La logica et-et che sconfina a sinistra
Negli ambienti più intellettualmente attrezzati della destra nazional-populista la tutela dell’ambiente, non di esclusivo appannaggio dei soli movimenti verdi collocati spesso entro gli steccati di una sinistra riformista, liberale o radicale, viene valorizzata in chiave etnocentrica, e la purezza del territorio diventa l’elemento costitutivo della sostanza identitaria della comunità, minacciata dall’“etnocidio”, cioè la morte del popolo, del Volk. Non è qualcosa da sottovalutare: nei primi anni del nuovo millennio, mentre buona parte del mondo intellettuale progressista vede nella globalizzazione un’opportunità (secondo il sociologo francese Alain Touraine “l’affermazione che sta nascendo una società mondiale, essenzialmente liberista, governata dai mercati e impermeabile agli interventi politici nazionali è puramente ideologica” [1]), la destra populista si presenterà come sostenitrice di forme di difesa verso chi si sentiva sconfitto da tali meccanismi globali, portando il leader populista austriaco Jörg Haider nel suo libro-manifesto, a dire: “Io non sono sostenitore del turbo-capitalismo, questo modello lo lascio ai sogni dei funzionari delle industrie e ai cosiddetti neoliberisti” (2).
Da dopo la caduta del Muro di Berlino ai primi anni Duemila, anni di grandi cambi di paradigmi politici e intellettuali, si assiste un po’ in tutti gli ambienti europei della destra nazional-populista e neofascista, allo sviluppo di correnti e aree intellettuali che, con i limiti visti in altri articoli pubblicati su questa rivista, iniziano a riproporre la critica alla globalizzazione e agli squilibri da essa creati, come quelli sull’ambiente, basando tale critica sulle riflessioni del cosiddetto ‘ecologismo di destra’. Il tutto, mentre a Seattle, durante il vertice del Wto, nasceva il movimento noglobal per contestare il Millennium Round, un antagonismo politico con “istanze e opinioni tanto varie da essere in alcuni casi antitetiche”, e che due mesi dopo, al Forum dell’economia mondiale di Davos, metterà sotto accusa “il governo mondiale invisibile e antidemocratico, che agisce contro il benessere delle popolazioni e dell’ambiente” (3). Questa nascente nuova sinistra a sinistra della sinistra di governo (che invece rimane estasiata dai processi di globalizzazione neoliberista), si autorappresenterà come un’emergente galassia dirompente che, estranea al dibattito partitocratico ufficiale, imputa ai partiti della sinistra di aver desertificato il dibattito. Se si esclude un timido flirt con realtà come Rifondazione comunista o vari raggruppamenti europei, tali istanze non avranno una seria rappresentanza parlamentare.
Paradossalmente – ma come s’è visto nello scorso numero, tanto paradossale non è – e inconsapevolmente, questa nuova sinistra utilizzerà parole d’ordine presenti nel pantheon delle riflessioni della nuova destra metapolitica, e di rimando quella populista e micronazionalista. Lo sconfinamento ideologico operato dalla nuova destra metapolitica a partire dagli anni Ottanta, grazie al disconoscimento della diade antinomica destra/sinistra e al ricorso della logica et-et, le “nuove sintesi”, sfrutta anche il richiamo che nel decennio precedente diversi settori della nuova sinistra radicale e del neonato movimento ambientalista, avranno per discorsi come il richiamo all’identità, ai microterritori, alla retorica del “piccolo è bello”, il discorso dell’autodeterminazione dei popoli, la tutela delle minoranze, il diritto alla differenza, la valorizzazione del territorio e delle tradizioni culturali, compreso il minimo comune denominatore antiamericano. “L’ipervalorizzazione delle differenze intercollettive non è affatto un indicatore di posizione nello spazio politico bipolare – osservava verso la fine degli anni Ottanta il politologo francese Pierre-André Taguieff, poi studioso della nouvelle droite – un’estrema sinistra che nel 1970 denuncia l’etnocidio si esprime negli stessi termini della nuova destra che respinge l’Occidente come processo di distruzione delle identità o come ‘sistema per uccidere i popoli’” (4), anche se, con la nascita del movimento noglobal, nota la storica esponente del gruppo de Il manifesto Luciana Castellina, “per la prima volta la contestazione della globalizzazione non sta prendendo la forma del ripiegamento identitario sul proprio locale” (5).
