Milano, 2 dicembre 2013. Il convegno si sarebbe dovuto tenere nella Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi. Ma non era abbastanza capiente. Il pubblico milanese, circa duemila persone fra seduti e in piedi, composto principalmente da militanti della Lega Nord e di Fratelli d’Italia (lo sfortunato erede larussiano di Alleanza nazionale) e qualche esponente della destra radicale locale (come Marco Mantovani, segretario cittadino di Forza Nuova), è stato fatto convergere nella più capiente Sala del Consiglio provinciale.
Motivo dell’incontro? Il circolo culturale ‘Il Talebano’, diretto dal giovane moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6-Milano per la Lega Nord, ha indetto il terzo di una serie di incontri con i vertici del Carroccio alla presenza del candidato segretario federale del partito regionalista ed eurodeputato Matteo Salvini, lo studioso di economia Marco Della Luna e il leader della nouvelle droite Alain de Benoist (che ha presentato al pubblico leghista il suo libro Sull’orlo del baratro, edito nel 2012 dalla bolognese Arianna Editrice, vicinissima alla nuova destra che si occupa di localismo, di bioregionalismo, di ‘ecologismo profondo’, di critica all’economia finanziaria, di signoraggio bancario e di antimodernità). Incontro, quindi, successivo a quelli col giornalista Massimo Fini – fondatore del Movimento zero, il cui Manifesto dell’antimodernità è firmato anche da de Benoist – contattato più volte da gruppi di estrema destra – e con Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore, un tempo di area nazional-alleata, poi avvicinatosi a Fiamma tricolore e infine ‘infatuatosi’ di CasaPound.
Il tema del convegno – attualissimo visti i tempi di dura crisi economica – era La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli. Fra il pubblico – anche se soltanto per salutare il filosofo e scappare subito dopo a Bruxelles, per una seduta del Parlamento europeo – il leghista adamantino, plenipotenziario e uomo-cerniera fra il Carroccio e le destre radicali europee, Mario Borghezio. Una serata interessante. Non tanto per le critiche e le analisi fatte sul sistema economico liberista imposto da Bruxelles ed esposte da Della Luna e da de Benoist, quanto per l’intervento conclusivo di Matteo Salvini, allora in corsa alle primarie del Carroccio e in seguito, a metà dicembre, incoronato segretario di un partito in evoluzione.
L’economista Marco Della Luna – che per i tipi di Arianna Editrice ha scritto diversi libri contro l’Eurocrazia e la dittatura delle banche (come Euroschiavi e Cimiteuro) – e il filosofo neodestrista Alain de Benoist – fautore di una ‘Europa dei popoli’ e delle patrie regionali – dopo aver ricordato un ‘anticonformista’ morto di recente, il filosofo Costanzo Preve, hanno iniziato il loro intervento descrivendo gli elementi storici che hanno contribuito a creare le condizioni del Turbocapitalismo, un capitalismo, secondo il filosofo normanno, dai tratti disumani, sconnesso dall’economia reale e disciplinato esclusivamente da logiche antinazionali, nonché guidato da speculatori di borsa il cui obiettivo è annichilire i popoli attraverso la morsa usuraia del debito pubblico. Questo ‘nuovo’ libero mercato, soggiogato a una nuova classe di imprenditori senza più radici né legami territoriali, scaturirebbe quale inevitabile risultato di scelte politiche che a partire dagli anni Ottanta, hanno introdotto la progressiva deregolamentazione e la crescente delocalizzazione. I tassi di interesse sul debito pubblico, che crescono esponenzialmente e che costituiscono un peso per gli Stati e per le future generazioni, sono lo strumento utilizzato dai vertici dell’Unione europea per assoggettare un’Europa in crisi economica, a cui si aggiunge l’immigrazione dal Terzo mondo, con le multinazionali che, in crisi di profitto, affamano quei Paesi determinando le cause per una migrazione di popolamento deleteria per loro e per i popoli autoctoni (1).
