Facebook, dispositivo biopolitico della governance globale: gli obiettivi del social network nel Manifesto di Zuckerberg: spostare l’orizzonte da politico a morale, trasformare i cittadini in utenti responsabili e il welfare in una solidarietà volontaria degli individui
Il 16 febbraio Mark Zuckerberg pubblica su Facebook – dove altro? – quello che subito i media definiscono un “manifesto politico”: si intitola “Building Global Community”, Costruire la comunità globale (1). Il documento segue una fase critica: nei mesi immediatamente precedenti, per due volte il social network è finito sotto l’attenzione dell’opinione pubblica durante la campagna presidenziale statunitense, prima con l’accusa di aver penalizzato i post a favore di Trump e promosso la visibilità di quelli pro Clinton, poi catapultato nella discussione mediatica sulla post verità, in quanto ritenuto responsabile di avere contribuito alla diffusione di fake news che avrebbero favorito sia la vittoria della Brexit che quella di Trump (2). Ne è seguita a dicembre la dichiarazione dello stesso Zuckerberg che Facebook debba oggi essere considerata una media company, ossia una società con responsabilità editoriale, e non una semplice piattaforma veicolo di contenuti caricati dagli utenti, con la conseguente dichiarazione d’intenti di voler adottare un sistema di controllo sui post pubblicati.
Vista la bufera che lo ha attraversato, era inevitabile che Zuckerberg prendesse la parola direttamente, e in modo articolato – il manifesto è un corposo testo di quasi 6.000 parole – per riposizionare Facebook nell’attuale fase politica globale, modificata dai contraccolpi Brexit e Trump. Ed è chiaro che in quanto proprietario di una multinazionale che agisce a livello sovranazionale, Zuckerberg sia uno dei principali sostenitori del processo di globalizzazione, e sia dunque preoccupato dal vento nazionalista e protezionista che ha iniziato a spirare in Occidente. Non ne fa infatti mistero, dichiarando nelle prime righe che quando il social network è nato, la costruzione di una comunità globale non era un’idea controversa ma un progetto considerato unanimemente positivo; ora invece, sottolinea, “in tutto il mondo ci sono persone lasciate indietro dalla globalizzazione, e movimenti favorevoli a un ritiro dalla connessione globale. Ci sono dubbi sul fatto che possiamo essere in grado di costruire una comunità globale che funzioni per tutti, e ci si chiede se il percorso migliore da intraprendere sia quello di connettere sempre di più il mondo o invertire la rotta”.
Il manifesto è quindi indubbiamente un atto politico, ma per coglierne a pieno il senso occorre andare oltre questa prima banale considerazione, e analizzarlo all’interno del contesto, ben più interessante, della governance globale; senza tuttavia dimenticare che ci troviamo di fronte a un’azienda privata che ha come primo scopo quello di fare profitti. Due sono quindi i piani da tenere a mente: quello economico e quello politico.
In sintesi, Zuckerberg dichiara che nei primi dieci anni Facebook si è concentrato sul favorire il collegamento tra amici e famiglie, ma in questa fase il prossimo obiettivo è sviluppare le infrastrutture sociali per la comunità globale: una comunità che deve essere solidale, sicura, informata, impegnata civilmente e inclusiva. Cinque punti che Zuckerberg analizza nel dettaglio.
Solidale. Dagli anni Settanta, scrive Zuckerberg, il tessuto sociale delle comunità locali si è sfaldato; quelle realtà che ci davano supporto, “che si trattasse di chiese, squadre sportive, sindacati o altri gruppi locali”, e che “fornivano a tutti noi un senso di scopo e di speranza”, un “collegamento a qualcosa di più grande”, non esistono più, e ci sentiamo “instabili”. Facebook può contribuire a riportarle in vita, favorendo ancor più di ora la creazione di “gruppi online”. Già attualmente “più di 100 milioni di persone su Facebook sono membri di ciò che chiamiamo gruppi ‘molto significativi’: si tratta di gruppi che al momento dell’adesione diventano rapidamente la parte più importante dell’esperienza di rete sociale”; ora il social si propone di incentivare questa dinamica, aumentando gli inviti e i suggerimenti agli utenti – che Zuckerberg chiama sempre “cittadini” – a collegarsi tra loro, costruendo strumenti “per consentire agli amministratori di gruppo”, i “leader della comunità”, di far crescere quella realtà, e sostenendo anche la creazione di “sotto-comunità” – “una scuola, per esempio, non è una singola comunità, ma molti gruppi più piccoli tra le sue classi, dormitori e gruppi di studenti”.
Sicura. “Problemi come il terrorismo, i disastri naturali, le malattie, le crisi di rifugiati e il cambiamento climatico hanno bisogno di risposte coordinate da un punto di vista globale. Nessuna nazione li può risolvere da sola”. Gli attuali sistemi non sono sufficienti per affrontare queste questioni, scrive Zuckerberg, e così Facebook si candida a essere “l’infrastruttura della sicurezza globale”; non solo per agire dopo una crisi, come già fa ora, afferma, ma per prevenirle, per “identificare i problemi prima che si verifichino”; e sarà lo sviluppo dell’intelligenza artificiale a consentirlo, che saprà, per esempio, cogliere la differenza tra un post, una foto, un video che è “una notizia sul terrorismo e la propaganda terroristica”; l’intelligenza artificiale aiuterà Facebook a combattere le crisi in tutto il mondo.
