Recensione del film Snowden, Oliver Stone
“Un cellulare è un congegno di rintracciamento che fa anche telefonate.”
Julian Assange, Internet è il nemico
Il 3 maggio 2013 Glenn Greenwald, giornalista del Guardian, e Laura Poitras, documentarista, si trovano a Hong Kong per incontrare Edward Snowden, agente esterno della NSA (National Security Agency) deciso a denunciare il controllo di massa perpetuato per anni dall’intelligence statunitense nei confronti di tutto il mondo. Il 5 giugno successivo viene pubblicato il primo di una serie di articoli, avente come oggetto i rapporti tra la società di telecomunicazioni Verizon e la NSA. Il tribunale Fisa (Foreign Intelligence Surveillance Act) aveva infatti emesso un’ordinanza segreta che obbligava la prima a cedere alla seconda i tabulati telefonici di tutti i suoi clienti americani.
Subito si mette in moto la macchina mediatica, e il giorno seguente il Washington Post anticipa di pochi minuti il Guardian, facendo uscire un articolo su Prism, un programma di sorveglianza elettronica attivo dal 2007, in grado di catturare e raccogliere miliardi di dati e metadati in transito per il web (contenuto delle email, indirizzi di posta elettronica, numeri di telefono, chat, sms ecc.). Ciò è reso possibile dalla complicità delle imprese private che hanno permesso alla NSA di accedere ai loro server, tra cui Facebook, Google, Apple, Youtube, Skype, Microsoft, Yahoo! e Aol. Del 7 giugno è invece l’articolo che rende nota una segretissima direttiva presidenziale, firmata da Obama nel novembre 2012, in cui si ordina al Pentagono e ad altre agenzie di prepararsi a condurre una guerra telematica in tutto il mondo.
Sempre sulle pagine del Guardian, l’8 giugno è la volta di Boundless Informant, un programma che permette l’archiviazione di miliardi di telefonate ed email effettuate attraverso le strutture di telecomunicazione americane – una prova del fatto che i portavoce della NSA avevano mentito al Congresso, sostenendo che quei dati non venivano catalogati e perciò il loro numero non poteva essere calcolato. Infine il 9 giugno viene pubblicato un approfondimento su Snowden, unitamente a un’intervista filmata e una conversazione per iscritto con Ewen MacAskill, altro giornalista del Guardian unitosi al trio in seguito all’iniziale contatto tra Snowden, Greenwald e Poitras.
Svelare l’identità della propria fonte può sembrare una decisione assurda, ma in accordo con le intenzioni di Snowden. Infatti, così facendo, si conferisce più potenza al messaggio in quanto assume il significato di una sfida aperta alle istituzioni statunitensi. Secondo le parole di Greenwald nel suo libro vincitore del premio Pulitzer 2014 No place to hide. Sotto controllo: “Nel corso degli ultimi dieci anni il governo statunitense aveva lavorato sodo per dimostrare l’estensione illimitata del suo potere. Aveva scatenato guerre, torturato e incarcerato gente senza precisi capi di imputazione, bombardato obiettivi con i droni per eliminare persone scomode senza processo; e nessuno poteva sentirsi al sicuro se parlava di quelle cose: il governo aveva vessato e processato le talpe che avevano fatto trapelare informazioni, e più di un giornalista era stato arrestato e minacciato. Trasmettendo un ben calibrato messaggio di intimidazione a chiunque potesse decidere di remare contro, il governo si era adoperato in ogni modo per dimostrare ai cittadini di tutto il mondo che il suo potere era assoluto e senza vincoli legali, etici, morali o costituzionali: guardate che cosa possiamo fare e faremo a chi ci mette i bastoni tra le ruote. Snowden aveva sfidato a viso aperto quella logica intimidatoria” (1).
