Davide Corbetta
Programmi umanitari e profitti sui diritti umani
Stop invasione
A ottobre dello scorso anno, nel mese in cui a Lampedusa si commemora la strage del 3 ottobre 2013 – quando persero la vita 368 profughi naufragati vicino alle coste dell’isola – prende il via il Sabir Lampedusa Festival, festival della cultura e della musica per l’integrazione e l’uguaglianza; qualche giorno dopo, il 18, “contro gli immigrati clandestini che giungono a migliaia nel nostro Paese” la Lega Nord lancia la manifestazione “Stop invasione”, a cui aderiscono anche Fratelli d’Italia, Forza Nuova e CasaPound. Un raduno condito dalla rissa tra un contestatore etichettato dal corteo come “rosso di merda” e Romano La Russa, consigliere regionale lombardo, fratello del più noto Ignazio, che colpisce il malcapitato con la bandiera tricolore. Mentre un manifestante afferma: “Prima di essere leghista sono fascista… con Mussolini non ci sarebbe questo schifo” (1), dove, per “questo schifo” si intendono i migranti che approdano, o sarebbe meglio dire naufragano, sulle nostre coste. Si spera, per umanità, che in “questo schifo” non si voglia includere anche il numero delle persone che negli ultimi anni hanno perso la vita cercando di migrare: circa 37.000 (Tabella 1).
Una strana invasione dunque, quella in cui così tanti invasori muoiono prima ancora di toccare terra; una forma d’ignoranza, associare il fenomeno migratorio alla più violenta soppressione della libertà umana. La colpa dell’ignoranza, tuttavia, non può essere addossata interamente ai cittadini italiani, quando per primi gli stessi governi non hanno ritenuto prioritaria la raccolta dei dati sui decessi dei migranti. “Nonostante grandi somme di denaro siano spese per raccogliere informazioni sulla migrazione e sul controllo delle frontiere, sono infatti pochi i governi che hanno raccolto e pubblicato dati su questo tragico fenomeno” (2). Gli incidenti avvengono spesso in regioni remote di cui non si hanno notizie, i dati sono sporadici e suddivisi tra le diverse associazioni che si occupano di ‘tenerne la contabilità’.
Questi sono i risultati del rapporto “Fatal Journeys 2014” facente parte del progetto IOM (International Organization for Migration), che ha lo scopo, attraverso il ricorso ai social media, come Facebook, da una parte di coinvolgere le comunità di tutto il mondo, dall’altra di disincentivare i cosiddetti ‘viaggi della speranza’ causa delle migliaia di vittime in mare. Faccia utilitaristica di una medaglia che sul lato opposto della sensibilizzazione sociale mostra uno strumento mediatico che può agevolare il traffico immigratorio.
“È paradossale, in un momento storico in cui una persona su sette al mondo è un migrante, vedere quanto sia dura la risposa del mondo sviluppato nei confronti della migrazione” (3), ed è davvero difficile definire questo mondo ‘sviluppato’ quando temi antichi come la tratta degli esseri umani si manifestano in tutta la loro modernità: prostituzione, speculazione, falsa misericordia.
Triton: la dubbia utilità dei programmi umanitari
Secondo lo studio della International Organization for Migration, sono più di tremila i morti del 2014 nel solo mar Mediterraneo, e l’Oxfam (4) chiede che vengano create vie sicure che evitino, o riducano, la possibilità della morte in mare dei profughi. Perché “non è possibile affrontare questo gigantesco flusso migratorio con gli strumenti usati sino a oggi e con un approccio che sembra a volte schizofrenico”, afferma Alessandro Bechini, responsabile programmi domestici di Oxfam Italia (5).
La risposta dell’Unione europea alla schizofrenia, o meglio, ‘all’invasione’, porta il nome epico di Triton, il programma di controllo delle frontiere esterne cui hanno aderito diciannove Stati, e che dal primo novembre 2014, con la coordinazione e il finanziamento dell’agenzia europea Frontex (6), è subentrato alla vecchia operazione Mare Nostrum. Un presidio europeo per il controllo dei confini che costa 35 milioni all’anno – la spesa per Mare Nostrum, nel 2014, è stata di 114 milioni – e che non contempla la presenza delle due linee di difesa della frontiera italiana, benché vengano impiegate risorse fondamentali dello Stato di controllo, come la Marina, le Forze dell’ordine e la Capitaneria di porto. Niente soccorsi in alto mare, niente navi militari che fungono da centri per la prima identificazione (così come avveniva con Mare Nostrum).
