Frontex e Italia vs Ong e migranti: la strada aperta da Minniti su cui corre Salvini: l’accordo con la Libia, le accuse di Frontex, la magistratura mediatica e il Codice per le Ong
La sera del 18 marzo scorso una nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms viene sequestrata dalla polizia italiana nell’ambito di un’inchiesta aperta dalla procura di Catania. L’organizzazione umanitaria, impegnata nel soccorso in mare di migranti al largo della Libia, è accusata di un reato molto grave: associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tre persone dell’equipaggio, tra cui il capitano Marc Reige e la capomissione Anabel Montes, ricevono un avviso di garanzia: “Gli spagnoli sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per non aver riconsegnato ai guardacoste libici i migranti soccorsi il 15 marzo 2018 e per non aver interrotto i salvataggi, perché secondo la centrale operativa della Guardia costiera di Roma i libici avevano assunto il coordinamento delle operazioni e reclamavano il controllo sulla zona di ricerca e soccorso. Sia per iscritto sia con una comunicazione verbale, i libici avevano comunicato a Roma che erano i coordinatori di tutte le operazioni in corso nelle acque internazionali tra Malta e la Libia”, riporta Internazionale (1).
Più specificamente, i volontari dell’organizzazione non governativa si sono rifiutati di restituire i 218 migranti soccorsi in tre distinte operazioni di salvataggio, avvenute in acque internazionali al largo della Libia, a una motovedetta della Guardia costiera di Tripoli che era arrivata nel frattempo e che minacciava l’uso dei kalashnikov. Ma la Proactiva non ha ceduto, ha puntato la prua verso nord e, dopo aver collaborato con le autorità maltesi alle procedure Medevac (Medical Evacuation, evacuazione medica) nei confronti di una madre africana e un neonato di tre mesi in gravi condizioni cliniche, ha fatto rotta verso la Sicilia con “l’unico scopo di approdare in Italia – si legge nel provvedimento – in attesa che la Guardia costiera italiana indicasse loro un luogo sicuro in cui attraccare” (2). Dopo quasi 48 ore d’attesa, questa località è stata individuata nel porto di Pozzallo.
In sintesi, una Ong è stata accusata di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver salvato 218 persone in acque internazionali, e per averle trasportate in un porto sicuro come vogliono le leggi marittime internazionali. Come è possibile?
L’accordo con la Libia
Il 2016 è stato un anno record in termini di salvataggi in mare, e di sicuro questa non è stata una buona notizia per il Partito Democratico dell’allora premier Gentiloni. Il problema dei migranti abbandonati nel Mediterraneo su natanti di fortuna costituisce infatti da tempo l’arma principale dei suoi avversari politici, contrabbandato sotto l’egida sempre vincente della ‘sicurezza’. Così, il 2 febbraio 2017 il governo italiano ha firmato con la Libia di Fayez Mustafa Serraj un “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana”.
Il testo parte con la solita premessa di buone intenzioni: “Nel riconoscere che il comune patrimonio storico e culturale e il forte legame di amicizia tra i due popoli costituiscono la base per affrontare i problemi derivanti dai continui ed elevati flussi di migranti clandestini” e “al fine di raggiungere soluzioni relative ad alcune questioni che influiscono negativamente sulle parti, tra cui il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante”, si rinnova “la ferma determinazione di cooperare per individuare soluzioni urgenti alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare”.
E quale sarebbero queste magiche soluzioni? I due governi intendono forse impegnarsi per affrontare i motivi che portano in Libia centinaia di migliaia di disperati da tutta l’Africa? No, risponde il memorandum, la risposta a tutti i problemi è “la predisposizione di campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei Paesi di origine, lavorando al tempo stesso affinché i Paesi di origine accettino i propri cittadini ovvero sottoscrivendo con questi Paesi accordi in merito”. Insomma, si tratta di imprigionare i migranti nel Paese di Serraj per poi rimandarli da dove sono venuti, beninteso senza “intaccare in alcun modo il tessuto sociale libico o minacciare l’equilibrio demografico del Paese o la situazione economica e le condizioni di sicurezza dei cittadini libici”.
A fronte del servizio di ‘custodia’ in territorio libico, l’Italia si impegna, fra le altre cose, a fornire “sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell’immigrazione illegale, in settori diversi, quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, la sanità, i trasporti, lo sviluppo delle risorse umane, l’insegnamento, la formazione del personale e la ricerca scientifica” (art. 1, B); a “fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla Guardia di frontiera e dalla Guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno (art. 1, C); a garantire “medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti illegali, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi” (art. 2, 2); e a formare “personale libico all’interno dei centri di accoglienza summenzionati per far fronte alle condizioni dei migranti illegali, sostenendo i centri di ricerca libici che operano in questo settore, in modo che possano contribuire all’individuazione dei metodi più adeguati per affrontare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani” (art. 2, 3).
Salta immediatamente agli occhi che gli impegni che l’Italia si assume sono tutt’altro che a costo zero. Come si prevede di assicurare una copertura finanziaria all’accordo? Il Memorandum non lo specifica, ma l’art. 4 rassicura che “la parte italiana provvede al finanziamento delle iniziative menzionate in questo Memorandum […] senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato italiano rispetto agli stanziamenti già previsti, nonché avvalendosi di fondi disponibili dall’Unione europea, nel rispetto delle leggi in vigore nei due Paesi”. Come questo possa essere possibile, sfugge a ogni umana comprensione.