Vi è inoltre un’altra motivazione di ordine etico: Snowden non voleva che certi suoi colleghi fossero sospettati e indagati, così si era preoccupato, nel momento in cui scaricava i documenti su delle chiavette USB, di lasciare una traccia elettronica dei suoi accessi alla rete della NSA, in modo da permettere a quest’ultima di risalire subito a lui. Tuttavia la sua intenzione non è certo finire in una prigione della Cia, dove lo attenderebbe un processo al di fuori della legge. È ben consapevole di questa possibilità, ma è comunque deciso a non farsi arrestare. Dopo alcuni giorni, avendo come destinazione l’Ecuador, Snowden si imbarca su un aereo con scalo in Russia, ma a questo punto gli Stati Uniti gli revocano il passaporto, e lui resta bloccato a Mosca, che gli offre asilo.
La sua storia, le motivazioni che lo hanno spinto a sacrificare la propria vita alle Hawaii, dove lavorava come collaboratore della Booz Allen Hamilton (azienda privata specializzata in tecnologia informatica e servizi per la difesa, consulente della NSA), molti dettagli inerenti al contenuto dei documenti portati all’attenzione dell’opinione pubblica sono stati descritti, oltre che dagli articoli di Greenwald e MacAskill, anche dal bellissimo documentario Citizenfour girato da Laura Potrais proprio nel corso dei suoi giorni a Hong Kong in compagnia di Snowden. Mancava tuttavia sul grande schermo un’opera di ampio respiro, che mostrasse il suo percorso di coscienza maturato nell’arco di nove anni, dal 2004, quando si trovava al campo di addestramento militare Fort Benning e aveva intenzione di entrare nell’esercito per andare a combattere in Iraq, alla sua decisione nel 2013 di denunciare le operazioni segrete della NSA. In questo senso, il film di Oliver Stone, con Joseph Gordon-Levitt nella parte di Snowden, costituisce un’importante riflessione sull’aspetto umano della vicenda.
Naturalmente, oltre alla ricostruzione storica, sono presenti anche alcune invenzioni narrative, che servono a sintetizzare determinati momenti della trama o evidenziare in chiave simbolica certi aspetti tematici. È il caso della trovata molto efficace di battezzare Corbin O’Brian (Rhys Ifans) il mentore negativo di Snowden, l’istruttore capo presso il centro di addestramento della Cia a The Hill, Virginia. O’Brian è infatti anche il nome del principale antagonista di Winston Smith in 1984 di George Orwell. Anche in questo caso la sua funzione è ambigua: se da una parte è un fervente sostenitore della NSA e della sorveglianza globale – basti pensare alla sua massima: “La segretezza è sicurezza, e la sicurezza è vittoria” – dall’altra aiuta indirettamente Snowden ad aprire gli occhi su molte cose, a distinguere l’etica ufficiale da quella non ufficiale.
Fin dal primo colloquio tra i due – quando Snowden, in seguito a un incidente durante un’esercitazione militare, viene considerato non idoneo a quella carriera, e fa allora domanda per entrare nella Cia – questo rapporto risulta evidente. Quando gli viene chiesto il motivo per cui avrebbe voluto arruolarsi nelle forze speciali, Snowden risponde: “Adoro il loro motto: De oppressor liber”. La reazione di O’Brian è sarcastica: “Questo spera di fare con noi? Liberare gli oppressi?”. Sempre in questo ambito è contenuto inoltre un chiaro indizio sul carattere di Snowden e la sua futura scelta di denunciare la NSA. Alla domanda su quali siano le sue figure di riferimento, menziona, tra gli altri, Ayn Rand. Subito O’Brian ne cita una frase: “Un solo uomo può fermare il motore del mondo”. Snowden dichiara di esserne convinto.
