Nella penosa Italia retta dal governo del senatore a vita Monti – esecutivo frutto del fallimento sia dell’Italia dell’Ulivo che del berlusconismo politico e culturale – sembra ormai che le conflittualità ideologiche siano state livellate nell’ideologia del volemose tutti bene o del scurdammoce ‘o passato. I conflitti politici per esempio, vengono quasi tutti risolti nella terza Camera, cioè nel salotto perbenista di Bruno Vespa, dispensatore di un viscido cerchiobottismo politico e di un neorevisionismo storiografico fatto di volumi mielosi e buonisti, dove la storia dell’Italia repubblicana è scritta col pressappochismo pennivendolo: libri voyeur scritti dal buco della serratura sulle avventura galanti e sugli amplessi mussoliniani, craxiani, berlusconiani ecc., tutti esempi di prode maschio italico, redatti dal punto di vista del cameriere, del giardiniere o del cane del potente di turno, tutti, ovviamente, debitamente autenticati come un classico da mettere alla pari con l’opera di Renzo De Felice & C.: i diari (falsi ovviamente!!! Cribbio!) del Duce, a cura di Marcello Dell’Utri e con prefazione della giovane Alessandra.
In un’Italia del genere, dove revisionismo significa capovolgimento storiografico e non serietà, la morte di Pino Rauti, avvenuta il 2 novembre scorso a Roma, non poteva che generare un nauseabondo ribaltamento delle parti. Rauti, l’ex segretario del Msi-Dn, l’uomo che, contro la svolta ‘moderata’ di Gianfranco Fini, diede vita al Ms-Fiamma tricolore e, dal 2004 a oggi, al Movimento idea sociale (Mis), è stato rappresentato, tutto d’un tratto, come il moderatissimo uomo di destra, il maestro ecc. Insomma, un mix fra Einaudi, Cavour e Montanelli. Tutte definizioni, ovviamente, di personalità oggi militanti nel Pdl, in Fli, ne La Destra, nel Ms-Fiamma tricolore, nel Mis, in Forza nuova e via estremizzando. E nel centrosinistra? Nulla. L’Alzheimer regna sovrano in un ‘progressismo’ incerto fra Bersani e Renzi. Noi, per amore del ragionamento, daremo qualche delucidazione in merito.
Nato nel 1926 a Cardinale (CZ), Pino Rauti partecipò giovanissimo all’esperienza collaborazionista e filonazista della Rsi (e digiamogelo, come direbbe il buon vecchio Ignazio dando un nome alle cose), combattendo per la Guardia nazionale repubblicana. Nel 1947 aderì al neonato Msi, militando nel gruppo giovanile (il Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori) nella corrente ‘spiritualista’, la corrente che si rifaceva al principio al filosofo Massimo Scaligero, per poi passare agli insegnamenti del filosofo tradizionalista, reazionario e intimo amico del capo delle SS Himmler, Julius Evola. Questa corrente si fece portavoce di idee antisovietiche e antiliberali, diffuse nell’organo giovanile La Sfida e su Rivolta Ideale (1). Pubblicò poi, nel 1950, la rivista Imperium, filoevoliana, che chiuse nel dicembre dello stesso anno perché la redazione fu accusata di far parte dei Far, gruppo terroristico neofascista accusato di atti terroristici ai danni di sedi di partiti di sinistra (Pri e Psu). Il gruppo non era materialmente implicato negli attentati, ma Rauti possedeva lettere che collegavano il gruppo di Imperium ai Far (2); Rauti fu assolto in quanto, secondo la Corte d’Assisi, non era collegato direttamente al gruppo.