Che l’accordo sia un modo elegante, come scriverà Alessandro Del Lago su Il Manifesto, per “scopare la questione dei migranti sotto il tappeto libico”, lo si intuisce facilmente. Ma il protocollo di intesa ha contraddizioni ben più gravi, che vengono velocemente a galla sulle due sponde del Mediterraneo.
In Libia il 14 febbraio un gruppo di giuristi, tra cui diversi ex ministri, presenta un ricorso di 23 pagine alla Corte d’appello di Tripoli sostenendo che il Memorandum è incostituzionale, innanzitutto perché prima di essere firmato non è stato approvato dal Parlamento libico e dal governo all’unanimità, come vuole la legge, e secondariamente perché implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli. Inoltre, l’avvocato Azza Maghur, un’attivista per i diritti umani, denuncia in un’intervista al Corriere della Sera che l’accordo tra l’Italia e la Libia è squilibrato: “L’Italia s’avvantaggia della fragile situazione libica e della pressione internazionale, trascura ogni obbligo morale stabilito dal diritto internazionale e dalle sue stesse leggi. Il problema delle migrazioni ora cade tutto sulle spalle d’una Libia lacerata dalla guerra, costretta a fronteggiare da sola questi sconvolgimenti”.
Inoltre, “la questione centrale è che i migranti, che già subiscono violenze, continueranno a patirne una volta rispediti in Libia. C’è il rischio altissimo di creare un clima di razzismo, con migliaia di detenuti in uno Stato che non ha polizia né esercito. Serraj non controlla nulla”. Infine, “non è specificato alcun tipo di contributo finanziario. Non s’indica nemmeno il numero dei centri di detenzione o quanti migranti possano contenere. La Libia non ha mai firmato la Convenzione del 1951 sui rifugiati, non ha sistemi di controllo, non applica le regole d’asilo. I migranti verranno reclusi per periodi infiniti, rispedirli qui significa condannarli ad abusi. Le autorità non riescono a bloccare le gang che violentano i libici: come possono proteggere i migranti?” (3)
Dubbi sulla legittimità dell’accordo sono sollevati anche in Italia. Secondo Paolo Bonetti, professore associato di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano Bicocca, il Memorandum non rispetta la Costituzione italiana, secondo la quale è il Parlamento che deve autorizzare con legge la ratifica dei “trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi” (art. 80 della Costituzione italiana).
Anche Bonetti evidenzia il problema della copertura economica: “Il Memorandum dice che non ci saranno nuove spese da parte dello Stato, tuttavia non è chiarito quale sarà l’impegno economico italiano. Questi sono oneri alle finanze che devono essere precisati e che di nuovo implicano una legge di autorizzazione alla ratifica, che deve essere approvata dal Parlamento”. Infine, secondo il costituzionalista, l’accordo viola la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, che è inderogabile per gli Stati membri dell’Unione: “Gli Stati nazionali non possono derogare a trattati internazionali con altri trattati internazionali. La Convenzione prevale su tutto il resto. L’Italia non può eliminare gli obblighi che comportano il divieto di trattamenti disumani e degradanti, e il divieto d’inviare i migranti in Stati dove subirebbero trattamenti inumani e degradanti (art. 3 della Convenzione)” (4).
Il report di Frontex
Le critiche non fanno nemmeno in tempo a essere assimilate che un’altra istituzione, questa volta transnazionale, interviene a versare benzina sul fuoco delle polemiche. Il 15 febbraio 2017 Frontex, l’Agenzia europea per le frontiere e la Guardia costiera, pubblica il rapporto “Risk Analysis for 2017” (5). Secondo il report, le operazioni di ricerca e soccorso (SAR, search and rescue), che sempre più spesso si svolgono vicino alle coste libiche, costituirebbero un pull factor – cioè un fattore di attrazione – che incoraggerebbe i migranti a intraprendere la traversata.
Come sopra evidenziato, nel 2016 il Mediterraneo centrale ha raggiunto il più alto numero di arrivi di migranti mai registrato dalle zone del Sub-Sahara, dell’Africa Occidentale e del Corno d’Africa: 181.459 individui, con un aumento del 18% rispetto al 2015. Questa porzione del Mare Nostrum è la via principale di accesso all’Europa per chi viene dall’Africa: in particolare, l’89% dei migranti arriva dalla Libia, e l’Italia è il principale punto di ingresso. Consapevoli di tutto ciò, la maggior parte delle Ong che compiono attività di SAR si è focalizzata sulle navi provenienti dalla Libia, come a chiunque di noi, volendo salvare il numero più alto possibile di vite umane, parrebbe assolutamente logico.
In passato, ricorda Frontex, i trafficanti davano istruzioni ai migranti affinché telefonassero al Centro di Coordinamento per il Soccorso in Mare (MRCC, Maritime rescue coordination centre), basato a Roma, per dare inizio alle operazioni di soccorso. Queste operazioni erano gestite soprattutto dalla Marina militare e dalle navi della Guardia costiera, mentre le Ong erano coinvolte in meno del 5% dei casi. Da giugno a ottobre del 2016, tuttavia, lo schema si è invertito: le chiamate al MRCC sono crollate al 10% e le operazioni di salvataggio gestite dalle Ong sono aumentate del 40%.
