La Russia ha davvero influenzato le elezioni presidenziali del 2016? Ci sono prove di fake news e propaganda computazionale? Due report fanno finalmente luce
A poco più di un mese dalle elezioni presidenziali del 2020, fake news e propaganda computazionale rischiano di essere le stesse del 2016.
Per chi ha raggiunto la maturità nel secolo scorso, IRA significa probabilmente Irish Republican Army, la celeberrima associazione militare clandestina sorta con lo scopo di liberare l’Irlanda del nord dal dominio britannico. Ma quell’IRA è storia vecchia, e oggi il suo acronimo designa un’organizzazione che ha a che fare con la propaganda del Cremlino attraverso Internet e i troll. Non stiamo parlando delle familiari creature mitologiche: i nuovi troll sono soggetti che, in una comunità virtuale, interagiscono con gli altri utenti attraverso messaggi provocatori con l’obiettivo di fomentare gli animi e disturbare la comunicazione.
È opportuno sottolineare, prima di proseguire, che quando ci si muove in questo campo molte sono le supposizioni, molto gioca la propaganda in tutte le direzioni – Stati Uniti vs Russia, Russia vs Stati Uniti, Unione europea vs Russia, Russia vs Unione europea… – ma prove tangibili sembra che gli investigatori statunitensi le abbiano trovate.
Secondo il rapporto Assessing Russian Activities and Intentions in Recent US Elections (1), datato 6 gennaio 2017, appena due mesi quindi dalle elezioni presidenziali americane, e realizzato congiuntamente dalle tre più importanti agenzie di intelligence americane, la Cia, l’Fbi e la Nsa, il presidente russo Vladimir Putin nel 2016 avrebbe ordinato operazioni mirate a influenzare le elezioni presidenziali.
“Gli obiettivi della Russia erano di minare la fiducia del pubblico nel processo democratico degli Stati Uniti, di denigrare il segretario Clinton e di danneggiare la sua campagna elettorale per evitare che diventasse Presidente”. Le tre agenzie ritengono inoltre “che Putin e il governo russo abbiano sviluppato una chiara preferenza per il Presidente eletto Trump”.
Queste conclusioni sono supportate da informazioni ritenute di alta qualità provenienti da fonti multiple, affermano Cia, Fbi e Nsa, per cui vi ripongono un livello di fiducia elevato (high confidence) che, come spiega l’allegato B del documento, è il massimo livello di affidabilità secondo lo schema applicato nell’attività di intelligence dagli operatori statunitensi. Inoltre, dice il report, “la campagna di disinformazione di Mosca è stata preceduta da una strategia di comunicazione che ha mescolato operazioni di intelligence segrete […] con operazioni condotte da agenzie governative russe, media di proprietà dello Stato, intermediari terzi e utenti di social media remunerati o ‘troll’” .
Dopo qualche mese, il 31 ottobre 2017 il Senate Judiciary Subcommittee on Crime and Terrorism ha interrogato Colin Stretch di Facebook, Sean Edgett di Twitter e Richard Salgado di Google nell’ambito del Russiagate, l’inchiesta giudiziaria nata a seguito di sospette ingerenze da parte della Russia nella campagna presidenziale americana (2).
I tre hanno testimoniato sotto giuramento di avere prove che confermano l’attività di disinformazione ipotizzata dai servizi di intelligence statunitensi – in particolare di avere scoperto annunci pubblicitari dal contenuto doloso (malicious) e falsi account collegati alla Russia (Russian linked automated accounts) che “in modo automatico e coordinato” hanno operato per scoraggiare i cittadini americani dal votare Hillary Clinton e per sostenere la campagna presidenziale di Donald Trump – e hanno messo a disposizione del Senato il materiale di prova raccolto.
Da parte sua, il Senato ha girato il materiale, oltre che alle diverse agenzie di intelligence, a due team di analisti indipendenti provenienti dal settore high tech e universitario affinché analizzassero i dati forniti, allo scopo di individuare quale fosse la strategia di disinformazione russa e in che modo fosse stata implementata.
