Nelle intenzioni del fondatore, il soggetto politico nato a Bruxelles era una “internazionale populista” con obiettivo le elezioni europee del 2019: a cosa mirava l’Alt-Right statunitense?
Nel 2018 la destra nazional-populista sembrava aver trovato la coesione, gettando le basi per la nascita di una Internazionale Sovranista che non abbracciava le sole realtà europee: guardava infatti – e la cosa deve fare riflettere – a quello che stava accadendo negli Stati Uniti con la presidenza del repubblicano ‘populista’ Donald J. Trump.
La Lega delle Leghe di Matteo Salvini e Steve Bannon: un sovranismo a trazione statunitense?
Il 1° luglio 2018, a Pontida, nella storica kermesse popolare della Lega Nord, Matteo Salvini, segretario e ministro dell’Interno, lancia una “Lega delle Leghe in Europa”, che unisca tutti quei movimenti che “vogliono difendere le loro frontiere e il benessere dei propri figli”. Aggiunge, raggiante: “Per vincere abbiamo unito l’Italia, ora dovremo unire l’Europa”, e sostiene che quelle del 2019 non saranno semplicemente elezioni europee ma “un referendum contro le élite, il mondo della finanza e quello del precariato” (4); un fronte che vede nell’Italia, e non più nella Francia con Marine Le Pen, dopo la sconfitta subita alle presidenziali contro Macron, un’avanguardia.
Parole di Steve Bannon, ex guru del presidente Trump ed ex direttore esecutivo di Breitbart News, sito web di opinioni, notizie e commenti portavoce dell’Alt-Right, ossia Alternative right, o Destra alternativa (5), che in visita a Roma durante la campagna elettorale per le politiche del 2018 ha sostenuto che l’Italia poteva essere il laboratorio per i sovranismi di tutto il continente.
Non è una dichiarazione casuale. Indica che oltreoceano gli ambienti della Alt-Right guardano con attenzione agli eventi politici italiani, e la presenza di due soggetti nazional-populisti di colore diverso, nel 2018 insieme al governo, Lega e M5s, spinge Bannon a ipotizzare l’esportazione del modello ‘gialloverde’ in Europa. Come ha dichiarato in un’intervista rilasciata a La Stampa il 23 maggio 2018: “L’Italia, con il suo ‘governo di unità’, diventerà capofila in Europa del movimento populista anti-establishment. Per la prima volta Bruxelles sarà costretta a trattare con un governo anti-sistema in un Paese fondatore dell’Unione. Un governo che può godere del sostegno travolgente del suo popolo. […] Penso che quello fra M5s e Lega sia un patto intelligente, sono certo che farà gli interessi del popolo italiano. Dimostra inoltre la maturità e la saggezza politica di leader come Di Maio e Salvini, capaci di mettere da parte le loro ambizioni personali per il bene del loro Paese”.
Ma il modello Lega-M5s è esportabile? Sarebbe possibile, in un Paese dell’eurozona come la Francia, per esempio, una convergenza tattica in vista di un governo fra il Rassemblement national di Marine Le Pen, nazional-populista di destra, e La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, forza anti-euro sovranista di matrice socialista, che ha avuto il plauso addirittura di certi settori marxisti critici verso l’eurocomunismo del Pcf e favorevoli alla rottura con l’Unione europea (6)? (Intendiamoci, non stiamo però dicendo che La France insoumise sia simile al Movimento 5 stelle!).
La leader populista francese, intervistata dal Corriere della Sera il 18 maggio 2018, se da una parte loda la convergenza M5s-Lega che potrebbe avere, secondo lei, risvolti positivi in vista delle elezioni europee del 2019 (“Trovo questa situazione entusiasmante perché le prossime elezioni europee potranno essere un vero terremoto: una maggioranza euroscettica a Strasburgo potrebbe decretare la fine di questa corsa folle dell’Unione europea”), non giudica possibile lo scenario di un governo ‘rossoblu’ francese composto dai populisti di destra e dall’estrema sinistra euroscettica: “Intanto, siamo onesti, esiste un’enorme differenza tra i 5 stelle e Mélenchon: il movimento italiano non è favorevole a un’immigrazione sfrenata. E poi i 5 stelle sono chiari nella loro opposizione alle politiche di Bruxelles, a differenza dell’ambiguo Mélenchon”.