Eppure Triton non è l’unica operazione appoggiata dall’Unione europea: ci sono anche Frontex Hermes, Balder, Demeter, Aphrodite, Perkunas e, da ottobre dello scorso anno, Mos Maiorum (Tabella 2). Nel complesso lo scopo è individuare i flussi migratori clandestini che attraversano le principali vie di comunicazione e raccogliere informazioni, quali le rotte utilizzate dai trafficanti di uomini, i luoghi di rintraccio, le loro mete, ovvero il Paese di origine e il Paese di transito, e i mezzi che vengono utilizzati per il trasporto (7). Ma tutto questo non è abbastanza. Dallo IOM all’Oxfam si chiede maggior impegno, più attenzione al valore delle vite di chi rischia di morire, piuttosto che di chi traffica in corpi umani; le stragi che si susseguono continuamente al largo delle nostre coste danno ragione delle denunce. Davanti alla facciata di solidarietà degli aiuti umanitari promessi dagli Stati, viene da chiedersi quale sia la situazione reale.
Stato dell’immigrazione in Italia: dalla prostituzione alla speculazione
I dati statistici più importati arrivano dal rapporto UNAR “Dossier statistico immigrazione 2014”, secondo il quale sta crescendo il numero degli sbarchi di profughi provenienti dalle zone africane e asiatiche: 112 mila persone a metà dello scorso anno, mentre altre migliaia di vite umane si sono spente in mare, nonostante la tanto rimpianta Mare Nostrum. A essersi ridotte, invece, sono le richieste di asilo: 26 mila, rispetto, per esempio, alle 127 mila della Germania. “Secondo la stima del Centro Studi e Ricerche IDOS la presenza complessiva degli immigrati in posizione regolare […] ammonta a 5.364.000 persone”, afferma il rapporto; di queste circa la metà proviene dai Paesi dell’Est, Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Soltanto 500 mila sarebbero gli stranieri non regolari, tuttavia i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) versano in condizioni pessime.
In dieci centri italiani, nel 2013 sono stati trattenuti 5.000 uomini e quasi 600 donne, di cui molti rumeni, “con un tasso di espulsione eseguite pari al 45,7% e condizioni di vita critiche per quel che riguarda il rispetto dei diritti umani, come attesta anche l’organizzazione Medici per i diritti umani (Medu) e come la stessa Commissione del Senato per i diritti umani ha riconosciuto”. Sebbene il 10,3% degli stranieri residenti nel nostro Paese abbia una laurea, e il 32,4% un diploma, molti ‘invasori’ vivono in condizioni medievali. Secondo un’inchiesta de L’Espresso (8), tra le file dei teli bianchi delle serre che vanno da Acate a Santa Croce Camerina (provincia di Ragusa), uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d’Italia, i migranti lavorano a metà salario. Sono soprattutto rumeni, e rumene, che prima si spezzano la schiena nei campi, poi nei letti del padrone, o dei parenti e degli amici del padrone, che ha trasformato il proprio feudo in un campo di potere economico e sessuale.
È un fenomeno sempre più frequente, il mercato della prostituzione che vede coinvolte le donne rumene, specialmente madri con mariti ancora in patria, che lavorano nelle serre, e insieme ai loro figli vivono in casolari fatiscenti. Si prostituiscono per non perdere i favori del padrone, che le ‘aiuta’ con acqua da bere, un passaggio a scuola per i figli, un lavoro… Favori a cui, nonostante il prezzo, chi non ha niente fa fatica a rinunciare; può anche capitare che qualcuna fugga nei Centri di accoglienza e poi faccia ritorno nelle serre, a lavorare.
“Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti” (9); si tratta di rumene giovanissime, che si fanno accompagnare da uomini che parlano per loro. Tra medici obiettori e quantità di richieste le attese diventano lunghe, e può accadere che ottenere l’aborto nei tre mesi previsti dalla legge sia impossibile. Se capita, le donne hanno due alternative: tornare nel loro Paese per abortire, oppure affidarsi a strutture abusive. È questa la realtà esistente dietro una parte degli ortaggi e della frutta che troviamo nei nostri mercati. Nel 2011 risultavano regolarmente registrati 15/20 mila migranti che lavoravano nelle serre, schiavi a tutti gli effetti.
