Giuseppe Ciarallo
Quando i miti della sinistra diventano oggetto d’attrazione per la destra
Qualche anno fa rimasi sconcertato leggendo che una sezione del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano, partito politico di destra fondato nel 1946 da reduci della Repubblica sociale italiana e da esponenti del deposto regime fascista) aveva intitolato una delle proprie sezioni a Antonio Gramsci, uno dei fondatori nel 1921 a Livorno, del Partito comunista d’Italia, intellettuale, combattente e martire antifascista. Il fatto che quella sezione del FdG fosse situato in via Gramsci, non legittimava di certo l’accostamento tra il nome del dirigente comunista e la formazione politica di matrice diametralmente opposta, sostenitrice di chi Antonio Gramsci aveva praticamente ucciso (“Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”, sentenziò il 4 giugno 1928, violando l’immunità parlamentare, il pubblico ministero Michele Isgrò in ossequio alla volontà di Benito Mussolini che aveva deciso che Gramsci avrebbe dovuto finire i suoi giorni in prigione).
Peraltro, alle ‘ceneri di Gramsci’ è da sempre interessata anche la Chiesa, che di tanto in tanto, dal nulla fa spuntare qualche frate che ha saputo da un suo conoscente che ha ricevuto la notizia in via del tutto confidenziale dal suo confessore, che l’anticlericale e mangiapreti Antonio Gramsci, in punto di morte, dopo aver abiurato la sua fede nel comunismo, chiese espressamente di congedarsi da questo mondo con i conforti religiosi. Bufale, naturalmente. D’altronde questo è un vizietto antico, tanto che già precedentemente le gerarchie ecclesiastiche avevano cercato di far passare la stessa storiella cucendola addosso al poeta non credente Giacomo Leopardi.
Poco dopo, sbigottito venni a sapere che la sezione di Arzignano della Lega Nord aveva utilizzato, stampandola sulla propria tessera, la nota immagine stilizzata di Ernesto Che Guevara. La giustificazione di una tale assurdità? “L’immagine del Che si vede sempre nei cortei di sinistra, ma lui era un combattente per la libertà. E non era comunista!” questa la divertente dichiarazione del fantasioso riscrittore di Storia a proprio uso e consumo, segretario del Carroccio arzignanese. Se solo il seguace di Alberto da Giussano avesse saputo che Ernesto Guevara de la Serna era diventato ministro dell’Economia di Cuba proprio per un equivoco legato alla sua indiscussa identità ideologica…
La leggenda (ma l’intera esistenza del Che, pur essendo estremamente reale, è leggendaria) vuole che durante una delle prime riunioni dei ‘barbudos’ dopo la vittoria della rivoluzione cubana, Fidel Castro nel ripartire i più importanti incarichi di governo domandò: «Tra di noi c’è qualche economista?». Il Che alzò la mano, e Fidel lo nominò capo dipartimento dell’Industria e presidente della Banca Nazionale di Cuba. Il Che, meravigliato di quella designazione ne chiese il motivo al Lider maximo, il quale rispose: «Hai detto di essere un economista!», e l’altro: «Ma io avevo capito che tu chiedessi Chi di voi è comunista?». Quasi sicuramente l’aneddoto appena raccontato è semplicemente una storiella inventata di sana pianta, ma anche asserire che Che Guevara non fosse comunista, come barzelletta non è niente male.
Il mio sbigottimento, però, crebbe a dismisura qualche tempo dopo, quando mi capitò tra le mani un libro molto particolare, dal titolo emblematico: Fascisti immaginari – Tutto quello che c’è da sapere sulla destra (1). Più che Fascisti immaginari, il libro si sarebbe dovuto più correttamente chiamare Immaginari fascisti, visto che i due autori, attraverso una sorta di sistema enciclopedico, mettono in ordine alfabetico commentandoli ampiamente, i personaggi, i simboli, i miti, le icone, le suggestioni che costituiscono l’universo socio/politico/culturale della destra italiana post fascista (post non dal punto di vista ideologico quanto in senso puramente temporale).