La nouvelle droite, dalla metà degli anni Ottanta, in un’opera di restyling ideologico, ha smussato i toni apertamente reazionari al punto di perdere settori non indifferenti del Grece, il think tank che fa riferimento a de Benoist (2). Certi articoli del ‘maestro’ e del ‘guru’ della nouvelle droite – come de Benoist è stato definito dall’eurodeputato Salvini – che troveremo su riviste come Éléments, Nouvelle École o Krisis (quest’ultima aperta agli intellettuali altermondisti di estrema sinistra), utilizzano la stessa sintassi antiliberista che il lettore potrebbe ritrovare sulle pagine de Il Manifesto o sul mensile francese Le Monde diplomatique. Ma un’analisi accurata dell’intervento debenoistiano rivela che il suo pensiero è tutt’altro che progressista.
De Benoist attacca senz’altro il Turbocapitalismo, alla pari di molte persone di sinistra, ma lo fa arrivando a dire che questo fenomeno è “sconnesso dall’economia reale” e per superarlo suggerisce di tornare alle comunità locali – suscitando il plauso del pubblico leghista, in astinenza di secessionismo dai tempi del ritorno all’alleanza con la Casa delle libertà – e ridare potere alle comunità interclassiste di ‘produttori’ (perché è questa, in centoni, la soluzione auspicata dalla nouvelle droite e dai circoli europei che si ispirano al Grece). Soluzione che non può che interessare il pubblico leghista, composto da piccoli imprenditori spaventati per gli squilibri creati dalla globalizzazione, e che rivela la natura classista del suo pensiero, che in teoria – con il desiderio di creare una ‘terza via’ tramite nuove sintesi fra valori di destra e di sinistra – supera idealmente le due categorie, ma in concreto si sposta a destra, dal momento che, oltre ad appellarsi a valori ancestrali e tradizionali (il Mito dell’Europa Imperiale dei popoli, predicata da de Benoist, affonda le radici nel mito dell’Impero carolingio e ghibellino e, secondo alcuni intellettuali neofascisti che riprendono le suggestioni del Grece, in quello delle Waffen-SS [3]), fa altresì leva su un pubblico radicato in una zona d’Italia (il Nord-Est) composto da un forte
tessuto economico-sociale di piccole e medie imprese che, con l’appoggio alla Lega, inizia a percepire la regione come ‘comunità d’interesse dei produttori padani’ (in senso propriamente interclassista) e come ‘comunità etno-culturale’ (una “comunità di lavoro etnicamente coesa”) (4). Un’analisi condivisibile a metà.
Perché se è vero che il problema da una parte sono le banche, l’euro o il capitalismo finanziario e apolide, l’analisi di de Benoist ‘dimentica’ che il sistema produttivo vigente tout court è fondato sul libero mercato e sul sistema capitalista e, quindi, sul profitto. È superando tale modello che si uscirà dalla crisi, e non replicandolo in forma ridotta dentro gli steccati di una mitica ‘piccola patria’ padana o in una Europa dei popoli e dei produttori, autarchica verso l’esterno, ma altrettanto liberista e produttivista in una realtà localistica in cui comunque si perpetra lo sfruttamento del lavoratore.
Ma è l’intervento di Matteo Salvini a interessarci. Perché con lui la Lega Nord compie una palese svolta a destra in senso populista.
Nel suo intervento – e nelle interviste rilasciate fuori da Palazzo Isimbardi – egli traccia le alleanze europee della ‘sua’ Lega Nord partendo dall’alleato più forte, il Front national di Marine Le Pen (il politico non fa riferimenti, però, al piccolissimo Bloc Identitaire, che si ispira dichiaratamente al Carroccio, per ovvie ragioni di convenienza. Fra un nano regionalista e un gigante nazionalista, Salvini, che pragmaticamente vuole rilanciare un partito in crisi a causa dei recenti scandali e circondato dalla concorrenza grillina, opta per il vincente, il Front national, che in Francia avanza come un tank mietendo consensi fra i lavoratori). Questa alleanza è puntellata da altre forze politiche quali il Fpö di Hans-Christian Strache, il Soziale Heimatpartei – un tempo guidato dal carismatico Jörg Haider, che col 21,4%, e insieme al consigliere politico e ideologo Andreas Mölzer, amico di Borghezio e teorico della nuova destra ispirata alle tesi di de Benoist e votato anche dagli operai, critici verso l’euro e l’immigrazione – il Pvv di Geert Wilders al Vlaams Belang e altri movimenti populisti, a esclusione degli ungheresi di Jobbik o i greci di Alba Dorata, che de Benoist liquida come ‘impresentabili’.