Da giungo 2016, riporta il rapporto Frontex, un “numero significativo di barche sono state intercettate o salvate da quelle delle Ong senza nessuna telefonata precedente di avvertimento e senza nessuna informazione ufficiale sul luogo del salvataggio. La presenza e le attività delle Ong vicino e, occasionalmente, all’interno delle 12 miglia di acque territoriali libiche sono quasi raddoppiate rispetto all’anno precedente, con un totale di 15 mezzi (14 marittimi e 1 aereo). In parallelo, il numero totale delle operazioni di salvataggio (definite dal rapporto incidents, ahinoi, n.d.a) è aumentato drammaticamente”.
Ergo, afferma Frontex, è la presenza delle Ong a causare i guai. Non la situazione politica nord-africana sempre più nel caos dopo le primavere arabe, non le guerre, non la fame, non le organizzazioni criminali che si avvantaggiano di questo stato di cose, ma le Ong. I trafficanti libici, si legge nel rapporto, “contano pesantemente sulla Convenzione internazionale per la sicurezza delle vite in mare (SOLAS), sulle operazioni di salvataggio e sugli sforzi umanitari di assistenza, e ne hanno fatto un preciso vantaggio tattico (‘a distinct tactical advantage’)”. “In questo contesto sia la sorveglianza che le missioni di salvataggio vicine, o entro le acque territoriali libiche influenzano la pianificazione delle attività dei trafficanti e agiscono da fattore trainante che aumenta le difficoltà di controllare i confini”.
In conclusione, “tutte le parti coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale aiutano pur senza averne intenzione i criminali a raggiungere i loro obiettivi con costi più bassi, rafforzando il loro modello di business e aumentando le loro chance di successo” (pag. 32).
Il discorso non fa una piega: se salvi i migranti i trafficanti vincono, se li abbandoni in mezzo al mare i trafficanti perdono. Quindi, “migranti e rifugiati, incoraggiati dai racconti di chi ce l’ha fatta in passato, tentano la pericolosa traversata, perché sono consapevoli di poter contare sull’assistenza umanitaria per raggiungere l’Unione europea”.
Insomma, più li si aiuta, peggio è. Viceversa, se le associazioni civili si disinteressassero di decine di migliaia di disperati disposti a tutto per scappare dalla loro condizione e li lasciassero morire in mare, Frontex controllerebbe i confini molto più agevolmente. E così, i colpevoli sono le Ong, a cui non si può dare ordine di stare alla larga dalle acque territoriali libiche o di ritardare le operazioni per evitare di “aiutare i trafficanti”.
La magistratura mediatica
Questa interpretazione agghiacciante della situazione riceve un’immediata attenzione non solo mediatica, ma anche giudiziaria: il 17 febbraio 2017, appena due giorni dopo la pubblicazione del rapporto, Carmelo Zuccaro, procuratore capo di Catania (dove casualmente si trova la sede operativa di Frontex in Italia), apre un’indagine conoscitiva sulle Ong che svolgono attività di ricerca e soccorso nel canale di Sicilia. Il 22 marzo Zuccaro dichiara che la procura, a partire dal settembre precedente, ha registrato un improvviso proliferare di unità navali delle Ong che “accompagnano fino al nostro territorio i barconi dei migranti”.
Intervenendo alla Camera alla seduta del Comitato di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, Zuccaro spiega: “Ci siamo voluti interrogare sulle evoluzioni del fenomeno e perché vi sia stato un proliferare così intenso di queste unità navali e come si potessero affrontare costi così elevati senza disporre di un ritorno in termine di profitto economico […] Il tutto con costi mensili o giornalieri elevati”. Insomma, come è possibile che ci sia qualcuno che voglia aiutare persone disperate senza guadagnarci nulla? Davvero una situazione inquietante. Zuccaro ha quindi concluso: “Ci si deve porre il problema di dove venga il denaro per sostenere costi così elevati, quali siano le fonti di finanziamento: sarà compito della successiva fase conoscitiva. Faremo verifiche ulteriori sulle Ong che portano migranti nel nostro distretto” (6).
Come è evidente, si tratta di semplici sospetti, e le Ong respingono en masse le accuse formulate da Frontex e dalla procura italiana, affermando di essere al centro di un processo di criminalizzazione, volto a ostacolare il lavoro di organizzazioni indipendenti che controllano quello che sta succedendo in Libia e nel Mediterraneo centrale, soprattutto dopo il Memorandum d’intesa stipulato con l’appoggio dell’Unione europea. Ma la macchina del fango ormai si è messa in moto, e nulla può più fermare la cavalcata delle valchirie anti-migranti. Di Maio e Salvini si ritrovano, per la prima volta, alleati nella battaglia comune.
Di Maio il 21 aprile inaugura con un post la campagna contro le Ong: “Chi paga questi taxi del Mediterraneo? E perché lo fa? Presenteremo un’interrogazione in Parlamento, andremo fino in fondo a questa storia e ci auguriamo che il ministro Minniti ci dica tutto quello che sa”, scrive l’allora vicepresidente della Camera, linkando un post apparso sul blog di Beppe Grillo dal titolo “Più di 8 mila sbarchi in 3 giorni: l’oscuro ruolo delle Ong private”.