Sono le stime di un sistema di sorveglianza e punizione che fatica a emergere in un tessuto sociale più preoccupato ‘dell’invasione’ che delle più basilari violazioni dei diritti umani. Se così non fosse sarebbe difficile spiegare come a Ragusa si possa essere sviluppata questa ‘prostituzione contadina’, oppure come a Lampedusa, fulcro mediatico del problema immigratorio, sito di continue visite da parte dei potenti del mondo, sia potuta sfuggire per mesi la ‘disinfestazione’ dei corpi umani.
Sono immagini da campi di concentramento quelle riprese dai migranti il 13 dicembre scorso, e andate in onda sul Tg2: “Tutte le persone sono senza vestiti, come animali” (10), in fila nel cortile del centro di ‘accoglienza’ in attesa di essere ‘disinfestati’, in un Paese che si dice civile; ma “le persone che arrivano non sanno niente, penseranno ‘questa è l’Italia’”(11).
Lo stesso pensiero che devono aver fatto quattro ragazzi del Mali ‘ospiti’ nell’ex scuola Verde di Augusta, in provincia di Siracusa: decine di letti dispersi in aule, corridoi, piano terra e primo piano, un dormitorio per alloggiare i migranti che arrivano nei porti di Augusta e Catania, e che trovano ‘riposo’ su brande blu di stoffa, come quelle usate in porto. È Save The Children a denunciare: “I minori sono fermi in alcuni casi da tre o quattro mesi, abbandonati a se stessi durante le ore notturne” (12). Dalla scuola/dormitorio scappa un minore su tre; si sono verificati anche dei rapimenti, ragazzi portati a Latina da trafficanti che hanno chiesto il riscatto a parenti in Italia; poi ci sono i baby scafisti, tra i 14 e i 17 anni, figli di pescatori estremamente poveri scelti per guidare i gommoni.
Storie che si ripetono, storie di ragazzi sempre in movimento, da un centro di primo soccorso a un altro, quasi mai nelle comunità di accoglienza dove potrebbero iniziare una vita stabile: “La comunità è un miraggio. I ragazzi aspettano un banco di scuola. Troppo spesso devono accontentarsi di una branda” (13). Sempre a metà dello scorso anno è stato istituito un accordo Stato-Regioni/Enti locali per un piano di accoglienza che ha messo a disposizione 20 mila posti nel periodo 2014-2016. Una risoluzione necessaria ma non sufficiente. Non bisogna dimenticare che il nostro Paese si fonda sulle logiche del capitale, alle quali soggiacciono i temi sociali, la dignità dell’uomo, le stesse logiche del profitto.
È facile intuire, dunque, da dove arrivi la speculazione su un ‘prodotto’ che, per la quantità esorbitante di risorse sul territorio, e per l’innalzamento della domanda di solidarietà, ha trovato nuovi sbocchi nel nostro mercato: si tratta della merce umana immigrata.
Speculazione sul corpo immigrato: rapporto tra domanda e offerta
Secondo un’inchiesta condotta da L’Espresso nel 2012 (14), tra marzo e settembre 2011 sono approdati sulle nostre coste circa 60 mila persone, in fuga dalla Tunisia e dalla Libia. Di queste, solo 21 mila sono rimaste in carico alla Protezione civile. Il grande flusso ha dato l’impulso alla ‘bolla speculativa’ dalla quale si sono generate truffe e raggiri, che alla fine del 2012 sono costati pressappoco 1 miliardo e 300 milioni di euro, circa 20 mila euro per ogni essere umano sbarcato sulle nostre coste. Soldi che hanno arricchito affaristi, albergatori arraffoni, cooperative di pelosa carità e poca misericordia. I conti sono rapidi da fare: per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno (40 per vitto e alloggio, 6 per l’assistenza). Questi sono i prezzi del ‘mercato dell’emergenza’, un mercato che, per buona pace dell’invasione di Salvini, ha per moneta il panico e per merce il profugo.
La soluzione federalista del governo, varata nel 2012 dall’attuale presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, stabilì che ogni regione accogliesse un numero di profughi in proporzione ai suoi abitanti. Proposta poi concretizzata nel Piano di emergenza, ma senza stabilire regole precise sulle condizioni sia di chi avrebbe ospitato i profughi, sia delle strutture in cui sarebbero stati ospitati. Soluzione che ha legittimato alberghi sull’orlo della crisi, ex agriturismi, case vacanze in stagnazione, associazioni di nuova formazione, ad accreditarsi come strutture di accoglienza, accaparrandosi 1.200 euro al mese, per ciascuna persona ‘ospitata’. Turismo dei rifugiati che ha fatto ingordigia, vizio capitale, anche alle ‘cooperative della carità’ come Domus Caritatis (legata all’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trigone), le cui strutture a Roma percepivano 80 euro al giorno per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati, salvo poi rivelarsi non minori, ma adulti. Sono sempre della Domus Caritatis gli alloggi da 35 mq che ospitavano dieci profughi, condizioni in cui, secondo Save The Children, vivono almeno 950 persone, forse molte di più.