Nel novembre 1953, all’interno del Msi, diede vita al Centro studi Ordine nuovo, corrente pensatoio desiderosa di trasformare il partito neofascista, che l’anno successivo verrà diretto dal ‘moderato’ e filomonarchico Michelini, in senso estremista e spiritualista (leggi filonazista). Questo novello Cavour dirà che “la democrazia è un’infezione dello Spirito”. Nel 1956 il gruppo evoliano, a seguito della sconfitta della corrente della sinistra nazionale (l’allora destra sociale) al congresso di Milano, uscì, e Ordine nuovo (On), guidato da Rauti, divenne una realtà autonoma dal Msi, una sorta di think tank, come diremmo oggi, reazionario, nostalgico non tanto del semplice nazismo, ritenuto troppo moderato (e men che meno del fascismo, troppo plebeo e sociale), ma addirittura dell’imperialismo carolingio e ghibellino e di quello romano. Il gruppo ordinovista non partecipò mai alle elezioni, predicando l’astensione, l’ascesi spirituale e il distacco dalla politica attiva.
Lo statuto del Centro studi definì il movimento un’“organizzazione politica italiana a carattere tradizionalista”, e adottò lo stesso motto delle famigerate SS: “Il nostro onore è fedeltà” (3). Il simbolo di On era l’ascia bipenne: “Appare evidente la necessità assoluta per tutti i militanti di realizzare pienamente, di vivere effettivamente il senso profondo del simbolo medesimo di Ordine nuovo: dalla primordiale ascia bipenne le cui lame stanno appunto a simboleggiare […] l’azione realizzatrice interiore ed esteriore e la loro inscindibile connessione, dal che il venire meno dell’impegno di unione o il prevalere dell’una sull’altro, tradirebbe […] l’anima del nostro movimento, il quale, con l’incarnare il senso dell’antica Arma a due lame, va ad assumere la fisionomia di un Ordine di combattenti e di credenti” (4). Perché era questo Ordine nuovo: un gruppo, non formato sul modello del partito di integrazione di massa come il Msi, ma come un Ordine iniziatico, mutuando dalle deliranti idee aristocratiche e antimoderne di Julius Evola, sul modello degli Ordini cavallereschi elitari ed eroici tipo templari e teutonici, votati anima e corpo all’idea di combattere tutta la modernità, dal liberalismo filoamericano al marxismo sovietico, in nome della tradizione e dell’idea di creare l’imperiale ‘Europa Nazione’ libera dai dettami di Yalta, costruita sul modello del Reich nazista e di quello ghibellino (5).
Negli anni Sessanta però, con molto pragmatismo, i vertici di On capiscono che il vero pericolo per i cavalieri neri della Tradizione è costituito non dagli Usa, ma dall’avanzare della classe operaia (vista come plebaglia). Il gruppo intrattenne rapporti coi regimi reazionari e filostatunitensi – e coi rispettivi servizi segreti – in Spagna, Portogallo, America latina e, dal 1967, col regime greco dei colonnelli. I contatti, sempre in nome dell’anticomunismo viscerale, avverranno anche in Italia: nel maggio del 1965 infatti, l’istituto di studi militari Alberto Pollio organizzò un convegno sulla ‘guerra rivoluzionaria’, a Roma all’Hotel Parco dei Principi, che venne finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito: si trattava di un raduno fra giornalisti fascisti, alte cariche dello Stato e imprenditori anticomunisti e filoatlantisti: Rauti presentò una relazione su La tattica della penetrazione comunista in Italia (6).
Secondo numerosi storici, in tale convegno vi fu la pianificazione della strategia della tensione, iniziata in maniera eclatante con la strage di Piazza Fontana, segno del collegamento fra estrema destra e servizi segreti. Il nostro ‘padre della democrazia’ Pino Rauti, qualche mese prima della strage, era rientrato nei ranghi missini, appoggiando il nuovo segretario Giorgio Almirante, ex redattore della Difesa della razza, anch’egli ‘moderato’. La minoranza che non accettò le tesi rautiane diede vita al Movimento politico Ordine nuovo, anch’esso caratterizzato dal filonazismo (7).