Questo non significa che convergenze non possono esserci: lo sconfinamento fra destra e sinistra sul tema dell’ambiente – che non può prescindere dal tema economico della critica alla globalizzazione neoliberista – non è solo intellettuale, ma sfocia anche nel politico: in Italia, nel 1995, Marco Tarchi incontrerà a Firenze, all’Auditorium del Consiglio regionale, Ermete Realacci di Legambiente, Carlo Ripa di Meana e Giannozzo Pucci, capogruppo toscano dei Verdi di formazione cattolica, che collaborerà alla rivista di Tarchi e sarà consulente di Gianni Alemanno, ex leader della destra sociale di An, al Ministero delle Risorse agricole. L’incontro non andrà però a buon fine a causa delle idee postliberali di Tarchi, che propone ai Verdi una sintesi fra la loro sensibilità ecologica, non necessariamente di sinistra, con valori e referenti culturali “profondi” e spirituali, non limitandosi a contestare il sistema, ma oltrepassandolo in nome di una “cultura della sobrietà” capace di sviluppare “un’idea di bene comune, di interesse collettivo, che porti a condividere le scelte che vanno in direzione di quella sobrietà di rapporto con l’esistente”. La risposta di Realacci riflette i dubbi di molti, e cioè che con la scusa di portare una sacrosanta battaglia di difesa dell’ambiente, si metta in discussione la matrice illuminista e liberaldemocratica del sistema (6). È interessante il fatto che fra i Verdi vi sarà un dibattito sull’eventuale candidatura di Marco Tarchi per le elezioni del 1996, con personalità come il comico Beppe Grillo, che però declinerà l’invito (7).
Nel 1999 lo sconfinamento andrà avanti, e si assisterà alla convergenza fra esponenti dell’ala radicale dei Verdi italiani e la nuova destra di Marco Tarchi, coi primi che sceglieranno di pubblicare le loro critiche alla globalizzazione neoliberista sull’organo della corrente neodestra italiana, Diorama letterario, in un numero monografico intitolato “Idee per cambiare la vita”. “Alle soglie del Terzo Millennio l’umanità si trova a un bivio. Il carico delle attività produttive e degli stili di vita sono diventati insopportabili per l’ecosistema a livello locale e planetario”. L’autrice, Laura Marchetti, in un manifesto redatto per rafforzare la radicalizzazione del discorso antisistemico della Federazione dei Verdi, indica nell’inquinamento, nell’erosione del suolo e delle coste, l’emergenza rifiuti e l’aumento di morti per cancro e tumori sono segni del tramonto del modello produttivo globalizzato. “La violenza del capitale” è alla base della crisi ecologica, con la concentrazione delle decisioni in luoghi non democratici che sottraggono “alle popolazioni il controllo sui beni economici, cancellando del tutto le colture e le economie locali”. La globalizzazione neoliberista, fonte di inaccettabili iniquità tra Nord e Sud del mondo, con lo strapotere delle multinazionali e le politiche liberoscambiste pianificate dal Fondo monetario internazionale, dalla World Trade Organization, dalla Banca mondiale ecc., contribuiscono ad approfondire la perdita di credibilità dello Stato-nazione, costretto – secondo l’ambientalista Marchetti – a ripiegare nell’attività poliziesco-militare atta a reprimere il dissenso di chi si oppone a questi processi di spersonalizzazione (8).