“Mancanza di responsabili, nessun servizio di orientamento e accompagnamento legale, strutture inadeguate”(15) come quelle a Milano, appartenenti alla caritatevole Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi, “un contenitore della marginalità sociale dove sono frequenti le risse: nigeriani contro kosovari, ghanesi contro marocchini e la lista dei ricoverati in ospedale si allunga ogni giorno” (16). Condizione più agiata, ma priva di assistenza sociale, legale e psicologica, per i 440 profughi alloggiati al residence Ripamonti, di proprietà della Fondiaria Sai (oggi Unipol, all’epoca dei fatti di Salvatore Ligresti), che ha incassato oltre 600 mila euro al mese.
Oppure è il caso della provincia di Latina, dove quarantasei rifugiati vivevano in 70 metri quadrati, ma garantendo alla cooperativa Fantasia contributi da parte della Regione Lazio per 400 mila euro. “Lo Stato ha speso per l’emergenza 797 milioni di euro nel 2011 e altri 495 milioni nel 2012. Solo una parte è servita per l’accoglienza: centinaia di milioni di euro sono finiti in tendopoli, spostamenti, trasferte, rimborsi agli uffici di coordinamento. Fondi di cui si è persa la traccia” (17).
Fino a che punto, o cifra, possono spingersi i ‘rimborsi della solidarietà’ se sulle nostre coste, nei soli primi tre mesi del 2014, sono sbarcati più di 5.000 stranieri provenienti da territori di guerra come Nigeria, Siria, e Libia? (18). E fino a che punto si può parlare di solidarietà quando dietro gli esborsi da parte dello Stato per l’emergenza profughi, si cela il connubio tra campo di potere politico, economico e religioso, in nome del profitto?
Come il matrimonio prima consacrato, poi sciolto per pubblici motivi, e forse solo in pubblico sciolto, tra il suocero del fratello di Angelino Alfano e la Confederazione nazionale delle Misericordie (19). Lorenzo Montana è stato inizialmente incaricato di gestire il nuovo Cpsa di Lampedusa (che doveva riaprire dopo la chiusura a seguito della già sopracitata ‘disinfestazione’), aggiudicato dalla Confederazione nazionale delle Misericordie con procedura negoziata dalla prefettura di Agrigento. L’incarico è stato poi rifiutato dallo stesso Montana, in seguito all’uscita dell’articolo con cui Il Fatto Quotidiano documentava la sua nomina. Una nomina poco chiara in realtà, in quanto la Confederazione nazionale delle Misericordie ha dichiarato di non aver mai indicato Lorenzo Montana come direttore del centro, poiché privo dei requisiti per ricoprire tale ruolo (20).
Il triangolo formatosi tra potere religioso, economico e politico sulle spalle dell’accoglienza si può ravvisare anche nel ruolo avuto dal consorzio Sisifo, ex gestore del Cie ‘lager’ di Lampedusa, vicino al centrosinistra renziano, appaltatore del Cara di Foggia, amministratore del Cpsa di Cagliari e capocordata delle imprese che gestiscono il Centro richiedenti asilo di Mineo (21), la cui mensa è affidata alla Cascina Social Service, vicina a Comunione e liberazione. “Una sorta di larghe intese ante litteram in salsa migratoria, in cui la parte della regia spetta curiosamente al futuro luogotenente di Alfano in Sicilia: Giuseppe Castiglione, prima forzista presidente della Provincia di Catania, poi sottosegretario all’Agricoltura e leader del Nuovo centro destra”(22). Oggi a Mineo lavorano più di 250 persone, e per ciascuno dei circa 5.000 ospiti l’Unione paga 36 euro al giorno. Le entrate del Cara ammontano pressappoco a 50 milioni di euro l’anno.
