Le fortune elettorali del Front national di Marine Le Pen dalle elezioni europee in avanti hanno portato i vertici del partito, come già visto, a un lavoro di restyling, anche provocando non pochi strappi addirittura familiari, con un vero e proprio scontro in casa Le Pen fra l’anziano padre Jean-Marie e la figlia, uno scontro soprattutto generazionale fra chi non si fa problemi nell’esternare posizioni apertamente xenofobe e addirittura antisemite, come già avvenuto in passato (1), e chi, come Marine, cerca di tutto per accreditarsi come forza antisistemica e sociale ma al contempo gradita e presentabile alla comunità ebraica francese e agli ambienti imprenditoriali d’oltralpe.
Se guardiamo al caso, possiamo osservare come il Front di Jean-Marie e poi di Marine sia passato da un chiaro neoliberismo negli anni ‘70-80 – in pieno boom neoliberista, la rivoluzione conservatrice inaugurata nel 1979-1980 dal duo Thatcher-Reagan – a delle posizioni che in linea teorica sembrano più seducenti per gli strati popolari colpiti dall’odierna crisi. Di fronte a una sinistra pressoché inesistente, incapace di proporre serie alternative al sistema eurocratico, chi si avvantaggia è sempre la destra reazionaria e al contempo sociale e populista, che riempie spazi vuoti. Se da noi è la Lega Nord a occupare sia lo spazio di una sinistra assente che quello di una destra terminale (Fratelli d’Italia), chi fa questo nella vicina Francia è il partito nazionale – nel senso interclassista del termine – di Marine Le Pen.
Già si è parlato della capacità di questa destra nella penetrazione nei bastioni della sinistra (2), ma com’è veramente il programma del partito lepenista? È il caso di partire non dalle suggestioni o da quello che sostengono i militanti – molti dei quali, provenendo dalla destra radicale extraparlamentare, si rifanno a posizioni estreme e socialmente avanzate di tipo neocorporativo – ma dai programmi ufficiali. A riguardo è il caso di analizzare quello proposto nel 2012, in occasione delle presidenziali. Ora, con un Front national al 24,8% (dati elettorali delle europee), capace di sfondare negli ambienti tradizionalmente di sinistra, è il caso di vedere questo programma così di sinistra espresso da un partito tradizionalmente di estrema destra, capace quindi di andare al di là della destra e della sinistra.
Il documento Mon projet. Pour la France et le française può essere definito il classico biglietto da visita per accreditarsi verso quei settori del ceto medio imprenditoriale stufi – giustamente – degli squilibri della Ue. La prima parte del documento – tra l’altro fortemente approvato da tutti quei settori della fascisteria e della post-fascisteria nostrana, tipo La Destra di Storace, Fratelli d’Italia e pure il partito che con la Le Pen ha la corsia preferenziale, cioè la Lega Nord – è dedicata interamente all’economia, un compendio di liberismo mitigato. In che senso? Nel senso che i numerosi filoni interni al Front hanno capito benissimo che il dissolvimento degli Stati nazionali interni alla Ue è funzionale solo alla libera circolazione del grande capitale finanziario, e quindi, adottando alcuni provvedimenti protezionistici, si cerca di ovviare al tutto, una sorta di toppa nella falla.
Ma andiamo con ordine: il programma frontista (3) promette sui salari un minimo di 1.500 euro. Il ribasso delle tariffe di gas ed elettricità del 5% (l’energia proveniente da fonte nucleare non si tocca, come l’alta velocità!) e dei carburanti alla pompa. Per quanto riguarda il sistema pensionistico si promette un aumento delle pensioni minime a 750 euro, ristabilendo il diritto alla pensione dopo quarant’anni di lavoro o sessant’anni di età. Nulla si dice, però, contro il meccanismo contributivo vigente in Francia. Si promette il ritorno al franco, ergo la sovranità monetaria, con l’euro che però non scompare del tutto, ma diventa moneta comune, probabilmente una sorta di moneta di conto tra le varie banche centrali nazionali, proponendo invece il controllo sui movimenti di capitale.