Il 16 febbraio 2018, il procuratore speciale che indaga sul Russiagate, Robert Mueller, ha annunciato che il Gran Giurì federale aveva incriminato 13 cittadini russi e tre organizzazioni russe nell’ambito delle indagini sulle interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali americane del 2016. Questi soggetti, secondo Mueller, “hanno coscientemente e intenzionalmente cospirato per truffare gli Stati Uniti con il proposito di interferire con i processi politici ed elettorali americani”.
Il principale imputato, a quanto si desume dalle 37 pagine del provvedimento (3), è una società chiamata Internet Research Agency, che “ha cercato di condurre quella che definiva una ‘guerra dell’informazione’ contro gli Stati Uniti d’America attraverso finti profili” sui social media. L’agenzia si è registrata nel registro delle imprese russo intorno a luglio del 2013, e all’inizio del 2014 “ha occupato un ufficio al 55 di via Savushkina, a San Pietroburgo”.
A partire da giugno dell’anno successivo “ha coperto la sua attività agendo attraverso tutta una serie di aziende russe diverse, fra cui Internet Research LLC, MediaSintez LLC, GlavSet LLC, Mixlnfo LLC, Azimut LLC, and Novlnfo LLC”, e la sede di San Pietroburgo “è diventata uno degli hub operativi in cui, insieme ad altri attori, avrebbe cospirato per interferire nelle elezioni presidenziali americane del 2016, impiegando centinaia di individui per le sue operazioni online”. L’operazione sarebbe stata progettata intorno a maggio 2014 “con l’obiettivo dichiarato di diffondere la sfiducia verso i candidati e il sistema politico in generale”.
L’IRA sarebbe finanziata principalmente dalla Concord Management and Consulting LLC e da Concord Catering, due società russe con diversi contratti governativi, controllate da Yevgeny Viktorovich Prigozhin, un uomo d’affari russo con stretti contatti con il presidente Putin. Il Dipartimento di Giustizia afferma che “la manipolazione della dissertazione politica americana aveva un budget superiore ai 25 milioni di dollari ed è proseguita fino al 2018. I documenti dell’IRA indicano che il solo bilancio operativo del 2017 ha raggiunto i 12,2 milioni di dollari” (4).
Una delle prime inchieste giornalistiche in cui compare l’agenzia è del giugno 2014 ed è stata pubblicata da BuzzFeed News con il titolo “I documenti mostrano come l’esercito dei troll russi colpisce l’America” (5): un collettivo noto col nome di Anonymous International ha messo a disposizione di BuzzFeed una serie di e-mail che sarebbero state hackerate da una fantomatica fabbrica dei troll: le mail contenevano allegati con pagamenti, finanziamenti, stipendi e registri delle attività.
Secondo le informazioni pubblicate, l’IRA, una società privata di cyber propaganda con sede a San Pietroburgo, sarebbe stata impiegata dal Cremlino inizialmente per arginare i danni di immagine interni derivati dalla crisi Ucraina, e in seguito per migliorare la percezione della Russia all’estero: “I media stranieri attualmente dipingono un’immagine negativa della federazione russa agli occhi della comunità globale” si legge in una mail pubblicata da Svetlana Boiko, uno dei dipendenti dell’azienda, “inoltre, i commenti alle notizie e le discussioni online sono altrettanto negative nei toni”.
Da qui la necessità di agire per modificare l’immagine di Mosca. Come viene chiaramente riportato nell’articolo, nessuno dei documenti il cui contenuto è stato pubblicato da BuzzFeed si è rivelato falso; l’IRA e il Cremlino sono stati contattati, ma si sono rifiutati di commentare il materiale hackerato.