“A me risulta che ci sia un dossier dei servizi segreti italiani che certificano i contatti tra trafficanti, malavita, scafisti e alcune associazioni – rincara Matteo Salvini il 30 aprile a In mezz’ora, su Raitre – se esiste questo dossier, ed è in mano al presidente del Consiglio Gentiloni e il premier lo tiene nel cassetto, sarebbe una cosa gravissima. Se esiste lo renda pubblico a tutti gli italiani e lo dia al procuratore capo di Catania”, intima il leader della Lega.
Nel frattempo, il modus operandi di Zuccaro ha però fatto drizzare le antenne al Consiglio superiore della magistratura: le dichiarazioni quotidiane del procuratore ai media nazionali sulla presunta collusione tra alcune Ong e i trafficanti di esseri umani, che si spingono fino ad adombrare il sospetto che le organizzazioni criminali libiche arrivino a finanziare alcune sigle umanitarie per finalità eversive, spingono il vice presidente del CSM, Giovanni Legnini, ad accertare le modalità con cui il procuratore capo di Catania sta gestendo l’indagine conoscitiva: ovvero, rilasciando un fiume di esternazioni.
Contro Zuccaro interviene il 2 maggio anche il procuratore di Siracusa Francesco Paolo Giordano, che smentisce davanti alla Commissione Difesa del Senato, presieduta da Nicola Latorre, le accuse del collega di Catania. Le sue parole sono chiare: “Non ci risulta, per quanto riguarda asseriti collegamenti obliqui o inquinanti con trafficanti, né per quanto riguarda Ong né parti di Ong. Non abbiamo avuto nessun elemento investigativo, eppure sono centinaia di persone” (7).
E arriva anche la presa di posizione di Medici Senza Frontiere (Msf), premio Nobel 1999 per la pace e proprietaria delle navi più grandi e attrezzate per le attività di SAR nel Mediterraneo: “Sulle Ong c’è stata una campagna strumentale e di manipolazione, siamo indignati – dice il responsabile del programma migrazioni Stefano Argenziano – non abbiamo nulla da nascondere ma assistiamo al rimbalzo costante di accuse e illazioni non supportate da alcuna prova indiziale”.
E il responsabile advocacy di Msf, Marco Bertotto, ribadisce: “Neghiamo con forza ogni forma di contatto o telefonate con trafficanti in Libia. Noi, per intervenire, prima di tutto contattiamo le autorità italiane, quindi ci coordiniamo con la Guardia costiera italiana che ci indica il porto di approdo”. “Non si fanno giochi politici sulla pelle delle persone, è osceno, disumano”, aggiunge il direttore di Amnesty International (8).
A questo punto il procuratore di Catania si sente in dovere di precisare, davanti alla Commissione del Senato, che “vi sono Ong che hanno dimostrato in maniera inequivocabile che operano per solidarietà, co-me Save the Children e Medici senza Frontiere”, ma in altri casi “ho la netta consapevolezza che la gestione del traffico dei migranti non avviene nel pieno rispetto delle regole. La elevata disponibilità di denaro che hanno alcune Ong costituisce un elemento di sospetto”.
Per quale ragione? Il procuratore non lo dice, come non chiarisce quali informazioni a disposizione della procura di Catania determinino questa “netta consapevolezza”, perché esse “non possono essere utilizzate processualmente”. “Le segnalo alla politica perché mi dia gli strumenti per poter provare quello che ho”, è il grido d’aiuto di Zuccaro che, senza nessuna prova a sostegno delle sue tesi, chiede l’autorizzazione a effettuare intercettazioni e la presenza della polizia a bordo delle imbarcazioni delle Ong: “Da parte di questo ufficio non si è più in grado di svolgere indagini di ampio respiro volte a contrastare il traffico di migranti clandestini. Non riusciamo a intercettare i facilitatori e i satellitari per avere gli elementi probatori necessari. Uno dei più grossi problemi è che non esiste polizia giudiziaria in acqua” (9).
Zuccaro sembra dunque alle strette, ma il giorno successivo, il 4 maggio, il Corriere della sera interviene per tirarlo fuori dai guai: esisterebbe un dossier segreto di Frontex secondo cui “nel 90% dei salvataggi eseguiti dalle navi delle Organizzazioni non governative nel 2017, le imbarcazioni coinvolte sono state individuate direttamente dalle Ong e soltanto in seguito è stata data comunicazione al centro operativo della Guardia costiera a Roma”. Peggio ancora, “sono i trafficanti che operano in Libia e la Guardia costiera operativa nell’area di Sabrata e di Az Zawiya a contattare direttamente le navi delle Ong che operano vicino alle acque territoriali della Libia”.
Di queste accuse, secondo il Corsera, la procura di Catania sarebbe già informata e Zuccaro avrebbe già dato il via alle indagini. Le associazioni respingono come “infamie” le contestazioni dell’organismo dell’Unione europea, specificando di aver “come unico obiettivo il salvataggio delle vite umane”, ma proprio su questo si concentrerebbero le verifiche disposte da Zuccaro, che appare ormai su tutti i media.