Un’unità composita di elementi politici destrorsi, coinvolge al proprio interno sia forze localistiche etnoregionaliste, come la Lega e il Fpö, che forze nazionaliste come il Front e i ‘libertari’ del Pvv che contrastano l’Islam perché lì le donne non hanno diritti, sostenendo le battaglie abortiste.
Il minimo comune denominatore di questa eterogenea alleanza europea finalizzata alla creazione di una nuova eurodestra nel Parlamento europeo per ora non sono il localismo e il regionalismo. Per queste battaglie – e allora sì che anche il Bloc Identitaire verrà buono come alleato – c’è sempre tempo. Per ora il nemico comune è l’Unione europea. Poi si vedrà. Perché, come dice Salvini: “Se per portare avanti certi temi a cui tengo come un’idea diversa di Europa, devo ragionare con la destra, ci ragiono volentieri” (5).
Salvini inizia indossando virtualmente il berretto rosso dei bretoni, evocativo delle rivolte fiscali nella Francia del XVII secolo e che da diverse settimane sta infiammando la Bretagna, e modello per le manifestazioni del Movimento dei forconi in Italia, scoppiate qualche giorno dopo, che hanno visto, come in Francia col sostegno della Le Pen, la presenza dell’estrema destra. Quella dei berretti rossi è stata definita da Alain de Benoist, in una recente intervista, una legittima e inevitabile rivolta contro il Turbocapitalismo.
E Salvini indossa il berretto rosso a suggello dell’alleanza ideologica con il teorico del Grece, perché è ora “di iniziare a fare sul serio” e le proteste antifiscali contro il socialista Hollande sembrerebbero offrire un ottimo pretesto al leghista rampante. Salvini, infatti, annuncia per il prossimo futuro azioni dimostrative contro Roma e soprattutto contro l’eurodittatura di Bruxelles. “Dobbiamo prendere esempio dai berretti rossi bretoni che sono scesi in piazza in massa contro l’ennesima imposizione fiscale. Loro non si limitano a urlare – ma bloccano le autostrade e immobilizzano la Francia. E alla fine il governo Hollande ha dovuto cedere”. Dopo pochi giorni sono scoppiati in Italia, a livello nazionale, i Forconi. È de Benoist a fornire il la per interessanti riflessioni ideologiche che condizionano l’intervento salviniano, a conferma dell’esistenza di una sinergia intellettuale fra il Carroccio, i movimenti indipendentisti europei schierati a destra e la nouvelle droite. Ovvero di quei contatti che in Italia risalgono ai primi mesi del 1993, poco dopo la firma del Trattato di Maastricht.
Oltre all’aperto elogio del Front national e di altre formazioni populiste di destra, Salvini elogia la Russia di Putin, dicendo che forse è il caso che l’Italia inizi a guardare a Mosca, dove regnerebbero “la legge e l’ordine”. Dimenticando che in nome della legge e dell’ordine, a Mosca le singole minoranze vengono represse, l’esercito russo compie impunemente crimini contro l’umanità in Cecenia e i giornalisti che non si piegano ai voleri dell’autorità, vengono uccisi sull’uscio di casa… Al congresso leghista del Lingotto, infatti, a incoronare Salvini segretario, vi erano come ospiti d’onore rappresentanze della Russia putiniana, ovvero Viktor Zubarew, responsabile delle relazioni internazionali del governo, e l’ambasciatore russo all’Onu Alexey Komov, due che non sembrerebbero né campioni di democrazia né campioni di diritti civili.
