Da tempo ho adottato una politica del tutto personale nei confronti di chi per strada chiede soldi. Sono consapevole che non posso uscire di casa la mattina con addosso un paio di chili di spiccioli (monetine di corso legale da 1, 2 e 5 centesimi di euro). Per conseguenza, quelli che mi ballano in tasca ho deciso da anni di darli ai musicisti di strada, ma anche a giocolieri, fantasisti, disegnatori, mimi ecc. – insomma a chiunque per strada offra una forma d’arte comunque intesa. Memorie di un passato da studente povero, quando anche io con un amico violinista provai la strada dell’arte ambulante: successe che dopo il primo pezzo un bambino pronto a darmi 500 lire tirò indietro la mano perché avevo spaccato due corde, e non potevo più suonare. Allora mi arrabbiai perché in fondo un pezzo l’avevo suonato.
Più tardi ringraziai mentalmente quel bambino perché arrivò la polizia (la polizia! Neanche i vigili urbani) che stava provvedendo a identificare e multare i vari mendicanti, saltimbanchi e musicisti che si esibivano per le straduzze del centro storico di Bologna. Io m’ero appena allontanato, e non ebbi problemi. Gli altri sì, li ebbero. E a me bollì il sangue, volevo tornare indietro e attaccare briga. Ma l’amico violinista non aveva documenti e mi tirò via. Più tardi ebbi modo di studiare la storia della legislazione contro “oziosi e vagabondi” e mi divenne più chiara una ragione fondamentale della persecuzione (o dell’inquadramento forzato) verso queste categorie. Una ragione che è del tutto ideologica nella parte superiore e del tutto istintiva nella parte inferiore.
Il mondo protestante, in generale, considera immeritevole di tutela chi non lavora. L’etica del lavoro domina la società e obbedisce in modo rigoroso ai comandamenti biblici: lavoro doloroso (Genesi 3:17; Esodo 20:9; Deuteronomio 5:13 ecc.) e poi lavoro che non arricchisce senza la benedizione di Dio, lavoro degno di giusta mercede (buona grazia) lavoro manuale e agricolo (esaltato perché vicino alla terra). Intendiamoci: si parla di lavoro salariato o di libera imprenditoria. Le professioni artistiche (dai pittori ai musicisti) sono state ammesse se sotto tutela del Signore di turno o dell’autorità della Chiesa. Tutti coloro che non sottostanno a questa semplice regola peccano di ozio (in-produttivo) e di mancata collocazione fisica nella società, cioè peccano, fondamentalmente, di nomadismo. E qui la persecuzione svela il suo volto, ideologicamente feroce perché irrazionale. Non avere fissa dimora ricorda da vicino la condanna di Caino a vagare per il paese di Nod (banalmente: paese senza una cultura) dopo l’assassinio del fratello Abele. Ma: fateci caso, Abele era il pastore nomade e Caino l’agricoltore sedentario.
Dunque, la condanna a ridiventare nomade veniva già considerata una punizione terribile nel testo biblico per chi aveva nel DNA la pastorizia non legata a sedi fisse come le tribù ebraiche. Of course, i mistici kabbalisti rovesciarono la prospettiva: essi considerarono la condanna di Caino come un paradossale regalo perché consentiva il ritorno a una condizione di purezza originaria, in contrasto alla corruzione delle città. Guarda caso gli avversari più feroci dello Stato di Israele non sono quei cattivoni dei musulmani, no! Sono una scuola ebraica chiamata Neturei Karta (i Guardiani della città) nata nel 1938 a opera di numerosi ebrei ungheresi e lituani che già vivevano da tempo in Palestina in ottimi rapporti con tutti coloro che vi risiedevano.
I Neturei collaborano attivamente coi palestinesi e rigettano in toto il sionismo. A sostegno della propria posizione citano il Talmud babilonese (trattato Kesubos, 111/a) in cui si afferma che gli ebrei non possono utilizzare forze umane per stabilire uno Stato ebraico finché non gli venga regalato dal Messia della casa di Davide, e in cui si afferma che devono essere cittadini leali delle nazioni in cui vivono, senza cercare di anticipare la fine dell’esilio. L’esule, come il nomade, non ha una nazione. Al massimo si adatta a convivere coi costumi e le leggi di dove si trova. Ma, pensateci: il principale nemico di tutto il mondo Occidentale paiono essere le masse di lavoratori fuggiti da guerre o catastrofi naturali. A meno che non si integrino in fretta e soprattutto lavorino. Allora come ora il nemico è il nomade.
