Giuseppe Ciarallo
Breve storia della rivista Il delatore, pubblicazione di belle lettere e storia
Se l’archeologia è per definizione lo studio di civiltà e culture del passato in relazione alle situazioni politiche, economiche, sociali, in cui erano calate, sarebbe un errore limitare il raggio d’azione ai popoli dell’antichità. Anche il recupero e la riproposta di elementi di un recente passato, caduti o artatamente relegati nel dimenticatoio, possono essere a pieno titolo ascritti alla pratica meritoria dell’archeologia (soprattutto in un’epoca in cui ogni cosa diventa ‘vecchia’ a una velocità strabiliante, al cospetto di un ‘nuovo’ che minacciosamente avanza costantemente a ritmo serrato). Tutto questo pistolotto mi serve per spiegare la frenesia e l’orgoglio che si impossessano di me, novello vintage-archeologo senza alcun titolo accademico, ogniqualvolta mi imbatto in tracce e vestigia del passato a noi più prossimo, di cui nessuno o quasi conserva più memoria.
Così mi è capitato quando per puro caso ho scoperto l’esistenza della rivista Il Delatore, “pubblicazione bimestrale di belle lettere e storia”. Stavo cercando sul web materiale e informazioni su Anton Germano Rossi, scrittore e fine umorista che ha espresso tutta la sua carica satirica in un difficile periodo come fu quello della dittatura fascista, senza trovare granché. Un link riportava la notizia che alcuni racconti di Rossi comparivano sul numero 1 della rivista Il Delatore, della quale ignoravo del tutto l’esistenza. Altro elemento che mi mise sulle tracce del bimestrale satirico, sullo stesso numero compariva uno scritto di Luciano Bianciardi, altro mio grande pallino, e la copertina era disegnata dallo straordinario artista francese Roland Topor. Prima di mettermi alla ricerca della rivista ‘in carne e ossa’, o meglio ‘in carta e inchiostro’, cercai di saperne qualcosa di più, e così venni a conoscenza di un’esperienza straordinaria in un momento altrettanto eccezionale della vita della nazione.
Questa la storia de Il Delatore.
Il Delatore ebbe due vite: la prima serie, quattro numeri, venne pubblicata a Roma con cadenza bimestrale dal settembre 1958 al marzo 1959; i cinque numeri della seconda serie, invece, videro la luce per i tipi della casa editrice La Cartaccia di Milano, con uscita trimestrale dal marzo 1964 al marzo 1965. Una peculiarità della rivista era quella di essere monotematica: gli argomenti scelti di volta in volta erano con tutta evidenza volutamente tesi a scatenare polemiche e feroci discussioni in un Paese da poco uscito dalla tragica esperienza della dittatura fascista e della guerra, in piena ricostruzione economica e sociale, e ancora capace di appassionarsi nel contraddittorio dialettico. Gli argomenti, mai banali, trattati nei numeri della prima serie furono, in ordine, il Sadismo, il Cattivo Gusto in Italia, i Ragazzi e la Commedia dell’Arte, quelli della seconda serie, invece, riguardarono la Follia, il Dizionario del gergo della malavita italiana, il Silenzio, la Morte e, per ultimo, l’argomento scabroso, per l’epoca, dei Travestiti.
Deus ex machina della strana rivista è il direttore Bernardino Zapponi, all’epoca trentenne romano, autore e sceneggiatore di testi per il teatro, la radio e il cinema, che aveva iniziato la sua attività nella redazione del settimanale umoristico Marc’Aurelio, accanto a Ettore Scola, Steno, Ruggero Maccari e altri.
Quello di Bernardino Zapponi è il destino comune a tutti gli artisti il cui nome poco dice ai più, sepolto sotto la grandezza delle opere che hanno prodotto. Sì perché Zapponi oltre ad aver scritto numerosi testi per trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai, soprattutto per programmi di varietà (come Controcanale, scritto a sei mani con Guglielmo Zucconi e Italo Terzoli e condotto da Corrado, Abbe Lane e Xavier Cugat), oltre ad aver pubblicato testi di una certa rilevanza per l’epoca (1), è autore delle sceneggiature di autentici capolavori della cinematografia d’autore italiana. In cinquant’anni di onorata carriera (i primi lavori risalgono al 1951) per Fellini scrive la sceneggiatura, spesso essendo anche l’autore del soggetto, di Tre passi nel delirio, Satyricon, I clowns, Roma, Il Casanova, La città delle donne, firmando al contempo con altri autori, film dal successo strepitoso che a pieno titolo occupano un posto nell’Olimpo del cinema nostrano (2). Ma torniamo alla rivista Il Delatore, analizzando in maniera puntuale il contenuto dei vari numeri.