Il solco fra queste due correnti viene scavato sulla questione migratoria, mentre il rispetto alla differenza predicato dalla nouvelle droite sfocia in un etnopluralismo fatto di comunità etno-culturali organiche, omogenee e chiuse, per l’ecologismo radicale – ripetiamo, organico a quei Verdi all’epoca parte integrante della sinistra del centrosinistra – “il diritto all’ospitalità e il dovere di accoglienza rappresentano i prerequisiti etici” su cui fondare una comunità solidale in cui sia l’ecologismo radicale il fondamento del nuovo patto sociale, un comunitarismo verde di sinistra che cerca di coniugare il ritorno alle radici con una cosmopolita visione dei diritti universali, che mal si coniuga con quella del neodestrismo e di altre correnti della “destra radicale noglobal” che, nella penna di Giannozzo Pucci – ormai vicino a Fare Verde, organizzazione ambientalista di destra, fondata da Gianni Alemanno – viene teorizzata nel “ritorno alla terra” e nella preservazione del mondo rurale tramite forme di parziale autarchia agroalimentare a livello regionale e il ritorno degli immigrati alla loro terra natia, presentandolo come un atto di ribellione alle logiche globaliste perché, “dopo aver conosciuto il benessere dei Paesi ricchi ne sentono la miseria culturale e ritornano a casa per un bisogno di comunità e di identità, sono le avanguardie della comprensione di un modello di benessere, libertà e democrazia capace di essere tale per tutti i popoli e che sgorga dalle tradizioni più radicate dello spirito europeo, di cui la lettera di Jean Giono ai contadini per la povertà e la pace è uno dei tanti monumenti” (9).
Altra figura fondamentale di un comunitarismo organico al discorso debenoistiano è quella dell’editore bolognese Eduardo Zarelli, docente di storia e filosofia nei licei e titolare dell’Arianna Editrice e dell’Associazione EstOvest. Questo intellettuale ecologista rivoluzionario-conservatore, penna della rivista di Marco Tarchi e fondatore della rivista ecologista ‘profonda’ Frontiere. Identità, comunità, etnie che si occupava di ambientalismo e di identitarismo, cercherà di introdurre il teorico italiano della nuova destra intellettuale negli ambienti fiorentini noglobal assieme a Franco Cardini. Dalla seconda metà degli anni Novanta, Zarelli è sostenitore di correnti quali decrescita, comunitarismo e bioregionalismo, e cerca di farsi portavoce di una sintesi fra riflessioni antimoderne elaborate in Francia da Alain de Benoist (di cui è l’editore italiano) e dal filone rivoluzionario-conservatore europeo, il comunitarismo tout court, l’ecologismo profondo di Edward Goldsmith, promotore della rivista europea The Ecologist, e Arno Naess, nonché le analisi del filone economico antiutilitarista della decrescita elaborata da Serge Latouche e dal Mauss.
Egli è infatti promotore del cosiddetto glocalismo, elaborato nel libro, pubblicato nel 1998, Un mondo di differenze, con prefazione di Massimo Fini che, partendo dalla critica latoucheana alla megamacchina globalista – che omologa le differenze riducendo il mondo e i popoli a un’unica massa omogenea facilmente manipolabile – predica un modello comunitario ecologista a chilometro zero, per intenderci, fondato sulla preservazione delle differenze e sul ritorno ai legami territoriali, ma soprattutto caratterizzato da un modello economico fondato sulla condivisione del bene comune tramite la costruzione di reti locali solidali, unica via per opporsi all’unipolarismo consumista perché “la comunità rappresenta invece il luogo sociale, in cui meglio si esprimono le caratteristiche politiche del livello locale […] Lo sviluppo del locale rafforza l’identità e il sistema politico che lo rende possibile e, a sua volta, rafforza l’identificazione nella comunità locale” (10).
