Recentemente ho visto un documentario sul recupero della memoria in Spagna – recupero della memoria degli orrori del franchismo a danno dei repubblicani. Un Paese, cioè, sta facendo sia pure faticosamente i conti col proprio recente passato, non per spirito di vendetta ma per integrità del proprio essere nazione civile e democratica. Molti non hanno voluto sinora ricordare: tanto forte il peso dell’orrore subito, e tanto recente. Ma altri stanno già scavando, e inarrestabile a quel punto diviene il compito di ricordare e dire l’indicibile.
La Storia non è più mistero, perlomeno si pensa non lo sarà più. Nello stesso documentario un prete spagnolo, convenuto a Roma per la beatificazione dei cosiddetti ‘martiri di Spagna’ – i religiosi uccisi dai repubblicani – erigeva un muro davanti al cronista, rifiutando cioè di parlare del fatto che loro erano lì con tutto quello che stava succedendo in Spagna. Affermava, quel prete, “La storia la facciano gli storici”. A lui importava solo presenziare con orgoglio alla beatificazione. Memoria critica zero.
Diversi anni fa avevo un’amica che si riteneva troppo giovane per avere una qualche memoria degna di nota. Credo di averle detto che se non aveva fretta il suo tempo sarebbe arrivato – il tempo di esibire un vissuto abbastanza solido e per questo meritevole di attenzione. Solo pensando intensamente ai miei vent’anni riuscii a intuire come si sentisse la mia giovane amica – l’ansia di vivere e l’ansia più grande di sedimentare abbastanza in fretta da poter dire: ho vissuto, ho una storia; quello che ho fatto è chiaro perché c’è abbastanza spazio per poterlo guardare. Così, almeno credeva, la sua storia non sarebbe stata più un mistero. La sua vita, in retrospettiva, avrebbe avuto un senso.
Accolsi con riluttanza il suo invito a leggere un romanzo di Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, perché – almeno credo – avevo troppe cose da fare. E difatti accadde che leggessi il libro almeno tre anni dopo. Solo allora capii che cosa succedeva alla mia amica. Volgendosi attorno ben dopo la primavera di Praga, Kundera guarda sconsolato i destini degli Stati finiti sotto regimi dittatoriali, e conclude a tale proposito dicendo che essi hanno almeno una cosa che li accomuna: in quei Paesi la vita è insostenibilmente leggera. Questo dipende dal fatto che – apparentemente – non ci sono paradossi né discrasie, contraddizioni né eventi surreali sotto quei regimi. Esiste invece un accordo incondizionato all’essere, ma trasportato a livello di massa. Può cadere una lacrima al singolo, vedendo un bimbo che ha perso la sua barchetta nel fiume. Ma se la seconda lacrima viene versata solo e soltanto da una moltitudine, e per lo stesso motivo, allora ecco che siamo di fronte al vero e proprio kitsch.
Per la stessa ragione, un mondo che nasconde continuamente la merda, ma ammette che siamo stati fatti a immagine e somiglianza del Creatore, non riesce ad accettare che quello stesso Creatore non solo abbia degli intestini, ma che al pari di noi produca merda. Il che è irrimediabilmente kitsch, come la beatificazione dei settecento preti spagnoli, accettata senza chiedersi se non fosse un po’ incongrua con ciò che accadeva in patria. Anche qui la Storia risulta essere un mistero, dato che insondabile è il volere del Creatore così come i Suoi disegni. In compenso esistono gli Unti, che possono parlare a tu per tu con Lui e – privilegiati artisti del download celeste – scaricano istruzioni dall’alto connettendosi al momento giusto con invisibili prese usb (urca, sono beato).
George Dabliu e Silvio da Arcore si assomigliano indicibilmente. Nessuno dei due presta ascolto alla razionalità degli analisti economici così come agli improvvidi giornalisti che vorrebbero sapere perché e percome, anzi ne filtrano le domande e chiedono, incondizionatamente, fiducia.
Lasciatemi governare, e con l’aiuto di Dio, vedrete. Fatto sta che a lasciar fare il primo, il mercato si è rivelato imperfetto e giustamente saturnino, giacché la bolla dell’iperspeculazione sta divorando se stessa, e altrettanto giustamente i contribuenti si incazzano; quanto al secondo, la spazzatura messa sotto al tappeto per pulire Napoli sta pericolosamente riaffiorando, visto che nessuno aveva trovato dove metterla man mano che si riproduceva. Se è vero come par vero che negli Usa e nei Paesi occidentali a essi assimilabili il 99% di ciò che si acquista finisce letteralmente nella spazzatura massimo sei mesi dopo l’acquisto, allora è davvero il caso di dire che la Storia è un mistero.
L’ondata di spazzatura che sta sommergendo tutto l’Occidente già fatica a farsi nascondere nei Paesi del Terzo mondo e nessuno si azzarda a dire che neanche bruciarla è una soluzione, perché la diossina prodotta avvelenerebbe gran parte dei consumatori, il che impedirebbe il mantenimento del tasso di acquisto; con la conseguenza paradossale e inaccettabile che i consumatori avvelenati potrebbero beccarsi l’epiteto di boicottatori del prodotto interno lordo. Il che è impossibile, in uno Stato in cui la nascita di Carosello ha segnato la nascita del processo educativo delle nuove masse di consumatori, avviate verso un futuro radioso nel ciclo integrato lavora-consuma-crepa. Vedete qualcuno che pianifichi il futuro razionalmente, tenendo conto di alcune bazzecole variabili come le risorse riproducibili, la qualità della vita, la necessità di frenare gli sbalzi climatici? Misterio magno è la Storia. Per oggi mi perplimo, come si diceva alcuni anni fa. Finirà che mi incazzo.
