di Felice Accame |
Le quattro edizioni de Il lavoro culturale di Luciano Bianciardi
Quattro copertine costituiscono una serie, che, volente o nolente, evolve nel tempo della cultura e della cosiddetta Cultura. Ciascuna, in quanto paratesto, rappresenta il testo e, soprattutto, la percezione che qualcuno – qualcuno che ha il potere di deciderne la rappresentazione – ne ha.
Dal 1957 al 1997 sono giusto quarant’anni, quarant’anni in cui, chiaramente – fin troppo – si esplica un senso.
1957. I tre maschi in atteggiamento di ascolto riflessivo, due a un dito solo sulla guancia – uno solo affinché l’assortezza del volto non ne venga oscurata – uno con dito nel naso, sono la rappresentazione del lavoro culturale durante la sua esecuzione. Corrisponde perfettamente alla critica politica che Bianciardi fa della Cultura alta. Non c’è solo sbeffeggiamento, c’è denuncia della liturgicità (1).
1964. Le cicche di sigaretta e la biro appoggiatasul posacenere ricolmo sono la rappresentazione dell’esito del lavoro culturale medesimo.
Una constatazione miseranda di ciò che, prima delle leggi repressive sul fumo nei luoghi di lavoro, rimaneva di tangibile in una redazione di prestigiosa casa editrice.
1974. La macchina da scrivere che si riproduce rappresenta già una riduzione alla autoricorsività – tema in auge nei circuiti culturali dell’epoca. Ho l’impressione che si tratti di un impoverimento dei contenuti critici: l’autoricorsività è una conseguenza – non la premessa – delle viltà di fondo e della subordinazione al potere.
1997. Lo scrittore in impermeabile, atteggiato da scrittore – à la Camus, per dirne uno – costituisce l’abbandono totale dei contenuti del libro per ridurlo a chi l’ha scritto in quanto l’ha scritto: una critica dell’intellettuale trasformata in una contraddittoria iconologizzazione di chi l’ha formulata. I contenuti critici del libro sono ridotti allo zero, forse meno. All’autore vengono cancellati i peccati di ‘orgoglio’ – il rifiuto di sé al Dio del mercato editoriale – e, nella misura ‘giusta’, vengono concessi gli onori del caso.