A parte il fatto che tali dichiarazioni sono smentite da affermazioni dello stesso leader gauchista francese, che vuole regolamentare i flussi migratori, ma da sinistra (ergo, non limitandosi alla chiusura delle frontiere ma ‘curando’ le cause delle partenze), e che ha espresso più volte sfiducia verso l’euro e la Ue, ciò che interessa è l’attenzione di Bannon per la “Lega delle Leghe” euroscettica. Perché? Sicuramente perché alla Casa Bianca c’è un repubblicano atipico che sembra (sembra) rompere con gli schemi neoliberisti trasversali ai due partiti americani, applicando dazi e un controllo sull’immigrazione, ma non è certo marginale il fatto che tale Internazionale Sovranista non metta in discussione la supremazia statunitense nel continente europeo, cosa tutt’altro che secondaria, dato che solo nel Belpaese ci sono 59 basi militari statunitensi e che l’Italia è il quinto avamposto nel mondo per numero di installazioni Usa (7).
The Movement: una Open Society Foundation per il populismo di destra europeo?
Bannon infatti, poco dopo la kermesse leghista di Pontida, dà vita, sempre nel mese di luglio 2018, all’hotel Mayfair di Londra, a un nuovo soggetto, The Movement, che negli intenti del suo fondatore è una “internazionale populista” che avrà come base Bruxelles, con l’obiettivo di lanciare un’offensiva nel cuore della troika e dei partiti che la supportano, siano essi del Ppe, del Pse o dell’Alde, e di divenire la casa degli identitari di tutta Europa; una sorta di partito transnazionale di nazionalisti, con tanto di staff di dieci persone, che potrebbero salire a 25 dopo il voto del 2019.
Bannon, nel lussuoso albergo britannico, coadiuvato da Raheem Kassam, ex membro dello staff dell’Ukip, nonché collaboratore della rivista Alt-Right Breitbart, ha incontrato i principali rappresentanti della nuova destra populista: Nigel Farage dell’Ukip, uno dei motori della Brexit; lo svedese Kent Ekeroth del Sverigedemokraterna, il partito nazionalista che ha preso il 17,6% alle elezioni del settembre 2018 (8); il nazionalista francese Jérôme Rivière del Rassemblement national; Mischaël Modrikamen del Parti populaire del Belgio, soggetto nazionalconservatore vallone, e sempre per il Belgio ma dal fronte fiammingo, il Vlaams Belang, partito etno-nazionalista dal passato neonazista; e poi la Lega di Matteo Salvini, il Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán, in procinto di rompere col Ppe, e il Prawo i Sprawiedliwosc, partito nazionalconservatore di marca liberale, maggioritario al Parlamento di Varsavia (9).
Il sovranismo di destra ha quindi trovato il suo federatore? Se ragioniamo sul fatto che la mente sta negli Stati Uniti e si affianca a Paul Gosar, fra gli interessati al progetto The Movement ed esponente del partito Repubblicano legato al gruppo Freedom Caucus, una fazione ultraconservatrice del Tea Party, qualche dubbio viene, dato che Trump potrebbe usare questi legami per mantenere un controllo sul continente, qualora il progetto andasse in porto. Steve Bannon dunque come George Soros di estrema destra? Soros, il noto finanziere americano-ungherese, organico ai Democratici statunitensi e ai vari progressisti, radicali e liberali europei (aperto finanziatore anche del Partito radicale italiano e vicino al progetto di Emma Bonino +Europa), che utilizza i propri ingenti capitali per sostenere, attraverso le proprie fondazioni, cambiamenti governativi favorevoli agli interessi economici e geopolitici degli Stati Uniti come, per dirne uno, la ‘rivoluzione colorata’ in Ucraina – sostegno da lui stesso rivendicato in un’intervista alla Cnn il 27 maggio 2014 (10).