“Il Vescovo di Como Maggiolini,” ricorda Salvini, “mi aveva rimproverato per l’atteggiamento troppo moderato della Lega [verso gli immigrati, n.d.a.]. Dobbiamo alzare il tiro e iniziare a far capire a Bruxelles e ai suoi gabellieri di Roma che la pazienza è finita”. La Lega Nord che ha in mente il rampante Matteo non è la Lega del vecchio leader Bossi, che predicava il fuoco alle polveri contro Roma ladrona, capace di intrallazzare con la destra radicale italiana e coi fondamentalisti cattolici, come avveniva nella sua fase di isolamento negli anni Novanta, per poi, stretti i contatti con il centro-destra, essere pronto ad archivia re secessione, baracche e burattini, per entrare nel governo del Cavaliere e predicare all’unisono una più blanda soluzione come la devolution. No.
La Lega Nord di Salvini non è 2.0 come quella di Maroni, ma è 3.0. I punti chiave del programma saranno “indipendenza e disobbedienza”, una politica – concetto oggi molto di moda – fatta con “un occhio di riguardo per la nostra gente”, capace di andare contro i poteri forti di Roma e di Bruxelles, che spremono il Nord fino all’ultima goccia, una Lega “indipendentista a casa propria, […] con l’obiettivo di salvare il lavoro rottamando l’euro a Bruxelles”.
Salvini si scaglia contro la dittatura degli “eurocrati”, che col neoliberismo si presenta come “totalitarismo dal volto umano”: “Se ci muoviamo in questa direzione dobbiamo aspettarci una dura repressione da parte di chi non accetta il dissenso” continua Salvini. “C’è chi è convinto, come gli europirla in Ucraina, che la libertà di espressione sia tutto, per poi ritrovarsi schiavi nell’Europa delle agenzie di rating e delle banche. Hanno distrutto il ceto medio, riducendoci tutti da cittadini a consumatori se non addirittura debitori”. Questo Salvini di lotta e di governo, antiborghese al punto giusto, è però rispettoso dell’ordine naturale, un rispetto che si tramuta, all’occasione, in sana omofobia in salsa padana, col plauso del referendum che in Croazia ha bocciato le nozze gay, visto che “preferisco fare il cattivo che inginocchiarmi al politicamente corretto” chiosa Salvini (6).
Quella che abbiamo di fronte, visto che il moderatore del convegno, il neoleghista Vincenzo Sofo, definisce il suo partito come desideroso di andare “al di là della destra e della sinistra” e desideroso di dar vita a nuove sintesi per costruire un’Europa dei popoli, è una Lega diversa da quella che conoscevamo. Approfittando della crisi economico-finanziaria, la ‘nuova’ Lega Nord sta cercando di riempire il vuoto lasciato a destra dopo la scomparsa di Alleanza nazionale e di fronte all’esistenza di una galassia composta da tantissimi neo e postfascisti, così multivariegata che raccapezzarsi è veramente un’impresa. La destra postfascista, inoltre, che sta cercando di ricostruire il partito nato nella svolta di Fiuggi, in seguito sacrificato sull’altare dell’interesse berlusconiano, difficilmente riuscirà a prendere molti consensi. Fratelli d’Italia di Ignazio La Russa, inoltre, è troppo autoreferenziale, e il fatto che si autodefinisca ‘centrodestra nazionale’, non fa che accentuare il ‘disgusto’ di un certo elettorato neofascista, stufo di tuffi carpiati e di rinnegamenti storico-ideologici e di nuove alleanze nazionali 2.0. Per i fascisti, in sintesi, il male assoluto si chiama proprio Fiuggi, come testimoniano molti forum neofascisti su internet, nei quali, i vari ex camerati Fini, Gasparri, La Russa, Alemanno, Urso e compagnia bella vengono dipinti come traditori. Giorgia Meloni, che su molti giornali moderati, come Il Giornale, è stata definita la “Le Pen italiana”, si dimostra, agli occhi del popolo ‘nero’, una vera “bufala”.