Nelle oltre cento voci di questo strano dizionario, non poche sono le sorprese per chi, come il sottoscritto, crede che il degrado nella politica sia cominciato proprio nel momento in cui troppo presto sono stati confinati in solaio – soprattutto nell’ambito della sinistra – gli ideali e le ragioni dei tanti che ci hanno preceduto lottando e morendo per le conquiste sociali di cui oggi noi possiamo godere, preferendo a essi una deleteria mescolanza tra incompatibili (a tal proposito non può che venirmi alla mente l’assurdo esperimento del Partito democratico, che ha voluto unire componenti partitiche, quella comunista e quella democristiana, che su tematiche importantissime, anzi essenziali, non possono che pensarla in maniera radicalmente diversa, e rincorrendo su altri argomenti – securitarismo, economia, spese militari – addirittura le parole d’ordine della destra).
A tal proposito ci sono due note e illuminanti frasi di Gramsci (già, ancora lui) che ben esprimono la pericolosità di certi comportamenti. Nella prima, l’intellettuale sardo dice – cito a memoria – che l’acqua non andrebbe mai mischiata al vino, perché ognuna delle due sostanze, in tal modo, perde le proprie caratteristiche, e soprattutto perché una volta mescolati i due liquidi, non è possibile tornare indietro riportandoli all’originaria consistenza. E qui le orecchie di molti dirigenti del Pd dovrebbero fischiare in maniera assordante.
La seconda, invece, esprime perfettamente la confusione in atto, anche lessicale, e forse in parte spiega questo strano miscuglio tra opposti (almeno sulla carta) linguaggi ideologici: “La vera Babele – dice Gramsci – non è tanto dove si parlano lingue diverse, quanto dove tutti credono di parlare la stessa lingua e ciascuno dà alle stesse parole un significato diverso”. Dunque, se leggendo il libro, convengo per esempio che i termini esoterica, Guenon, Faccetta nera, croce celtica, golpe, Hobbit, manganello, parà, ragazzi di Salò, facciano parte a pieno titolo del pensiero e del lessico della destra, già mi riesce più difficile da capirne altri, quali Battiato, Bukowski, Carmelo Bene, John Fante. Che c’entra Battiato con i fascisti? Sarà per via dell’esoterismo e della religiosità/spiritualità con le quali il cantante siciliano spesso infarcisce le sue canzoni? O per il fatto di essersi esibito qualche anno fa alla Festa Tricolore di Alleanza nazionale a Milano? Improbabile, visto che Battiato qualche giorno dopo fece un concerto all’interno di una Festa de l’Unità…
E Bukowski? Lo scrittore americano ha più volte dichiarato che il suo ‘nazismo’ era una posa e una reazione al ‘conformismo antinazista’ tutto americano (tipico atteggiamento del bastian contrario che era) come ebbe a dire a Fernanda Pivano in una famosa intervista.
“Recitai la parte del nazista anche se non me ne fregava niente né dei nazisti, né dei comunisti, né degli americani”. Ed è un bene che Bukowski vivesse negli Usa anziché nella Germania nazista, dove la sua letteratura (i suoi primi scritti sono datati 1944) sarebbe stata bollata come ‘arte degenerata’ e lo scrittore stesso (perennemente ubriaco, disoccupato cronico, asociale) probabilmente considerato ausmerzen, vita indegna di essere vissuta, un mangiatore inutile che grava sulle spalle della collettività. E Carmelo Bene? E John Fante? Cosa hanno a che fare con i neofascisti? Mistero.
La sorpresa diventa poi incredulità quando scopro che nell’immaginario Pantheon della nuova destra compaiono Bruce Chatwin, Fabrizio De André, Giorgio Gaber, il jazz (la musica ‘negroid’ di Luigi Fortebraccio e della Tristezza di San Luigi, ridicola italianizzazione di Louis Armstrong e del brano St. Louis Blues imposta dall’idiozia del regime mussoliniano), on the road, le sturmtruppen (la buonanima di Bonvi è dall’uscita del libro che ruota vorticosamente nella sua tomba, senza trovar pace dal ridere), ma soprattutto… Che Guevara (ma allora è un vizio!) e Corto Maltese.
Ora, su Che Guevara mi sono già espresso dicendo quanto sia assurda la pretesa di qualsiasi latitudine politica e gradazione cromatica della destra di appropriarsi del rivoluzionario argentino, mi tocca però sperperare ulteriormente un po’ d’inchiostro sull’altrettanto inconcepibile arruolamento tra le file neofasciste di un libertario quale è indiscutibilmente Corto Maltese, massima espressione del fumetto nostrano, nato dal genio e dalla mano di Hugo Pratt.
