Elogio del margine. Scrivere al buio, bell hooks, Maria Nadotti, Tamu Edizioni, 260 pagg., 16,00 euro
Una giovane casa editrice ci racconta il tempo presente pubblicando due saggi di circa vent’anni fa: Elogioal margine, raccolta di articoli di bell hooks curata e tradotta da Maria Nadotti, e Scrivere al buio, trascrizione di un’intervista di Maria Nadotti a bell hooks risalente agli anni ’90. Il frutto di questa operazione editoriale è una riflessione profonda e attuale sul concetto di marginalità. Partendo dal pensiero femminista, il saggio dimostra come il sessismo non possa essere considerato in maniera disgiunta dalla complessità in cui si incardina, complessità che bell hooks sintetizza provocatoriamente nella definizione “white supremacist capitalist patriarchy”. Classe, razza e sesso sono infatti categorie inscindibili e qualsiasi lotta di liberazione che ignori la loro reciproca relazione porterà a una mera redistribuzione delle carte già presenti sul tavolo senza generare una visione più alta che possa rivelarsi autenticamente inclusiva. È ammettendo le contraddizioni del vissuto e non chiudendosi in una sola delle sue parti che si può dare voce al margine e trasformarlo in un luogo di resistenza. (M. Farina)
Sognare la terra, Fabrice Olivier Dubosc, Edizioni Exòrma, 174 pagg., 15,50 euro
In un’epoca contrassegnata dalla parola ‘crisi’, l’etnoclinico Dubosc si interroga sulle ragioni di questo fenomeno e sui possibili scenari futuri. Attraverso un approccio olistico che chiama in causa discipline come la filosofia, l’antropologia e la psicologia, l’autore analizza la scissione identitaria causata dal sistema economico neoliberista. È infatti l’alterazione culturale dovuta a tale modello economico a spingere l’essere umano a pensarsi in termini disgiunti dal contesto in cui vive con conseguenti squilibri e rotture. Ragionare in termini di possesso piuttosto che di condivisione determina anche una difficoltà a pensare soluzioni alternative con una conseguente crisi di immaginario circa un possibile cambio di paradigma. Il risveglio di una nuova capacità di pensare il nostro modo di abitare il mondo è comunque possibile e passa attraverso un recupero della memoria passata, ma non a fini nostalgici bensì per rammentare l’esistenza di paradigmi diversi e adoperare questa consapevolezza per immaginare creativamente il futuro, imparando a sognare il mondo nelle sue molteplici relazioni invece di continuare a sognare semplicemente se stessi. (M. Farina)
La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han, Edizioni Nottetempo, 144 pagg., 15,00 euro
In un tempo sociale atomizzato e sottomesso a una produttività forzata, ha ancora senso parlare di riti? È questa una delle prime domande che sorgono leggendo l’ultimo saggio del filosofo coreano Byung-Chul Han. La ritualità a cui fa riferimento l’autore, infatti, non è quella individuale e spesso a carattere compulsivo che abbonda nella contemporaneità, ma quella che trascendendo l’Io si fa portatrice del senso di appartenenza alla comunità e che attraverso la celebrazione di azioni simboliche riflette i valori che la sorreggono. Il riferimento è dunque alle pratiche inclusive che permettono di valorizzare e celebrare l’intersoggettività e di riconoscersi in essa non in quanto individui ma in quanto componenti di un tutto, ricollegandosi a un contesto che la contemporaneità tende a svuotare di forza e significato. La riflessione condotta non assume però i toni di una rievocazione nostalgica dei riti, ma lavora sulla cronostoria della loro scomparsa per analizzare le patologie e i nodi dell’oggi e indagare sull’erosione del senso di comunità, riflettendo sulla possibilità di un percorso di liberazione dalla spirale del narcisismo collettivo. (M. Farina)