Nel numero 1, prima serie, dedicato al Sadismo, intervallati da disegni di Siné, Steinberg e da varie illustrazioni d’epoca, compaiono contributi degli scrittori Giuseppe Dell’Ongaro e Grazia Livi, scritti di Charlie Chaplin (sul sadismo dello spettatore di film comici, il cui divertimento è tanto maggiore quanto più “qualcuno si trovi in una situazione ridicola e imbarazzante”) e Sigismondo Freud (come sarebbe potuto mancare), corrispondenze varie del Marchese De Sade (ça va sans dire), sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli e la poesia Dolores, di Algernon Swinburne, vero e proprio inno al sadomasochismo (“Sono passato dalla porta più esterna/nel santuario dove il peccato è preghiera;/che importa se il culto è mortale?/O Nostra Signora della Tortura, che importa?/É tutto tuo l’ultimo vino che verso,/l’ultimo nel calice che beviamo,/o crudele e lussuriosa Dolores,/Nostra Signora dello Spasimo”). Riguardo a questi ultimi versi, c’è da dire che Swinburne non era nuovo a tale foga erotico-poetica, e che in piena epoca vittoriana mise in atto una vera e propria opera di provocazione artistica infarcendo le proprie poesie di tematiche tabù quali il lesbismo, l’avversione alle religioni, le pulsioni suicide e, naturalmente, il sadomasochismo.
Tornando agli altri contenuti della rivista risulta però paradossale il fatto che in un’antologia di testi che ruotano intorno alle tematiche del sadismo, la massima espressione del connubio violenza/voluttà risieda in alcune ricette tratte dal noto libro di cucina Il Talismano della Felicità, di Ada Boni, volumone irrinunciabile per ogni massaia dell’epoca. Ecco alcuni estratti che dimostrano la loro giustificata, azzeccata presenza nella raccolta: “Le allodole, e in generale tutti i piccoli uccelli, si sventrano introducendo la punta di un coltellino nel fianco sinistro, sopra all’attaccatura della coscia. Facendo leva col coltellino si asportano facilmente le interiora senza deformare gli uccellini”; “Scegliete una grossa anguilla, nettatela, spellatela e tagliatele la testa che getterete via”; “Acquistate una grossa aragosta o, meglio, due di media grandezza, badando bene che siano vive, e rifiutandole se fossero già morte. Apritele in due in lunghezza, e se questa operazione vi ispirasse un giustificato senso di repulsione, fatela fare ad altri”.
Il numero 1 termina con l’annuncio delle successive uscite, dedicate ai seguenti argomenti: il Cattivo Gusto in Italia, l’Anarchia, i Ragazzi, la Commedia dell’Arte, gli Eretici. Purtroppo i numeri su Anarchia ed Eretici non andarono mai in stampa.
Il numero 2, sempre della vecchia serie, come annunciato è basato sul tema del Cattivo Gusto in Italia, più che scottante, argomento difficile da centrare vista la molteplicità di possibili visioni e interpretazioni. Le finalità della rivista sono ben spiegate dallo scrittore senese Mino Maccari, che in una ideale lettera al direttore Zapponi, afferma: “Il cattivo gusto è il peccato degli innocenti, il buon gusto l’innocenza dei peccatori. […] Un briciolo di buon gusto ci fa tollerare un farabutto, e un granello di cattivo gusto compromette una buona azione e attira i nostri fulmini su una persona degnissima invece della nostra stima. A conti fatti il buon gusto ci annoia, quello cattivo ci indigna o almeno ci irrita, solleva la nostra protesta, mette in moto le nostre facoltà critiche, e alla fine ci interessa e ci diverte”.
