Gli anni Ottanta e la corruzione: la normalità delle mazzette ricostruita da un protagonista dell’epoca
Milano 2012, Pio Albergo Trivulzio. Un’auto entra nel parcheggio; ad attenderla c’è un drappello di persone. Appena sceso, Ignazio La Russa viene accolto da vigorose strette di mano. Mescolatosi al gruppo di persone, l’ex missino viene inghiottito dall’edificio e comincia il suo giro lungo i corridoi e i piani, dentro il ricovero per anziani che i milanesi chiamano Baggina.
Lo scrittore osserva la scena: accanto a lui c’è un uomo, è lì per fargli da Virgilio. Indica l’auto e dice: «Tel chi il balilla! Ogni tanto arriva insieme al Romano, questo è un po’ un loro feudo. Fino a non molto tempo fa non c’era il reparto di odontoiatria, facevano giusto qualche visita e poco altro. Adesso c’è un intero reparto dove il primario è il cognato di Ignazio, e un nipote (suo figlioccio, si dice) fa il medico. Qui dentro c’è anche un reparto pagato da Berlusconi, il ‘Mamma Rosa’, che a tutti gli effetti è un albergo a cinque stelle, con armadi firmati, tutte robe di marca, mica robetta. Dopo ti porto a vederli. Una volta per piantare un portasapone hanno bucato un tubo: immediatamente sono arrivati gli operai ad aggiustarlo, il che è un bene. Peccato che in un altro reparto ci sono bagni che non funzionano da un sacco di tempo. E dentro ci sono anziani in carrozzella. Il buon Ignazio quando viene qui un salto dagli ospiti del Mamma Rosa lo fa volentieri, negli altri reparti non l’ho mai visto entrare. (Ridacchia) Tranne ovviamente che in odontoiatria.»
Nel frattempo il piazzale si è svuotato. L’informatore dà di gomito allo scrittore: «Te ne racconto una così ti faccio ridere» dice. «Questa con i mattoncini marrone è la palazzina dirigenziale. Nuova. Invitano il presidente delle onlus dei disabili, non ricordo il nome, ma uno importante. Tutti contenti dell’evento fissato per il 14 agosto. Peccato che il 13 qualcuno si accorge che c’è il montascale, c’è l’ascensore idoneo, c’è tutto tranne un piccolo particolare: la rampa d’accesso per i disabili. Così si sono dati da fare in fretta e furia e hanno fatto la rampa promettendosi che sarebbe dovuta durare due o tre giorni al massimo per l’occasione ed evitare figure, e poi l’avrebbero costruita bene. È ancora lì dopo quasi tre anni. (Ride) Va beh, vieni, andiamo giù.» I due si spostano e scendono sotto terra. Lo scrittore lascia cadere un piccolo registratore dentro il taschino della camicia del suo informatore. Adesso gli cammina accanto, alla sua sinistra: «Così, se parli guardando me la registrazione viene bella chiara.» Perfetto, risponde l’uomo.
«Sai, per scrivere il mio romanzo ho pensato che fosse giusto tornare qui, dove l’inchiesta Mani pulite ha avuto inizio. A farmi un’idea di come funzionino le cose a vent’anni dall’arresto di Mario Chiesa.» L’informatore sorride e gli dice che da quel che ne sa lui le cose sono cambiate. Non girano più tangenti. «Allora era una regola talmente diffusa che tutto passava solo per tangenti. Oggi non è così. Le tangenti sono sicuramente molte meno, ma sono più care, e lo scambio passa attraverso favori, come chiedere all’impresa di fare dei lavori in casa che non saranno mai pagati…» «O pagare la vacanze, o pagare la casa…» butta lì lo scrittore. «Eh…» risponde l’uomo, strizzando l’occhio. «Riguardo agli appalti,» prosegue, «devi tenere conto che l’ente può dare direttamente il lavoro, evitando la gara, fino a un massimo di 20.000 euro. Ci sono ditte qui dentro che lavorano bene già da qualche anno, per cui non avrebbe senso correre il rischio di cambiare fornitore solo perché ottieni un prezzo più basso. Insomma, è anche giusto: il fornitore devi anche un po’ conoscerlo. Alle volte, allora, per evitare la gara si spacchetta l’ordine. Se costa troppo, ok, non si può fare, però, se costa 100 mila euro, ecco che vengono fatti cinque ordini: un ordine di fornitura di piastrelle, uno di serramenti, e così via. In questo modo l’azienda-amica porta a casa comunque i soldi, però spacchettati.