Talmente tante volte, e facendo accuse così disparate (“A mio avviso alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti e so di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune Ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”) che due Commissioni parlamentari (quella migranti e quella antimafia) decidono di sentirlo.
Sempre il 4 maggio, il CSM alla fine dichiara il suo sostegno a Zuccaro, ma nel contempo invita a definire “con urgenza” linee guida per i rapporti dei magistrati con i media e proposte “tali da consentire all’organo di governo autonomo di intervenire con efficacia, equanimità e tempestività, di fronte a condotte ed esternazioni di magistrati che si caratterizzino per gravi ed evidenti violazioni dei canoni di moderazione, continenza e riserbo in un equilibrato rapporto con i mezzi di informazione”, perché il tema “è divenuto ormai di indifferibile trattazione” (10).
Così, convocato a Montecitorio il 9 maggio, Zuccaro (dopo aver promesso di non concedere più interviste) fa una decisa retromarcia: afferma che la stampa ha “frainteso” le sue precedenti dichiarazioni e specifica che “soltanto un’ipotesi di lavoro mi consente di dire che vi sia qualche Ong che possa essere finanziata dai trafficanti”: infatti “non ho mai detto che avevo elementi probatori su questo” (11).
Di fatto, Zuccaro conferma quanto aveva dichiarato in un’intervista a Repubblica il 28 aprile: “Quando io parlo di prove intendo prove giudiziarie, da poter portare in un dibattimento. Queste prove non le ho, ma ho la certezza, che mi viene da fonti di conoscenza reale ma non utilizzabile processualmente”.
Che cosa significa? Inizialmente il procuratore aveva lasciato intendere che questa “certezza” gli derivava da rapporti dei servizi, ma il Copasir, l’organo parlamentare che sovrintende all’intelligence, ha subito smentito l’esistenza di report simili. Anche il misterioso dossier segreto Frontex pubblicato dal Corriere si è rivelato inesatto, come già era avvenuto in altre occasioni, quando episodi apparentemente ambigui denunciati dall’agenzia europea nei suoi documenti interni (poi finiti spesso in mano alla stampa) si sono rivelati delle esagerazioni.
Tra l’altro, insieme a Zuccaro viene sentito in Parlamento anche il sostituto procuratore di Trapani Andrea Tarondo, il quale dichiara esplicitamente – come il suo collega di Siracusa – di non avere alcun elemento per sospettare le Ong di complicità con i trafficanti: “Se una nave qualsiasi viene messa al corrente del fatto che c’è il rischio che un’imbarcazione possa naufragare ha il dovere di soccorrerla in qualsiasi punto e questo principio travolge tutto.
Insomma, per la legislazione italiana si potrebbe dire che viene commesso il reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina, ma non è punibile perché commesso per salvare una vita umana”. In altri termini, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare firmata dal nostro Paese il 20 gennaio 2014, prevale sulla legge italiana.
Ma intanto la calunnia è un venticello, che come si sa tende a ingrossarsi, e l’avvicinarsi delle elezioni rende le acque in cui navigano le Ong, è il caso di dirlo, burrascose. Lega e Movimento 5 stelle fanno a gara nel rilanciare e aggravare le accuse (non provate) rivolte alle organizzazioni dal procuratore di Catania, e i dati sulle intenzioni di voto danno loro ragione: secondo un sondaggio pubblicato il primo giugno 2017 da Index Research, il M5s è ormai diventato il primo partito italiano, superando il Pd di circa 3 punti percentuali. Inoltre, secondo le preferenze espresse dagli intervistati, un’alleanza M5s-Lega avrebbe – guarda un po’ – la maggioranza in Parlamento, con 329 seggi, mentre un’eventuale mix Pd-Forza Italia non arriverebbe alla soglia minima per governare (316 seggi), fermandosi a quota 301.
Il governo Gentiloni corre ai ripari: non si può permettere che i partiti antisistema intaschino tutti i voti assicurati dalla lotta ai poveracci.
Il Codice Minniti
E così il 4 giugno il ministro degli Interni Marco Minniti rilascia a Milena Gabanelli un’intervista in cui, a lei che chiede cosa stia facendo per “l’emergenza nazionale numero uno”, cioè l’immigrazione (lo so, non ci si crede), risponde che “la Commissione Senato ha prodotto un documento che verrà tradotto in un progetto operativo su come le Ong dovranno coordinarsi con la nostra Guardia costiera”, domandando in ogni ca-so alle associazioni la cortesia – e Minniti non sta facendo una battuta – di traghettare i salvati in mare in altri Paesi dell’Unione (12).
La bozza del “Codice di condotta per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in ma-re” (13), ribattezzato amichevolmente Codice Minniti, verrà illustrato al Consiglio dei ministri europei riuniti in sessione informale a Tallinn, in Estonia, il 6 luglio.
