Scrivere un ideale diario della mia clausura mi sembra subito molto ridondante, quasi pomposo. Credo sia meglio affidarsi a qualche impressione che è venuta fuori negli ultimi tempi e lasciare sedimentare il resto per quando sarà passata (se passerà) la buriana del virus. Posso dire che sono rimasto abbastanza scioccato dal video a corredo di un brano di un’artista che ho riscoperto da qualche anno. Parlo di Nada Malanima, in arte Nada, da Gabbro vicino Livorno. Qualche anno fa ho ascoltato il suo disco in collaborazione con Massimo Zamboni (ex CCCP e CSI) e ho capito che la ragazza aveva della stoffa, solo che la si sapesse tirare fuori. E la stoffa è venuta fuori alla grande con questo ottimo album di inediti e soprattutto con il singolo Dove sono i tuoi occhi, corredato da un video che come dicevo mi ha particolarmente impressionato.
C’è una galleria di immagini di persone dalla fisionomia molto pronunciata, tanto pronunciata da rimanere impressa, a dispetto del fatto che gli occhi di ognuno di loro sono sostituiti da immagini caleidoscopiche. Nada canta quasi salmodiando e poi urla cantando. Suoni scabri, tra Portishead e il miglior grunge (alla produzione c’è John Parish, già in cabina di regia con PJ Harvey, Eels, Giant Sand, Afterhours), suoni e ritmica ossessiva da brivido. Devo dire che tutto l’album è di ottima fattura e tutto da scoprire, e di sicuro nel panorama italiano è qualcosa di rimarchevole. Ma a me ha continuato a rimanere in testa quel brano e quel video. Credo di avere capito che la ragione profonda è la saturazione di immagini che trovo attorno a me a ogni passo. Il lockdown ha acuito questa sensazione in modo paradossale, come credo sia successo un po’ tutti. Il traffico su Internet è aumentato in modo esponenziale; e Internet, si sa, ha una fortissima componente visiva. Persino i telefonini ce l’hanno. Aggiungeteci l’home video casalingo e avrete il quadro della situazione. L’unico rimedio è spegnere tutti questi aggeggi e lasciare in funzione semplicemente un apparecchio per la riproduzione della musica e i vostri occhi per leggere e scrivere.
Gli occhi, per l’appunto. Mi è stato subito chiaro che potevo leggere il video come una metafora trasparente della situazione mondiale. I nostri occhi sono affogati nella marea e nel flusso costante di immagini che i media ci rimandano. E dunque i nostri occhi veri, la nostra finestra sul mondo – per alcuni l’unica finestra – sono stati sostituiti da un caleidoscopio incessante di stimoli. Ho dovuto impormi di non guardare Facebook e di limitarmi a un film al giorno; via libera invece ai libri, ai santi libri, e alla musica, tutta la musica che ho: posso mettere su una radio e trasmettere 365 giorni l’anno, ventiquattro ore su 24, senza mai ripetere lo stesso pezzo. Basta il comando random applicato al mio hard disk esterno. C’è voluto un po’ per andare a dormire senza avere in testa un carosello di immagini.
Prima di fermarsi mi è venuta in mente l’immagine potente di Samuel Jackson (Jules) e John Travolta (Vincent) che vanno a recuperare la misteriosa valigetta del loro capo Marcellus Wallace a casa di tre adolescenti. Il film, l’avrete capito, è Pulp Fiction di Tarantino. È mi è venuto da chiedermi di che cosa fossero pieni gli occhi dei protagonisti di questo film iper-citazionista ma eccezionale. Alla fine la risposta è stata: il loro immaginario visivo è stato coltivato da tutta la spazzatura pulp fatta di video, audio, riviste e fumetti pubblicata negli USA. Libri, neanche a morire, in nessuna delle case. Un frullato misto micidiale da cui emerge, miracolosamente, qualche scheggia di letteratura. Vediamo di cosa si tratta.
Non è strano che in un film esistano citazioni dai testi più svariati e anche più sorprendenti. E non è neanche strano trovare un regista-citazionista. Il primo che mi viene in mente in versione simpaticamente nevrotica è sicuramente Woody Allen. Ma ce ne sono a bizzeffe. Il fatto è che il nostro gangster Jules prima di sparare alla sua vittima se ne esce con una citazione biblica, il famoso Ezechiele 25:17. Ma questa citazione solleva veramente un mucchio di problemi. Il primo dei quali è che il testo citato nel film non corrisponde al testo biblico, se non vagamente e solo nell’ultima parte. Il versetto della Bibbia infatti dice: “Farò su di loro terribili vendette, castighi furiosi, e sapranno che io sono il Signore quando eseguirò su di loro la vendetta”.
