifica e metodologica più approfondita – quasi mai un’autonomia operativa. Se nel passato c’era qualche margine di libertà creativa con le valorizzazioni positive conseguenti, allora, si potrebbe dire che, nel tempo, l’ingegnere ha perso qualcosa – a tutto vantaggio di un certo pragmatismo – solerzia esecutiva e inpinguamento del conto in banca.
2. Si potrebbe intendere l’ingegneria inversa come una tecnica di ragionamento che procede dalla supposizione che qualcuno si imbatta in un manufatto che non riesce a comprendere, formulando, allora, l’ipotesi di lavoro che esso sia stato costruito per qualche scopo.
Smonta e analizza l’oggetto, cercando di assegnare una sottofunzione ai singoli elementi che lo costituiscono – un’ermeneutica degli artefatti, insomma. Per la quale, nel caso di artefatti biologici, ovviamente, vale l’argomento tanatologico: chi la esegue, nell’eseguirla e andando fino in fondo, uccide l’oggetto di analisi. All’ingegneria inversa, il biologo Richard Dawkins – che dell’argomento tanatologico se ne frega bellamente, perché, fattane secca una, dice, di copie a disposizione, nel biologico, perlopiù non c’è che abbondanza – dedica pagine memorabili – per esempio in Alla conquista del monte improbabile (1996) – ma è lestissimo nell’estenderne le applicazioni: all’ambito delle religioni e a quello della politica – di un Paese, dice, dal processo di ingegneria inversa potremmo dedurne che le sue variabili fondamentali ottimizzate siano un’occupazione per tutti e il benessere diffuso; di un altro Paese, tuttavia, si potrebbe scoprire che le variabili ottimizzate sono, invece, il mantenimento del potere da parte del Presidente o l’aumento del benessere dei pochi al governo alla faccia dei molti.
3. Carlo Pizzetti, ingegnere, pubblica La terza giovinezza – Storie di curiosi piccoli e grandi abissi e conferisce forme letterarie a un processo di ingegneria inversa che concerne la nostra vita sociale e le istituzioni che, in un modo o nell’altro –voglio dire con le buone o con le cattive – la rappresentano. Che si occupi di economia, di religione, di militarità o di giustizia, di arte matrimoniale come di quella funeraria, Pizzetti riesce a ricondurre a raffinati marchingegni – dolorosamente paradossali – il lato nascosto della vita che non può sfuggire alla logica dell’istituzionalità.
La sua è un’aggressione deliberata alla società del tornaconto individuale nonché denuncia esplicita del fatto che, sotto le parole più e meno sorridenti, dietro le ritualità convenevoli del sociale impartito, c’è il dominio e il terrore per chi vi si oppone. La terza giovinezza, pertanto, è l’epoca in cui si acquisisce consapevolezza e libertà – consapevolezza degli inganni in cui si è caduti e libertà di dirlo ai quattro venti.
4. L’ironica discrezione e l’impietosa lucidità di cui si avvale Pizzetti, nella storia della letteratura, hanno trovato rari e pregevoli momenti di attenzione. Primo fra tutti – per esaustività di impianto narrativo – L’isola dei pinguini di Anatole France (1908) – il più organico e il più spietato atto di accusa contro la mascherata istituzionale.
Poi – più rigido nella tensione di uno sviluppo di tesi (un po’ come capita allo stesso Pizzetti ne Lo scavo) – Nella colonia penale di Franz Kafka (1919). Ma – per andare poco più indietro – anche i nomi di Vittorio Imbriani e di Carlo Dossi, pur con tutte le loro contraddizioni, non sarebbero spesi a casaccio. Il riferimento più congruo, tuttavia, sarebbe quello dello straordinario Augusto Frassineti dei Misteri dei ministeri (e altri misteri) (1952, poi 1959, poi 1964 e, infine, 1973 Einaudi). Uno studio della ministerialità scaturito da una vicenda ostica della sua vita: il Servizio reduci del ministero dell’Assistenza post-bellica in conflitto di competenza con la Pontificia opera di assistenza: da lì perdita del suo posto, il declassamento e l’analisi furibonda che diventa libro di una vita – dove, fra il tanto altro, uno dei capitoli fondamentali si intitola (non “In principio era il Logos”, o “Verbo”, ma) “In principio era il verbale”.
5. E, infatti, Pizzetti sciorina un linguaggio verbalizzante – con varie assunzioni di ‘io’ freddi, nessuno dei quali può ambire a redenzione individuale – anche al femminile – linguaggio che diventa paradigma con improvvise trasgressioni grazie alle quali le coordinate fondamentali del nostro orientamento corporeo-culturale vengono minate irrimediabilmente. Pizzetti è ingegnere – e qui si comprende i motivi della premessa – e, per questo suo sforzo liberatorio dal sapore autocritico (una professione da riscattare), media sintassi e tonalità da manualistica sorpresa e vilipesa. Come se, a distanza di quarant’anni, mettesse a frutto qualcosa della sua opera prima, Condizionamento dell’aria e refrigerazione. Teoria e calcolo degli impianti, correggendola di quel poco che basta a sconvolgerne la funzione comunicativa.
6. È noto un episodio della vita scientifica di Darwin. La sua scoperta degli icneumonidi, un tipo di vespe, che si nutrono del corpo di bachi da loro tenuti rigorosamente vivi. Un orrore di fronte al quale la stessa fede in Dio di Darwin – una fede già tremolante – venne scossa duramente. La scoperta che la natura non è né buona né cattiva, ma è indifferente. Scopi e altre categorizzazioni in virtù delle quali riusciamo a sopravvivere in un orizzonte di senso ce li mettiamo noi.
Il corpo sociale istituzionale di Pizzetti è ormai indifferente come quella natura di fronte alla quale rimaneva sbigottito Darwin. Per ottenere questa tragedia, consapevolmente o meno, si son dati da fare in parecchi; in pochi (e fra questi anche Pizzetti) si son dati da fare per fermarne la messinscena. Se l’ingegneria inversa di un organismo biologico ne implica la morte, non c’è che da sperare che l’ingegneria inversa di Pizzetti faccia altrettanto nei confronti di questo corpo sociale afflitto dal potere delle sue istituzioni – e che, dalla consapevolezza del patologico, non possa che sortirne un processo terapeutico.
La terza giovinezza. Storie di curiosi piccoli e grandi abissi, Carlo Pizzetti, Robin edizioni, 2009