Paolo Piras
Espropriazione, militarizzazione e distruzione di un territorio inserito dall’Unesco tra i patrimoni dell’umanità
Nei primi giorni del gennaio 2008 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano insignì della medaglia di bronzo al valore aeronautico il tenente Vigilio Gheser. Il merito di Gheser fu quello di aver evitato un terribile incidente aereo: il 14 ottobre 2005 decollò dalla base aerea militare Nato di Decimomannu a bordo del cacciabombardiere AMX in dotazione, ma pochi secondi dopo il volo il motore andò in avaria. Il pilota riuscì a tenere sotto controllo il mezzo e a ritornare alla base evitando di abbandonare l’aereo al suo destino, che molto probabilmente sarebbe stato quello di schiantarsi al suolo a pochi metri dalle case del paese, nel mezzo dei campi agricoli. Esattamente ciò che accadde qualche giorno più tardi, il 20 ottobre, a un altro AMX, che si schiantò su un campo di carciofi dopo aver sorvolato i tetti del paese e aver scaricato nei campi il cherosene imbarcato.
Dello scampato incidente del tenente Gheser non venne mai data notizia, se non nel gennaio 2008 quando il militare venne insignito della medaglia al valore.
Questo episodio è altamente simbolico per raccontare il rapporto che da oltre cinquant’anni esiste tra i sardi e le servitù militari presenti nella loro isola: l’essere sostanzialmente all’oscuro di tutto ciò che accade sopra le loro teste e sulla loro terra. Tutto ciò che riguarda la presenza militare in Sardegna passa infatti per i tavoli del ministero della Difesa e della Nato, in barba ai vari comitati paritetici istituiti per cercare un confronto, non si sa se voluto o meno, con le varie comunità locali.
Quello che si sa
Entrambi gli incidenti citati sono avvenuti nell’area dell’aeroporto militare di Decimomannu, piccola cittadina di ottomila anime nel Medio Campidano, zona sud occidentale della Sardegna. Qui ha sede uno degli aeroporti militari Nato più trafficati di tutto il Mediterraneo, di fondamentale importanza non tanto per le operazioni nei Paesi esteri, quanto per le esercitazioni interne dell’esercito italiano, della Nato e anche di molti Paesi stranieri.
Decimomannu si trova al centro di un triangolo nemmeno tanto ipotetico i cui vertici coincidono con i tre poligoni militari presenti in Sardegna: il Poligono Interforze Sperimentale del Salto di Quirra, sulla costa orientale, il Poligono di Capo Frasca situato nell’omonima penisola sulla costa occidentale, e il Poligono di Capo Teulada nella costa sud-ovest.
Del Poligono di Quirra, Paginauno si è già occupata (1). Il poligono sardo è balzato alle cronache nazionali negli ultimi due anni in seguito all’opera del procuratore della Repubblica di Lanusei Domenico Fiordalisi, titolare di un’inchiesta giudiziaria sulle attività e le esercitazioni svolte nel corso degli anni all’interno del poligono militare. L’inchiesta prese avvio dalle dichiarazioni di due veterinari che affermarono di aver rilevato dieci casi di leucemie tra diciotto pastori che operavano nel raggio di circa 3 km dal Poligono di Quirra, e varie malformazioni tra gli ovini degli ovili allevati all’interno e nelle vicinanze dell’area militare, ipotizzando reati gravi quali omicidio volontario e disastro ambientale.
Lo scorso maggio il procuratore Fiordalisi ha chiesto il rinvio a giudizio per venti persone, e ad agosto 2012 si è aperto il primo processo nei confronti di sei ex comandanti del poligono, tre ex membri della commissione del ministero della Difesa e altri quattro esperti dell’Istituto di Scienze ambientali dell’Università di Siena, che negli anni compresi tra il 2002 e 2004 effettuarono controlli ambientali nell’area. Le accuse vanno dal falso ideologico aggravato in atto pubblico e ostacolo aggravato alla difesa di un disastro all’omissione di atti d’ufficio, all’omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri fino al favoreggiamento aggravato.
I mass media hanno ovviamente concentrato la loro attenzione su ciò che accade all’interno del Poligono Interforze del Salto di Quirra, ma spesso dimenticano che i fatti di Quirra si sono poi replicati all’interno degli altri due poligoni sardi, in particolar modo nel Poligono di Capo Teulada.
Capo Teulada: la terra
Come detto, oltre al Poligono sperimentale di Quirra, sono presenti in Sardegna altri due poligoni militari che, sommati alle altre presenze militari nell’isola, rappresentano oltre il 60% delle servitù militari italiane. Il Poligono di Capo Frasca si estende per 1.400 ettari a terra lungo la costa occidentale e comprende una fascia di 3 miglia a mare interdetta alla navigazione – esattamente il poligono dove erano diretti i due AMX decollati dalla base aerea di Decimomannu sopra citati – il Poligono di Capo Teulada si estende invece per 7.200 ettari a terra in una piccola penisola nel sud della Sardegna, in cui vengono svolte esercitazioni a terra e a mare, precludendo inoltre uno specchio d’acqua di circa 450 kmq alla navigazione e alla pesca.