Corto Maltese è un personaggio estremamente complesso – così come è complessa la vicenda umana e artistica del suo creatore – frutto di un assemblaggio di geni che solo una mente fervida e feconda poteva partorire per fornire all’eroe delle storie illustrate un background ideologico e di conoscenze che giustificassero la sua filosofia di vita e i conseguenti comportamenti. Corto Maltese, secondo la genealogia inventata dal suo disegnatore, nasce a La Valletta, isola di Malta, da Niña da Gibraltar, bellissima donna di origini gitane e prostituta di professione, e da un marinaio nato in Cornovaglia. La madre, in seguito, diventa l’amante del rabbino Ezra Toledano, il quale inizia il giovane Corto ai testi segreti dello Zohar e alla vera Kabbalah. Questo per quanto riguarda l’humus in cui Corto Maltese è cresciuto e si è formato. Madre zingara, prostituta, padre marinaio giramondo, patrigno ebreo… elementi che difficilmente la destra potrebbe pretendere come suoi. E allora, da dove nasce tanta fascinazione?
Secondo me, probabilmente l’equivoco sorge dall’incapacità (o dalla non volontà) di discernere tra il vissuto dell’autore e le idee che il personaggio esprime (problematica questa, che spesso ricorre in certa critica letteraria e artistica in genere, dove a volte si confondono le due figure).
Ora, non c’è dubbio che Pratt, classe 1927, come tutti i bambini suoi coetanei abbia indossato la divisa nelle adunate, che suo nonno materno, callista e poeta veneziano, fosse tra i fondatori dei Fasci di Combattimento della sua città e uno di quelli della Marcia su Roma, che il giovane Hugo a soli quattordici anni sia stato arruolato dal padre nella Polizia Coloniale e che a sedici anni sia entrato volontariamente a far parte della Decima Mas (per i fini che lo stesso Pratt spiega nella sua autobiografia), ma l’atteggiamento del futuro autore di Corto Maltese è sempre stato molto critico – e spesso beffardo – nei confronti del regime, soprattutto riguardo alle posizioni relative alle questioni razziali. D’altronde, Hugo Pratt, al pari del personaggio da lui creato ha un albero genealogico alquanto singolare: nonno paterno di origine inglese, nonno materno ebreo marrano, nonna di discendenza turca; inoltre, madre appassionata di scienze occulte ed esoterismo, cabala e cartomanzia, e padre militare nella Colonia Italiana d’Abissinia.
Raccontando del padre, che per una bravata giovanile – una banale rissa – aveva fatto qualche mese di galera, Pratt scrive: “Ora, con quei mesi di galera era difficile trovare lavoro, anche se si era ‘Marcia su Roma’, ‘Sciarpetta Littorio’ e tutte quelle puttanate”. “[…] Poi nel ‘36 aveva preso su ed era andato in Africa, a lavorare nell’Ufficio per lo Sfruttamento della Mano d’Opera Indigena, che però aveva un altro nome tipo Ufficio Produzione del Lavoro”. Parole non esattamente rispettose del fascismo. Parlando poi del suo amico etiope Brahane, verso il quale dimostra grande solidarietà e rispetto, dice: “Gli toccava fare il cameriere in questa casa, con mio padre che era per la difesa della razza. E arrivava anche la rivista La difesa della razza. Io mi domandavo come, con gli italiani tra i piedi, non diventassero razzisti gli abissini”.
Come si può vedere, considerazioni che piuttosto che accomunare la figura di Hugo Pratt al fascismo, lo collocano in una direzione del tutto divergente. Ciò nonostante, nel libro Fascisti immaginari a proposito dell’arruolamento volontario del sedicenne Hugo nei ranghi del Battaglione Lupo della Decima Mas, si possono leggere le seguenti parole che ascrivono in blocco autore e personaggio alla causa della Repubblica sociale italiana: “Pratt e il suo randagio figlio Corto Maltese il marinaio, resteranno per sempre e comunque i combattenti di una battaglia magari destinata alla sconfitta, ma che è bello e soprattutto nobile vivere.
Sotto i panni da romantico marinaio di Corto Maltese, si celava il fantasma di un marò della Decima Mas…”. Molto commovente. Peccato che sia lo stesso Pratt a chiarire, tra le pagine della sua autobiografia dal titolo Le pulci penetranti (2), i motivi di quella scelta, peraltro stroncata in maniera comica dalla nonna turca, che stufa di guerra si precipita in caserma e aggredendo a colpi di ombrello il comandante della guarnigione e il nipote, si riporta a casa il giovane: “Nel battaglione Lupo non ci rimasi molto. Arrivò mia nonna come un ossesso e mi riportò a casa. Neanche mi trovavo male in mezzo a tutti quei fascisti, tutte le notti a prender pesce col tritolo; aspettavamo di giorno in giorno di essere mandati al fronte. Anch’io aspettavo, ma per passare le linee e andare con gli inglesi”. Cosa che Pratt fece. Grazie alla sua padronanza della lingua inglese, nel 1944 diventa interprete dell’esercito alleato, con il quale rimane fino alla fine della guerra.