Non è una peculiarità del tutto italiana: in Germania, dove nasce l’ecologismo politico, la corrente ‘solidarista’ della Neue Rechte, nata e sviluppatasi dalle ceneri del locale nazimaoismo terzaposizionista e maggiormente tentata dall’oltrepassamento delle etichette novecentesche, fin dagli anni Settanta cercherà di aprire, per i motivi indicati da Pierre-André Taguieff, un dialogo coi vari movimenti di base, dal movimento ecologista da cui nasceranno i Grüne a quello antinucleare, arrivando a creare delle liste verdi-alternative, dove queste due anime (una nazional-rivoluzionaria e un’altra antagonista ma di estrema sinistra) conviveranno, influenzando anche la genesi del neonato movimento ecologista. Non a caso l’esponente neodestro K.D. Ludwig, nel n. 1 del 1980 della rivista Neue Zeit, lancerà un appello perché tutta la galassia neodestrista tedesca – che a differenza della nouvelle droite non faceva capo a una sola associazione intellettuale metapolitica, come nel caso francese del Grece – sostenga compatta il neonato partito dei Grüne, mentre testate come la nazionalbolscevica Aufbruch o Wir Selbst, elogeranno l’ecologismo come nuovo paradigma postliberale e apriranno le loro pagine a intellettuali eretici provenienti da sinistra (11).
In Austria invece, dove il nesso neodestrismo/populismo è più esplicito rispetto alla Germania per la presenza del Fpö, il partito liberal-nazionalista si presenterà agli elettori nel 1999 come un partito ambientalista, dato che la soluzione dei problemi ecologici, per Jörg Haider, è “senza dubbio una delle questioni centrali del ventunesimo secolo”, proponendo uno “sviluppo ambientale sostenibile” da conseguirsi attraverso una “massiccia offensiva ecologica” che consenta così un “patto generazionale”, frutto dell’elaborazione congiunta dei settori nazionali dell’economia e dell’ecologia (12). Nella campagna elettorale dello stesso anno il carismatico leader populista si presenterà in uno spot televisivo mentre cammina sui sentieri alpini, mentre saluta i contadini della Carinzia e solleva covoni di fieno e mentre, virilmente, taglia con un’ascia un tronco d’albero, ritratto perciò in piena sintonia con l’ambiente, con un’iconografia ruralista che ricorda l’idea völkisch del virile contadinato blot und boden radicato nel territorio natio (anche per porre delle nette differenze fra un ecologismo di destra virile e un altro ecologismo, di sinistra, sradicato, cosmopolita, radical chic).
La nuova destra intellettuale austriaca, che a differenza di altri Paesi collabora organicamente con il locale nazional-populismo, nell’elaborazione eco-nazionalista di teorici di area come Andreas Mölzer e Jürgen Hatzenbichler, oltre a denunciare lo “sradicamento dell’uomo dalla madre terra indotto dalla modernità”, contesta la perdita di “bellezza dell’Austria”, provocata però, non da un capitalismo senza regole, ma piuttosto “dall’estraniamento degli uomini dall’Heimat (‘piccola patria’ o ‘luogo natio’, n.d.a.), dal popolo e dalla cultura nazionale”. Per questo “la battaglia per la conservazione e il salvataggio della natura è sempre e innanzitutto concreta battaglia per la conservazione dell’Heimat”, che diventa “coscienza nazionale” e si caratterizza per “il rapporto mistico con il mondo della flora e della fauna, che unisce i Tedeschi fin dai primordi”. Per Mölzer vi dev’essere un forte legame fra sensibilità identitaria e ambientalismo, e “i veri verdi […] saranno costretti obbligatoriamente a sviluppare una coscienza dell’’Heimat’ e un legame verso il popolo” (13).
Tesi che non rimangono chiuse fra le pagine di libri e riviste o in siti web identitari, ma che vengono concretizzate in forme di sconfinamento già viste, come la presenza nelle file del partito haideriano di Elisabeth Sickl, poi ministro austriaco degli Affari Sociali del governo di centrodestra di Wolfgang Schüssel, negli anni Settanta militante ecologista e protagonista delle battaglie contro le centrali nucleari, che non aderirà, come il grosso degli ex compagni ecologisti del Vereinte Grüne Österreichs (Vgö) e di altre formazioni ecologiste di sinistra alla lista Die Grünen-Die Grüne Alternative, ma ai Freiheitlichen di Haider, alla corrente eco-nazionalista.