La strategia di disinformazione
Ma in cosa consiste, e come sarebbe stata attuata la guerra dei troll? Il 2 giugno 2015, circa un anno e mezzo prima delle elezioni americane, il New York Times pubblica un articolo firmato dal giornalista investigativo Adrian Chen e intitolato The Agency (6). L’articolo prende le mosse da un fatto accaduto l’11 settembre 2014, quando i telefoni di decine di giornalisti, opinionisti e politici americani sono stati inondati di tweet relativi a un disastro ambientale in corso in Louisiana, dove gli stabilimenti di una nota azienda chimica, la Columbian Chemicals, sarebbero stati in fiamme a causa di un attentato terroristico rivendicato dall’Isis.
I tweet erano corredati da fotografie, messaggi di testo degli abitanti della parrocchia di St. Ma-ry Parish (la location dell’impianto) e filmati delle tv locali che ritraevano l’incendio ed esprimevano la massima preoccupazione per le sorti dei lavoratori, e sembrava che la notizia fosse rimbalzata dai media locali per arrivare addirittura sugli schermi della CNN. Ma quando le autorità hanno provato a contattare i responsabili dello stabilimento per comprendere l’entità dei danni, hanno scoperto con estremo stupore che i diretti interessati non ne sapevano nulla. Gli impianti erano perfettamente funzionanti e nessun dipendente aveva segnalato problemi particolari.
Era tutto falso: le foto, i filmati, le trasmissioni delle tv locali, perfino il servizio della CNN, sebbene su YouTube fossero disponibili i video del disastro e su Wikipedia si potesse già trovare una pagina dedicata all’attentato. Questa ‘campagna di disinformazione’ è stata altamente coordinata e ha coinvolto decine di account falsi che hanno pubblicato centinaia di tweet per ore, puntando un elenco di destinatari scelti con precisione per generare la massima attenzione. I responsabili non solo hanno falsificato le schermate della CNN, ma hanno anche creato cloni completamente funzionanti dei siti web delle stazioni televisive e dei giornali della Louisiana.
Ma chi ha costruito la fake news, e quali erano le sue intenzioni? L’Fbi ha provato a indagare sui numeri telefonici implicati, ma senza successo. Chen, invece, aveva sentito parlare dell’IRA, e indagando sugli account facebook e twitter implicati nella falsa notizia, con l’aiuto di hacker e hacktivisti, è riuscito a dimostrare in modo convincente che l’IRA aveva iniziato a interessarsi della vita pubblica americana, allo scopo di diffondere opinioni filo-russe su temi di interesse del Cremlino.
Secondo le ricerche di Chen, confermate poi dai risultati delle agenzie di intelligence, l’inizio delle attività di trolling russe può essere fatto risalire alle proteste antigovernative del 2011 (la cosiddetta Rivoluzione bianca), quando decine di migliaia di persone erano scese in piazza a Mosca dopo le denunce di brogli elettorali nelle elezioni parlamentari da parte di giornalisti e attivisti politici. Le proteste erano state organizzate in gran parte su Facebook e Twitter, guidate da blogger come Alexei Navalny, che avevano utilizzato le piattaforme social per mobilitare la cittadinanza.
L’anno seguente Vyascheslav Volodin, il nuovo vice capo dell’amministrazione di Putin ed eminenza grigia della sua strategia politica interna, ha ricevuto il compito di trovare un modo per controllare Internet. Volodin si fece dunque installare in ufficio un terminale di computer progettato su misura su cui era stato caricato un sistema di sorveglianza elettronica chiamato Prism – che, secondo il Washington Post, sarebbe utilizzato anche dalla Nsa americana fin dal 2007 (7) – in grado di monitorare l’andamento dell’opinione pubblica. Prism “segue attivamente le attività dei social media che provocano un aumento delle tensioni sociali, condotte disordinate, sentimenti di protesta ed estremismo”. È, in sintesi, uno strumento per monitorare il dissenso.
Mosca avrebbe poi agito su più fronti: innanzitutto approvando leggi che richiedono ai blogger di registrarsi presso elenchi statali e che permettono di oscurare i siti web ‘scomodi’ senza un ordine della magistratura, poi sottoponendo a pressioni politiche le piattaforme Internet russe (per esempio Yandex e VKontakte) affinché perorassero le strategie social del governo. Alle restrizioni online sarebbe stata affiancata un’ondata di propaganda digitale, sviluppata in collaborazione con le principali società di pubbliche relazioni come avviene per il lancio (o il rilancio) dei marchi aziendali. E la strategia ha funzionato.