Illeciti e irregolarità riguardano anche il “pocket money”, ovvero lo ‘stipendio’ giornaliero di 2,50 euro spettante a ogni immigrato, una parte dei 46 euro sborsati dallo Stato ai centri di accoglienza (23). Un esempio su tutti è quello di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, dove il pocket money viene erogato sotto forma di due pacchetti di dieci sigarette a settimana, impedendo così al migrante di utilizzare ciò che gli spetta per altre spese, magari primarie. Inoltre, “da settembre 2011 a maggio 2013 gli ospiti riferiscono che il buono economico non è stato erogato”. Sono queste le conclusioni di un rapporto redatto dal ministero dell’Interno su una base dati costruita congiuntamente da OIM, UNHCR, Save the Children e Croce Rossa.
Stando al rapporto il centro di accoglienza, gestito dalla Confederazione Nazionale delle Misericordie (aggiudicataria dell’ultima gara di appalto per il periodo 2012-2015, ammontante a 28 milioni di euro), all’epoca in cui vennero elaborati i dati ospitava 1.497 persone, prive di sufficiente personale socio-psicologico, di un adeguato servizio di mediazione culturale, di assistenza pediatrica, di pulizie e di sanitari in condizioni civili. Modo di vivere che si protrae anche per due anni quando molte questure, tra cui Roma, Caltanissetta e Crotone, non rilasciano il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo entro il termine di scadenza dei trentacinque giorni. Anni privi dei servizi base previsti da contratto, come lavanderia o barberia, benché “secondo il capitolato d’appalto dei Centri dell’immigrazione, pubblicato sul sito del ministero dell’Interno, dovrebbero essere le prefetture a controllare che i contratti stipulati con gli enti gestori vengano rispettati.
Dai file, però, emergono irregolarità gestionali e procedurali, oltre che strutture fatiscenti. Ne sono responsabili, nell’ordine: le cooperative che sono gli enti gestori, le questure e il Viminale. Le organizzazioni che hanno monitorato i centri non hanno diffuso pubblicamente queste informazioni” (24). Perché non sono stati pubblicate? Forse perché 2,50 euro per 1.497 profughi, tradotto in incasso, quasi 4 mila euro al giorno e 1 milione e 300 mila euro l’anno, fanno decisamente comodo. I soldi del pocket money non erogati in che tasche sono finiti? L’impressione è che non lo sapremo mai, perché le risposte sono disperse dalla sempre più crescente e vorace ‘solidarietà’ del capitale, nazionale e internazionale.
Sabir: il festival del capitale straniero
In Italia, è dunque chiaro, sui mezzi sociali di diffusione di massa, ciò che interessa mostrare non è l’accoglienza vera, ma quella di facciata, come i potenti della terra che fanno visita a Lampedusa, o i festival che nascondono i movimenti di capitale straniero interessato. Capitale che si deve tenere al passo con ciò che il mercato offre, e negli ultimi anni è il mercato dell’immigrazione quello ad alto tasso di sviluppo.
Lo sapeva bene la Pizzarotti a Mineo (25), l’ha capito anche il miliardario statunitense di origini ungheresi George Soros, finanziatore della campagna di Obama, uomo dal patrimonio di 14 miliardi, ma prima ancora colui che nel ’92, in piena Tangentopoli, contribuì con il suo fondo Quantum a portare la lira e la nostra economia quasi al fallimento. Basandosi sulle dichiarazioni della Bundesbank secondo cui la stessa banca tedesca non avrebbe appoggiato la valuta italiana, Soros vendette la nostra moneta allo scoperto comprando dollari, costringendo a sua volta la Banca d’Italia a vendere 48 miliardi di dollari in riserve per sostenere il cambio, quindi a una svalutazione del 30% della lira con relativa estromissione dal sistema monetario europeo (certo Soros non fu l’unica causa di quanto avvenne, ma la sua azione speculativa contribuì). “Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste, semmai, competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie”, ha affermato Soros nel 2013, riconoscendo la manovra speculativa attuata a quel tempo; e, autoassoluzione a parte, come dargli torto… (26).
Che tipo di operazione è quindi quella che ha portato Soros a presentarsi al sindaco di Lampedusa Giusy Nicolini, alla fine del luglio 2014, tramite la sua Open Society Foundation, per sottoscrivere un protocollo d’intesa con il comune (27)? Il progetto, della durata di sei mesi, aveva come obiettivo dichiarato “la lotta alle discriminazioni razziali e la diffusione dell’accoglienza”, e il “potenziamento delle capacità esecutive del comune di Lampedusa” per favorire “la popolazione e i suoi ospiti”, in un paese che si definisce operante “in uno stato emergenziale cronico”. Uno scopo filantropico nella mission e nei fatti, dato che l’intervento del miliardario statunitense, e del personale che si è occupato di sviluppare i progetti culturali e di raccolta delle “offerte di solidarietà”, è stato a costo zero per il comune.