Ma non è affatto casuale quella che pare una trasmigrazione da un estremo all’altro: nel 1990, la sezione del Vgö della Carinzia – quando Haider era governatore – distribuirà un volantino che anticiperà i toni xenofobici utilizzati dai liberal-nazionalisti con toni che descrivono la presenza allogena come qualcosa di “estraneo” all’habitat naturale, capace cioè di alterarne gli equilibri: “Nessun inquinamento da stranieri, il numero della nostra popolazione deve rimanere stabile: il sovrappopolamento è nemico dell’ambiente” (14).
Ma è in Francia che tale unione s’è maggiormente cementata. Lì dov’è nata la nouvelle droite che ha influenzato molte analisi della destra nazionale francese, è evidente che le riflessioni eco-nazionaliste peschino da quelle di Alain de Benoist, dagli anni Ottanta molto sensibile a tali temi, sensibilità rafforzata da un dialogo con intellettuali di sinistra, come quelli decrescisti del Mauss, Serge Latouche in testa, “accusato da una parte della sua sponda ‘la Rive Gauche’ di essere un reazionario passatista, che con il suo pensiero tradisce le aspettative che le menti sinistre hanno coltivato, sperando in una possibilità futuribile che invece risulta una chimera” (15). Non a caso il ‘padre’ della nouvelle droite scrive che “la decrescita è un’idea che oggi è sostenuta soprattutto a sinistra, ma certo non all’unanimità. […] Il punto è che la decrescita critica il fondamento principale della modernità, ossia l’ideologia del progresso e l’ideologia del progresso è storicamente alla base del progetto politico della sinistra. Insomma la sinistra che reclama la decrescita è già qualcosa di totalmente differente dalla sua matrice politica d’origine ed è un sintomo evidente della rimessa in discussione delle vecchie etichette destra-sinistra”.
Una delle personalità francesi, a cavallo fra nuova destra intellettuale e populismo, che è fondamentale per capire questo interessamento per l’ecologia rivisto in chiave antimoderna ma capace di rapportarsi con una sinistra che ha rinnegato l’idea di progresso (ovviamente non quello sociale), è Laurent Ozon, ex consigliere per l’ecologia di Marine Le Pen e sostenitore da molto tempo, come de Benoist, dell’ecologia profonda di Arno Naess. Questo è probabilmente uno degli ambientalisti antimoderni che ha una delle più grandi reti di influenza in questi ambienti, mantenendo gli scambi sia con la nouvelle droite nel suo insieme (ergo, dal Grece ai gruppi cosiddetti dissidenti, come i völkisch di Terre et Peuple ai nazionalbolscevichi di Synergies européenne passando per la galassia politica identitaire, tutti accomunati da una critica ruralista di stampo rivoluzionario-conservatrice alla moderna industrializzazione) sia con i membri del Mauss, e che abbiamo indicato come uno dei più importanti fautori dello “sfondamento a sinistra” del Front national prima e poi del Rassemblement national. Ozon è molto vicino a Charles Champetier, intellettuale antiutilitarista un tempo presidente del Grece ed ex pupillo di Alain de Benoist.