Perché la Le Pen originale – come anche Salvini – vuole l’uscita immediata dall’euro, mentre l’ex vicepresidente della Camera ed ex leader di Azione giovani, dato che milita in un partito che non ha il coraggio di definirsi più di destra, predica, tutt’al più, riforme di struttura per dare più sovranità all’Italia senza rompere definitivamente né col Pdl né con l’Unione europea. La guerra all’euro, se si escludono sigle velleitarie – come Forza nuova, Fiamma tricolore, CasaPound, Fronte sociale nazionale e il Movimento sociale europeo – è portata avanti solo dalla Lega Nord, che, da maestra di vero populismo, cavalca la crisi economica e parla alla pancia della gente, la quale non vuol sentir più parlare di sacrifici, di austerity e di riforme, proposte, per di più, dall’immancabile ‘casta’ dei politici ‘scrocconi’ e corrotti.
La Lega, politicamente scorretta, appoggia la rivolta dei forconi, ed è, per così dire, dalla parte della gente (intesa in senso interclassista). Questo vuoto viene riempito con l’adesione di fette della ‘fascisteria’ italiana al Carroccio, le quali, indipendentemente dall’origine etnica dei suoi aderenti, vedono nella Lega Nord un mezzo per far valere le proprie battaglie identitarie senza per questo apparire apertamente fascisti. Questo è evidente dalle dichiarazioni del professor Roberto Chiarini, docente di storia dei partiti politici alla Statale di Milano, il quale, nel suo intervento durante il ciclo di conferenze organizzato all’università di Pavia dal gruppo di studi europeisti TRAM:E, relativo alla riemersione delle destre radicali e populiste in Europa, ha evidenziato che soltanto all’estero i politologi classificano il Carroccio come un partito populista di destra, in base alla definizione di Piero Ignazi (7). L’opportunismo politico italiano, caratterizzato da alleanze che sarebbero ritenute inaccettabili dai reciproci elettorati qualora la verità ideologica fosse rivelata, ha tutto l’interesse a non dire che il Carroccio è un partito di estrema destra, approfittando del fatto che i fasci littori e le svastiche non ci sono. L’adesione di importanti fette del neofascismo alla Lega Nord è evidente dalla presenza di personalità come Mario Borghezio, con un passato in Ordine nuovo di Rauti e Graziani, nella ‘Legione,’ acronimo della ‘Lega giovanile nazionale europea,’ collegata al Fronte nazionale del golpista Junio Valerio Borghese, nel movimento nazional-rivoluzionario Jeune Europe (fondato dall’ex SS Jean Thiriart) e, negli anni Ottanta, collaboratore di Orion, il mensile della destra radicale antimondialista filoislamica e antigiudaica.
Fu Maurizio Murelli, fondatore del periodico ed editore di area (dirige la Società Editrice Barbarossa), a consigliare all’avvocato torinese di aderire nel 1987 a Piemonte Autonomista (che poi confluirà nella Lega Nord nel 1991), visto l’interesse dell’estrema destra nazionalrivoluzionaria – caratterizzata per una fortissima simpatia verso la causa islamica e palestinese – per l’identitarismo e l’etnoregionalismo (proprio come la nuova destra, da cui prese alcuni spunti riflessivi), anche se poi, dopo l’11 settembre 2001, di fronte alla conversione antislamica e occidentalista dell’eurodeputato leghista, questi definì Mario Borghezio “personaggio stomachevole” (8).
L’eurodeputato Borghezio, monarchico e tradizionalista, è stato espulso dal gruppo parlamentare euroscettico Europa per le libertà e la democrazia (ma non dalla Lega Nord) per le sue frasi rilasciate a maggio sul settimanale Panorama contro il meticciato (“che inquina la differenza fra le razze”; “è peggio di una bestemmia”; “io esalto la razza indoeuropea. Anzi, diciamo etnia. Il termine razza è meglio non usarlo”. Borghezio, inoltre, si vantava di esser stato in Zaire negli anni Settanta al servizio del dittatore Mobutu, e di aver provato il “prodotto locale” – cioè le bellissime donne del posto, “profili europei” nulla a che vedere con la Kyenge – ovviamente usando le “dovute precauzioni” per non sentirsi in colpa, per non prendere malattie e non dover far nascere dei “bastardi meticci”… et voilà, la Lega Nord) e contro il ministro del Pd Kyenge, dove questi (Borghezio) si autodefiniva fieramente “differenzialista” (“Padroni a casa nostra”, per intenderci), secondo il concetto coniato da Alain de Benoist e usato dalla Nouvelle droite in sostituzione dell’ormai ‘impopolare’ termine ‘razzismo’, e “più a destra di Dio”, elogiando i razzisti Joseph Arthur de Gobineau e Julius Evola e il fascista Junio Valerio Borghese, e sostenendo che anche i totalitarismi del Novecento, pur coi loro difetti, hanno fatto qualcosa di buono (9).
