Insicuri da morire, Ass. Società Informazione Onlus (a cura di), Milieu, 136 pagg., 13,00 euro
“Gli incidenti non accadono ma si producono”. Il primo dei Quaderni dei Diritti Globali – iniziativa legata al ventesimo anno di pubblicazione del Rapporto sui Diritti Globali – non poteva che occuparsi delle morti sul lavoro: l’urgenza è scritta nei numeri degli infortuni e delle malattie professionali che si continuano a registrare nel mondo e, soprattutto, nelle loro comuni caratteristiche, sottolineate in tutti gli interventi di questo Quaderno collettivo. Innanzitutto non sono ‘incidenti’: nella maggior parte dei casi sono prevenibili con investimenti nella sicurezza, che le aziende riducono o eliminano in nome del profitto; la precarietà poi li favorisce, con il suo portato di incertezza, ricatto e formazione insufficiente, a cui si aggiungono l’aumento dell’orario di lavoro e la dinamica dei subappalti; anche l’impunità – di fatto se non di diritto, per insufficienza normativa e mancanza di controlli – li produce, mentre i media li naturalizzano. Il risultato è che ci siamo assuefatti, dimenticando che la causa è sistemica e la responsabilità sia economica che politica. Tra analisi, dati e interviste il Quaderno percorre settori e Paesi, e affermando che “il diritto di chi lavora alla sicurezza, alla salute, alla vita deve essere considerato, e tutelato, come un diritto umano fondamentale”, chiama le morti del lavoro con il loro nome: “omicidi”.
Droghe e diritti umani, Ass. Società Informazione Onlus (a cura di), Milieu, 202 pagg., 15,00 euro
La “guerra alla droga” è una guerra. Lanciata nel 1971 da Nixon è divenuta l’approccio dominante perfino dell’ONU, che ha elaborato strategie basate sulla repressione. I dati globali del 2021 parlano di 2,5 milioni di persone in carcere (una su cinque) per reati connessi alla droga, il 22% per uso personale; 35 Paesi prevedono la pena di morte, una esecuzione su tre è stata per droga e almeno 3.000 persone sono nel ‘braccio della morte’. Il punto è che la guerra non è alla sostanza ma a chi ne fa uso, ed è la guerra stessa a produrre violazioni dei diritti umani: “Omicidi, torture, arresti di massa, inosservanza di regole e garanzie, riduzione o annullamento delle libertà, leggi eccezionali, conferimento di poteri abnormi e incontrollati alle polizie, impunità per i responsabili di tali crimini”. A essere violati sono il diritto alla vita, alla salute, all’accesso alle cure, a non essere discriminati… l’elenco è lungo. Mentre le politiche di Riduzione del Danno faticano a imporsi come standard, e ancor meno la legalizzazione e il concetto dei “Diritti dei consumatori di droghe”. Tra analisi e dati questo lavoro offre non pochi spunti di riflessione e cambi di prospettiva a chi è abituato alla criminalizzazione; perché non si tratta di approcciare la questione in modo più umano ma “di scrivere le politiche sulle droghe avendo i diritti umani come linea guida e limite”.
Dopo l’Ucraina, Ass. Società Informazione Onlus (a cura di), Milieu, 160 pagg., 15,00 euro
Se vogliamo essere coerenti quando parliamo di diritti umani, “la guerra non è altro che un insieme di crimini”; dunque fuorilegge dovrebbe essere la guerra stessa e ciò che vi si collega, come la produzione di armamenti e la speculazione finanziaria. E che facciamo poi con i “crimini di pace”? Le stragi, le detenzioni e le torture contro i migranti, le violenze causate dall’estrattivismo, dall’agribusiness e dal land grabbing: non servirebbe anche qui un tribunale internazionale? Cambiare prospettiva è il passo di questo lavoro collettaneo. Passo necessario, perché sui crimini di guerra e l’impotenza a perseguirli delle Corti internazionali molto è già stato detto; certo serve ribadirlo, ma anche rovesciare lo sguardo. E quindi occorre analizzare i crimini di guerra come “crimini di Stato” e riflettere sul “paradosso della legittimità” che ne consegue; esaminare come sia accaduto che la Corte penale internazionale non abbia indagato gli Stati Uniti per crimini di guerra in Afghanistan e un giornalista, Assange, sia in un carcere di massima sicurezza per averli denunciati; occorre infine parlare del Tribunale Permanente dei Popoli, quella tribuna che dà voce e va oltre il limitato “diritto di punire-sanzionare” – di fatto espressione dei più forti – e pone “al centro del Diritto i soggetti del diritto, non le vittime delle violazioni”.