Di certo Bannon nel 2018 usa il suo ‘prestigio’ per fare pressioni al governo Conte affinché mantenga buone relazioni con l’esecutivo Trump, reciproci attestati di stima “culminati con l’incontro tra i due [Conte e Trump] alla fine del mese di luglio, incontro che ha fornito alla Casa Bianca garanzie sugli investimenti italiani nel progetto del gasdotto TAP in Salento e sull’acquisto dei caccia F35 ordinati dai precedenti esecutivi italiani” (11).
Non è casuale che le linee-guida di The Movement si sovrappongano perfettamente a quelle che Trump ha per l’Europa. L’ambasciatore americano a Berlino, Richiard Grenell, ha affermato nella primavera 2018 la propria volontà di supportare gli emergenti partiti populisti e conservatori, attirandosi, rivela The Guardian, le critiche di diversi esponenti tedeschi per la violazione del protocollo diplomatico (12).
Va detto che Trump, pur avendo estromesso Bannon dal governo, continua a seguire molte delle direttrici del pensatore Alt-right, come il trasferimento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme. Lo sostiene lo scrittore Michael Wolff nel libro Fire and fury, una raccolta di articoli sui retroscena della presidenza del tycoon di New York, prevedendo una possibile cessione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania alla Giordania come soluzione per l’annosa questione palestinese. La strategia trumpista di soft power sui soggetti populisti di destra europei fa leva sulla questione israelo-palestinese, utilizzando anche l’islamofobia presente all’interno di questi partiti, nonostante vi siano anche correnti più filo-palestinesi e filo-arabe (13).
Bannon fa leva anche sul forte sentimento filo-israeliano presente nella destra repubblicana americana – lo stesso Bannon ha dichiarato di sentirsi “orgoglioso di essere un sionista cristiano” – in quella branca dell’evangelismo (la stessa che ha favorito la vittoria dell’ultradestra populista e liberista di Jair Bolsonaro in Brasile) che vede nel ‘popolo eletto’ ebraico una sorta di primato politico-spirituale, e utilizza i brani del Pentateuco relativi alla colonizzazione della Palestina dell’antico popolo israelita come giustificazione per i soprusi in atto dal 1948. Israele è anche oggi, com’è sempre stato, ottimo alleato degli Usa, Salvini l’ha più volte indicato come referente nel campo della sicurezza e Viktor Orbán a luglio 2018 si è recato in visita, come il leader leghista, a Gerusalemme. Simpatie reciproche, ricambiate e documentate, in nome di un nemico comune: l’Islam (14).
L’esaltazione dello Stato d’Israele è portata avanti in nome delle comuni radici giudaico-cristiane, una visione che mal si coniuga con alcune riflessioni terzomondiste di marca neodestrista o duginista di tipo eurasiatista, che spesso, attraverso associazioni culturali animate da personalità provenienti dalla nouvelle droite o dall’eurasiatismo nazionalbolscevico, vengono veicolate nei medesimi partiti sovranisti.
Ma l’idea bannoniana vede nell’Occidente una weltanschauung forte che dovrebbe unire, contro le élite liberal, gli Stati Uniti e il mondo anglofono, gli Stati membri dell’Unione europea e Israele, scardinando possibilmente l’unione fra Federazione Russa e Cina – quest’ultima minaccerebbe l’egemonia statunitense – e che include tra i nemici altri due Paesi, l’Iran e la Turchia. L’intelaiatura del Bannon-pensiero porta dunque a ricucire lo strappo con Mosca (pur in una relazione altalenante e contraddittoria), con Trump che a Helsinki invita Putin a recarsi a Washington, nell’obiettivo di dare scacco all’egemonia della Germania sulla Ue – specie davanti ai tentativi di Berlino di muoversi autonomamente nel settore energetico, come nel caso del North Stream 2 e del nucleare iraniano – e indebolire la struttura europea.