Sono anni che molti intellettuali accusano Alain de Benoist di essere tuttora collegato con la destra radicale. Questi si è sempre difeso, sostenendo che per lui la differenza è l’esaltazione delle identità ‘di tutti’, e di non volere l’espulsione degli immigrati, come al contrario vuole il Front, ma la creazione di comunità in Europa dove questi possano decantare la loro identità (10). Ma allora, che ci fa seduto al fianco di Salvini, che si vanta di ispirarsi al Front national, che intrattiene rapporti con gli xenofobi del Bloc Identitaire? Tali contatti non sono controproducenti per la legittimità intellettuale della nuova destra, che non si riduce al populismo e all’insulto ai danni dell’avversario di colore?
Per capire bene il rapporto fra destra radicale e leghismo, senza addentrarci nel groviglio di contatti fra destra radicale – missina e non – e il Carroccio e le sue associazioni collaterali, su cui nessuno ha ancora scritto veramente qualcosa di serio, basta fare l’identikit del circolo Il Talebano, quello che ha organizzato il convegno fra Salvini e de Benoist. Il direttore è il giovane Vincenzo Sofo, di origini calabresi, che aderisce al Carroccio dopo un lungo ‘tirocinio’ nella destra radicale meneghina. Perché la famiglia, scrive Sofo sul suo blog, gli ha trasmesso un “forte senso di appartenenza”. Che ci fa un calabrese nel partito più antimeridionalista che la storia ricordi? La Lega, secondo Sofo, è “il solo movimento presente in Italia che si batte per la salvaguardia delle identità e delle tradizioni locali” (11).
Dopo essersi avvicinato a quattordici anni al gruppo Alleanza studentesca – in seguito Giovane Europa – gruppo che gli permette di coltivare contatti umani utili per la sua successiva carriera politica nel Carroccio e dove conosce “i valori della comunità, dell’altruismo, del rispetto e della fedeltà alle proprie idee e ai propri valori […] rifiutando il concetto di politica come semplice amministrazione del potere”, Sofo, dopo una parentesi ne La Destra di Francesco Storace, dove diventa responsabile del movimento giovanile cittadino nel 2007, Gioventù Italiana, abbandona – come diversi fascisti tra l’altro – il partito dell’ex leader della ‘destra sociale’ laziale perché “romanocentrico, reazionario e non costruttivo”.
Nel 2009, dopo la costruzione del comitato Viviamo Milano, Sofo crea il circolo Il Talebano, laboratorio culturale di estrema destra – nonostante Sofo sottolinei che all’interno della destra radicale cittadina egli si è sempre fatto notare per la sua “posizione originale ed estremamente critica nei confronti del neofascismo” – che auspica la nascita di un’Europa dei popoli federale che preservi le molteplici identità locali… cose già sentite in Francia da un certo Alain de Benoist e dalla sua scuola di pensiero, la Nouvelle droite (12).
Questo progetto politico che prevede la coesistenza in una forte alleanza di dimensione europea, di un’estrema destra finora smembrata in decine di sigle ininfluenti, di una destra postfascista in crisi e incapace di cavalcare il successo lepenista per apparire ancora una volta ‘perbenista’, di “centrodestra” – e legata alla svolta di Fiuggi – e di una Lega Nord in evoluzione e capace di attrarre frange deluse e agguerrite delle due destre sopra elencate, e di flirtare coi populisti neofascisti europei, coi teorici delle nuove destre culturali, nonché con le proteste antifiscali dei forconi e presentandosi vicinissima al popolo, dovrebbe essere, per l’informazione, una questione all’ordine del giorno, tanto quanto lo è l’ascesa dell’altro Matteo, il fiorentino rampante. Come mai, invece, sull’argomento regna il silenzio?