“Nel 1945, a fianco del generale neozelandese Freyberg passai in rivista le formazioni partigiane dove militavano i miei amici Gian Mario Vianello, Alberto Ongaro, Nino Vascon e Giorgio Bellavitis” dirà in seguito. Questo per quanto riguarda se stesso e la sua giovinezza avventurosa. Su Corto Maltese, poi, Pratt è ancora più chiaro: “Lo faccio muovere e agire come un uomo emancipato, un uomo attuale. È un anticolonialista, uno che non ha barriere geografiche né problemi razziali”.
L’amico e scrittore Alberto Ongaro, intervistato dopo la morte di Hugo Pratt, scrive sulle pagine del quotidiano Liberazione: “Hugo, come Corto Maltese, era fondamentalmente un anarchico. […] Seguendo il percorso del personaggio ci si accorge come la realtà dei luoghi e dell’ambiente in cui il protagonista si muove, interagisce con lui. Il contesto storico è sempre presente nelle sue storie. […] La produzione di Pratt ha coinciso con l’insofferenza dei giovani per le regole imposte. L’impatto sul pubblico di tutto il mondo è dovuto proprio a Corto Maltese, personaggio che incarna l’aspirazione alla libertà”. E lo stesso Hugo Pratt così si definisce nel libro intervista All’ombra di Corto a cura di Dominique Petitfaux: “Io lavoro certamente all’interno di un sistema capitalista. Sono anarchico ma non per questo mi privo delle possibilità che mi può offrire il capitalismo: so quando bisogna fare il gioco dei capitalisti ma non mi faccio illusioni. E so altrettanto bene che dietro la maggior parte delle case editrici si nascondono gruppi multinazionali che fanno capo ai più diversi interessi e che non sanno nulla di fumetti. Per esempio, la rivista italiana Corto Maltese che pubblica le mie storie in esclusiva mondiale e la Milano Libri che pubblica i miei albi in Italia, appartengono entrambe al Gruppo Rcs, e cioè Rizzoli-Corriere della Sera, ma questo gruppo appartiene a sua volta alla Fiat, che è collegata ad altre società. Corto Maltese può dunque dipendere da una multinazionale: se un giorno questa multinazionale giudicasse che Corto Maltese non è abbastanza redditizio, […] potrebbe essere la fine di Corto Maltese”.
Certo, non un’anarchia di tipo strettamente ideologico, quanto di natura più istintuale quella di Pratt e, di conseguenza, del suo eroe a fumetti. E comunque, di Corto Maltese si perderanno le tracce durante la guerra civile spagnola, dove l’avventuroso marinaio va a combattere nelle file repubblicane inquadrato nelle Brigate Internazionali (3). Pertanto, come già detto per Gramsci e Che Guevara… giù le mani da Corto Maltese!
Resta lo sbigottimento per le tante altre voci relative a personaggi e simboli che, pur appartenendo alla storia e alla cultura della sinistra, sono oggetto di attenzione e di tentativi di appropriazione da parte della destra. Mao-Tze-Tung, il Grande Timoniere della rivoluzione cinese sosteneva che quando “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”. Ma in quest’epoca di ‘forconi’ che invocano a spada tratta la Costituzione auspicando un governo militare, in cui la sinistra parla spesso con il linguaggio della destra e la destra si appropria, come abbiamo visto, di parole d’ordine squisitamente di sinistra, mi verrebbe da dire che di confusione ce n’è fin troppa. Ma la situazione… mi pare tutt’altro che eccellente.
(1) Luciano Lanna e Filippo Rossi, Fascisti immaginari – Tutto quello che c’è da sapere sulla destra, Vallecchi, 2003
(2) Hugo Pratt, Le pulci penetranti, Alfieri, 1971
(3) Cfr. Cronologia della vita di Corto Maltese: 1936, in Hugo Pratt e Dominique Petitfaux, All’ombra di Corto, Rizzoli/Milano Libri, 1992, p. 30