Il documento prescrive: il divieto assoluto di ingresso delle Ong nelle acque territoriali libiche, ove si può giungere solo in caso di evidente situazione di pericolo della vita umana in mare; l’obbligo di non spegnere i trasponder di bordo, cioè i sistemi elettronici di identificazione della rotta; l’obbligo di non effettuare comunicazioni telefoniche o segnalazioni luminose per agevolare la partenza e l’imbarco di natanti di migranti (dice il testo, “con l’intento di non facilitare i contatti con i soggetti dediti alla tratta e al traffico di migranti”); l’obbligo di non effettuare trasbordi su altre navi, italiane o appartenenti a dispositivi internazionali, salvo una conclamata situazione di emergenza, conducendo i migranti in un “porto sicuro” (in realtà Minniti avrebbe preferito impedire l’ingresso ai porti alle navi delle Ong, ma questa sarebbe stata una precisa violazione sia della Convenzione di Amburgo del 1979 e delle altre norme sul soccorso marittimo, sia della legge italiana sul diritto di asilo) (14);
l’obbligo di non ostacolare le operazioni di search and rescue della Guardia costiera libica entro le loro acque territoriali; l’obbligo di accogliere a bordo ufficiali di polizia giudiziaria per le indagini collegate al traffico degli esseri umani per svolgere “attività preliminari conoscitive e di indagine” (come chiedeva il procuratore Zuccaro); l’obbligo di dichiarare, coerentemente ai principi di trasparenza, le fonti di finanziamento dell’attività di soccorso in mare; l’obbligo di comunicazione degli avvistamenti di natanti e degli interventi in corso al Centro di coordinamento salvataggi in mare del proprio Stato di bandiera; l’obbligo di possesso della certificazione attestante l’idoneità tecnica alle attività di soccorso; l’obbligo di leale collaborazione con l’Autorità di pubblica sicurezza del luogo di sbarco dei migranti, fornendo tra le altre cose la documentazione circa le attività prestate e la situazione sanitaria a bordo; l’obbligo di trasmettere tutte le informazioni di interesse info-investigativo alle autorità di polizia italiane con contestuale consegna, di iniziativa e su richiesta, di ogni oggetto potenzialmente idoneo a costituire prova o evidenza di fatto illecito.
Infine, Minniti rende noto che “la mancata sottoscrizione del Codice di condotta o il mancato rispetto degli obblighi in esso previsti, potrà comportare il diniego da parte dello Stato italiano dell’autorizzazione all’ingresso nei porti nazionali, fermo restando il rispetto delle convenzioni internazionali vigenti”.
Appare chiaro fin dall’inizio che il codice di condotta non piace alla maggior parte delle Ong. Dopo la riunione decisiva del 31 luglio 2017, cui tra l’altro partecipano ben poche associazioni, solo Save the children e Migrant offshore aid station (Moas) appongono subito la propria firma; la spagnola Proactiva open arms si prende del tempo, ma dichiara che firmerà, mentre Jugend Rettet e soprattutto Medici senza frontiere affermano che non sottoscriveranno il testo: “Avremmo voluto che questo codice si aprisse sottolineando l’importanza dei principi umanitari, il principio di salvare vite per noi è fondamentale e questo non lo abbiamo ritrovato”, spiega il direttore generale di Msf, Gabriele Eminente; “Il problema per noi è che il codice di condotta prevede che la polizia giudiziaria salga a bordo con le armi di dotazione, e questo principio non lo accettiamo in nessuno dei settanta Paesi dove lavoriamo”, aggiunge.
Prima della riunione Msf aveva mandato una lettera al ministro dell’interno Minniti, spiegando la propria decisione e sperando in una modifica dei punti più controversi del codice, come il divieto di fare trasbordi. “Il codice di condotta prevede ancora il divieto di trasferire persone da una nave all’altra. Un sistema in cui i trasbordi sono vietati vuol dire potenzialmente rischiare di avere più morti in mare”.
I barconi di migranti partono a ondate, e in diversi casi fino a venti barconi per volta si sono trovati in urgente bisogno di soccorso: la capacità delle navi di soccorso più piccole di stabilizzare questi barconi in attesa che le navi più grandi imbarchino le persone è cruciale per salvare vite in mare. Inoltre, “le strategie messe in atto dalle autorità italiane ed europee per contenere le partenze dalle coste libiche sono, nelle circostanze attuali, estremamente preoccupanti […] La Libia non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga, né dal territorio europeo né dal mare” (15).
Ne conviene Amnesty International, che dopo qualche mese, a febbraio 2018, denuncia come migliaia di persone restino intrappolate nei campi di detenzione libici dove la tortura è all’ordine del giorno: “Un anno fa il governo italiano, appoggiato da quelli europei, ha sottoscritto un equivoco accordo col governo della Libia – ha dichiarato Iverna McGowan, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee – a seguito del quale migliaia di persone sono finite intrappolate nella miseria, costrette a subire tortura, arresti arbitrari, estorsioni e condizioni di detenzione inimmaginabili nei centri diretti dalle autorità libiche”.
“L’Europa – ha aggiunto – deve urgentemente porre il tema della dignità umana al centro delle sue politiche in materia d’immigrazione. Se l’Italia è al posto di guida, tutti i governi europei che cooperano con la Libia nel controllo delle frontiere hanno la loro parte di responsabilità per il trattenimento di migranti e rifugiati in centri dove si verificano violenze indescrivibili” (16). Gli fa eco Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il 12 maggio 2018: l’UNHCR sta moltiplicando i suoi sforzi in Libia per monitorare la situazione nei centri di detenzione dei migranti, ma le loro condizioni restano terribili, “in una situazione di frammentazione interna (politica, economica, sociale e tribale), purtroppo con ingerenze internazionali che complicano invece che risolvere” (17)
Una strategia vincente
Ma la strategia italo-europea ha avuto successo: il 2017 si è chiuso registrando il numero più basso di migranti giunti via mare sulle coste italiane da quando ha avuto inizio, nel 2014, il massiccio flusso di ingressi verso l’Europa: poco più di 119 mila, in diminuzione del 34% rispetto al 2016. Il numero degli arrivi ha invertito la tendenza a partire da luglio, con flessioni mensili dal 51 all’81% rispetto all’anno precedente (vedi Tabella).