Informata. Il punto è dolente, perché tocca la questione delle fake news e della visibilità maggiore data ad alcuni post rispetto ad altri. Zuckerberg ne è consapevole e riconosce le critiche che sono state mosse al social, e propone la sua soluzione: “Aiutare le persone ad avere un quadro più completo, non solo punti di vista alternativi”. Perché una ricerca ha evidenziato che “mostrare alla gente un articolo dalla prospettiva opposta, attualmente aumenta la polarizzazione […] Un approccio più efficace è mostrare una serie di punti di vista, per permettere alle persone di capire dove le loro opinioni si posizionano all’interno di un spettro di opinioni, e comprendere se quello che pensano sia giusto. Nel corso del tempo, la nostra comunità identificherà quali fonti forniscono una gamma completa di punti di vista, e farà in modo che quel contenuto sarà più visibile di altri”.
Impegnata civilmente. Sono due le infrastrutture sociali che Facebook vuole costruire in questo ambito: la prima deve incoraggiare “l’impegno nei processi politici esistenti”, in particolare l’esercizio del voto – Zuckerberg si dichiara negativamente colpito dal fatto che solo la metà circa degli americani aventi diritto ha votato alle ultime elezioni presidenziali. La seconda deve creare “un nuovo processo”, “esplorare modalità di come il governo della comunità potrebbe funzionare su larga scala” per i cittadini di tutto il mondo. Ed è l’impegno civico locale la grande opportunità per farlo, perché “molte politiche che incidono sulle nostre vite sono locali”; e dunque “la costruzione di una comunità informata, di comunità locali di sostegno e di una comunità civilmente impegnata, sono aspetti collegati”.
Inclusiva. “Nel mondo ci sono culture diverse, e le persone sono sensibili a cose diverse”; “con una comunità di quasi due miliardi di persone, non si può avere un unico insieme di principi per governare l’intera comunità; abbiamo bisogno di evolvere verso un sistema di governo più locale”, “abbiamo bisogno di evolvere verso un sistema di controllo personale sull’esperienza”. Facebook intende quindi creare nuove opzioni individuali per impostare la politica dei contenuti che saranno visibili a ciascuno: “Dov’è la vostra linea di accettazione della nudità? Della violenza? Che cosa considerate osceno, blasfemo, volgare? Voi deciderete le vostre impostazioni personali, e Facebook vi porrà periodicamente queste domande per poter sempre più aumentare la vostra partecipazione. […] A coloro che non risponderanno, saranno applicate di default le impostazioni scelte dalla maggioranza delle persone di quella regione geografica”.
Ciò che immediatamente salta all’occhio, è l’obiettivo di Facebook di raccogliere sempre più dati dalle persone presenti sul social. Aumentare l’iscrizione a gruppi e impostare la propria politica di contenuti, scegliere quali post, video ecc. vogliamo vedere e quali no, darà a Zuckerberg ancora più informazioni su chi siamo e sulla nostra vita. Una profilazione personale che oltre a invadere ulteriormente lo spazio della privacy – discorso articolato, che non si intende qui affrontare – regalerà alla multinazionale altri dati con cui aumentare i propri profitti, attraverso la loro vendita ad aziende ed enti di ogni natura, per analizzare tendenze di mercato, creare campagne di marketing mirate ecc. E questo è l’aspetto economico del manifesto di Zuckerberg, scontato ma non per questo da sottovalutare.
L’aspetto politico, tuttavia, è quello su cui occorre riflettere maggiormente.
Viviamo nell’era della global economic governance (3), che è la pratica di governo dell’economia sociale di mercato, ideologia alla base dell’attuale neoliberismo. In questo processo la società civile diviene un concetto transnazionale e deve trasformarsi in un insieme di individui portatori di capitale economico e umano, soggetti, e non più classi sociali, in sé e per sé. A differenza dell’homo oeconomicus del liberalismo, l’individuo ‘imprenditore di se stesso’ del neoliberismo è chiamato a fare un passo ulteriore: la sua responsabilità deve essere doppia, non più solo personale ma anche collettiva. Nell’impostazione dell’economia sociale di mercato, per evitare l’esplosione di conflitti sociali – su tutti quello causato dell’eliminazione dei diritti del lavoro – lo smantellamento del welfare pubblico a base nazionale deve trovare nella società civile una camera di compensazione per i problemi di ordine sociale ed economico che lo stesso neoliberismo crea, attraverso l’istituzione di realtà private che si richiamano a una solidarietà volontaria degli individui; reti sociali devono sorgere spontaneamente, e i sistemi di protezione sociale devono dipendere dalla volontà degli individui di mobilitarsi. Quelli che fino a oggi abbiamo considerato diritti del cittadino diventano questioni morali: l’individuo ha la responsabilità sociale di aiutare chi non ce la fa.