Il Front, inoltre, propone una politica contro le delocalizzazioni, introducendo forme di protezionismo verso il Made in France, la difesa del commercio al dettaglio contro la grande distribuzione, anche se non è presente alcun accenno a una politica a favore della piena occupazione (è evidente la preoccupazione di conservare una quota di disoccupati così da tenere sotto controllo le eventuali spinte salariali). Vi è però una fortissima contraddizione: se il programma propone apertamente di combattere la finanza speculativa, come può avvenire questo senza una nazionalizzazione del settore bancario, non previsto dal programma? Come fare se non è richiesta l’abolizione delle banche d’affari, non chiedendo neppure che la Banca centrale torni in mano allo Stato, affermando solo che questa deve prestare soldi al governo senza interessi? Non è un po’ troppo poco per una forza politica che sostiene di voler rompere con il vigente sistema? Insomma, le differenze fra questa opposizione di destra e quella cosiddetta di sinistra sembrano veramente così poche alla prova del programma economico.
La mitigazione del programma liberista – una via di mezzo fra il keynesismo soft e un timido liberismo – è frutto senz’altro della paura della mondializzazione economica in corso. Tipico delle nuove destre populiste – da non confondere con la nouvelle droite, la corrente filosofica rivoluzionario-conservatrice animata da Alain de Benoist – è interpretare il fenomeno della globalizzazione, o come viene definito a destra ‘mondialismo’ (4) – termine che in Italia circola grazie ai nazional-rivoluzionari di Orion – come una porta girevole, da tenere chiusa quando sono in discussione i diritti degli immigrati – buoni solo a fornire manodopera a costo basso e a fare da capro espiatorio – e la tutela delle identità nazionali o etno-culturali (localistiche e non), da tenere spalancata quando sono in gioco gli affari, l’economia, e quando essa sembra andar bene.
Ma non sempre è stato così: un documento del Parti communiste française del 2011 analizza l’evoluzione della politica economica frontista, che negli anni Ottanta era “il liberismo tipo Reagan-Thatcher, qualche cosa che assomigliava all’esperienza del Cile di Pinochet. Raccomanda la libertà d’impresa e la deregolamentazione dei mercati finanziari e dell’economia. Nello stesso tempo, l’ultra liberismo del Fn è condito con un certo protezionismo: chiusura delle frontiere, barriere doganali per certi prodotti… […] Il Fn prende a prestito da quello che chiamiamo il fascismo delle origini l’idea di una società senza classi sociali e una visione fortemente corporativista del mondo economico e sociale. Corporativismo nel senso che non c’è bisogno di sindacato. Poiché operai e padroni hanno lo stesso interesse: affinché l’impresa funzioni è preferibile capirsi tra operai e padroni in modo che le imprese francesi, e con esse i francesi, vincano. Questa visione bandisce i sindacati e in essa non c’è alcuna possibilità che lo Stato abbia qualsiasi ruolo di regolazione economica o sociale. Lo Stato deve lasciare giocare la regolazione darwiniana dei mercati. Le buone imprese sopravvivranno e prospereranno mentre quelle cattive spariranno.
È dunque necessario creare molte imprese francesi e permettergli di essere più libere possibili, con meno tasse, meno imposte e meno restrizioni per far sì che si sviluppino nel mercato mondiale e che partecipino alla guerra economica mondiale. Storicamente questa visione delle cose sarà, durante gli anni ‘80, quella di Reagan, della Thatcher e degli economisti della scuola di Chicago” (5). Appare chiaro che la presunta attenzione verso i ceti deboli, che dovrebbero essere protetti dall’economia globale dalla chiusura delle frontiere e dai dazi, nasconde invece una politica palesemente classista e un iper-sfruttamento dei lavoratori.
Il programma economico frontista di quegli anni – ma anche quello di oggi, nonostante il neoliberismo sembri mitigato – subisce la fascinazione di numerose analisi elaborate a suo tempo da certi circoli gravitanti intorno alla nouvelle droite e al Grece, come il Club de l’Horloge (CdH), che elabora il concetto di preferenza nazionale. Il circolo, nato nel 1974 attorno alla rivista Contrepoint su iniziativa di Yvan Blot, animatore alla facoltà di Scienze politiche di Parigi del Circolo Pareto, espressione del Grece, riunì simpatizzanti dell’Istitut national de sciences politiques tutti provenienti dalla pubblica amministrazione, dal privato e dalle grandes école – come Alain Devaquet e Jean-Yves Le Gallou, ex allievo all’École nationale d’administration (Ena), collaboratore di Nouvelle École e poi membro del Fn – differenziandosi dal Grece, nonostante alcuni confondano le due realtà (6).