«Ti faccio un esempio. Vedi queste piastrelle del pavimento? Le fughe tra una piastrella e l’altra sono tutte rovinate. Un anno e mezzo fa, fare questo pavimento e quello di là, e fare il collegamento tra i due, è costato 100 mila euro. Questa era una lucidatura che andava fatta a piombo normale, e avrebbe resistito. È durata un giorno: alla sera era tutto perfetto, le fughe bianche stuccate bene, guarda adesso che disastro. Non è nemmeno colpa dell’impresa – detto tra virgolette – ma dal responsabile della manutenzione che ha preso il lavoro solo perché l’offerta era bassa. Adesso il funzionario lo hanno allontanato, adesso si occupa di conti e c’è da sperare che coi numeri acchiappi un po’ di più. Ecco, questo è il classico caso di soldi buttati.
«Il problema è alla base, perché non vengono piazzati dei tecnici che se ne intendano. Se uno si occupa di manutenzione deve essere un tecnico, capace, deve capire, individuare. Qui invece arrivano per conoscenza, per agganci anche politici. Per esempio, ora, a gestire tutto il dipartimento di manutenzione c’è un personaggio che viene da Pirelli Real. Un immobiliarista. Lo si può concedere per la gestione del patrimonio, però come gestore della manutenzione è difficile dire cosa ne possa sapere. Il fatto è che nemmeno si avvalgono di consulenti: decidono di testa loro.»
L’informatore guarda lo scrittore e sorride. Gli dice che, se fa il bravo, dopo lo porta a vedere il figlioccio di Ignazio: «Prima però ti porto alla chiesa, vedrai. Tra poco lì crolla il soffitto. C’è anche la relazione scritta di un esperto che lo dice, ma in direzione non sembrano molto preoccupati di questo. Lì dentro è tutto fatiscente. Crepe dappertutto, la parete ha colori diversi da un metro all’altro, e il pavimento… le piastrelle sono di eternit. Sono di amianto. Il primo lavoro da fare sarebbe rimuoverle. È vero che è abbastanza compatto, ma sempre di amianto si tratta. La curia dice che i lavori li deve fare il Trivulzio, e il Trivulzio dice: io ce l’ho ma è cosa vostra. Che il Signore li protegga entrambi, è proprio il caso di dirlo.» Ride.
La decisione di scrivere un ‘romanzo mai scritto sugli anni Ottanta’ gli è venuta assistendo ai rivolgimenti politici degli ultimi anni. La mancanza di un pensiero politico ha contribuito a creare un antagonismo molto simile a quello che ha buttato giù la prima Repubblica: da una parte i politici, molti dei quali presenti all’epoca del tonfo, anche se in seconda e terza fila e in veste di portaborracce; e dall’altra i sostenitori dei magistrati, gli anticasta, contro una politica dei corrotti. La convinzione di quest’ultimo blocco sociale – di quelli che hanno nella destrorsa triade giustizialista Grillo-Travaglio-Saviano il loro riferimento – è che possa esistere, in un sistema di tipo capitalistico, un Potere (nella sua forma una e trina: politico, economico e giornalistico) in grado di governare in piena legalità. Come se chiunque prenda in mano lo Stato non dovesse decidere se stare con i grandi Capitalisti (che da sempre proteggono la ricchezza muovendo ognuno i propri burattini politici) o con la massa di salariati, oggi mai tanto depredati dai padroni storici dell’Italia; come se una volta conquistato il Parlamento, fosse possibile rimanere neutrali.