Ergo, si combatte sì per un indebolimento della Ue in mano alle élite liberiste, ma il progetto non sfocia in un sovranismo puro, dato che avvantaggerebbe comunque gli Stati Uniti nel quadro della loro egemonia e, come si accennava, mal si concilia con la geopolitica elaborata dai circoli russofili presenti nei vari partiti populisti europei, dalla Lega al Rassemblement national ad altri.
Questi ultimi si rifanno alla Quarta Teoria Politica di Alexandr Dugin, il quale, partendo dall’eccezionalismo russo di Konstantin Nikolaevic Leont’ev, dal panslavismo di Nikolaj Jakovlevic Danilevskij e dall’eurasiatismo di Lev Gumilev e Pjotr Nikolajevic Savickij – che vede nell’Eurasia un organico sistema unitario, capace di unificare e conciliare differenti popoli, culture, tradizioni in un grande spazio (mestorazvitie) con assonanze ideologiche col Großraum (grande spazio) di Carl Schmitt – elabora un pensiero che, nonostante abbia subìto il fascino del nazional-europeismo di Jean Thiriart, della nouvelle droite e del tradizionalismo evoliano e guénoniano, punta a superare le tre principali ideologie moderniste (liberalismo, fascismo, comunismo) e la loro eredità spirituale e ideologica, andando oltre al postmoderno, e non attraverso la ‘nuova sintesi’ che fa propria la nouvelle droite. Il tutto proponendo la visione euroasiatista dei ‘grandi spazi’, dei blocchi continentali, un progetto di Grande Europa che guarda alla Russia come perno, vista la sua posizione di ponte fra Europa e Asia, e che si apre alle grandi civiltà, quella islamica e quella cinese, in un’elaborazione che sa di imperiale e che risulta essere in antitesi non solo al fascismo storico, con il suo culto nazionalpopolare della tradizione patria, ma anche a un certo neofascismo odierno che ha finito per rielaborare (dal Front national francese a Orbán) il concetto gaullista di Europa delle Nazioni, che guarda a Est.
I progetti di Steve Bannon sembrano invece conciliarsi con le nuove analisi dell’ex teorico del Grece, Guillaume Faye. Dopo aver rinnegato il terzomondismo di destra elaborato nella primavera 1980 su Éléments n. 34 – su cui appariva in copertina la Statua della libertà in frantumi – nell’articolo Pour en finir avec la civilisation occidentale, dove riteneva necessaria ai fini sovranisti un’alleanza euro-araba contro il mondialismo occidentalista (l’America, continuatrice dell’imperialismo navale inglese, era descritta come una talassocrazia mercantilista che si proiettava, citando il Carl Schmitt di Terra e mare, nei mari e verso un dominio mondiale), Faye approda a posizioni antitetiche nel 1998, nel libro edito per le edizioni dell’Aencre, L’Archéofuturisme, pubblicato in Italia nel 2000 dalle edizioni Barbarossa. Il testo diviene una sorta di manifesto, un libro di culto, per tutta la generazione della destra post lepénista approdata all’antislamismo e all’identitarismo e nei partiti nazional-populisti, fra cui in Italia la Lega Nord.
Possiamo dire che, grazie alle elaborazioni di transfughi della nouvelle droite del Greece, come Dominique Venner, Pierre Vial e Guillaume Faye, abbiamo quella droite identitaire antislamica che ha suoi referenti filosofici ben chiari e, pur riprendendo molti postulati dalle tesi elaborate da Alain de Benoist, come il regionalismo, l’euro-federalismo, il differenzialismo ecc., propone l’unità del blocco continentale da Brest a Vladivostok. Ma non parla né dell’Europa né dell’Eurasia, bensì dell’Eurosiberia, territorio che comprende esclusivamente gruppi di ‘razza bianca’. L’analisi vede la venuta del ‘caos etnico’ nel periodo compreso fra il 2010 e il 2020, causato dall’immigrazione allogena, e Faye distingue il nemico che vuole ‘distruggerci’, l’Islam, dall’avversario che ‘ci indebolisce’ senza tuttavia volere la nostra fine, gli Stati Uniti.
