Se uno non si chiama Zelig e non assume istantaneamente né il soma né il modo di parlare né l’attitudine del proprio interlocutore… diciamolo chiaro senza giri di parole: entrare velocemente nel modo di vedere le cose della persona che avete davanti è tutt’altro che semplice. Pare invece che i grandi seduttori e i grandi manipolatori siano dotati in grado supremo di questa capacità. Cosicché, se non ci siete nati, dovete studiare, sforzarvi, applicarvi. C’è – credo – un solo caso in cui la difficoltà di questa operazione è estrema, ed è il caso del Mutante. Ora, io chiamo Mutante l’essere che incarna realmente uno step significativo del processo evolutivo della vita sulla terra: per intenderci, il passaggio da esseri acquatici a esseri terricoli è una vera mutazione.
Riferito agli umani possiamo pensare alla conquista della posizione eretta della specie homo rispetto al suo immediato antecedente scimmiesco. Ma se pensiamo agli esseri umani di adesso, a chi possiamo riferirci? Le persone oltre i cinquant’anni guardano ai ragazzini nutriti a pane e computer e/o playstation come a Mutanti, ma capita anche col vostro elettricista se non capite un acca di elettricità. In realtà – se in particolare pensiamo a tutta la musica che si fa e si produce nel mondo – vi sono luoghi dove la capacità di metabolizzare ciò che esiste per fare qualcosa di veramente altro è altissima.
Un primo esempio mi è stato fornito dalla capacità dei jazzisti di assumere punti di vista poliritmici, recuperando la tradizione africana come fece Art Blakey e – in misura minore – Dave Brubeck con i 5/4 balcanici di Blue Rondo à la Turk e Take Five. Anni dopo mi sono scassato i malleoli tentando di ballare dei 9/8 di scatenati sassofonisti gitani balcanici come Ivo Papasov, per poi sedermi a ridere quando Goran Bregovic ha balcanizzato all’istante Tammurriata Negra con Massimo Ranieri che tentava (meschino!) di ballarla. Adesso ho nelle orecchie il Mutante per eccellenza del mondo neo civilizzato sudamericano, Tom Zé, che sostiene di avere fatto con gli oggetti del mondo contemporaneo la stessa opera di domesticazione che fece il nostro parente cavernicolo col lupo, ridotto a cane.
Il lupo aveva vita dura: ridotto a cane, perse la libertà assoluta, mangiò molto meglio ed entrò in casa. Tom Zé nacque in una favela, suo nonno vinse alla lotteria e lui potè mangiare. Messo di colpo di fronte agli oggetti del mondo civilizzato come il televisore, il cinema, non riuscì ad assumere altrettanto istantaneamente il punto di vista di chi aveva inventato quegli oggetti e di chi li usava. Dovette inventarsi un processo di domesticazione tutto suo.
Un processo, è il caso di sottolinearlo, provvisto di logica: “È un po’ come se avessi avuto a disposizione leoni, tigri, cavalli ed elefanti e non avessi saputo quali di tali animali avrei addomesticato. Ma quando comincio il processo e lo concludo, allora posso mettermi quell’animale in casa. Adesso, se ripeto l’esempio con un elettrodomestico come l’aspirapolvere, di solito esso non possiede realmente un suo ritmo: comincia con un ummmmmmmm quando lo accendi e finisce con un uhhhhhhhh che rallenta progressivamente quando lo spegni. Ma se riesco a immaginare un modo per accenderlo e spegnerlo istantaneamante senza questo ‘scivolamento’ di suono finale, allora posso usare il primo suono come fosse un tamburo basso. È allora che può entrare in casa mia, in casa di un musicista” (1).
L’intervistatore di Tom Zé afferma che egli, inventando sempre qualcosa di nuovo nella musica, ha dato sempre una speranza a chi veniva dopo di lui: poteva trattarsi di un piccolo ‘salto mentale’ (mind leap) difficile da intendere immediatamente, ma la difficoltà veniva ampiamente ripagata dal brivido dell’invenzione. Ironicamente, Tom Zé risponde che si tratta “di una comunicazione intersemiotica da una disciplina all’altra”.
Ecco, quando parlo di Mutante, parlo esattamente di questo fenomeno, e della difficoltà di assumere il punto di vista di chi l’ha creato. Affermo recisamente che la sclerosi progressiva delle menti orientate e manipolate dalla televisione è speculare a quella di chi i messaggi televisivi li crea e li distribuisce. Affermo, altrettanto recisamente, che sclerosi mentale e gerontocrazia vanno sovente a braccetto.
E dunque, come potrà mai la nostra casta governante non dico assumere, ma quantomento confrontarsi decentemente, con un punto di vista totalmente altro senza ricorrere ai cannoni o ai colpi di Stato?