In un’altra scena, O’Brian gli parla schiettamente dei veri obiettivi della guerra in Iraq e quelli del controllo globale esercitato dalla NSA: “Tra vent’anni l’Iraq sarà un buco nero di cui a nessuno importerà. Il terrorismo è una minaccia a breve termine. Le vere minacce arriveranno da Russia, Cina, Iran, sotto forma di attacchi informatici e malware. Senza menti come la tua, questo Paese verrà fatto a pezzi nel cyberspazio. Non voglio rischiare di perderti per qualche guerra insulsa per sabbia e petrolio”. Un discorso tanto più carico di implicazioni, se si pensa che per anni l’attività di spionaggio dell’intelligence statunitense è stata giustificata in base al Patriot Act emanato dopo l’11 settembre 2001. Ma basta dare un’occhiata a certi documenti della NSA riportati nel sopracitato libro di Greenwald per convincersi che le cose stanno in tutt’altro modo.
A titolo di esempio, uno datato agosto 2010 prova che gli Stati Uniti spiavano otto membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ottenendo così informazioni preziose sulle intenzioni di voto dei Paesi da essi rappresentati – tra cui Francia, Brasile, Giappone e Messico, generalmente considerati amici – in previsione di una successiva risoluzione su altre sanzioni da destinare all’Iran. Si capisce dunque come, dietro allo specchietto per le allodole della guerra al terrorismo, si nascondano motivazioni economiche, diplomatiche e militari volte a ottenere un vantaggio degli Stati Uniti su tutto il resto del mondo.
Come afferma lo Snowden di Oliver Stone: “Ti ordinano anche di seguire i maggiori leader mondiali o capi di industria. Segui da vicino accordi commerciali, scandali sessuali, dispacci diplomatici per dare agli Stati Uniti un vantaggio nei negoziati G8 o una leva da usare nelle compagnie petrolifere brasiliane o per aiutarli a far cadere un leader del Terzo mondo che non sta al gioco. E, alla fine, la verità si fa strada e capisci che non importa quale giustificazione ti dai. Il terrorismo non c’entra. Il terrorismo è la scusa. Qui si parla del controllo economico e sociale. E l’unica cosa che stai davvero proteggendo è la supremazia del tuo governo”.
Alla luce di ciò, pensare di essere esenti da tale sorveglianza perché si è una persona comune, non si è mai fatto nulla di male e non si ha niente da nascondere sarebbe un’ingenuità. Sempre citando le parole di Snowden: “Diciamo che il tuo bersaglio è un equivoco banchiere iraniano che opera da Beirut, okay? Tu tieni sotto controllo tutte le sue cose, ma stai sorvegliando anche tutte le persone con cui parla, compreso – che ne so – suo cugino che è solo un dentista che vive a Buffalo. E allora tu devi sorvegliare anche tutti i suoi contatti. E, quando arrivi al terzo passaggio dal tuo obiettivo iniziale, stai sorvegliando una barista che chiacchiera di Botox con la madre. Perché a tre passaggi da chiunque abbia, diciamo, quaranta contatti, stai controllando due milioni e mezzo di persone. E arriva un momento in cui improvvisamente sei colpito dalle dimensioni della cosa. La NSA sta veramente tracciando tutti i cellulari del mondo. Non importa chi sei: ogni giorno della tua vita sei dentro un database, pronto per essere spiato. Non soltanto terroristi, nazioni o grandi aziende, ma tu”.
Non per niente, nel film di Oliver Stone il percorso di coscienza di Snowden giunge a completa maturazione quando O’Brian gli fa capire che persino lui e Lindsay Mills (Shailene Woodley), la sua ragazza, si trovano sotto sorveglianza tattica – dunque, non raccolta passiva, ma spionaggio integrale, compresa la possibilità di avere delle cimici in casa (2). Molto suggestivo in questa scena il fatto che il colloquio tra Snowden e O’Brian si svolga attraverso lo schermo di una sala riunioni. Quando O’Brian avvicina il volto alla telecamera sembra un gigante rispetto all’essere umano in carne e ossa, e ciò, oltre a richiamare i teleschermi orwelliani, suggerisce il carattere titanico dell’impresa di Snowden: un solo individuo contro la NSA e il governo degli Stati Uniti, come Davide contro Golia.
