Vigilante, William Lustig, 1983
Il rifacimento de Il giustiziere della notte di Eli Roth, con Bruce Willis, è stato godibilissimo, anche se credo che il mondo non avesse bisogno del remake di un film storico come Death Wish; semmai necessitava di una nuova opera originale del sig. Roth. Ma vabbè. Durante la visione del sopracitato, grazie a libere associazioni inconsce + un paio di movimenti di macchina familiari… m’è venuto in mente Bill Lustig. Ho ricordato che il suo secondo lungometraggio (girato dopo il celeberrimo, già recensito, Maniac), si intitolava Vigilante… fai 2+2… e ti senti un matematico! Sono riuscito a reperirlo (su youtube) e finalmente ho potuto apprezzarlo. Un gioiellino del cinema di explotation; l’ennesima riprova che “pochi mezzi+buone idee +Ispirazione = Opera degna di nota”. Giustiziere e Vigilante, sostanzialmente sono lo stesso trittico trifasico: 1) trucidano la famiglia di un povero sfigato; 2) a fine processo lo sfigato scopre che l’aforisma satirico La legge è uguale per tutti funziona solo quando dietro il banco degli imputati c’è un membro della famiglia Agnelli, mentre in tutti gli altri casi le cose funzionano un pochino diversamente; 3) lo sfigato si fa giustizia da solo. Non è il ‘cosa’; è il ‘come’. Il giustiziere e Vigilante: per una bella serata nostalgica.
Squid Game (serie tv), Hwang Dong-Hyuk, 2021
(Più o meno) Ho sempre funzionato così: quando sentivo “Aaaaah, filmone, capolavoro assoluto”, restavo a casa a guardare altro, mentre quand’era “Aaaaah, monnezza, noioso, inutile” scappavo immediatamente al cinema… e quasi sempre ho avuto ragione; nel senso: se la massa acclama qualcosa, il più delle volte è perché suddetto ‘qualcosa’ è una cagata senza sugo appositamente confezionata per essere consumata dalla massa. E viceversa. Questa mia convinzione non è una legge matematica, eppure si parli di cinema, politica o altro… più o meno è sempre così. Stavolta però ho deciso di fare il contrario: appena tutti hanno cominciato a discutere e a gridare al “capolavoro” mi sono immediatamente buttato lì a guardare questa serie coreana, che ho divorato tutta d’un fiato. Il verdetto è: Sì…ok… wow… bravi… ma perché tanto entusiasmo? Il buco, Il cubo, The experiment, Saw: L’enigmista et simili sono stati già girati, no? Squid Game è un greatest hits in salsa orientale di quelle opere occidentali… o sbaglio? Tanto entusiasmo (forse) perché il grande pubblico – non abituato alla bellezza, allo stile, alla poetica del cinema Coreano – ha creduto di essere incappato in qualcosa di unico, magico, originale, irripetibile. Non è così. Godibile? Sì!!! Ma tutto qui.
Scene da un matrimonio, Ingmar Bergman, 1973
Ingmar Bergman: Regista, Scrittore, Drammaturgo, Produttore; di tutto e di più. In Scene da un matrimonio c’è tutto condensato al meglio; per me lo si potrebbe considerare il suo ‘zibaldone’; vi sono la sua personale poetica, lo stile, le ossessioni, il lirismo, la visione politica… tutto! Come possono tre ore passare in dieci minuti e insieme lasciarti con la sensazione che siano trascorsi dieci anni (da che ti piazzasti lì e spingesti play)? Magia del cinema? X factor bergmaniano. … uno che aveva davvero tanto, ma tanto tanto da dire. È tosto essere obiettivo sulla valutazione di questo capolavoro; quando trovi un regista, uno scrittore, un musicista (un artista in generale) che parla esattamente il tuo linguaggio e grazie alle proprie creazioni sembra si stia rivolgendo direttamente a te come fosse un caro amico che si confessa o un genitore che ti ama (o tutti e due insieme)… Comunque, facciamo finta che sia il primo film dell’Artista svedese che abbia mai visto: cosa potrei dire a riguardo? Romanzone enciclopedico incentrato sull’ascesa, declino e ri-ascesa di una presunta ‘coppia perfetta’ della borghesia svedese. Zero musica; solo dialoghi. Di intensità magistrale. Una seduta dallo psicologo di quelle ricordative. Una meraviglia senza tempo.