Non sono stati previsti finanziamenti diretti o scambi in denaro, inoltre le donazoni ricevute per l’isola sono state indirizzate su conti correnti dedicati alla sola realizzazione di progetti per il territorio, cose ‘utili’ per la salute e i diritti umani dei migranti, come il festival internazionale Sabir.
La manifestazione, della durata di cinque giorni, organizzata da Arci, Comitato 3 ottobre e dal comune di Lampedusa, con il patrocinio dello Stato nella figura della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Rai, ha previsto dibattiti, eventi e spettacoli teatrali e musicali, con tematiche riguardanti la guerra, le frontiere, la democrazia, il lavoro, i diritti sociali ecc. e l’intervento di ospiti internazionali, europei, ma soprattutto mediterranei.
Conoscendo il personaggio, perché Soros ha sostenuto un simile progetto? Forse perché giusto poco prima, a giugno del 2014, l’accorto speculatore ha messo gli occhi su un pacchetto di ventuno palazzi del Fondo immobili pubblici (Fip) messi in vendita dallo Stato italiano, uffici ministeriali e dell’Agenzia delle Entrate, caserme e uffici della Guardia di finanza e dell’esercito (28). Se con una mano do, con l’altra prendo. In un modo o nell’altro, il capitale trova sempre il proprio profitto. Anche sulla vita dei migranti.
1) Servizio Pubblico, la manifestazione di Salvini: “Stop all’invasione”, Il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2014
2) Rapporto IOM “Fatal Journeys”, 29 settembre 2014
3) Ibidem
4) “Oxfam è una delle più importanti confederazioni internazionali nel mondo specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo, composta da diciassette organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi tremi – la partner locali in oltre novanta Paesi per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia”; cfr. www.oxfamitalia.org
5) Libia, almeno 10 migranti morti in un naufragio, Repubblica.it, 2 ottobre 2014
6) Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea
7) Immigrazione, parte l’operazione congiunta ‘Mos Maiorum’, comunicato stampa Ministero dell’Interno, 15 ottobre 2014
8) A. Mangano, Violentate nel silenzio dei campi a Ragusa. Il nuovo orrore delle schiave rumene, L’Espresso, 15 settembre 2014
9) Ibidem
10) Testimonianza riportata nel video del Tg2
11) Ibidem
12) M. Bellingreri e A. Mangano, Bambini migranti? Trattati come pacchi postali, L’Espresso, 21 ottobre 2014
13) Ibidem
14) M. Sasso e F. Sironi Chi specula sui profughi, L’Espresso, 15 ottobre 2012
15) Ibidem
16) Ibidem
17) Ibidem
18) E. Farris, Immigrazione: truffe, inesperienza e mala gestione nell’accoglienza, Il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2014
19) G. Pipitone, Lampedusa, riapre il centro migranti. A dirigerlo il suocero del fratello di Alfano, Il Fatto Quotidiano, 4 ottobre 2014
20) G. Pipitone, Lampedusa, suocero di Alfano jr rinuncia a dirigere il Cpsa dopo l’articolo del Fatto, Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2014
21) Cfr. Davide Corbetta, Il business dei rifugiati politici con i soldi dei Fondi europei. La Pizzarotti e il Villaggio della Solidarietà di Mineo, Paginauno n. 23/2011
22) G. Pipitone, Lampedusa, riapre il centro migranti. A dirigerlo il suocero del fratello di Alfano, art. cit.
23) R. Cosentino e A. Mezzorama, Milioni sulla pelle dei rifugiati, L’Espresso, 6 maggio 2014
24) Ibidem
25) Cfr. Davide Corbetta, art. cit.
26) George Soros, lo speculatore (non) pentito: «Giusto l’attacco all’Italia del 1992. Noi solo messaggeri di cattive notizie», L’Huffington Post, 12 luglio 2013
27) P. Messina, Il miliardario che vuole aiutare Lampedusa. Il progetto di Soros per l’isola dei migranti, L’Espresso, 9 settembre 2014
28) Il finanziere Soros vuol comprarsi caserme e uffici pubblici italiani, Wall Street Italia, 10 giugno 2014