La prima Repubblica italiana ha terminato il suo corso nel 1992, in quella manciata di giorni passati tra l’arresto a Milano di Mario Chiesa (17 febbraio), pescato con la tangente in mano, e l’esecuzione a Palermo di Salvo Lima (12 marzo), il viceré democristiano ucciso perché Cosa nostra si era sentita tradita da Andreotti. Da un polo all’altro dello Stivale, le due colonne su cui l’economia si era appoggiata a partire dal primo dopoguerra si mostrarono improvvisamente con vivida eloquenza: corruzione e mafia.
Oggi quelle due colonne sono ancora in piedi, fosforescenti e più robuste di prima. La cosiddetta fine delle ideologie le ha fortificate, contribuendo a modificare geneticamente i partiti, trasformandoli in comitati d’affari e in biechi servitori del potere economico. Caligola aveva incoronato il cavallo per dimostrare che l’impero romano era così autosufficiente da potere essere governato da chiunque. Se guidi un mezzo, devi guidarlo come a quel mezzo compete. Se chiami un meccanico ad aggiustare il motore, i cambiamenti lo porteranno a funzionare meglio. Mani pulite ha svolto la funzione del meccanico.
Lungi dal curare l’Italia dalla sua malattia storica, ha permesso al Capitale di ripulirsi dalle scorie legate alla vecchia partitocrazia organizzata per gestire lo scontro Est-Ovest, e di ‘rimodernare’ i propri programmi nell’ottica di un Parlamento privo di ogni forma di opposizione al sistema. Ne è sorto il fiore del secondo millennio: Silvio Berlusconi e la nuova forma politica di cui è stato portatore: il conflitto d’interesse. Il pool di magistrati che ha scoperchiato Tangentopoli è stato l’involontario traghettatore di tutti i vizi della politica e dell’economia italiana, dalla terra del prima alla terra del poi.
La Storia degli anni Ottanta non l’hanno scritta i giudici e non l’hanno scritta i loro agiografi. Libri e articoli su quel periodo riducono a una sequela di dati, di arresti, di accuse, di suicidi, di patteggiamenti, di cifre, secondo il modello del giornalismo di oggi, ridotto a cronaca giudiziaria. Ma la vita vera che pulsava in quegli anni non è mai stata raccontata. Quella Storia avrebbe potuto raccontarla solo la narrativa, nel momento in cui avesse rinunciato a condannare senza capire le influenze sociali che hanno caratterizzato quell’epoca.
È il Romanzo la scienza delle relazioni, l’unica forma di racconto capace di mostrare, di aiutare la gente a capire come funzionano determinate dinamiche sociali. L’informatore lo dice chiaro allo scrittore: «Io ero inseguito dagli amministratori che mi bloccavano per strada e mi dicevano di essere socialisti. Volevano essere presentati a qualcuno e volevano che lo facessi io. Il bello è che io non ero socialista. Ma questo nemmeno era importante: il colore politico non era in questione. I magistrati non hanno mai nemmeno tentato di colpire un sistema, e se oggi possiamo dire che l’unico a pagare dei vertici politici di allora è stato Craxi, lo si deve al fatto che l’unica cosa che stava loro a cuore era che chi entrava nei loro uffici facesse il suo nome. Gli altri non hanno avuto bisogno di scappare. Perché alla fine, le uniche domande vere non ce le ha mai rivolte nessuno. Nessuno ha mai chiesto perché lo facevamo tutti. Perché eravamo così tanti.»
Ma, pensa lo scrittore, questa non è una domanda che possano porsi i giornalisti di cronaca giudiziaria, o gli editorialisti che interpretano i fatti per raggiungere una verità di comodo. Altrimenti sarebbero costretti ad ammettere che la corruzione è parte integrante del capitalismo. Anzi, è l’anima stessa del capitalismo.