Il 4 marzo 1972 il giudice Stiz di Treviso eseguì un mandato di cattura contro Pino Rauti per gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969. L’incriminazione si estenderà poi per la strage di Piazza Fontana. Rauti fu incarcerato alcuni giorni, venendo rilasciato il 24 aprile 1972, prima di essere eletto deputato. Fu coinvolto anche per la successiva strage di Piazza della Loggia e in merito il 15 maggio 2008 fu rinviato a giudizio. Nel 2010 la sentenza numero 2 della Corte d’Assise di Brescia ai sensi dell’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale lo assolse “per non aver commesso il fatto”. Però, il pm Roberto Di Martino, chiedendo l’assoluzione, affermò: quella di Rauti è una “responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati dal punto di vista processuale. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva. La conclusione è che Rauti va assolto perché non ha commesso il fatto”.
Nella seconda metà degli anni Settanta Rauti ruppe con le posizioni nazionalconservatrici di Almirante, divenendo il capo della corrente della ‘sinistra nazionale’, fortissima fra i giovani missini. Fautore di una svolta movimentista, Rauti predicò lo sfondamento a sinistra, insistendo su temi quali il comunitarismo, l’anticapitalismo (cioè la socializzazione sul modello della Rsi), l’ecologismo (quello völkisch, basato sul radicamento etnico sangue e suolo), il terzomondismo (sostenendo per esempio i palestinesi… ovviamente in chiave antisionista-antisemita, i nazionalismi arabi e altre minoranze, come gli irlandesi), il differenzialismo (mutuato ovviamente dalla nouvelle droite francese di Alain de Benoist e dal Grece, che fu introdotto in Italia dal politico), per indebolire sia il nemico marxista, sia il sistema liberalcapitalista filoamericano. Questo, contrapponendosi a gente come Almirante & camerati. Il tutto ovviamente, sintetizzando perfettamente lo spiritualismo di Evola, il cosiddetto fascismo rosso e le idee della nouvelle droite. Non a caso Marco Tarchi, animatore della nuova destra italiana (8), era un pupillo di Rauti.
Questi fu abbandonato dal mentore quando il gruppo neodestro iniziò a predicare non solo il superamento della bipartizione destra/sinistra, cosa condivisa anche da Rauti (che non considerava il fascismo come qualcosa di destra, ma di sinistra, un fenomeno nazionalrivoluzionario), ma l’uscita dal neofascismo verso il postfascismo. Era troppo per Rauti. Questo permise l’ascesa politica di Gianni Alemanno, futuro genero di Rauti, anche lui nazionalrivoluzionario come il suocero e critico verso il postfascismo neodestro, nei vertici del Fronte della Gioventù missino.
Se volessimo spezzare una lancia a suo favore – suvvia, concediamoglielo! – dovremmo ricordarci alcune cose. Negli anni Settanta per esempio, Rauti contrastò la proposta almirantiana sul referendum a favore della pena di morte e, come i radicali, contrastò la Legge Reale, giudicata liberticida. La sua corrente inoltre, predicando le citate tesi antiborghesi, fu l’unica componente del partito ad animare dibattiti culturali seri e a diffondere libri, cultura e riviste in un ambiente di picchiatori. E mentre Gianfranco Fini, alla fine degli anni Ottanta, inseguì il neofascista francese Jean-Marie Le Pen alla caccia selvaggia contro l’immigrato usando anch’egli toni populisti da reazionario, Rauti, riprendendo senz’altro le tesi differenzialiste della nouvelle droite, contrastò anch’egli l’immigrazione, dando colpa però, non all’immigrato, ma al capitalismo che, sfruttando il Terzo mondo, sradicava i popoli obbligandoli a migrare. Tesi non condivisibili ma esposte addirittura al quotidiano comunista il Manifesto.