Lo spettatore medio italiano, a meno che non si tratti di un testimone di Geova inopinatamente presente alla proiezione di Pulp Fiction, non è sicuramente dotato di competenze bibliche. Ma se anche fosse andato in chiesa almeno da piccolo, la Bibbia non fa più parte organica del suo corredo culturale. Del tutto diversa è invece la situazione negli Stati Uniti, dove nella Bible Belt, la fascia degli Stati del Sud dalla forte connotazione religiosa, si incontra un sacco di gente che la Bibbia invece la conosce benissimo, e magari è anche in grado di citarvi a memoria dei versetti. Non è neanche un caso che in tutti, ma proprio tutti i motel e anche hotel d’America, la Bibbia la trovate sul comodino accanto al letto. Sarebbe dunque lecito aspettarsi che qualcuno abbia fatto rilevare l’incongruenza tra il testo declamato da Jules e quello ufficiale. È con una punta di orgoglio che dico che la mia mania del controllo delle fonti mi ha fatto subito scoprire l’inghippo, appena visto il film. Ma ho dovuto aspettare sino a un annetto fa prima di vedere su Internet qualcuno che denunciava il fatto.
Abbiamo detto che l’incompetenza del pubblico è la spiegazione del mancato controllo. Dall’altra lo stesso pubblico può pensare che il killer che pronuncia queste parole, visto che è un nero, magari cresciuto in un ghetto, e che magari è stato educato almeno un po’ in chiesa, abbia fatto una citazione come si dice a orecchio cioè a memoria. Per cui nessuno si stupisce. Siamo di fronte ancora una volta al fenomeno, cruciale per il mondo dello spettacolo visivo, della sospensione volontaria dell’incredulità, che in questo caso assume veramente i contorni di un vero e proprio atto di fede o salto di fede. In soldoni: si prende per buono ciò che il film ci racconta e anzi lo si accetta volentieri perché questa battuta viene ripetuta più volte nel film, sempre dallo stesso killer e sempre mentre sta ammazzando qualcuno. Sicché il nostro salto di fede ne esce rinforzato e tutti pensiamo che si tratta dell’ennesimo caso di fanatico religioso e niente più. Le cronache italiane, d’altronde, ci hanno recentemente confermato che personaggi del genere esistono anche da noi, quando vediamo un baciapile convertito in un quarto d’ora dal dio Odino alla Madonna, che lascia però morire degli innocenti nel Mediterraneo come niente fosse.
In termini musicali, quello di Jules è un medley, un brano composto dalle ‘frasi’ meglio riconoscibili di diverse canzoni famose ed eseguito a mo’ di virtuosismo. La stessa tecnica nel XVI secolo costò la vita al mugnaio friulano Domenico Scandella, detto Menocchio, condannato a morte per eresia in quanto autore di un’interpretazione troppo versatile e personale dei testi sacri. Sia pure di livello molto basso, dunque, quella di Jules è una ‘dislettura’. Così, almeno, la si potrebbe definire prendendo a prestito il concetto di misreading (tradotto in italiano anche come ‘travisamento’) attraverso il quale si può analizzare il percorso della tradizione letteraria in Occidente. Una serie di clamorosi fraintendimenti (Dante che considera l’Eneide come poema cristiano, Milton che “rovina le sacre verità” della Bibbia per allestire il suo Paradiso Perduto, Joyce che equivoca sul contenuto dell’Odissea e via di questo passo) che conducono però a qualcosa di nuovo e, in molti casi, di almeno altrettanto grande rispetto al testo di partenza. Succede ai poeti, è successo a un eretico umile e indomabile come il mugnaio Menocchio, ma può capitare anche a un travet della malavita come Jules, che nel corso di Pulp Fiction scopre appunto come le parole di una minacciosa e fantasiosa citazione biblica abbiano il potere di convertire chi le pronuncia.
Torniamo al sermone di Jules e cerchiamo di visualizzare la scena. Siamo nell’appartamento in cui i ragazzi avevano creduto di essere al sicuro. Sul divano c’è già il corpo senza vita di uno dei teenager. Vincent finisce di controllare il contenuto della misteriosa valigetta da riconsegnare a sua maestà Marsellus Wallace dopodiché si unisce a Jules e insieme crivellano di colpi Brett. Questa, almeno, è la scena così come la vediamo all’inizio del film. La situazione ritorna nel terzo episodio, narrata però dal punto di vista di un altro ragazzo del gruppo, che si nasconde armato in bagno il quale fa irruzione gridando istericamente: “Crepate, figli di puttana! Dovete crepare!” Scorgiamo il suo stupore quando si accorge che i proiettili della Magnum non hanno neppure graffiato Vincent e Jules e infine lo vediamo cadere sotto il fuoco incrociato dei due killer.
Vincent e Jules si dimostrano sorpresi, anche se non rinunciano alla loro aria professionale, ma hanno idee molto diverse su quanto è accaduto. “Siamo stati fortunati”, commenta senza troppa fantasia Vincent. Ma il suo amico biblista è di tutt’altro avviso: “Non è stata fortuna” dice, “è stato l’intervento divino. Lo sai che cos’è l’intervento divino?”. Anche Vincent è più perplesso di quanto voglia fare credere: “Credo di sì” risponde. “Significa che Dio è venuto giù dal cielo e ha deviato i proiettili?”. La parziale ammissione di Vincent contribuisce a rafforzare l’immediata convinzione di Jules, che pure continua a esprimersi con estrema brutalità: “Quello che è successo qui è stato un miracolo e, cazzo, voglio che tu riconosca che è così” dice al sempre più scettico Vincent. Successivamente, seduto al tavolo di un caffè, continua a pensare al ‘miracolo’. Vincent, tornato nella parte dell’intellettuale da strapazzo, non concorda più con la definizione ed è disposto a parlare, tutt’al più, di “un avvenimento strano”. Jules è però irremovibile e, con pazienza, prova a convincere il collega. “Che è un miracolo, Vincent?” gli chiede. L’altro risponde con prontezza: “Un atto di Dio”. Da qui in poi Jules lo incalza e il dialogo fra i due assassini si trasforma, come in una morality play medievale, in una sorta di dibattito teologico.
