John Q. di Nick Cassavetes, il sistema sanitario statunitense e l’omicidio a dicembre dell’amministratore delegato di UnitedHealthcare
New York, 4 dicembre 2024. L’omicidio di Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, succursale di UnitedHealth Group – colosso statunitense nel settore delle assicurazioni, con un valore di mercato di 519 miliardi di dollari, quasi il doppio di Coca-Cola – da parte di Luigi Mangione, riporta il dibattito pubblico sul tema della sanità, con particolare riferimento agli USA, unica nazione nel mondo sviluppato a non prevedere una copertura universale; un modello, tuttavia, che tende a imporsi anche ad altri Paesi occidentali, secondo la logica neoliberista delle privatizzazioni, col risultato che ricevere delle cure adeguate cessa di essere un diritto di tutti per diventare privilegio di pochi.
I dati parlano chiaro. Secondo un articolo del 2023, pubblicato su Salute Internazionale, nel 2021 il 58% dei debiti negli Stati Uniti era causato da spese sanitarie (1). Cifre ribadite da Il Post che, in aggiunta, cita un’analisi condotta nel 2022 dalla radio NPR e dal sito di notizie indipendente KFF Health News, secondo cui a essere afflitti da tali debiti sarebbero cento milioni di americani – quasi un terzo della popolazione – il 20% dei quali certi di non riuscire mai a saldarli del tutto (2). Proprio la prospettiva di trovarsi indebitati spinge buona parte della popolazione a evitare i controlli di routine, rischiando così di aggravare, se presenti, i propri problemi di salute. Risultato: a fronte di una spesa sanitaria enorme, corrispondente al 17,3% del Pil e destinata a salire al 19,7% entro il 2032 (3) – di gran lunga la più alta a livello globale, quasi il triplo della media dei Paesi OCSE – gli Stati Uniti restano la nazione “con i peggiori risultati in termini di mortalità e morbosità generali e specifiche, con un’attesa di vita significativamente più bassa […] e con una qualità generale di vita analogamente inferiore, confermandosi come un preoccupante paradosso nel panorama sanitario globale” (4). Un paradosso che diventa comprensibile, se si considera l’enorme costo del sistema assicurativo privato, in aggiunta a quello dei farmaci, non calmierato dallo Stato. Gli unici programmi pubblici sono Medicare e Medicaid, dedicati, tuttavia, solo a specifiche categorie di beneficiari: il primo agli anziani con più di sessantacinque anni di età, il secondo alle fasce della popolazione considerate più fragili (famiglie sotto la soglia di povertà, donne incinte, disabili ecc.). I cittadini statunitensi sono dunque costretti ad affidarsi alle compagnie private di assicurazione per sperare di coprire i costi spesso esorbitanti delle cure – compagnie il cui scopo principale non è certo la tutela della salute, bensì il profitto. Com’è facile intuire, si tratta di un modello che esaspera all’estremo la dinamica del ricatto sociale, a prescindere dal fatto che sia il singolo individuo a farsi direttamente carico degli oneri assicurativi oppure l’azienda per cui lavora. In questo contesto, la riforma proposta da Obama nel 2010 e, dopo la prima parentesi trumpiana, rilanciata da Biden – riforma divenuta celebre con il nome di Obamacare – ha certamente svolto una funzione mitigante, pur non mettendo in discussione i princìpi alla base del sistema: essa prevedeva, tra le altre cose, che le compagnie assicurative non potessero più negare i loro programmi a persone con particolari patologie; un incentivo fiscale per comprare le polizze sanitarie; l’obbligo per le aziende con più di cinquanta assunti di contribuire alle spese mediche dei loro salariati. Oggi è probabile che nemmeno queste timide manovre sopravvivano al nuovo mandato di Trump, il quale ha addirittura dichiarato la volontà di procedere a tagli sui programmi Medicare e Medicaid (5).
D’altra parte, sul fronte della ricerca gli USA rappresentano un’eccellenza: è qui che si raggiungono le maggiori innovazioni in campo medico-sanitario; è qui che si trovano le strutture ospedaliere più all’avanguardia in termini di attrezzature e preparazione del personale. Eppure, per come è organizzato il sistema a stelle e strisce, il frutto di tale lavoro e sapere collettivi resta una merce, appannaggio solo di chi ha la possibilità economica di permettersene l’acquisto; e questo in un Paese in cui la sperequazione è sempre stata particolarmente forte, con un indice di Gini – il coefficiente che calcola le disuguaglianze sociali in una scala compresa tra 0 e 100, dove il primo numero indica una perfetta ripartizione della ricchezza tra tutti i membri di uno Stato e il secondo l’intero ammontare delle sostanze nelle mani di un singolo individuo – che nel 2022 si attestava al 41,3% (6). Intendiamoci: fuori dai pronto soccorso non si lascia morire nessuno – nemmeno negli Usa. Tuttavia, salvo i casi tutelati dall’Emergency Medical Treatment and Labor Act, una volta curato, al paziente sarà presentato il conto; e, se per una qualsiasi ragione, la sua assicurazione sanitaria non dovesse coprire l’infortunio – o il degente ne fosse addirittura sprovvisto – sarà lui, privato cittadino, a doversi fare carico delle spese ospedaliere; le quali ammontano spesso e volentieri a cifre inarrivabili per i più, se si considera che solo un viaggio in ambulanza può arrivare a costare mille dollari – motivo per cui chi non ha subìto traumi troppo violenti sceglie solitamente di recarsi in taxi al pronto soccorso (7). Come spiega il personaggio di Steve (Kevin Connolly) – un infermiere – nel film John Q (2002) di Nick Cassavetes nel contesto di una digressione sul giuramento di Ippocrate, secondo cui i medici sono deontologicamente obbligati a intervenire per curare i malati a prescindere dalla condizione economica e sociale di questi ultimi: “Simili porcate succedono continuamente: le ambulanze portano la vittima di un incidente, e quando in amministrazione si accorgono che non può pagare, la rimandano al mittente. […] Certo, ci sono le leggi, ma c’è anche il modo di aggirarle. Noi dobbiamo solo stabilizzare i pazienti. Dopodiché siamo a posto”.
Il lavoro di Cassavetes presenta tanti punti di contatto con il caso di Mangione quante differenze, a partire dalla diversa estrazione sociale di John Quincy Archibald (Denzel Washington) – l’operaio protagonista del film, oppresso dai debiti – e dell’uccisore di Brian Thompson…
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