L’IRA e la polarizzazione politica
Il 17 dicembre 2018 il Washington Post ha pubblicato in anteprima le conclusioni di uno dei due report indipendenti preparato per il Senato che contiene “la più ampia analisi della campagna di disinformazione operata dalla Russia nelle elezioni del 2016”. Il documento di 46 pagine si intitola “L’IRA, i social media e la polarizzazione politica negli Stati Uniti, 2012-2018” (8), e ha studiato i milioni di messaggi forniti dalle principali aziende tecnologiche che gestiscono social media alla Commissione del Senato sopra citata.
Il rapporto afferma che l’IRA ha utilizzato la propaganda per disinformare e polarizzare gli elettori statunitensi e che le sue attività sono iniziate su Twitter nel 2013, ma si sono rapidamente trasformate in una strategia multipiattaforma che ha coinvolto Facebook, Instagram e YouTube. Facebook ha fornito i dati relativi a 3.393 annunci pubblicitari (i dati rilasciati dall’HPSCI hanno fornito dettagli su altri 3.517 annunci) che incoraggiavano gli utenti a interagire con pagine specifiche, pagine che costituivano il cuore delle campagne di disinformazione; su Facebook, l’IRA ha pubblicato un totale di 67.502 post su 81 pagine diverse, mentre su Instagram un totale di 116.205 post su 133 account diversi.
In totale, i post IRA sono stati condivisi dagli utenti Facebook poco meno di 31 milioni di volte, sono stati apprezzati quasi 39 milioni di volte, gli utenti hanno reagito con emoji quasi 5,4 milioni di volte e hanno pubblicato quasi 3,5 milioni di commenti. Su Instagram, i post hanno raccolto circa 185 milioni di like e gli utenti hanno commentato circa 4 milioni di volte.
Quello che più stupisce di questi post o tweet è la loro apparente innocenza: presi singolarmente, non differiscono in nulla dai meme a contenuto politico o dalle immagini commentate che girano online e che ognuno di noi riceve ogni giorno: alcuni sono sciocchi, altri divertenti, molti parzialmente condivisibili, e non destano alcuna preoccupazione.
Visti nel complesso della strategia di propaganda, aprono una prospettiva quasi spaventosa sul futuro della vita pubblica e sull’attendibilità delle notizie che riceviamo ogni giorno, da qualsiasi media. L’IRA non ha inventato nulla, non ha utilizzato spie e, spesso, non ha nemmeno violato leggi: ha solo riadattato a nuovi scopi le tecniche pubblicitarie già esistenti e, coerentemente con le regole del marketing digitale, ha utilizzato le piattaforme dei social per diffondere disinformazione imitando l’attività di reali gruppi di attivisti e influencer.
La strategia multipiattaforma, secondo l’analisi, ha offerto tre vantaggi. Innanzitutto, ha permesso all’IRA di raggiungere i suoi target di riferimento attivi su piattaforme diverse con contenuti in formati diversi. In secondo luogo, ha contribuito a creare una parvenza di legittimità alle false organizzazioni e ai falsi account, dal momento che gli utenti sono orientati a ritenere più credibile, per esempio, un gruppo di attivisti che ha un sito web operativo, un canale YouTube, una pagina Facebook, un account Twitter e persino un conto PayPal creato per ricevere donazioni.
Infine, l’IRA ha sfruttato questa presenza multipiattaforma quando la sua attività ha iniziato a essere rilevata dall’apparato tecnico del social media, spostandosi dalle piattaforme in cui gli account erano stati bloccati a quelle in cui le sue attività non erano state interrotte, e cogliendo addirittura l’occasione per lamentare la scarsa democraticità di Internet negli USA.