Nel 1995 Rauti, di fronte all’alleanza di Fini con Silvio Berlusconi e alla nascita di Alleanza nazionale, uscì sbattendo la porta, animando così il Ms-Fiamma tricolore, partitino nostalgico e nazionalrivoluzionario, punto di riferimento per il neoradicalismo di destra nell’Italia ormai dominata dal bipolarismo. Non fu un successo, dato che il partito neomissino perse i pezzi per strada, come il movimento Fascismo & Libertà, Forza nuova, Fronte sociale nazionale ecc. Nel 2004, per iniziativa di alcuni dirigenti di Fiamma tricolore, che lo accusarono di aver imbrogliato durante le elezioni del Comitato centrale che lo aveva eletto presidente, fu espulso. Diede vita al Movimento idea sociale. L’idea sociale è ovviamente quella fascista di Salò.
Che dire in conclusione? Di fronte alla morte è giusto il più totale rispetto. Guai comportarsi come i vari neofascisti che al funerale di Rauti abbaiarono contro Fini insulti d’area tipo «Badogliano!!!», «Amico degli ebrei!!!» (e dalli con ‘sto antisemitismo!), «Traditore!!!» ecc. Un conto è ‘ballare sulla tomba’ dell’avversario, un altro è fare gli italiani, cioè dimenticarsi della nostra recente Storia e, in nome del buonismo e del politicamente corretto, ascrivere Pino Rauti nell’albo dei padri della Destra. “Gli italiani”, diceva Indro Montanelli, “non sanno andare a destra senza andare a sbattere contro il manganello” (9). E come dargli torto.
(1) A riguardo scrisse: “Il capitalismo e il socialismo […] sono […] nostri mortali nemici in quanto rappresentano una stessa concezione di idee della vita che è inconciliabile con quella che anima le nostre idee”, Pino Rauti, in Rivolta Ideale, settembre 1947
(2) A. Carioti, Gli orfani di Salò, Mursia, 2008, p. 200
(3) G. Gaddi, Neofascismo in Europa, La Pietra, 1975, p. 35
(4) Cit. in N. Rao, La fiamma e la celtica. Sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling & Kupfer, 2006, p. 83
(5) Il filonazismo del gruppo era palese anche quando questi militava dentro il Msi. Infatti sulla rivista Ordine Nuovo, diretta da Pino Rauti, veniva riportato: “Siamo convinti che l’unica Idea Forza capace di determinare un nuovo ciclo della civiltà Europea, è il mito Ario-Razzista, inquadrato e sorretto da una viva e operante Weltanschauung”. B. Acquaviva, Il ‘mito’ ariano e l’Europa, in Ordine Nuovo, a. I, n. 2, maggio 1955
(6) Cfr. AA.VV., La guerra rivoluzionaria, Volpe, 1965
(7) L’ordinovista Clemente Graziani per esempio, non solo sostenne che i Protocolli dei Savi di Sion erano veri (cfr. C. Graziani, I Protocolli dei Savi di Sion, in Ordine Nuovo, a. I, n. 2, maggio 1955) ma disse che “Non sono pochi i gruppi che […] coraggiosamente difendono i principi e le idee del razzismo ariano”, G. Graziani, Precisazioni sul razzismo, in Ordine Nuovo, a. II, n. 1, gennaio 1956. Nel n. 2 del febbraio 1970 Ordine Nuovo parlò di Scienza razziale ed Europa, mentre nel dicembre dell’anno successivo la rivista pubblicò la fotografia di una bellissima giovane hitleriana, ovviamente bionda, nuda e ariana, con al collo un ciondolo con una svastica. Cfr. Ordine Nuovo, n. 4, dicembre 1971, copertina
(8) Cfr. M.L. Andriola, Le ‘nuove destre’ culturali europee. Comunità, identità, regionalismo e neopaganesimo, Paginauno n. 30/2012
(9) I. Montanelli, intervista rilasciata a C. Maltese, in la Repubblica, 10 maggio 2001