(1) Cfr. A. de Benoist, Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, con una prefazione di M. Fini, Arianna Editrice, 2012
(2) Cfr. M. L. Andriola, Il Mouvement Identitaire francese: dal gramscismo di destra a Terre et peuple, in Paginauno n. 35/2013
(3) Lo sostiene, per esempio, Gabriele Adinolfi, fascista nazional-rivoluzionario e intellettuale di spicco della destra radicale italiana, fondatore negli anni ‘70 del gruppo Terza posizione, fuggito in Francia dopo il blitz del 28 agosto 1980 a seguito dell’accusa di coinvolgimento nella strage di Bologna del 2 agosto, collaboratore e redattore capo alla rivista antimondialista Orion dal 2000 al 2008, responsabile culturale delle Università d’Estate di Sinergie europee e punto di riferimento per CasaPound e la destra giovanile ‘non conforme’. Secondo Adinolfi, “se il federalismo si fonda su una logica comunque consolidata e sentita di comunità nazionale (come in Germania) va bene, altrimenti no. […] In quanto ai contributi ideali e programmatici essi vengono tutti dalla cartina dell’Europa disegnata dalle SS. Ma in questo caso, appunto, c’era sullo sfondo una logica imperiale. Il neofascismo, la nuova destra, ecc., hanno tutti mutato da lì. […] Ora il regionalismo, etnoregionalismo o völkisch che dir si voglia, ha senso in un’ottica imperiale che supera il concetto di nazione in alto, in ottica ultranazionale. Altrimenti diventa una sorta di individualismo locale, campanilistico, folkloristico, in un panorama atomizzato. […] C’è una differenza fra un regionalismo epico/imperiale e un regionalismo/atomizzato. La stessa che intercorre fra il pensiero forte e pensiero debole”. G. Adinolfi, dichiarazione rilasciata all’Autore, 30 ottobre 2013
(4) Cfr. P. P. Poggio, in Liberazione, 22 luglio 1997. Cfr. Id., Il naturalismo sociale e l’ideologia della Lega Nord, in G. De Luca (a cura di), La Lega. Figli di un benessere minore, La Nuova Italia, 1994
(5) Salvini si prepara a guidare la Lega: ‘Alleanze con destra estrema? Ci ragiono volentieri’, Il Fatto quotidiano, 3 dicembre 2013
(6) M. Brusini, Lega, Salvini incontra il teorico dell’antiglobalizzazione. L’idea di un cartello con la Le Pen alle Europee, L’Huffington Post, 3 dicembre 2013
(7) I populismi, secondo Piero Ignazi, “non sono una rivalutazione del ‘mito palingenetico’ del fascismo: essi offrono una risposta ai conflitti della società contemporanea (ed è questa la chiave del loro successo). La difesa della comunità dalle presenze straniere (da cui razzismo e xenofobia) è una risposta in termini di identità all’atomizzazione e alla spersonalizzazione; l’invocazione della legge e dell’ordine, l’appello diretto al popolo e il fastidio per i meccanismi rappresentativi rispondono al bisogno di autorità e di guida di una società dove l’autoregolamentazione e l’individualismo hanno lacerato le maglie protettive dei legami sociali tradizionali”. P. Ignazi, L’estrema destra in Europa, Il Mulino, 2000, p. 259
(8) Murelli scrive: “Un personaggio stomachevole che riempie sempre più spesso il video è l’onorevole padano Mario Borghezio, che oggi fa della guerra al terrorismo e all’islam la sua bandiera di lotta. Un altro che ha fatto presto a cambiare cavallo. Il lettore deve sapere che tra il 1985 e il 1990 l’onorevole Borghezio era ospite a casa mia praticamente tutte le settimane. Fu l’ideatore di Orion-finanza, supplemento a Orion. Anch’io passavo per terrorista e più di me passava per terrorista Claudio Mutti che amorevolmente Borghezio soprannominava ‘Muttim’ e della cui amicizia, fin dai tempi di Giovane Europa, menava vanto. Dunque, oltre a frequentare