Difficile non mettere in relazione il dato col fatto che la presenza di Ong nel Mediterraneo centrale è via via diminuita, fino ad arrivare a novembre più che dimezzata: ne rimanevano solo cinque, dotate di due grandi navi e di cinque imbarcazioni più piccole, tipo pescherecci. Save the Children è rimasta fino al 30 ottobre, poi la sua nave è rientrata in porto. Di Medici senza Frontiere è rimasto solo uno staff di 11 persone che opera a terra, in Libia.
Anche Moas ha levato le ancore: “Abbiamo firmato il Codice di condotta per rispetto del governo italiano e perché in esso sono state formalizzate gran parte delle richieste che prima ci venivano fatte in modo informale”, ha spiegato la fondatrice Regina Catrambone, ma “lasciamo le acque del Mar Mediterraneo, perché non vogliamo diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza a terra, in porti e luoghi sicuri in Libia”.
Restano solo le Ong Sos Méditerranée, Proactiva Open Arms, Sea Eye, Sea Watch e Mission Lifeline (18). Fra queste, Sos Méditerranée ha denunciato il 2 aprile 2018 che “le condizioni di salvataggio dei migrati sono divenute inaccettabili”: ormai si è costretti a negoziare in acque internazionali con la Guardia costiera libica, caso per caso, il diritto a soccorrere i migranti, in un clima d’urgenza e di tensione. L’associazione deplora che venga “data priorità al rinvio delle persone in difficoltà verso la Libia piuttosto che alla loro sicurezza”, e invita le autorità europee e internazionali “a chiarire urgentemente il quadro di intervento della Guardia costiera libica” (19).
Infine, il 17 aprile scorso si è chiuso anche il caso Proactiva Open Arms, citato a inizio articolo: il giudice per le indagini preliminari di Ragusa, Giovanni Giampiccolo, cui l’indagine è stata affidata dal gip di Catania Nunzio Sarpietro (che l’ha tolta a Zuccaro), ha disposto il dissequestro della nave della Ong spagnola.
Il giudice ha specificato che, nonostante “le condotte contestate si risolvono in una disobbedienza alle direttive impartite dalle autorità preposte al coordinamento dei soccorsi”, l’equipaggio della nave è stato giustificato in quanto ha agito per necessità. “Le operazioni di ricerca e soccorso – continua il decreto di rigetto del sequestro – non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro come previsto dalla Convenzione siglata ad Amburgo nel 1979”, cioè un luogo “dove la vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove è possibile fare fronte ai loro bisogni fondamentali, come cibo, riparo e cure sanitarie”. Queste condizioni non vengono rispettate in Libia, dove, “secondo informazioni disponibili […] avvengono ancora gravi violazioni dei diritti umani” (20).
Tutto bene quel che finisce bene? Pare di no. “Sia nelle carte del gip di Catania che in quelle del suo omologo di Ragusa, si sottolinea l’esistenza di una forte sinergia tra la Marina militare italiana e la Guardia costiera libica, con lo scopo di intercettare le barche dei migranti che lasciano le coste del Paese nord africano.
L’Italia è presente nel Mediterraneo con diverse navi dotate di elicotteri di monitoraggio, che sono spesso i primi ad avvistare navi in difficoltà. Una volta avvistata un’imbarcazione in pericolo, la nave italiana ne comunica la posizione alla centrale della Guardia costiera italiana, che a sua volta informa i libici […] Una politica omicida: per salvaguardare le proprie frontiere e ridurre gli arrivi, hanno accettato che le persone vengano trattenute a tempo indeterminato in luoghi dove sono sistematicamente violati i diritti umani, cioè i campi di prigionia libici” (21).
Il 14 aprile 2018 anche Il fatto quotidiano denuncia un cambio di strategia nel Mediterraneo centrale, “una svolta mai apertamente dichiarata, mai discussa a livello parlamentare, ma attuata sul campo dalla Marina militare e dalla Guardia costiera”. Il Comando generale delle Capitanerie di porto, attraverso un progetto finanziato dall’Unione europea con 1,8 milioni di fondi, intende creare una zo-na SAR per il Mediterraneo centrale sotto la competenza di Tripoli: questo passo sarebbe necessario per affidare all’autorità libica tutto il coordinamento delle operazioni in mare nell’area che attualmente è sotto il controllo italiano.