Il CdH si distacca dal Grece fra il 1979-1980 perché su posizioni diverse in quanto conservatore, atlantista, liberista e favorevole all’interazione diretta con le destre, mettendosi – a differenza di de Benoist – al diretto servizio del conservatorismo gollista (Udf/Rpf), costituendo così un ponte con il frontismo, un’associazione composta da persone che “non volevano separare la loro carriera politica dalla loro partecipazione a un’impresa di rifondazione culturale” (7), un gruppo che ha tutt’oggi organizzato convegni parlando del “modello Lega Nord”, un populismo capace di andare al governo alleato ai moderati (8).
Il Grece, invece, era perché l’economia “non [fosse] un fine, ma uno strumento al servizio della politica. Per questo è necessaria una direzione politica dell’economia che permetta l’emergere di un civismo economico superiore agli interessi e ai profitti del mercato, i quali non fanno necessariamente gli interessi della patria” (9) mentre per il CdH, composto da ex grecisti desiderosi di fare politica, la promozione del welfare state non crea solidarietà fra gli appartenenti alla stessa comunità identitaria – come spiegava invece il Grece – ma è un modo per creare omologazione, livellamento ed egualitarismo, elaborando una dottrina che fonderà il neoconservatorismo alla Heyek, proponendo un “liberalismo al servizio dei popoli”, dove “l’identità va di pari passo, in Occidente, con la libertà. […] Essere libero significa affermare la propria identità, ciò vale sia per il singolo individuo che per il gruppo” (10).
Jean-Yves Le Gallou, del CdH, elaborerà nel libro La Préference nationale: réponse à l’immigration (Albin Michel, 1985) il concetto di preferenza nazionale, ripreso poi nei programmi sull’immigrazione delle destre populiste europee, Lega Nord compresa, una ricetta che, se da una parte non mette in discussione la liceità di un programma di liberalizzazioni, dall’altra inserisce paletti a sfondo identitario per l’accesso al welfare (il classico motto “Prima i nostri!”, o “Padroni a casa nostra!”), con la scusa di una scarsità di risorse pubbliche, indotta invece dalle privatizzazioni.
Nel programma frontista, condizionato da queste tesi, proprio come nella visione di Reagan e della Thatcher non c’è spazio per lo stato sociale, dato che “gli immigrati sono i responsabili della disoccupazione […]. Dato che il loro programma [del Fn, n.d.a.] è ultraliberale, non c’è possibilità di utilizzare le imposte, poiché sono necessarie meno imposte, non è inoltre possibile aiutare i disoccupati, quindi le persone non devono essere disoccupate. Gli aiuti sociali sono addirittura messi sotto accusa a quell’epoca da parte del Front National, poiché sono considerate dispendiose e non corrispondono alla visione che il Front National può avere in termini economici e sociali sul ruolo dello Stato nell’economia” (11). Il Front national, infine, è per “uno Stato forte, contro lo stato sociale, contro l’assistenza sociale, il lassismo con una visione autoritaria e disciplinare, poliziesca, repressiva ecc. Ma con l’assenza enorme di un intervento nel campo sociale stesso. Non sentiamo mai parlare di servizio pubblico nel programma del Fn. […] La valorizzazione dell’azione individuale e dell’imprenditorialità, con l’antifiscalismo, la deregolamentazione e tutta una serie di cose come l’accesso alla proprietà individuale. Il Front National non propone degli alloggi sociali, ma propone di dare quelli che esistono ai francesi e di riservare loro l’accesso alla proprietà. È la priorità delle priorità per il Fn” (12).
Il programma neofrontista di Marine Le Pen, però, non è così diverso nel discorso sull’immigrazione. Ovviamente non si prevengono le politiche neocolonialiste e neoliberali che affamano il Terzo mondo e creano le basi dell’immigrazione stessa, utile al mondo imprenditoriale, alle sinistre e alle destre di governo – dato che l’arrivo dei disperati, assunti a costo bassissimo dal padronato locale e non sindacalizzati, provoca l’abbassamento dei salari dei lavoratori autoctoni, rendendoli così ricattabili – ma si reprime per non cambiare nulla, proponendo la radicale modifica dell’attuale Jus soli, ovvero condizioni molto più severe per ottenere la cittadinanza. Gli immigrati disoccupati, pur legalizzati, saranno incitati a tornare nel loro Paese d’origine. I clandestini o coloro che si mantengono illegalmente saranno immediatamente espulsi. Le aziende saranno obbligate ad assumere anzitutto i cittadini francesi. Ogni legge che prevede di regolarizzare i clandestini sarà soppressa. Gli stranieri condannati al carcere saranno espulsi e dovranno scontare la pena nei loro Paesi d’origine. Saranno infine vietate tutte le manifestazioni di appoggio ai clandestini.