Per quanto meno noto alle cronache nazionali, anche il Poligono di Teulada è stato al centro del dibattito per le problematiche connesse al suo impatto sociosanitario ed economico sulla popolazione, ma raramente le notizie che lo riguardavano hanno superato il Tirreno.
Nato sulla scia di accordi bilaterali tra l’Italia e gli Stati Uniti sottoscritti nel secondo dopoguerra, anche il Poligono di Teulada si inserisce in un’ottica di sfruttamento del territorio sardo a fini militari, dando seguito alla frase di Benito Mussolini che individuava nell’isola una “portaerei naturale nel Mediterraneo”. Ufficialmente la costruzione del poligono prende il via nel 1957, pochi mesi dopo la costruzione del Poligono di Quirra. Ma l’occupazione del territorio di Teulada inizia già dai primi anni Cinquanta, rendendo chiaro a posteriori un lucido disegno strategico che prevedeva una lenta e progressiva conquista del territorio da parte dell’esercito italiano.
I primi dispacci per avvisare la popolazione e il Comune della presenza di esercitazioni militari nell’area risalgono al 1951. Si susseguono ripetutamente le comunicazioni che invitano a sgomberare le aree attualmente occupate dal poligono, sia a terra che a mare, prevedendo per i possessori dei terreni un risarcimento per gli eventuali danni apportati, previa verifica degli stessi.
Ovviamente la verifica veniva effettuata senza contraddittorio dai tecnici dell’esercito che stimavano i risarcimenti a loro totale discrezione.
Ma gli anni Cinquanta in Sardegna sono anche gli anni in cui i contadini combattono per la riforma agraria, cioè per ottenere l’assegnazione di terreni coltivabili da parte dei Comuni e della Regione.
Il riscatto e l’assegnazione delle terre ai contadini sardi passava tramite la gestione di un ente regionale apposito, l’Etfas (Ente trasformazione fondiaria e agraria della Sardegna). La stessa intenzione di cedere le terre pubbliche ad ‘assegnatari’ tramite l’Etfas era stata resa pubblica nel 1953 dal Comune di Teulada che proprio con l’ente regionale aveva intavolato una serie di trattative. Ma all’improvviso le trattative vennero interrotte – con grossa probabilità per pressioni imposte dai piani alti dello Stato italiano – e nel 1956 i terreni che dovevano essere assegnati ai contadini vengono ceduti ai militari. Dietro questo atto è anche possibile immaginare l’intenzione da parte degli amministratori di dare una via diversa allo sviluppo dell’area, potenzialmente derivato dall’incremento di attività commerciali e dall’utilizzo della manodopera locale all’interno del poligono.
Non si deve dimenticare che negli stessi anni in Sardegna il dibattito politico era fortemente incentrato sul tema della rinascita dell’isola e sulla strada da percorrere per uscire dalla crisi post bellica. Proprio per favorire questa rinascita lo Stato italiano finanziò nel 1962 il cosiddetto Piano di Rinascita, che consentì l’avvio e lo sviluppo dei maggiori insediamenti industriali dell’isola: Porto Torres al nord, Portovesme e Sarroch nel sud-ovest. Il Poligono di Capo Teulada si trova esattamente a metà strada tra questi ultimi due poli industriali.
L’esproprio dei terreni partì inizialmente con un’estensione ridotta: 400 ettari di proprietà per lo più di grossi latifondisti che, avendo interessi e affari orientati verso le grandi città dell’isola, videro come un ottimo investimento la possibilità di cedere i terreni. Ma la vendita e la valutazione dei terreni ha sempre avuto dei contorni poco chiari, e spesso ha fatto registrare episodi di malaffare e corruzione, portando anche all’arresto, nel 1957, di alcuni funzionari del Genio Civile incaricati di gestire gli espropri dei terreni. Sta di fatto che, a fronte degli iniziali 400 ettari, si arrivò agli attuali 7.200 ettari. Quelle stesse terre, espropriate a 232 diversi proprietari, vengono oggi affittate dallo Stato alle venticinque aziende dei pastori della zona in cambio di un canone annuo di 8.500 euro, previa presentazione di una fideiussione di 2.500.
Il mare
Davanti alla penisola di Capo Teulada, ci sono 450 kmq di mare che vengono temporaneamente interdetti alla navigazione e alla pesca durante le esercitazioni. Esercitazioni che sono di diverso tipo: sia di sbarco mare-terra sia esercitazioni di tiro terra-mare.