A ogni modo, prima di questo momento decisivo, ce n’erano stati altri in cui Snowden aveva espresso un atteggiamento critico nei confronti della NSA. Basti pensare a quando viene a sapere che un programma di backup da lui ideato per prevenire crolli catastrofici dei siti, Epic Shelter, viene ora utilizzato negli attacchi coi droni. L’antenna montata su questi ultimi permette infatti di geolocalizzare qualsiasi trasmissione radio. In pratica, chiunque stia utilizzando un cellulare in determinate zone calde del pianeta, come per esempio l’Iraq, può diventare un bersaglio.
Impossibile sapere se si tratti effettivamente di un militare o un civile, ma questo è irrilevante per i capi di Snowden. Gli attacchi si svolgono come in un videogioco, ed è proprio questa la caratteristica più disumana dell’utilizzo di droni in guerra: il distacco che si crea tra l’uccisore e la vittima, degradata a semplice figurina che si muove su uno schermo. Da quella distanza, è impossibile sentire il rumore delle esplosioni e le grida di chi agonizza colpito a morte.
Ciò serve a introdurre nel film di Oliver Stone un altro tema di centrale importanza, quello della responsabilità. Non per niente, durante una festa, Snowden ricorda ad alcuni suoi colleghi il processo di Norimberga. Se è vero che nel primo vennero impiccati soltanto i capi nazisti, nel secondo a essere condannati a morte furono giudici, poliziotti, medici, avvocati, guardie ecc. “Persone normali che facevano il loro lavoro eseguendo gli ordini” precisa Snowden. “Da qui i principî di Norimberga che l’Onu ha fatto diventare legge internazionale, nel caso che lavori ordinari diventino criminali di nuovo”.
Una riflessione affrontata anche da Zygmunt Bauman in Modernità e Olocausto, dove, citando Herbert C. Kelman, afferma: “[…] le inibizioni morali che impediscono di commettere atrocità violente tendono a essere erose in presenza di tre condizioni, prese singolarmente o nel loro insieme: quando la violenza è ‘autorizzata’ (da ordini ufficiali provenienti da istanze investite di autorità legale), quando le azioni violente sono ‘routinizzate’ (da pratiche rispondenti a norme e da una precisa definizione dei ruoli) e quando le vittime della violenza vengono ‘disumanizzate’ (grazie a una definizione e a un indottrinamento di carattere ideologico)” (3). Ed è molto pregnante, a livello simbolico, il fatto che nella scena sopra descritta alcune persone si stiano divertendo con un drone giocattolo, richiamo a quelli militari, e che questo precipiti improvvisamente, in seguito al discorso di Snowden.
Altre fasi precedenti della sua presa di coscienza riguardano l’utilizzo di certi programmi della NSA, come XKEYSCORE e OPTIC NERVE. Il primo consiste in una sorta di motore di ricerca, ma anziché trovare solo ciò che è pubblico permette di accedere ai dati personali di chiunque. Il secondo, ideato dal GCHQ (Government Communication Headquarters), corrispettivo britannico della NSA, consente di attivare qualsiasi webcam senza che la spia di quest’ultima si accenda e il proprietario del computer possa dunque accorgersene. In seguito, mentre è a letto con Lindsay, Snowden non può che sentirsi osservato dal Grande Occhio della NSA.
Già Günther Anders nel secondo volume de L’uomo è antiquato parla della perdita della dimensione privata, non nel senso di proprietà, bensì di consegna di uomini al mondo: “[…] noi tutti siamo virtualmente mangiatori e al tempo stesso cibo per altri. Per questo la situazione è cannibalesca. Nessuno che non tenga conto contemporaneamente di entrambi questi processi cannibaleschi – il mangiare e l’essere mangiato – può farsi un’idea completa della nostra esistenza attuale” (4).