Collabora alla stampa neodestra, a quella populista europea, compresa quella italiana (Diorama letterario e, ai tempi, alle pagine culturali de La Padania) e a quella ecologista, anche di sinistra. È il caso della rivista decrescista francese Silence!, da sempre schierata a sinistra, che ospita degli interventi di Laurent Ozon nel 1998. Dal 1994 al 2000 darà vita alla rivista Le Recours aux Forêts, che ha ospitato firme di personalità con indirizzi politici estremamente diversi, al fine di promuovere connessioni tra intellettuali e persone che difficilmente avrebbero parlato, una testata che verrà lodata da Gilbert Sincyr, ex esponente del Grece che diverrà, dal 1994, presidente di Synergies européennes, “soprattutto dai due numeri eccezionali sull’urbanistica e la ‘buona alimentazione’ che l’ecologista più originale di Francia aveva pubblicato in seguito al suo passaggio tra i Verdi di Antoine Waechter e alla sua meticolosa lettura delle teorie di Edward Goldsmith. Gilbert Sincyr si occuperà quindi di ecologia in un movimento locale che battezza ‘D’abord Vert’, attivo soprattutto nella periferia di Tolosa” (16). Ozon, oltre alla semplice riflessione metapolitica, ha fatto anche attività politica, ed è stato leader di Maison Commune, un gruppo francese eco-localista.
Agli inizi, dopo aver animato liste localiste per le amministrative, si avvicina al Bloc identitaire e nel 2008 è andato a promuovere la politica della relocalizzazione della economia e il regionalismo identitario alla tribuna della Convention identitaire, ma questo non gli impedisce di partecipare, tra marzo 2009 e febbraio 2010, a varie riunioni costitutive del gruppo Europe Ecologiste-Les Verts (EELV), lista ambientalista animata dal leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit e dal noglobal José Bové, leader della Confédération paysanne, il sindacato di estrema sinistra dei contadini francesi, a favore della decrescita, ma lo stesso anno viene cooptato ai vertici del Front national nel ruolo strategico di consigliere politico personale di Marine Le Pen, occupandosi di ecologia, comunità e identità locali, tematiche fino a quel momento snobbate dal Front national, partito all’epoca in forte ascesa e desideroso di sfondare a sinistra, promuovendo nel partito il collettivo Nouvelle Ecologie, dimettendosi sette mesi più tardi, perché i suoi commenti che imputavano la responsabilità per l’uccisione di Oslo da parte di Breivik all’immigrazione erano stati rinnegati da Marine Le Pen.
Ci siamo soffermati sui casi più eclatanti – perché esiste una vasta gamma di casi che confermano l’esistenza di un legame fra ecologismo e populismo di destra, dal mondo gravitante attorno al populismo arrivando al radicalismo di destra – che confermano che, rafforzando il tutto con tesi che pescano dal passato antimoderno o da un pensiero che mette in discussione il sistema liberale tout court, la destra fa sua una forma di rifiuto del sistema vigente. Ovviamente, basti leggere le analisi fatte da un leader come Haider, l’applicazione di tale ecologismo di destra non mette in discussione in alcun modo il profitto, ma lo rilocalizza a chilometro zero, e scollega tali riflessioni da una seria critica sociale e del capitalismo.