L’analisi mostra che l’IRA ha cercato di segmentare gli utenti di Facebook e Instagram in base a razza, etnia e identità. Una volta completata questa segmentazione, ha pubblicato più campagne pubblicitarie indirizzate ai diversi gruppi. Il segmento afroamericano è stato oggetto della maggior parte degli annunci pubblicitari, mentre gli utenti bianchi sono stati segmentati in liberali e conservatori e trattati in modo diverso. Un certo numero di altri segmenti etnici, tra cui i latinoamericani e i musulmani americani, sono stati coinvolti in campagne più piccole.
I messaggi cercavano nell’insieme di favorire il Partito Repubblicano, e in particolare Donald Trump, nei confronti di Hillary Clinton. Trump è menzionato direttamente soprattutto nelle campagne verso i conservatori e gli elettori di destra, che venivano invitati a sostenere attivamente la sua campagna.
Gli altri gruppi, invece, sono stati presi di mira con messaggi pensati per confondere, distrarre e in definitiva scoraggiare le persone dal recarsi alle urne: per esempio, nel caso degli afroamericani, da una parte si fomentava la rabbia per le difficoltà che i cittadini di colore dovevano affrontare ogni giorno, per la violenza della polizia nei loro confronti, la povertà e i livelli sproporzionati di detenzione – tutte cose vere – dall’altra si avanzava l’idea che il modo migliore per far avanzare la causa della comunità afroamericana fosse boicottare le elezioni e concentrarsi su altre questioni.
Nonostante il livello di sofisticazione, sottolinea il documento, l’IRA ha commesso quegli errori che ne hanno consentito l’individuazione da parte degli stessi social media. Per esempio l’uso di operatori telefonici russi e indirizzi IP di San Pietroburgo nei metadati dei profili utente. L’analisi degli indirizzi IP ha dimostrato inoltre che i gruppi di account deputati a influenzare le elezioni americane, sia che producessero messaggistica filo-Trump, sia che sostenessero la Clinton, erano gestiti dallo stesso computer: in altre parole, un medesimo soggetto giocava su più tavoli, aizzando gli elettori di tutto lo spettro politico gli uni contro gli altri.
Le opportunità offerte dalle piattaforme di social media, conclude il documento, le rendono potenti infrastrutture per diffondere la propaganda computazionale (9), perché permettono di raggiungere direttamente un gran numero di persone, segmentandole in microtarget a cui inviare messaggi altamente personalizzati. Negli Stati Uniti, l’85% della popolazione adulta usa Internet regolarmente e l’80% di queste persone è su Facebook. La possibilità di un “controllo a grana fine” sui destinatari è ciò che rende le piattaforme social così attraenti per gli inserzionisti, ma anche per gli agenti politici e le agenzie di intelligence straniere, e “sfortunatamente, ci sono prove crescenti che i social media vengono utilizzati per manipolare e ingannare il pubblico dei votanti, minando le democrazie e degradando la vita pubblica”.
Il report segnala che, in precedenti ricerche condotte dal Computational Propaganda Project, sono state trovate prove dell’effetto dirompente di questo uso dei social media sulla libertà di parola e sulla partecipazione politica: la metà delle conversazioni su Twitter in russo coinvolge account altamente automatizzati che modellano attivamente i discorsi online, mentre in Brasile, i troll professionisti sono stati utilizzati in modo aggressivo per soffocare le opinioni di minoranza e dei dissidenti durante tre campagne presidenziali, una campagna di impeachment presidenziale e la corsa per eleggere il sindaco di Rio.
Di conseguenza, “i social media, che erano l’infrastruttura naturale per condividere rimostranze collettive e coordinare l’impegno civico, si sono trasformate in uno strumento computazionale per il controllo sociale, manipolato da astuti consulenti politici”.