Anni fa a Roma ebbi la sventura di assistere a una conferenza stampa del sindaco Rutelli, che investito (come tutti i sindaci) dal ‘problema’ dei nomadi (in realtà popolazione di strada, senza una nazionalità specifica) affermò testualmente: “Non saranno tollerati comportamenti nomadi”. Il che mi fece saltare le valvole per l’assoluta inconsistenza dell’aggettivo rispetto al sostantivo: cosa significa comportamento nomade? Se sono sfrattato e disoccupato e magari mi ammalo anche perché vivo dentro alla mia auto sfasciata, sono un nomade? Se tolgo le ruote alla mia auto e li sostituisco con mattoni sono nomade o sedentario? Nessuno mi dà risposte, in compenso mi multano per occupazione abusiva di suolo pubblico (ridete? È successo per davvero).
È la paura ancestrale del vagabondo senza meta che atterrisce il mondo occidentalizzato, paura che si placa parzialmente solo se il soggetto potenzialmente nomade lavora, trattato come uno schiavo, ma lavora. In questo cattolici, protestanti, ebrei e musulmani sono identici. Conosco di persona le condizioni disumane dei lavoratori nepalesi nei Paesi del Golfo, schiavi moderni di fatto impossibilitati a tornare a casa perché coperti da debiti a cui li costringono i propri datori di lavoro. Ancora peggio le prostitute africane o dell’Est Europa vittime della tratta delle bianche. Come vedete si tratta di una storia che ha radici lontane e che in alcuni punti sembra ripetersi nella forma del ‘danno minore’. Tanto per fare un e-sempio e parlare di soldi: già nell’Europa medievale si praticava il prestito di denaro a interesse e anche senza che fossero nate le banche. C’erano gli usurai ebrei che provvedevano a una necessità vitale, come la circolazione del contante in un regime mercantilistico e non ancora pienamente capitalistico.
I Monti di Pietà (già il nome è un programma) nacquero sulla premessa che l’usura sarebbe stata praticata in ogni caso: tanto valeva che gli usurai ebrei agissero alla luce (peccando) ma con il temperamento dell’istituzione cattolica che poteva far loro validamente concorrenza. Il beato Bernardino da Feltre fu portatore di una realpolitik che ancor oggi stupisce: “Considerata cupiditate hominum et pauca charitate, est melius solvere aliquid et esser ben servito quam nichil et esser mal servito” (“Considerata la cupidità umana e la poca carità è meglio assolvere qualcuno ed essere ben servito che non far nulla ed essere servito male”). Sicché su sua iniziativa nacquero i Monti di Pietà e contemporaneamente aumentò la persecuzione strisciante verso gli ebrei. Manco a farlo apposta però Bernardino venne espulso per tre volte da corti importanti, come Milano, Firenze e Venezia e sempre per la stessa ragione di fondo, cioè essersi opposto allo strapotere delle banche locali. Il capitalismo mercantile protegge se stesso e alla fine emargina gli anelli più deboli della catena, cioè i prestatori ebrei, che andavano laddove li perseguitavano di meno, continuando il loro nomadismo.
Insomma, per farla breve, il nemico rimane sempre chi si sposta troppo e non si riesce a controllare. Che ne sarà delle migliaia di musicisti che in tutto il mondo girano come trottole, sacrificando alla musica e alla vita da artista la sacra istituzione familiare, a meno che moglie e figli non li seguano e siano loro partner come avviene da sempre coi circensi? Vivere in tournèe permanente è durissimo, anche per gli artisti più elastici: quanti jazzisti, quanti bluesman, quanti rocker separati tre, quattro volte e alla fine accasati con l’unico partner possibile: quello che condivide con te la strada e il palco. È già difficile con una vita sul palco, figuriamoci se il tuo palco è la strada. Per questo aiuto i musicisti di strada. Per questo vado più che posso a concerti di musicisti più o meno girovaghi, che suonino musica antiqua medievale o rinascimentale, oppure una patchanka molto di moda da qualche anno a ‘sta parte.
Gli ultimi che ho visto dal vivo e che mi sento di raccomandarvi sono gli ska/tenati membri della Antwerp Gipsy-Ska Orkestra, che di loro sono girovaghi anche senza essere gitani. Il leader, cantante e trombettista Gregor Engelen detto Terror, viene dall’ambiente dei punk e squatter e ha suonato per anni in band punk-hardcore per poi impallinarsi con la musica gitana dopo aver visto Underground di Ermir Kusturica. Oggi diresti che è un rom perfetto, a cominciare da scarpe e calzini (mocassini anni ‘70 bicolori e calzini a righe), un vestito di rayon alla Kid Creole, anelli vistosi alle orecchie, viso segnato e cappello da tanghero. Eppure è belga ma con un’attitudine, prima punk poi rom, il che fa la differenza. Gregor è spesso considerato un autentico musicista rumeno per la sua presenza e il suo aspetto. Un altro fattore che contribuisce è il fatto che si esprime in un linguaggio che è una patchanka delle lingue continentali tra italiano, spagnolo, francese, fiammingo e inglese: il tutto frullato dalla versione serba della lingua romani: “È noioso e poco interessante cantare in una sola lingua”, dice con aria annoiata. “So cosa sto cantando, ma parlare il romani è molto difficile. È quasi co-me un linguaggio segreto e gli zingari preferirebbero mantenerlo in quel modo. Faccio tradurre i miei testi e controllo la mia pronuncia con i membri della famiglia del nostro tastierista, Suki. Se capisce cosa sto cantando, allora sono soddisfatto”.