JULES: E che è un atto di Dio? VINCENT: Quando Dio rende possibile l’impossibile. Ma stamattina non era uno di questi casi. JULES: Ah, Vincent, non vedi che queste stronzate non contano? Perché giudichi la cosa in modo sbagliato. Ammettiamo che Dio abbia fermato quei proiettili, o trasformato la Coca in Pepsi, o trovato le chiavi della mia macchina. Non si giudicano cose del genere sulla base dell’utilità. Ora, se questo fatto che ci è capitato sia stato o no, secondo tutte le regole, un miracolo, è insignificante. Ma quello che ha significato è che io ho sentito il tocco di Dio. Dio c’era coinvolto.
Più tardi, quando Jules e Vincent sono di fronte ai due rapinatori da strapazzo Zucchino e Coniglietta, Jules riprende il sermone: “Ora, sono anni che dico questa cazzata. E se la sentivi, significava che per te era finita. Non mi sono mai chiesto cosa volesse dire. Pensavo che fosse una stronzata da dire a sangue freddo a un figlio di puttana prima di sparargli. Ma stamattina ho visto una cosa che mi ha fatto riflettere. Vedi, adesso penso: magari vuol dire che tu sei l’uomo malvagio e io sono l’uomo timorato. E il signor 9 millimetri, qui, lui è il pastore che protegge il mio timorato sedere nella valle delle tenebre. O può voler dire che tu sei l’uomo timorato e io sono il pastore, ed è il mondo a essere malvagio ed egoista, forse. Questo mi piacerebbe, ma questa cosa non è la verità. La verità è che tu sei il debole. E io sono la tirannia degli uomini malvagi. Ma ci sto provando, ci sto provando con grande fatica a diventare il pastore”.
Il sermone di Jules rappresenta più un’eccezione che una regola, ma rimane comunque lo specchio del modo in cui anche il cinema di oggi – persino il più imprevedibile, il più estremo e autoreferenziale – possa da un lato lasciare aperta la porta della letteratura, dall’altro invitare lo spettatore a fare comunque anche lui un salto di fede, l’ennesimo, che però adesso diventa facile una volta che si sono accettati i precedenti. Certo, la Bibbia non è soltanto un testo letterario, ma per la cultura anglosassone è anche, e in modo eminente, un testo letterario. La Bibbia di Jules il killer, poi, è addirittura il documento di una letteratura privata, allucinata ed eterodossa, simile al confuso radicalismo cristiano professato appunto nel Cinquecento dal mugnaio Menocchio.
Usciti dal cinema sono sicuramente pochi quelli che hanno riflettuto sulla struttura narrativa circolare e geniale di Pulp Fiction. Sono ancora di meno quelli che si sono soffermati sul dettaglio. Come ho detto più sopra i personaggi di questo film, realisticamente, si nutrono di spazzatura pulp. E per di più non solo non guardano film d’autore ma neanche film di seria A, quelli in cima alla classifica degli incassi. No, loro guardano anche in questo caso filmacci magari di arti marziali, ma mica quelli di Bruce Lee, no, quella è roba da intellettuali. Esattamente come il giovane Tarantino, commesso in un videonoleggio, guardano film come Karate Kiba del 1976, conosciuto anche come The bodyguard con protagonista la star giapponese Sonny Chiba.
Questo attore pronuncia a un certo punto una citazione identica a quella di Jules, cioè Ezechiele 25:17, ma cambiandola nel finale, sostituendo il nome del Signore col proprio, cosicché la citazione suona: “Farò su di loro terribili vendette, castighi furiosi, e sapranno che io sono Chiba the bodyguard quando eseguirò su di loro la vendetta”. La cosa veramente comica e leggermente inquietante è che qualche anno fa il gruppo di hacker sconosciuto come Anonymous è riuscito a entrare nel sito Internet del Vaticano. Dopo minacce di vario tipo, gli hacker hanno condito il loro intervento proprio con la citazione di Jules. Il risultato è che il sito Internet di una delle organizzazioni più potente al mondo viene minacciato con una frase tratta da un film giapponese di serie B. Vualà la frittata è fatta, Tarantino ha fatto una citazione da cinefilo. E voi spettatori avete fatto un ennesimo salto di fede prendendo per buona una citazione biblica di terza mano, con la quale fare i fighi con gli amici all’ora dell’aperitivo.
Dove sono i vostri occhi?