L’IRA, le tattiche e i tropi
La seconda analisi indipendente dei dati raccolti dai social media (che ha un taglio leggermente diverso e complementare al primo) è un documento di 101 pagine intitolato Le tattiche e i tropi dell’Internet Research Agency (10), ed è stato realizzato congiuntamente da New Knowledge, una società che mette a punto sistemi contro le campagne di manipolazione online, dalla Columbia University e dal Canfield Research Group, un’azienda che si occupa di sicurezza e networking.
Lo studio sottolinea che l’IRA ha operato come un’agenzia di marketing digitale: sviluppando un marchio (visivo e vocale), presentandosi su tutti i canali del sistema social e facendo crescere la diffusione dei propri contenuti con annunci a pagamento, partnership, influencer e link-sharing. In questo modo l’agenzia russa è riuscita a sviluppare dei veri e propri ecosistemi di informazioni interconnesse, progettati per immergere e circondare target di pubblico mirati. Questo secondo studio ha dimostrato che l’IRA ha utilizzato altre piattaforme oltre a Facebook, Twitter, Instagram e Youtube, e cioè Vine, Gab, Meetup, VKontakte e LiveJournal.
I risultati dell’analisi dei dati sono in gran parte sovrapponibili a quelli ottenuti dalla ricerca della Oxford University (per esempio confermano la spinta in favore della campagna di Trump, il tentativo di allargare le divisioni culturali e politiche fra i cittadini americani e l’interesse per la comunità nera), ma hanno anche permesso di rilevare alcune interessanti notazioni specifiche. Una di queste riguarda la preferenza accordata dall’IRA all’utilizzo dei cosiddetti meme (vedi le immagini contenute in questo articolo).
I meme sono un formato molto utilizzato per la trasmissione di informazioni, possono assumere la forma di immagini, icone, testi, o slogan, e rappresentano una sorta di “gene culturale” dell’ambiente social, spesso mutante, che si trasmette da persona a persona. Non c’è nulla di più sbagliato che pensare ai meme come a delle sciocchezze innocue (i classici gattini che parlano), avverte la ricerca: il Dipartimento della Difesa americano e l’agenzia DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) li hanno studiati per anni e li considerano un potente strumento di influenza culturale, in grado di rafforzare o addirittura di cambiare valori e comportamenti.
I meme sono molto graditi dai social perché si adattano al consumo veloce di informazioni (grande immagine, non molto testo, sono in grado di essere compresi con uno sforzo minimo) e perché trasformano le idee in frammenti “emotivamente risonanti”. I meme possono inoltre essere facilmente ricontestualizzati e ricondivisi, e questa facilità di riproposizione rende più difficile l’identificazione di troll malintenzionati: il contenuto sembra in gran parte identico (in effetti lo è) ai contenuti condivisi da persone reali che hanno un punto di vista comune. Secondo il report, l’IRA ha studiato a fondo i suoi obiettivi americani, ha creato e acquisito meme altamente rilevanti per ciascun target di destinazione, e ha incoraggiando il proprio pubblico a ricondividerli sugli account personali.
Per quanto riguarda i contenuti comuni, diffusi in tutte le comunità target, i ricercatori hanno individuato due temi che ricorrono in modo quasi identico: una narrativa pensata per e-rodere la fiducia nei media mainstream e una narrazione che conferma la posizione del governo russo sullo stato del conflitto in Siria.
Per quanto riguarda i social network utilizzati, vanno segnalati i 187 milioni di engagement su Instagram, che ha sovraperformato Facebook: dal 2017 l’IRA avrebbe spostato sulla popolare piattaforma per immagini gran parte della sua attività. L’operazione potrebbe riflettere il fatto che Instagram funziona meglio degli altri social nella “guerra memetica”, oppure è possibile che l’aumento dell’attività dipenda banalmente dall’utilizzo delle cosiddette click farm (letteralmente questa espressione significa “fabbrica di click” e con essa si indicano tutti quei servizi che si occupano di vendere follower su Twitter, like su Facebook, visualizzazioni su YouTube e molte altre forme di interazione sulle piattaforme social).