Suki è un rom serbo (Suhamet Latifi) e pesta (letteralmente) sulle tastiere con un suono che ricorda i vecchi organini della Bontempi anni ‘60, il che rende tutto assolutamente psichedelico. Mukti, il chitarrista principale, è di origine russa e veste un elegante, anche se datato, vestito scuro di simil-lamé con infami scarpacce marroni sfondate: ha una frangia che pende sulla faccia e ciò lo rende una sorta di clone dello Zanardi di Andrea Pazienza. Usa moltissimo degli effetti da ska-reggae come gli echi spaziali che trovate negli Sly e Robbie del periodo svizzero di Peeni Waali, il che rende ancora più psichedelico tutto il background di ogni canzone. Filip Vandebril è fiammingo e suona il basso spaziando tra Klezmer, musica arabo-andalusa e punk elettronico. Il batterista Frederik van den Berghe ha un’aria paciosa come uno si immagina i belgi, con pancetta e birra in mano; ma in questo caso è anche un multitasking capace di partire da lontano, dal New Orleans Jazz per arrivare allo ska. Il sassofonista e cantante belga Nathan Daems spazia tra il jazz etiopico, un trio di jazz e raga indiano e i Calypso Gigolos che mescolano calypso con ska e musica balcanica. Buon ultimo il giovanissimo rom macedone (13 anni e si vede!) Ramadan Sali, seconda chitarra, che se lasciato libero rivela una sorprendente attitudine hendrixiana (!!!) oltre a suonare, rigorosamente all’unisono con sax e tastiere, tutte le linee armoniche balcaniche.
La formazione ha all’attivo ben quattro album, in cui è possibile ascoltare tutta l’evoluzione del gruppo che a ogni uscita aggiunge qualcosa di nuovo, facendo tesoro delle esperienze live che rappresentano il nucleo fondamentale della loro attività. L’approccio di Antwerp Gipsy-Ska Orkestra è avventuroso e per niente intimorito dalla sperimentazione. Gregor ha affermato in conferenza stampa qui, al Het Podium di Goes (Olanda) a proposito del nuovo Roma Project: “Questo è il gipsy-hiphop in salsa rom ispirato a Gipsy.cz, il gruppo che ha rappresentato la Repubblica Ceca all’Eurovision Song Contest. Quindi abbiamo iniziato a pensare di fare una canzone gitana con un ritmo hiphop. I musicisti della Kočani Orkestar hanno suonato i ritmi con le loro tube di baritono. Vero crossover, in altre parole. Il pubblico impazzisce ogni volta che lo suoniamo dal vivo”.
Ragazzi, non vi sembra di stare pattinando su di un ghiaccio sottile?, chiedo. Macché. Sono stati persino invitati al Festival Internazionale dell’Arte Rom in Romania. Al prestigioso Sziget Festival di Budapest (2008) il gruppo ha scatenato la frenesia del pubblico, unico live-act non est-europeo tra le famose orchestre gitane tradizionali. “A Sziget siamo stati avvicinati dal direttore di una vecchia orchestra gitana bulgara che ci ha detto che stiamo facendo qualcosa di positivo per la musica gitana e rom. Nel loro Paese vengono attaccati per strada e discriminati. Godiamo del loro rispetto per il modo in cui interagiamo con la loro musica. Abbiamo dovuto chiedere il permesso per il brano Kerta Mange, il nostro tributo al grande cantante Šaban Bajramović, che era morto da poco. Avremmo dovuto mollare questa traccia se i suoi eredi pensavano che la nostra versione facesse schifo. Ma ci hanno dato il via libera”. E con la benedizione dei grandi della musica rom anche un non-rom può fare la sua parte, in giro per il mondo.
Quale album vi consiglio? Tutti, se potete trovarli. Qui incidentalmente vi consiglio Black Panther. Il mio favorito è Babylon Trap. Ma vi avviso: solo un live vi darà la scossa!!!
You don’t like gipsy‐reggae? I will shed no tears: go listen Britney Spears. (No Disco Boy)