amabilmente me, Salvatore Francia (più volte accusato di essere il terrorista numero uno di Ordine nuovo), Adriana Pontecorvo (sempre di Ordine nuovo) e Oggero di Carmagnola (che stampava una rivista intitolata, ma guarda caso, Jihad); oltre ad accompagnarsi a sedicenti ‘colonnelli’ del fantomatico Stato del Sahara Occidentale Spagnolo; oltre a essere accusato lui stesso di atti terroristici (e, mi pare di ricordare, processato) per una lettera anonima della ‘Falange armata’ inviata all’allora giudice di Torino Violante; ebbene, a parte queste ‘pericolose’ ed ‘equivoche’ frequentazioni ciò che lo [Borghezio, n.d.a.] contraddistingueva era la sua ideologia ferocemente antiamericana e antigiudaica. Oggi, e cito lui perché è il più insopportabile nei suoi atteggiamenti provocatori e mistificatori di bassa lega, è diventato come molti altri campione dell’intransigenza anti-islamica”. M. Murelli, Occidente: fronte infame, in Orion, ottobre 2001, p. 3
(9) M. Borghezio, Borghezio: Il meticciato inquina le razze, intervista rilasciata a Giuseppe Cruciali, in Panorama, 30 maggio 2013. Il politico leghista, ex sottosegretario alla Giustizia del primo governo Berlusconi, presidente onorario dei Volontari verdi (gli squadristi del Carroccio che fanno le ronde), capace di picchiare un bambino marocchino di dodici anni nel 1993, e che nel 2000, rendendosi protagonista di un’operazione di disinfestazione etnica, esibendosi davanti alle telecamere spruzzando detergente e deodorante su alcune donne di origine africana sedute su un treno, ha aggiunto: “Io sono un tradizionalista monarchico. L’ultimo degli indipendentisti. E penso che solo un Paese di merda come l’Italia può dimenticare un genio come Gianfranco Miglio. Detto questo, i regimi totalitari hanno fatto cose terribili ma anche cose molto buone e positive. Per esempio i nazisti furono i precursori dell’ecologismo. Ma mi considero più a destra di Dio. Come Julius Evola, più a destra di noi non c’è nessuno. Addirittura”. Sul golpista e capo della X Mas fascista Junio Valerio Borghese, responsabile dei rastrellamenti di partigiani, civili ed ebrei durante la seconda guerra mondiale, Borghezio sostiene che “era un uomo straordinario. Oggi se ne sente il bisogno. Voleva mettere a posto l’Italia che era nelle mani dei comunisti”
(10) Cfr. Intervista ad Alain de Benoist, in Diorama letterario, n. 206, agosto-settembre 1997, pp. 21-33
(11) http://vincenzosofo.com/ al link ‘Chi sono’
(12) “Siamo Talebani. Per lo spirito antisistema e radicale. Per la libertà dei popoli dell’Europa. Per uno Stato sovrano federato a una Nazione Europa. Contro il modello occidentale globalizzato ed esasperatamente modernizzato, che annichilisce ogni identità, tradizione e cultura umana e comunitaria. Contro l’Europa della finanza, alla quale opporre una Europa dei popoli, unita dal minimo comune denominatore che attraversa le varie e variopinte patrie del vecchio continente […] la solidarietà tra comunità sia il nuovo punto di partenza. Contro la deriva materialista della nostra società, preservando i valori spirituali dell’uomo e della famiglia. Contro l’attuale sistema Italia – centralista, lobbista e corrotto – rivendicando il diritto di ogni piccola patria esistente in Italia di essere riconosciuta nella propria specificità […] perché solo tutelando e valorizzando le diversità delle singole comunità si potrà ottenere una coscienza unitaria. Né a destra né a sinistra – schemi ampiamente superati – perché il conflitto odierno è tra chi vuole la mondializzazione e chi difende le specificità locali”. Da http://iltalebano.com/chi-siamo/