Sul fronte istituzionale il Front propone il classico discorso dell’uso massiccio dei referendum, un modo per creare una democrazia plebiscitaria, populista e iper-presidenziale – in una Repubblica già presidenziale di suo – con la possibilità di un solo mandato visto che “l’elettoralismo è diventato una vera piaga per il nostro Paese” – discorsi che da noi sono fatti anche da chi razzista non è, ma è per la democrazia telematica. Il capitolo ‘sicurezza’ stilato da Marine Le Pen prevede “una politica di tolleranza zero [che] sarà instaurata sull’insieme del territorio nazionale” accompagnata da aumenti delle pene, privazione dei diritti sociali ai condannati a pene superiori a un anno, aumento dei poteri ai corpi di polizia e degli effettivi dei corpi repressivi, aumento dei magistrati, avvio di un vasto piano carcerario per ottenere quarantamila nuovi posti, ristabilimento della pena di morte e nessuno sconto di pena ai condannati all’ergastolo (13).
Non dimentichiamoci che Marine Le Pen è gemellata con Salvini.
1) Cfr. «Le camere a gas erano un dettaglio della storia della seconda guerra mondiale», dall’intervista alla rivista Bretons del 25 aprile 2008, citato ne Il Manifesto, 26 aprile 2008
2) Cfr. Matteo Luca Andriola, Il Front national in Francia: la cavalcata di Marine Le Pen, Paginauno n. 38/2014
3) Cfr. Mon projet. Pour la France et le française, in www.frontnational.com/pdf/projet _mlp2012.pdf, 8 marzo 2012
4) Il mondialismo è più che un modo diverso con cui gli ambienti del radicalismo di destra – e la stessa nouvelle droite – designano la globalizzazione. Esso è “un complesso di forze che hanno come base un’ideologia sintetizzabile nell’idea che all’alta finanza competa il diritto-dovere di amministrare un pianeta fatto di una monorazza e di una monocultura” (M. M. [M. Murelli], Un Luna park chiamato Berlino, in Orion, n. 62, novembre 1989, p. 3, dove si critica il crollo del Muro nel 1989, inizio dell’omogeneizzazione del globo sotto le insegne dell’american way of life). Ovviamente vi è una differenza sostanziale fra la nouvelle droite e la destra radicale: per la prima il mondialismo è ontologicamente insito nella natura del capitalismo stesso, mentre per il radicalismo di destra (cfr. testate come Orion, Avanguardia, Aurora, L’Uomo libero, Heliodromos, che dagli anni Ottanta-Duemila hanno trovato una certa diffusione nell’ambiente, ufficialmente estranee alla nouvelle droite, ma capaci di intrattenere con lei contatti e rifarsi alle analisi di Alain de Benoist, estremizzandole), partendo dal presupposto che l’ebraismo – alla pari del cristianesimo, del resto – è giudicato “lo strumento privilegiato per lo scardinamento di tutti gli assetti tradizionali” (Caleidoscopio, n. f. [ma attribuibile a M. Murelli], in Orion, n. 39, dicembre 1987, p. 82), tale componente della destra è legata a suggestioni tratte dal cospirazionismo, dove a tirare le fila dei processi di omogeneizzazione culturale sono le alleanze segrete fra l’alta finanza (ovviamente ebraica), le organizzazioni massoniche con a capo il B’nai B’rith e i vari circoli sionisti. Da qui, appunto, l’ulteriore accentuazione della tematica antisemita, vista la convinzione che il sionismo è “l’architrave del progetto mondialista” e che i vari circoli finanziari mondiali siano tutti “casa, borsa e sinagoga” (C. Terracciano, Caleidoscopio. Giugno 1987 e dintorni: Apocalypse now, in Orion, n. 33, giugno 1987, p. 292). Il sionismo e il mondialismo sono descritti come le due facce della stessa medaglia, perché il primo è “una delle componenti più importanti […] del discorso mondialista […]. Il sionismo […] è genocida e razzista […] oggi l’unico vero razzismo esistente al mondo è quello praticato dal sionismo nazionale e internazionale. Un razzismo che affonda le sue radici nella storia, nella cultura e nella religione ma, certamente, l’unico vero e identificabile potere razzista e genocida” (Manifesto del 17 maggio 1987, pubblicato in occasione del primo convegno internazionale organizzato da Orion, n. 34, luglio 1987, p. 339)