Un’altra delle novità segnalate dallo studio è il modo in cui l’IRA avrebbe manipolato i contenuti giornalistici. Dal momento che alcune ricerche hanno evidenziato che il pubblico americano si fida più delle notizie locali che di quelle federali, l’agenzia russa ha iniziato a ‘travestire’ molti dei propri account su Twitter e Instagram sotto le spoglie di piccole organizzazioni giornalistiche. Questi account, che hanno accumulato circa 660.000 follower complessivi, per una media di 15.000 follower ciascuno, difendevano i media di nicchia in opposizione ai media mainstream ed erano pensati per minare attivamente la fiducia del popolo americano nel giornalismo istituzionale.
In conclusione, i ricercatori fanno notare che la propaganda che la Russia avrebbe alimentato per oltre tre anni per influenzare il pensiero americano non era sempre obiettivamente falsa. Il contenuto era progettato per rafforzare le dinamiche interne ai gruppi, ma non costituiva un incitamento all’odio. In effetti, gran parte dei contenuti non erano nemmeno particolarmente discutibili. Tuttavia essi erano specificamente concepiti per rafforzare il tribalismo, polarizzare e dividere, e per ‘normalizzare’ punti di vista strategicamente vantaggiosi per il governo russo. Il lavoro dell’IRA sarebbe stato progettato per sfruttare le fratture della società, confondere le linee tra realtà e finzione, erodere la fiducia verso i media e l’ambiente dell’informazione, verso il governo e verso la democrazia stessa, con un’abilità, una portata e una precisione decisamente innovative. Quanto poi questa ‘operazione’ abbia effettivamente influenzato il pensiero dei cittadini americani e spostato il loro voto è, ovviamente, impossibile da sapere e soprattutto da misurare.
1) Scaricabile qui https://www.dni.gov/files/documents/ICA_2017_01.pdf
2) All’indirizzo https://www.c-span.org/video/?436454-1/facebook-google-twitter-executives-testify-russia-election-ads è disponibile il video che comprende l’intera audizione
3) Disponibile qui https://www.justice.gov/opa/press-release/file/1035562/download
4) Comunicato stampa qui https://www.justice.gov/opa/pr/grand-jury-indicts-thirteen-russian-individuals-and-three-russian-companies-scheme-interfere
5) Cfr. Documents Show How Russia’s Troll Army Hit America, BuzzFeed News, 2 giugno 2014, https://www.buzzfeednews.com/article/maxseddon/documents-show-how-russias-troll-army-hit-america
6) https://www.nytimes.com/2015/06/07/magazine/the-agency.html
7) https://www.washingtonpost.com/investigations/us-intelligence-mining-data-from-nine-us-internet-companies-in-broad-secret-program/2013/06/06/3a0c0da8-cebf-11e2-8845-d970ccb04497_story.html?utm_term=.8eb4b3df49e7
8) The IRA, Social Media and Political Polarization in the United States, 2012-2018, redatto da Philip N. Howard, Bharath Ganesh e Dimitra Liotsiou dell’Università di Oxford, e John Kelly e Camille François di Graphika, una società di analisi dei network; scaricabile qui https://comprop.oii.ox.ac.uk/wp-content/uploads/sites/93/2018/12/IRA-Report-2018.pdf
9) La propaganda computazionale consiste nell’impiego di algoritmi e automazione per apprendere e simulare il reale comportamento umano, in modo da manipolare l’opinione pubblica attraverso un ampio ventaglio di canali, piattaforme e network di dispositivi. Si tratta di una forma di marketing digitale e di per sé non è considerato illegale né negli USA, né nella maggior parte dei Paesi, tanto che diversi politici (compresi Barack Obama e la Clinton stessa) ne hanno fatto uso nelle campagne elettorali
10) In linguistica, il tropo è una figura semantica o di significato per cui un’espressione dal suo contenuto originario viene ‘diretta’ o ‘deviata’ a rivestire un altro contenuto. The Tactics & Tropes of the Internet Research Agency, disponibile qui:
https://assets.documentcloud.org/documents/5631777/Whitepaper-Final.pdf