Negli anni Ottanta la politica italiana si era data il compito di abbattere le ultime resistenze di piazza. I sindacati, durante i 35 giorni di occupazione operaia della Fiat, avevano svolto per benino il loro dovere nei confronti degli Agnelli, vendendo a una canzone le ultime resistenze del movimento operaio. Quattro anni dopo, Berlinguer, autore di una svolta politica con la quale aveva ripudiato l’entrismo degli anni Settanta, muore lasciando il posto ai miglioristi – di cui Giorgio Napolitano era uno dei principali esponenti – che in seguito hanno banchettato bellamente sul cadavere degli operai. Nello stesso periodo, il quadrupede anglofono Thatcher-Reagan conduceva l’Occidente nella trappola neoliberista e avviava l’era dello smantellamento dello stato sociale e dello sfruttamento all’osso dei lavoratori.
A questa stregua, lo scrittore, prima di cominciare a scrivere deve partire dal presupposto che la morale capitalistica altro non è che l’apoteosi della prevalenza dell’interesse privato. E che il quadrupede anglofono ha propagandato per tutto l’Occidente il culto dell’immagine, l’individualismo e il mito dei soldi facili. Gli anni Ottanta e le persone formatesi in quel decennio sono stati il prodotto di questo mantra. Scrittori compresi che, in quel vortice vuoto, hanno sguazzato, riducendo la narrativa a mero intrattenimento e guadagnandone, guarda caso, in termini di immagine e di soldi. Essendone il prodotto, non sono in grado di confrontarsi con quella stagione.
Restituire vita alla vita è il compito di un narratore. Lavorare sui piccoli gesti, mostrare le emozioni, le paure di un uomo che nasce privo di capitale sociale, in una famiglia dove i soldi sono stati sempre tirati, che il primo letto lo ha avuto a diciotto anni perché il padre ha vinto 70.000 lire al totocalcio, senza i quali mai avrebbe potuto comprarlo; un uomo che da piccolo ha sempre sognato una Mercedes, al punto di rendere chiodo fisso il desiderio, e che a un dato momento della sua vita corona il sogno entrando in una concessionaria, con milioni di lire a disposizione sul conto corrente.
Forse proprio questo è il limite dei vari resoconti giornalistici sugli anni Ottanta: l’avere parlato della corruzione limitandosi a notificare quella dei partiti e dei capitani d’industria, della loro collusione, dimenticando per strada che la storia è più reale quando si verticalizza l’analisi, se si mostrano i dispositivi attraverso cui le scelte politiche instaurano nel corpo della popolazione una determinata conformazione mentale per condizionarne il modo di agire. Per questo tocca alla narrativa far sentire la propria voce, raccontare le storie di miriadi di persone simili a quest’uomo. Perciò lo scrittore lo sceglie come protagonista del suo romanzo sugli anni Ottanta.
Un uomo venuto dal nulla, un uomo ritrovatosi un giorno della sua vita nell’ufficio di Craxi e che, qualche anno più tardi uscirà furente dalla filiale di una banca e chiamerà al telefono il presidente del più grande gruppo bancario dell’epoca; un uomo che ha brigato con uomini che oggi, nel 2012, vengono indicati dai media come modelli d’italiano vincente, che pure a quell’epoca sono stati protagonisti d’inchieste, in appello scagionati con tante scuse. Uomini usciti dalla tempesta giudiziaria, tra gli onori della cronaca, a testa alta, e che pure erano lì, seduti insieme all’informatore, in riunioni, coinvolti nel cosiddetto malaffare, in seguito assolti dal tribunale e, di conseguenza, dalla Storia: «Uomini che con Craxi hanno mangiato, che grazie a lui si sono arricchiti e che, una volta scoppiato il casino, gli hanno girato le spalle allontanandosi fischiettando con le mani sporche affondate nelle tasche. Prova a leggere la loro pagina su Wikipedia. Assolti con i risarcimenti dello Stato. Candidi e puliti come puttini.»