È chiaro che un simile cambiamento culturale può avvenire solo mettendo in atto una nuova pratica governamentale sugli individui – richiamando i concetti di governamentalità e biopolitica di Foucault. Ed è qui che si inserisce Facebook. L’invito di Zuckerberg alla costruzione di una comunità globale che sia solidale, sicura e impegnata civilmente, va in questa direzione. Non più la politica pubblica di uno Stato, ma gli individui privati devono farsi carico di creare gruppi di supporto solidali; devono mobilitarsi per prevenire e agire nelle crisi, dai disastri naturali ai rifugiati; devono impegnarsi civilmente nella costruzione di un nuovo processo di governo della comunità. Il tutto su base locale, perché nella global economic governance il potere di governo dei processi economici si è spostato nelle mani di organismi tecnici non elettivi e sovranazionali che garantiscono il loro supporto alle necessità del Capitale (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Wto ecc.), sui quali il potere democratico esercitato dalla sovranità popolare non ha più alcuna voce. L’obiettivo evidente è promuovere l’accettazione dello status quo, la globalizzazione come ordine naturale delle cose, e rinchiudere le persone nel loro piccolo mondo, spingendole a farsene carico affinché diventi una ristretta comunità che la solidarietà umana, e non più i diritti, rendano vivibile; l’orizzonte non è più politico, ma morale.
È altresì evidente che la costruzione di una simile realtà implica la messa a disposizione del social network di sempre più dati personali, che possono essere usati anche a fini politici, non solo commerciali: si estende l’ambito del controllo securitario sulle singole persone. Mentre il dichiarato monitoraggio dell’informazione che transita su Facebook permetterà di orientare l’opinione pubblica, evitando, come affermato nel manifesto, la polarizzazione e promuovendo la visibilità solo dei post pubblicati dalle testate mainstream del pensiero unico – affinché gli individui pensino ciò che è giusto pensare.
Viene da chiedersi se questa pratica governamentale funzionerà, dando i suoi frutti. È probabile, purtroppo. Per diverse ragioni. Si inserisce in una cultura individualistica di empowerment che ha già fatto presa sulle nuove generazioni – è la logica delle start-up, dell’imprenditore di te stesso, brand di te stesso –; si innesta in una già esistente esaltazione positiva della società civile, vista come realtà in grado di mobilitarsi da sola per risolvere i problemi – lettura che l’esplosione della crisi del 2007 ha ancora più radicato nelle persone, deluse dalla classe politica percepita, non a torto, sempre più distante e autoreferenziale, corrotta e traditrice, a sinistra, dei propri valori, su tutti la difesa del lavoro.
Infine, ed è l’aspetto forse più disperante, ciò che Zuckerberg propone è una grande narrazione, e per quanto possa risultare fuori tempo nell’attuale epoca postmoderna – caratterizzata proprio dalla fine delle grandi narrazioni ideologiche della precedente era moderna – può avere presa sull’Uomo di oggi. Perché coniuga l’individualismo più sfrenato, ai limiti del darwinismo sociale, dell’autopromozione di se stessi – in un mondo reale, soprattutto quello del lavoro, precario e parcellizzato, e in una realtà virtuale a base quantitativa fatta di click, ‘mi piace’ e numero di follower – al bisogno di ogni essere umano di sentirsi parte di qualcosa, di una comunità, di condivisione; e poco importa se quella di Facebook è una illusione, perché è una partecipazione che elimina i corpi, la materia viva, la chimica delle sensazioni, per esistere solo in una proiezione cerebrale a cui fa da sfondo l’isolamento più completo davanti a uno schermo; oggi pigiando un tasto le persone si sentono soggetti attivi, per di più di qualcosa che percepiscono come rete orizzontale, e non struttura piramidale, e dunque spazio democratico.
Facebook, con i suoi 1,9 miliardi di account in continua espansione, il 55% attivi ogni giorno, una media di 2,5 ore per persona spese quotidianamente sui social media e l’87% delle connessioni effettuate da smartphone (4), si prepara a essere il perfetto dispositivo biopolitico della global economic governance. Svuota di significato il concetto di ‘cittadino’, che ha sempre un’implicazione politica, per trasformarlo in un utente moralmente responsabile della propria piccola comunità. Mentre sulla sua testa continueranno a passare le decisioni politiche, quelle che davvero fanno la differenza nella sua vita. A meno di una diffusa presa di coscienza di che cos’è Facebook, come agisce, e in che pratica e progetto politico si inserisce.
1) Cfr. https://www.facebook.com/notes/mark-zuckerberg/building-global-community/10154544292806634/
2) Su come il concetto di post verità sia utilizzato dall’establishment per impedire che nel discorso pubblico si affaccino analisi contrarie alla globalizzazione cfr. Giovanna Cracco, Globalizzazione. L’ufficialità all’attacco, Paginauno n. 51/2017
3 ) Cfr. Alessandra Algostino, Gli strumenti dell’egemonia neoliberista: la global economic governance, Paginauno n. 52/2017
4) Cfr. Digital in 2017 Global Overview, dati 2016: le ore di connessione giornaliera sono relative a tutti i social network e non solo a Facebook, indicato però come il più utilizzato