Quindi, conclude Maccari, è facile toccare il tasto del cattivo gusto, non altrettanto agevole scendere sul terreno dell’argomento opposto.
In una sorta di editoriale dal titolo Il cattivo gusto e la follia, Bernardino Zapponi fissa i termini della questione e scrive: “Un po’ di cattivo gusto è necessario in ogni casa; è il segno della vita dell’uomo. È grave quando il cattivo gusto esce dall’ambito famigliare, invade le strade, la letteratura, lo spettacolo”. E passa a elencare ciò che a suo avviso è indice peculiare di questo difetto, non tipicamente ma di sicuro molto italiano, affermando per l’abitante dello Stivale quasi l’ineluttabilità e la condanna a tale condizione: “Spesso l’italiano, nascendo, ha davanti a sé tutta una vita di cattivo gusto. Dalle coroncine di madreperla del battesimo passa ai libri di scuola scritti da Piero Bargellini [scrittore le cui opere più note raccontavano le vite dei santi, n.d.a.], sfogliati sui banchi coperti di linoleum verde. Più tardi andrà a vedere giocare la Roma, e assisterà ai tuffi nella Fontana di Trevi dei laziali sconfitti. Telescuola perfezionerà la sua cultura, un bar con l’insegna al neon lo avvezzerà all’uso del chinotto Neri (se Neri bevi, ne ribevi). E tutto finirà con un furgone nero adorno di angeli gialli, che lo condurrà a una tomba fornita di un ovale di maiolica”.
Completano e arricchiscono il numero due canzoni, una di Alberto Moravia, La bugiarda, l’altra di Mario Soldati, I hate barocco, e poi racconti, articoli, curiosità varie (jingle pubblicitari, iscrizioni funerarie, menu esposti fuori dalle osterie romane, strane testate di giornale – La domenica del sordomuto, Il giornale dei diabetici, Calabria nobilissima, Lo scarpone orobico, Il foglietto del terziario), fotografie e illustrazioni a corredo del tutto.
Del terzo e del quarto numero della vecchia serie ben poco posso scrivere in quanto si sono dimostrati introvabili persino nel circuito delle librerie antiquarie. Posso solo dire che il numero dedicato ai Ragazzi contiene il testo di Mino Maccari Ho fiducia dei Teddy Boys, due scritti di Leonardo Sinisgalli, poeta, saggista e critico d’arte molto apprezzato nel dopoguerra (I faraoni e Esercizi spirituali) e un intervento di Indro Montanelli. Sul numero che ha invece per argomento la Commedia dell’Arte compaiono il testo Il teatro dei matti del pittore Enrico Colombotto Rosso, un articolo di Indro Montanelli dal titolo Il Risorgimento come spettacolo, più illustrazioni e disegni di Mino Maccari, Longanesi, Furio Scarpelli e del francese Siné, pseudonimo di Maurice Sinet, disegnatore dallo stile estremamente provocatorio che ha nel suo mirino soggetti molto sensibili quale la religione, la politica, il costume. Su questi due numeri ‘fantasma’ altro non è dato sapere…
Leggi la seconda parte dell’articolo
1) Gobal, Longanesi, Milano, 1967 (raccolta di racconti fantastici e gotici d’ambientazione contemporanea che suscita l’attenzione di Federico Fellini, il quale lo chiama a collaborare ad alcuni suoi film); Passione, Milano libri, Milano, 1974; Casanova: sceneggiatura originale, Einaudi, Torino, 1976; Trasformazioni, Il melangolo, Genova, 1990; Il mio Fellini, Marsilio, Venezia, 1995
2 ) Vedo nudo, Telefoni bianchi e La ciociara di Dino Risi, Polvere di stelle di Alberto Sordi, L’anatra all’arancia di Luciano Salce, Profondo rosso di Dario Argento, Leonor di Luis Buñuel, I nuovi mostri di Ettore Scola, Nessuno è perfetto di Pasquale Festa Campanile, Il Marchese del Grillo di Mario Monicelli, State buoni se potete di Luigi Magni, e tanti altri titoli di qualità e di cassetta, il che non guasta mai