Ma “per chi fugge dalle guerre africane attraversando il deserto libico, dopo aver vissuto le torture dei centri di detenzione – più volte documentate dalle Nazioni Unite – gestiti dalle milizie o, a volte, dalle stesse autorità di Tripoli, l’approdo sicuro non può essere la Libia, soprattutto quando è potenzialmente riconoscibile lo status di rifugiato. In sostanza i profughi non possono essere respinti (principio del non refoulement, previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra) […] Il rimpatrio forzato dei migranti salvati in mare operato dalla Guardia costiera libica potrebbe diventare un problema serio per il governo italiano, già condannato nel 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per respingimento […] I naufraghi recuperati dai libici una volta tornati nel porto di Tripoli rischiano di diventare fantasmi.
“Non hanno notizie di quegli 89 rifugiati arrivati il 16 marzo i volontari e i cooperanti di una delle Ong italiane che operano nei principali campi di detenzione in Libia, il Cesvi, che a una richiesta de IlFattoQuotidiano.it ha risposto di «non avere disponibilità di queste informazioni». Così come non si hanno notizie su altri 90 naufraghi recuperati dalla Guardia costiera libica i primi di aprile – dopo aver imposto alla nave Aquarius della Ong Sos Méditerranée di non recuperare i migranti, salvo qualche donna incinta e qualche bambino – portati, secondo il Libyan Observer, nel campo Tajoura, uno dei centri di detenzione oggetto di un intervento della Cooperazione italiana” (22).
Ricapitolando: per gestire il problema dei migranti via mare e, soprattutto, per cercare di sottrarre alla destra la propaganda sulla ‘sicurezza’ in vista delle elezioni, l’ex governo Pd, in violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ha sottoscritto un Memorandum con uno Stato, la Libia, che non rispetta i diritti umani; Frontex, l’Agenzia europea per le frontiere e la Guardia costiera, ha puntato il dito sulle Ong accusandole di farsi strumento e “vantaggio tattico” dei trafficanti; un procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, ha aperto indagini conoscitive sulle Ong e ha esternato di tutto sugli organi d’informazione, creando un caso mediatico sull’onda del quale, l’ex ministro degli Interni Pd Minniti, ha tirato fuori dal cilindro un “Codice di condotta per le Ong” di fatto irricevibile per le organizzazioni, che hanno in massa abbandonato il Mediterraneo centrale.
Ora l’Italia e l’Europa possono stare tranquille: invece che ai loro confini, i disperati provenienti dal Sub-Sahara, dall’Africa Occidentale e dal Corno d’Africa si ammassano nei campi di detenzione libici: miseria, violenze sessuali e torture per tempi indefiniti.
1) Annalisa Camilli, Tutte le accuse contro l’ong Proactiva Open Arms, Internazionale, 19 marzo 2018
2) Francesco Floris, Migranti: lo strano sequestro della Open Arms, nave della ong Proactiva, Osservatorio diritti, 22 marzo 2018
3) Francesco Battistini, Da Guantanamo ai migranti Un’avvocata libica contro l’Italia, Corriere della sera, 15 febbraio 2017
4) Annalisa Camilli, Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti potrebbe essere illegale, Internazionale, 20 febbraio 2017
5) https://frontex.europa.eu/assets/Publications/Risk_Analysis/Annual_Risk_Analysis_2017.pdf
6) Sergio Rame, Migranti, ombre sui fondi alle ong. «Navi da 400mila euro al mese», Il Giornale, 22 marzo 2017
7) Fiorenza Sarzanini, Migranti, Giordano: non ci risultano collegamenti ong-trafficanti, Corriere della sera, 2 maggio 2017
8) Ibidem
9) Lavinia di Gianvito, Migranti, l’audizione di Zuccaro «Nelle ong non tutti filantropi», Corriere della sera, 3 maggio 2017
10) Migranti: Csm potrebbe sentire Zuccaro. Il Procuratore di Catania: «Tempo interviste è finito», Rainews, 4 maggio 2017
11) Il procuratore Zuccaro ha cambiato idea sulle accuse alle ong, Il Post, 10 maggio 2017
12) Milena Gabanelli, Minniti, la sfida alle Ong: «Portate i salvati in altri Paesi Ue», Corriere della sera, 3 giugno 2017
13) Disponibile sul sito del Ministero http://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/codice_condotta_ong.pdf
14) L’Italia può chiudere i porti ai migranti?, Il Post, 29 giugno 2017
15) Annalisa Camilli, Le ong boicottano il codice di condotta voluto dal governo, Internazionale, 1 agosto 2017
16) Libia, un anno fa l’accordo sull’immigrazione: chiesto il rilascio di migliaia di persone intrappolate in condizioni disumane, La Repubblica, 1 febbraio 2018
17) Filippo Grandi (UNHCR): le terribili condizioni di detenzione dei migranti in Libia, Rainews, 12 maggio 2018
18) Francesca Paci, Ong, cosa è rimasto nel Mediterraneo dopo la bufera sui migranti dell’estate scorsa, La Stampa, 25 novembre 2017
19) Migrants: SOS Méditerranée dénonce des conditions de sauvetage “inacceptables”, Europe 1, 2 aprile 2018
20) Daniele Ruzza, Caso Open arms, il giurista Vassallo: «Smentito il teorema del procuratore Zuccaro», Left, 17 aprile 2018
21) Ibidem
22) Andrea Palladino, Migranti piano Italia-Libia per ‘ridurre i salvataggi’. Ma “così Roma rischia di compiere dei respingimenti di fatto”, Il fatto quotidiano, 14 aprile 2018