La Mutazione è già in atto nel Mediterraneo, dove nei Paesi della costa nordafricana la popolazione giovanile sotto i 26 anni è già da tempo maggioranza, ma non ha ancora i suoi rapsòdi, cantori, cantanti. In quella che viene chiamata America latina la Mutazione cominciata com Tom Zé (classe 1936!) fu brevemente interrotta dalla dittatura militare degli anni ’70 (raccontata adesso dal film L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza di Cao Hamburger, 2006). Andarono in esilio nomi meravigliosi come Caetano Veloso e Egberto Gismonti e quelli che rimasero dovettero arrangiarsi. Il giovane Sérgio Dias (classe 1951) ventenne all’epoca del golpe, aveva già assimilato a modo suo la lezione di Tom Zé, un’attitudine ‘cannibalistica’ a carattere multidisciplinare che ingurgitava e assorbiva ogni cosa da qualunque luogo provenisse, rigurgitandola in forma di arte e musica moderna brasilana. Il primo album di Mendes come capo banda di Os Mutantes, Tropicália: ou Panis et Circenses (1968) mostra un’attitudine ben più che zappiana nel modo di affrontare la musica. Si sono scomodate per tale disco e per tutti i successivi le categorie della psichedelia e del caleidoscopio proprio per la cronica incapacità dei critici di cultura occidentale di comprendere (o almeno accettare come dato di fatto) la Mutazione.
Quarantatrè anni dopo, per i nuovi Mutantes (sopravvivono solo Dias e il batterista Dinho rispetto alla formazione originale) e il loro nuovo CD Haih or Amortecedor, la carica anarcoide, ironica e visionaria, ricerca psichedelica e ritmi tropicali, dissacrazione e costruzione rigorosa sembrano intatti e corrosivi come se il tempo non fosse passato. Considerate inoltre che dentro al CD trovate a collaborare quattro mani in più, quelle di Tom Zé e di Jorge Ben Jor.
Apprezzati da David Byrne e Kurt Cobain, Os Mutantes hanno fatto dell’imprevedibilità la caratteristica dominante della propria attitudine compositiva. La domesticazione dell’inusuale è di casa: si passa dalle sfuriate elettriche in pieno stile System of a Down alle grattugie abrasive di Querida Querida, che ricorda gli ultimi Sepultura (anche loro Mutanti, inusitati metallari nella terra della dolcezza tropicale); Teclar è una sorta di versione latino americana dei Byrds, 2000 e Agarrum una cartolina europea ai fratellini Gogol Bordello, Baghdad Blues una iniziazione mediorientale fatta da una Mae de Santo di Bahia che manderebbe in sollucchero David Lynch.
I più superficiali collocano i brani sotto il denominatore comune di un generico Zeitgeist brasileiro, che dona felicità culturale a un popolo come il nostro che pensa al Brasile solo nei termini dei goal di Kakà e dei culi sambisti delle Oba-Oba. La realtà parla diversamente: il disco si apre con un discorso del presidente russo Vladimir Putin e termina con gli inni statunitense, russo e brasiliano miscelati assieme. Afferma Dias che ai tempi della rivalità Usa-Urss la necessità di avere un nemico rendeva la vita interessante.
Adesso che il nemico non c’è più (e che, come affermo io, gli Usa assumono o meglio creano disperatamente ogni volta un nemico diverso, vedi i talebani), “sarebbe bello ricordare gli americani come qualcuno degno di un avversario di una partita a scacchi, un avversario alla propria altezza come Krushev” (2). In questo senso, l’inno brasiliano frulla gli ex contendenti facendone icone del passato.
O Careca attracca il gommone su lidi ironico-progressive, O Mensageiro è puro romanticismo sudamericano, Samba do Fidel omaggia sia Carlos (Santana) che il ‘Che’ di Cuba.
Nulla è più uguale della diversità se l’attitudine resta la stessa: “Diceva mia madre quando era già ottantenne che a un certo punto e in certe condizioni il corpo si fermava, ma che la testa continuava come sempre. Mi sento esattamente così, per questo è un grande scambio incontrare Tom Zé, che è un ragazzino. Tom Zé è la fonte della giovinezza […] anche lui è uno dei Mutantes così come noi siamo un poco tutti Tom Zé. Vedo molti giovani di qui come Los Hermanos che si liberano, come abbiamo già fatto noi da tanto tempo, dallo schema verso-bridge-refrain, che è una cosa idiota” (3).
Vai a Sanremo, a spiegare una cosa del genere. Ti guarderebbero come un Mutante, nel migliore dei casi. Capitasse a me ne sarei orgoglioso.
(1) Intervista rilasciata a Bomb Magazine n. 42 – inverno 1993
(2) Intervista su A Tarde, di C. Castro, 22 febbraio 2011
(3) Ibidem
Os Mutantes, Haih or Amortecedor, Epitaph, 2009