Faye, che verrà attaccato da de Benoist in un’intervista rilasciata nel marzo del 2000 ad Area, mensile della destra sociale di An, per le sue “posizioni fortemente razziste”, pur non essendo cristiano ma pagano esalta anch’egli Israele, come Bannon, in quanto baluardo identitario anti-islamico (15).
Nei disegni di Steve Bannon dunque la Russia va disconnessa dagli attori geopolitici asiatici e riconnessa a una nuova egemonia statunitense, progetto che, anche per i Paesi europei, è tutto eccetto che sovranista. Se n’è accorta Marine Le Pen, la quale, dopo un’iniziale interesse per The Movement, ha affermato di non volersi unire alla coalizione europea populista di Bannon. Un rifiuto annunciato dopo l’8 ottobre durante la sua visita romana all’alleato Matteo Salvini, con queste parole: “Il signor Bannon non proviene da un Paese europeo, è americano, ha suggerito la creazione di una fondazione che mira a offrire studi, sondaggi, analisi di partiti sovranisti europei. Ma la forza politica che nascerà dalle elezioni in Europa, siamo noi, e solo noi, che la struttureremo […] Poiché siamo attaccati alla nostra libertà, attaccati alla nostra sovranità, siamo noi, insieme, rappresentanti di diversi popoli in Europa, che struttureremo la forza politica che mira a salvare l’Europa”.
Che la lobby anti-mondialista e russofila interna al Rassemblement abbia spinto la leader francese a vedere il quadro più ampio della situazione? Anche altri nazional-populisti hanno fiutato odore di egemonia statunitense nel progetto, uno tra tutti il primo ministro ungherese Orbán, che ha affermato di “non essere interessato alle cose che non toccano l’Ungheria” (16).
Insomma, lo scontro è fra diverse visioni geostrategiche tessute nelle segreterie dei partiti e nei vari think tank e associazioni culturali di diversa natura. E pare che a comprenderlo per prima sia stato il già citato ex membro dello staff dell’Ukip, Raheem Kassam, che all’inaugurazione del progetto The Movement ha dichiarato: “Dimenticatevi delle vostre Merkel. I principali protagonisti della politica europea nei prossimi anni saranno Soros e Bannon”.
Una prospettiva inquietante.
1) P. Zolli, Le parole straniere, Zanichelli, Bologna 1976, pp. 33-34
2) Sovranismo [2017], in http://www.treccani.it/vocabolario/sovranismo_%28Neologismi%29/, Url consultato nel novembre 2018
3) Il filosofo liberale, europeista, filoamericano, filosionista e russofobo Bernard Henry Levy, al Corriere della Sera del 27 giugno 2016, afferma nel commentare la Brexit: “È la vittoria non del popolo, ma del populismo. […] È la rivincita, in tutto il Regno Unito, di coloro che non hanno mai sopportato che gli Obama, Hollande, Merkel e altri esprimessero la propria opinione su quello che essi si accingevano a decidere. È la vittoria, in altri termini, del ‘sovranismo’ più stantio e del nazionalismo più stupido. È la vittoria dell’Inghilterra ammuffita sull’Inghilterra aperta al mondo e all’ascolto del suo glorioso passato”
4) Dichiarazioni prese dalla stampa italiana del 2 luglio 2018, ma soprattutto da C. Attanasio Ghezzi, Lega delle Leghe, la mappa dei possibili alleati di Salvini in Europa, in http://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2018/07/02/mappa-leghe-salvini-destre-alleati-europa/221563/, 2 luglio 2018