Parlando con alcuni protagonisti dell’epoca, lo scrittore ha notato che nei vari scambi di denaro, nelle valigette gonfie di milioni che partivano da un casello dell’autostrada a un altro, nelle gare di appalto pilotate, non c’era la sensazione di compiere un reato, bensì l’adesione a una regola di scambio consolidata e perpetuata da tutti. Tutti collegati da uno stesso filo. Ungere qualcuno era necessario per poter lavorare, ma veniva fatto senza che questo venisse considerato un problema. Quasi ci fosse una conformazione naturale, psicologica, un’osmosi tra l’individuo e la società dentro cui questi si trovava a vivere. Fino a diventarne un ingranaggio. Anche perché la posta in palio rendeva conveniente l’investimento.
Permetteva di aderire perfettamente al modello imperante non solo da un punto di vista economico, ma anche umano: «Ricordi? Immagine, individualismo e soldi facili. Come diceva quell’altro scemo? Lo yankee. È il mercato, bellezza.» Individuo, eppure… è incredibile notare come negli anni Ottanta il Potere sia stato capace di creare un mostro sociale nella forma di paradosso: l’individualismo come forma di massificazione, vigente ancora oggi.
Il romanzo che sta per nascere dovrà essere costruito per rispondere alla domanda che nessuno storico e nessun magistrato ha mai rivolto ai protagonisti dell’epoca. Probabilmente perché la risposta era implicita nella consequenzialità della dinamica azione-conseguenza. La verità tipica dei tribunali, che scarica l’intera responsabilità sull’individuo. Il movente? Il denaro. Lo scrittore si chiede se verrà mai il giorno in cui un processo non si accontenterà più di dare risposta alla domanda sul movente e chiederà di conoscere anche le influenze che quel movente hanno prodotto. Così da portare alla sbarra la società vigente, l’ordine costituito. Fino ad allora, la terra di nessuno dell’influenza sociale toccherà al narratore dissodarla e analizzarla per comprendere la natura dei suoi frutti. E i calli sulle mani saranno le medaglie al suo valore di scrittore.
Secondo l’ormai consueto inizio in medias res, a casa del protagonista una sera squilla il telefono. All’epoca non esistevano i cellulari, e questo telefono è un classico apparecchio grigio a disco. L’uomo risponde con carta e biro in mano. Aspettava questa telefonata.
Una voce mai sentita prima pronuncia un nome che non è il suo. “Mi sa che ha sbagliato numero”. E dall’altra parte: “Ah, mi scusi, ma questo non è il…” e snocciola il numero telefonico sbagliato che l’uomo prontamente appunta sul foglio. La telefonata si chiude, l’uomo apre un cassetto, ne estrae un sacchetto pieno di gettoni, esce di casa ed entra in una cabina telefonica. Digita il numero che si è appena appuntato. Dall’altra parte, una voce che non conosce gli dice: “Domani mattina alle 7.30 presentati qui con un offerta pari a… e un ribasso del 12,28”. Dopodiché l’informatore, di cui il protagonista del romanzo è l’alterego, si presenta puntuale e si aggiudica l’appalto. «Guarda che succede ancora oggi, non ti credere. Anche se sigillano le buste con la ceralacca non è difficile aprirle se hai una pentola e dell’acqua da far bollire. Poi le richiudi con dell’Attack e non resta alcuna traccia, nessuno se ne accorge…»
Il romanzo mai scritto sugli anni Ottanta (parte 2/3), Walter G. Pozzi
Il meccanismo degli appalti, il microsistema e i parassiti delle tangenti, raccontati da un protagonista dell’epoca
Il romanzo mai scritto sugli anni Ottanta (parte 3/3), Walter G. Pozzi
La complicità di banche e imprese di Stato nel giro dei fallimenti e delle tangenti, raccontata da un protagonista dell’epoca