Impossibile non pensare in questi termini alla galassia dei social network. Le persone rendono pubbliche volontariamente parti generose della propria vita, e ciò può risultare certo inquietante da un punto di vista sociologico, ma la NSA e le sue agenzie gemelle si spingono oltre, pretendono di conoscere tutto di tutti a loro insaputa. Si assiste così a una sempre più marcata separazione tra gli individui divenuti trasparenti e i governi che agiscono nell’ombra, al riparo dei loro provvedimenti top secret – una situazione tanto più pericolosa in quanto viene impedita qualsiasi forma concreta di dissenso e si blocca così il processo storico. Proprio per questo motivo, come giustamente rileva Renato Curcio (5), è fuorviante utilizzare la metafora del Panopticon benthamiano. Esso prevede da parte dei controllati la consapevolezza di esserlo, mentre la maggior parte degli utilizzatori di internet non è ancora in grado di capire il suo funzionamento e non sa dove vanno a finire i propri dati.
Se oggi è possibile il dibattito pubblico, è grazie a persone come Edward Snowden. Persone che, come suggerisce il film di Oliver Stone, non costituiscono casi isolati, ma un gruppo numeroso: basti pensare a personaggi come Gabriel Sol (Ben Schnetzer), la cui ironia sottende un atteggiamento critico nei confronti dell’attività di spionaggio, Patrick Heynes (Keith Stanfield), un preziosissimo alleato, ma soprattutto Hank Forrester (Nicolas Cage), il mentore positivo di Snowden, colui il quale lo inizia al cubo di Rubik, simbolo della capacità di ragionare sul senso delle proprie azioni. Sono tutti esempi di possibili whistleblower, come già lo sono stati Mark Klein, William Binney, Chelsea Manning (6), individui che decidono per questioni etiche di denunciare dall’interno le attività di governi, organizzazioni, esercito, aziende – virus nei software di quella che Snowden definisce una “dittatura chiavi in mano”.
1) Gleen Greenwald, No place to hide. Sotto controllo, Rizzoli, 2014
2) Come spiega Andy MüllerMaguhn in Internet è il nemico. Conversazione con Jacob Appelbaum, Andy Müller-Maguhn e Jérémie Zimmermann (Julian Assange, Feltrinelli, 2013): “[…] i termini più usati per descrivere i capisaldi del settore sono approccio ‘tattico’ e approccio ‘strategico’. Tattico significa in questo momento, in questa riunione dobbiamo piazzare delle cimici sul posto, dobbiamo inserire qualcuno con un microfono o un giubbotto con i fili, oppure installare su un’auto sistemi di sorveglianza GSM (Global System for Mobile communications) in grado di intercettare al volo quel che dice la gente senza bisogno di interagire con l’operatore di rete, ottenere un mandato o roba del genere, senza procedure legali, basta farlo. L’approccio strategico è farlo di default, registrare tutto e poi setacciare usando strumenti analitici”
3) Zygmunt Bauman, Modernità e Olocausto, 1989 (ed. italiana Il Mulino, 2010)
4) Günther Anders, L’uomo è antiquato, 1956 (ed. italiana Bollati Boringhieri, 2003)
5) Cfr. Renato Curcio, Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale, Paginauno n. 47/2016
6) Mark Klein era un tecnico della AT&T, un’importante azienda di telecomunicazioni americana. Nel 2006 fece da teste nel processo Hepting contro AT&T e in una sua deposizione giurata denunciò l’esistenza di una “stanza 641A” utilizzata per intercettazioni strategiche per conto della NSA. William Binney, ex funzionario di alto grado della NSA, ha valutato l’esistenza di circa venti strutture del genere in punti chiave della rete di telecomunicazioni statunitense. Chelsea Manning (prima del cambio di sesso, battezzata Bradley) è l’analista dell’intelligence che, mentre era impegnata in Iraq, ha trafugato centinaia di migliaia di documenti relativi all’uccisione indiscriminata di civili da parte dei soldati americani, nonché altrettanti cablogrammi diplomatici in grado di incrinare i rapporti tra Stati Uniti e resto del mondo. Nel 2010 Wikileaks li ha pubblicati, suscitando un forte scandalo