1) A. Touraine, Come liberarsi del liberismo. I movimenti contro la globalizzazione, Il Saggiatore, Milano, 2000, p. 15
2) J. Haider, Befreite Zunkunft jenseits von links und rechts. Menschliche Alternativen für eine Brücke ins neue Jahrtausend, Ibera & Molden, Vienna 1997, p. 129
3) P. Ceri, A Seattle è nato un movimento globale, Il Mulino n. 1, 2000, p. 16
4) P.A. Taguieff, La forza del pregiudizio, Il Mulino, Bologna 1994, p. 417
5) La Rivista del Manifesto n. 2, 2000
6) G. Caldiron, Un ambiente senza discriminanti, il manifesto, 13 settembre 1995
7) Cfr. M. Tarchi, Sinistra cara non ti spetta, La Nuova Ecologia n. 10, dicembre 1995; sull’eventuale candidatura del teorico della nuova destra italiana, Marco Tarchi, proposta da Carlo Ripa di Meana, nelle file dei Verdi, si veda G. Fregonara, Intervista a Carlo Ripa di Meana, Cor
8) L. Marchetti, Sette tesi per cambiare i Verdi (e la vita), Diorama letterario n. 232, 1999, pp. 25, 26
9) G. Pucci, L’ecologia contro l’illuminismo, Diorama letterario n. 232, 1999, p. 41
10) E. Zarelli, Un mondo di differenze. Il localismo tra comunità e società, con una prefazione di M. Fini, Arianna, Casalecchio di Reno (BO), 1998, p. 77. Eduardo Zarelli, collaboratore dei Quaderni Padani di Gilberto Oneto, organo della Libera compagnia padana e di iniziative dell’associazione identitaria filoleghista Terra Insubre, sarà relatore, con Giannozzo Pucci, a un convegno tenutosi a Lucca l’11 maggio 2002 organizzato da Fare Verde dal titolo “Le radici e l’albero”. Vi parteciperà Marco Tarchi, il medievalista Franco Cardini, Carlo Ripa di Meana, il giornalista cattolico Alessandro Bedini e il prof. Giuseppe Sermonti, genetista all’università di Perugia nonché fra i più noti critici della teoria evoluzionista darwiniana in Italia. Cfr. a riguardo G. Cerri, Ambiente: l’ecologia s’è destra, in Vita.it, 12 maggio 2002, www.vita.it/it/article/2002/05/15/ambiente-lecologia-se-destra/12679/. Qualche mese dopo, Zarelli, con Tarchi e Cardini, saranno invitati al Firenze Social Forum come relatori ad alcuni seminari, creando scompiglio nell’antagonismo specie dopo l’annuncio di Azione giovani, organizzazione giovanile di An, di partecipare ai dibattiti. Cfr. Tarchi e Cardini parteciperanno ad alcuni seminari. Sui siti il dibattito è aperto. C’è anche una destra pronta a marciare coi no global. Azione Giovani: arriviamo con lo striscione. La replica: non provateci, La Stampa, 4 novembre 2002, p. 11
11) Sul tema si veda K. Schönekäs, La «Neue Rechte» en République Fédérale d’Allemagne, Lignes n. 4, ottobre 1988, pp. 138, 139. Cfr. inoltre Rechte Grüne?, in zwischenbericht der Komission «Rechtsextreme Unterwanderung der Grünen und nahestehender Vereinigungen der Grünen in Baden-Württemberg», Stoccarda, 1982; W. Schiller (a cura di), Neue soziale Bewegungen: Konservativer Aufbruch in buntem Gewand? Frankfurt, 1984; L. Klotzsch, R. Stöss, «Die Grünen», in R. Stöss (a cura di), Parteienhandbuch der Parteien der Bundesrepublik Deutschland 1945-1980, parR. Stoss. 2 tomes, Opladen, 1984. Per una storia del neodestrismo tedesco rimando a G. Bartsch, Revolution von Rechts? Ideologie und Organisation der Neuen Rechten,, Herder, Firiburgo 1975; K.H. Prôhuber, Die nationalrevolutioniire Bewegung in Westdeutschland, DESG, Amburgo 1980
12) J. Haider, Befreite Zunkunft jenseits von links und rechts, cit., p. 194
13) Cit. in H. Schiedel, Mutter Erde statt Blut und Boden: Die ökologisch-spirituelle Erneuerung des Faschismus, in W. Purtscheller (a cura di), Die Ordnung, die sie meinen, Picus, Vienna 1994, pp. 125, 126
14) Cit. in B. Luverà, Il Dottor H., cit., p. 166
15) M. Renzaglia, Latouche. La decrescita…, in mirorenzaglia.org, 8 settembre 2008, http://www.mirorenzaglia.org/2008/09/serge-latouche-la-decrescita/
16) R. Steuckers, En souvenir de Gilbert Sincyr (1936-2014), premier président européenn de Synergies Européennes, in robertsteuckers.blogspot.com, febbraio 2014 http://robertsteuckers.blogspot.com/2014/02/en-souvenir-de-gilbert-sincyr.html