Nel frattempo ascolto un doppio album dotato della impagabile qualità della leggerezza accoppiata alla straordinaria capacità di far pensare. Calvino (Italo) ne sarebbe stato contento assai. L’immenso chitarrista Bill Frisell ha da alcuni anni stretto amicizia con due stratosferici cartoonist di Seattle, a nome Gary Larsen e Jim Woodring. Le illustrazioni del primo, che spaventavano il fratello di Frisell, sono finite dentro un album di qualche anno fa che fornisce un’indispensabile colonna sonora a immagini folgoranti.
Larsen ha il dono immenso della sintesi in una sola vignetta: immagini surreali al cubo. Frisell stacca (come a suo tempo Miles Davis) tre note, assecondando il moto di riflessione – o meglio di improvvisa illuminazione – che vi prende quando osservate per tre minuti una vignetta di Larsen e improvvisamente vi si palesa un senso assolutamente inaspettato e per questo del tutto spiazzante. A ciò si aggiunga che Larsen come Frisell rifiuta programmaticamente ogni virtuosismo – e nonostante questo (o forse proprio per questo) scrive note di una densità quasi imbarazzante, tenuto conto della media di ciò che si ascolta in ambiti dove è ben definita la moda, lo stilema, la definizione e persino l’identità di genere musicale. Con Woodring la collaborazione è cominciata sin dalla copertina tardo-acida di Gone, Just Like a Train (Nonesuch, 1998). Da quell’album in avanti è divenuto facile definire Frisell un eclettico, quando semplicemente da anni riscrive a modo suo tutta la civiltà sonora statunitense con assoluta nonchalance per l’eteroclito materiale a disposizione: blues e country music, Aaron Copland, ninnenanne, musica da cerimonia per lauree, parate e funerali.
Dopo l’album ‘etnico’ con gli Intercontinentals e il Grammy 2006 per il miglior disco di jazz contemporaneo (Unspeakable) con la collaborazione robusta di Hal Willner, l’orizzonte di Frisell vaga oramai sul mondo, surfando a bordo di un ottetto con archi e fiati che esplode nella facciata 1 del doppio cd di cui parliamo, registrato buona parte dal vivo. La chitarra dell’anti-virtuoso per eccellenza ha fornito il contraltare alle vignette di Jim Woodring per Mysterio Simpatico, un dialogo multi-mediale tra i due, la cui premiére è avvenuta nel 2002 a Brooklyn. Qui Frisell esplora tutta la gamma timbrica della chitarra elettrica contemporanea generata da colleghi, amici e maestri (Ry Cooder, Vernon Reid, Clapton, Hendrix e il limpido Jim Hall) e disegna con tale gamma zaffate aromatiche di improbabili dominions equatoriali come in Question No.1, arzigogoli asimmetrici post-cubisti in Out Of Body, dagherrotipi da macchina del tempo nello stupendo e stralunatissimo valzer di Imagination e futili sospetti klezmer filtrati à la Kurt Weill in Probably Cloud.
A ciò si aggiungano altre tre perle, dovute a riletture: Baba Drame di Boubacar Traore (acquatiche risonanze del Mali in salsa ipnotica), l’obliqua Jacky-ing di Thelonious Monk (neanche a pensare di rettilineizzarla, per carità) e A change is gonna come di Sam Cooke (che se non me lo dicevano non ci avrei creduto). Gli allori di tutta la facciata vanno però a mio avviso a Waltz for Baltimore and Monroe, che è una falsa cover, ed è piuttosto una superba dimostrazione di cosa significhi appropriarsi di un tema e svilupparlo nel proprio mondo (il brano originale è Lonely Woman di Ornette Coleman). Nella seconda facciata invece sono raccolti i brani che Frisell ha composto per la serie radiofonica della National Public Radio del 2007, Stories from the heart of the land, un esame dell’interazione umana con differenti tipi di paesaggio attorno al mondo, dal Messico al Tibet.
Anche in questo caso la plasticità dell’ottetto, in cui spiccano gli assolo lancinanti al sax tenore di Greg Tardy e gli incastri minimal-cubisti del trio Eyvind Kang (viola), Hank Roberts (violoncello), Jenny Scheinman (violino), fornisce al secondo cd la voce necessaria per un’evocazione. Nel primo cd era l’evocazione di un senso al di fuori del tempo; nel secondo cd è l’evocazione di un senso del vissuto umano, e questo in luoghi vividamente fissati nelle foto in bianco e nero di fronte e retro copertina a cura della previdenza sociale delle comunità rurali degli anni ’40. Esse riprendono vita grazie alla musica. Le vignette di Woodring si animano grazie alla musica. La nostra tendenza ad adagiarci sull’esistente senza interrogarci sul senso del vissuto si scuote grazie alla musica. Non potremo mai ringraziare abbastanza Frisell per questo. Perché la Storia non sia mai più un mistero.
Bill Frisell, History Mystery, Nonesuch Records, 2008