5) Pcf, Combatre le Front National de Marine Le Pen, LEM, 2011, in http://lem.pcf.fr/13216, pp. 25-26
6) “L’etichetta [di nouvelle droite per identificare simultaneamente il Grece e il CdH] si rivela tanto vaga quanto ingannevole. In Francia è stata utilizzata nel linguaggio mediatico, a partire dal 1978, per designare il Grece […] poi, per estensione, per riferirsi, dal 1979, all’insieme formato dal Grece e dal Club de l’Horloge. Si poteva allora situare la produzione intellettuale di questi due club (o società) di pensiero al punto d’incrocio tra le destre parlamentari Udf/Rpf e i movimenti situati all’estrema destra. La nouvelle droite poteva essere interpretata come la figura di un neoconservatorismo alla francese. […] È precisamente nel 1978-1979 che si approfondisce la distanza tra la società di pensiero e il club di riflessione politica. Le loro divergenze ideologiche, non meno che il loro obiettivo allora comune (riarmare intellettualmente la destra in Francia), li situeranno in una situazione di rivalità mimetica e di lotta per il monopolio del ritorno alle fonti dottrinarie della destra”, P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra, Vallecchi, 2004, pp. 46, 47
7) Ibidem, p. 46
8) A Parigi, il 6-7 dicembre 2008, alla XXIV Università annuale del CdH, alla presenza di ospiti come Johannes Hübner del Fpö, Francis Van den Eynde del Vlaams Belang e il leghista Mario Borghezio, Henry de Lesquen, il presidente del Club, sostenne che “è soprattutto il «modello italiano che occorre seguire», ricordando che, dei tre partiti, la Lega Nord è la sola a partecipare a un governo. Fedele alla linea del suo circolo intellettuale, che lavora per una «unione della destra» che vada fino al Front national (Fn), de Lesquen ha difeso l’idea secondo la quale, in Francia, «i populisti devono partecipare a coalizioni di governo per ridurre il fossato che li separa dal popolo» […] Nella sala che contava un’ottantina di persone, per lo più anziane, c’erano membri del Club, vecchi quadri del Fn, come Bernard Antony, vecchio capofila dei cattolici tradizionalisti in seno al Fn, e Jean-Yves Le Gallou, che aveva seguito Bruno Mégret all’epoca della scissione del partito nel 1998. Ma anche un nuovo arrivato, Fabrice Robert, presidente del Bloc Identitaire, un gruppo di estrema destra radicale. Affermando di essere stato «invitato a titolo amichevole da Henry de Lesquen», Robert, che non figurava sulla lista dei relatori, ha partecipato al dibattito di chiusura del sabato, al fianco di Le Gallou e de Lesquen. Sul palco, Robert ha vantato le azioni del Bloc Identitaire come «le ronde dei militanti nelle zone del racket» e la «distribuzione di zuppa di maiale» ai senzatetto – misure, queste, molto applaudite dalla sala. Ma Fabrice Robert ha anche svelato parte della strategia del suo gruppo politico: «Vogliamo conquistare gli spiriti e intervenire sul terreno sociale. Seguiamo una logica di entrismo in sindacati come l’Fo [Forza operaia, n.d.a.] o la CFTC (Confederazione francese dei lavoratori cristiani). D’altronde già alcuni delegati dell’Fo appartengono al Bloc Identitaire»”. A. Mestre, La Ligue du Nord italienne seduit le populistes européenne, in Le Monde, 8 dicembre 2008
9) Ch. Champetier, Europe trosième Rome, Grece, 1988
10) Lettre d’information du Club de l’Horloge, n. 39, 1988, p. 1
11) Pcf, Combatre le Front National de Marine Le Pen, cit, p. 29
12) Ibidem, p. 47
13) Cfr. Mon projet. Pour la France et le française, cit.