5) Quel “movimento eterogeneo di estrema destra che esiste soprattutto su internet”, visto il forte bipolarismo Usa, come riportava il New Yorker nel marzo 2016, che “promuove ideologie di destra alternative a quelle tradizionali [americane], al conservatorismo classico in auge nel partito Repubblicano (un conservatorismo a sua volta rinnovato con la presenza dei cosiddetti neo-con e coi teo-con, tramite fra la destra politica e l’evangelismo fondamentalista), e ha sdoganato temi che in Europa sono presenti nell’estrema destra o nel nazional-populismo”
6) È il caso del Pôle de renaissance communiste en France (Polo di rinascita comunista in Francia), soggetto marxista-leninista fondato nel gennaio 2004, nato inizialmente come tendenza interna al Pcf, rappresentandone l’ala di estrema sinistra contraria alla ‘mutazione genetica’ che il partito ha avuto dal 1990 (anche se, secondo loro, la degenerazione avviene dal 1976, a opera di George Marchais) con l’abbandono ‘revisionista’ del marxismo-leninismo, dell’idea della dittatura del proletariato, e l’accettazione del metodo borghese e dell’integrazione europea tramite l’eurocomunismo preso dal Pci, desiderando nei fatti il ritorno allo “spirito di Tours”, ossia l’originario programma del Pcf del 1921. Il movimento, tramite il suo presidente, l’ex partigiano comunista Leon Landini, si definisce sì internazionalista, ma al contempo patriottico, sovranista e anti-euro, favorevole all’uscita della Francia dalla Ue, a differenza del Pcf favorevole a una sua riforma in senso progressista, facendo dichiarare al segretario Georges Gastaud in un’intervista rilasciata al giornale comunista online La Città futura, vicino al Prc, l’intento, nonostante le ovvie contraddizioni ‘riformiste’, di sostenere il leader gauchista Jean-Luc Mélenchon nella sua corsa all’Eliseo. Cfr. Lotte sociali, elezioni presidenziali e antimperialismo nella Francia in crisi: il punto di vista dei comunisti, intervista a G. Gastaud a cura di A. Arena, in http://www.lacittafutura.it /esteri/lotte-sociali-elezioni-presidenziali-e-antimperialismo-nella-francia-in-crisi-il-punto-di-vista-dei-comunisti 25 marzo 2017
7) Cfr. www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Il_Pentagono_e_le_basi_militari_Usa_in_Italia.html 14 ottobre 2013
8) Cfr. Matteo Luca Andriola, Svezia. Immigrazione e crisi del welfare state: arriva la destra dei Democratici svedesi, Paginauno n. 59/2018
9) Nico Hines, Inside Bannon’s Plan to Hijack Europe for the Far-Right, Daily Beast, 20 luglio 2018, in http://www.thedailybeast.com/inside-bannons-plan-to-hijack-europe-for-the-far-right
10) Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=kPGMPlEHLTA
11) Puglisi, Tra Soros e Bannon, Eurasia. Rivista di studi geopolitici, a. XV, n. 4, ottobre-dicembre 2018, pp. 102, 103
12) Cfr. Philip Oltermann, New US ambassador to Germany under fire for rightwing support, The Guardian, 4 giugno 2018, in http://amp.theguardian.com/world/2018/ jun/04/new-us-ambassador-to-germany-under-fire-for-rightwing-support
13) Cfr. Matteo Luca Andriola, Nuova destra: fra filoislamici e islamofobi, Paginauno n. 50/2016
14) Shimon Stein, Moshe Zimmerman, Israel: The One Place Europe’s anti-Semitic Far Right Wins the Jewish Vote, Haaretz, 20 giugno 2018
15) Come esposto nel pamphlet islamofobo La nouvelle Question juive pubblicato nel 2007
16) Cfr. M. G. Matetich, Marine Le Pen rifiuta le “avances” politiche di Steve Bannon, Il Giornale, 8 ottobre 2018, in http://www.ilgiornale.it/news/mondo/marine-pen-rifiuta-avances-populiste-steve-bannon-1585777.html