Migliaia di missili sono caduti per decenni nei fondali antistanti il poligono, gli stessi fondali in cui i pescatori gettano le reti, gli stessi fondali che nel 2005 uno studio del Cnr commissionato dal ministero della Difesa ha definito “ricchi di ordigni inesplosi” e “irrimediabilmente compromessi”.
I fondali e le spiagge non sono fondali qualunque, e non solo per la presenza di ordigni. Qui l’acqua è cristallina come in poche altre zone del Mediterraneo, e pensare che in una delle zone più suggestive di tutta la Sardegna sia stato possibile creare tutto ciò, è davvero difficile da credersi.
All’interno del perimetro del Poligono di Capo Teulada, lungo oltre 50 km, nella zona costiera rientrano cale e inseinsenature da sogno, rese inaccessibili ai turisti e agli stessi abitanti se non in determinati periodi dell’anno, come Porto Scudo, Porto Tramatzu o Porto Zafferano, visitabili solo di passaggio via mare nei mesi estivi. In queste stesse acque i pescatori di Teulada e di Sant’Anna Arresi, paese confinante col poligono dal lato opposto a Teulada, si resero protagonisti di numerosi atti di protesta per chiedere e ottenere il risarcimento delle giornate di lavoro perse a causa delle esercitazioni militari. Le lotte presero corpo nella seconda metà degli anni Novanta, e dopo un periodo di tregua relativo alla sottoscrizione degli accordi, ripreso forza nei primi anni duemila in seguito all’estendersi del divieto di pesca per 365 giorni l’anno senza veder ricalcolati gli indennizzi.
Suscitarono grande clamore i blocchi delle esercitazioni dell’ottobre 2004 e del marzo 2005, che videro i pescatori irrompere nel tratto di mare interdetto nel bel mezzo dell’esercitazione Nato Destined Glory, di cui esistono anche delle testimonianze video reperibili sul web.
Oggi
Per oltre cinquant’anni il poligono non è mai stato accessibile al pubblico. Nel 2011 però, il Comune di Teulada raggiunge un’intesa con i vertici militari per liberare alcune zone nei mesi estivi. Diventa così possibile accedere alle cale di Porto Tramtatzu e transitare – ma senza possibilità di sosta – a Porto Zafferano.
Ma la novità più importante riguarda la possibilità di attraversare il poligono per permettere a turisti e cittadini di accedere alle Dune Bianche, una distesa di sabbie cristalline alle spalle della spiaggia su cui nel resto dell’anno si svolgono le esercitazioni. Una piccola cooperativa di giovani teuladini gestisce l’ingresso al poligono lungo la strada provinciale che collega Sant’Anna Arresi a Teulada. Da fine giugno a metà settembre si può entrare in macchina seguendo un percorso obbligato che costeggia lo stagno Is Brebeis per arrivare al parcheggio dove si è obbligati a lasciare l’auto. L’ultimo chilometro prima della spiaggia è obbligatorio percorrerlo a piedi, attraversando un paesaggio suggestivo e allo stesso tempo paradossale.
Da un lato i segni dei cingolati lasciati sul terreno durante le esercitazioni, dall’altro una spiaggia incantevole da cui si elevano le Dune Bianche su cui è tassativamente vietato recarsi o camminare per non modificare l’azione del vento e della natura. Dune che sono state inserite tra i patrimoni da tutelare da parte dell’Unesco. Le stesse su cui hanno passeggiato per anni gli anfibi militari.
Quella che appare come una piccola vittoria è in realtà semplicemente ciò che spetterebbe di diritto ai cittadini di Teulada e a tutti i sardi: la possibilità di poter usufruire liberamente della propria terra, per fini turistici privati o pubblici, ma in ogni caso senza limitazioni che vengano imposte dall’alto per attività che niente hanno a che vedere con le reali possibilità di sviluppo e di territorio.
D’altronde i numeri sono impietosi: l’iniziale illusione che la cessione dei terreni ai militari avrebbe portato maggiore sviluppo e ricchezza a tutta l’area della Sardegna è stata presto smentita. Lo spopolamento della zona è stato progressivo e inarrestabile: nel 1951 gli abitanti di Teulada erano 5.742, con l’arrivo delle attività militari si è assistito a una lenta e costante diminuzione della popolazione: dai 5.236 abitanti del 1971 si è passati ai 4.700 nel 1991, a 3.988 nel 2001 e infine a 3.793 nel 2010. Un decremento demografico che è andato di pari passo con l’abbandono delle attività del settore primario in funzione di una maggiore concentrazione nei poli di attrazione industriale o nelle grandi città e, in molti casi, nell’emigrazione fuori dai confini della Sardegna.
Il domani
Il futuro del Poligono di Capo Teulada e degli altri poligoni sardi è legato a una data decisiva: il 30 maggio 2012. Nella tarda serata di quel giorno la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito approva all’unanimità la relazione redatta dal senatore del Pd Gian Piero Scanu, il cui contenuto è potenzialmente rivoluzionario: dispone la chiusura immediata dei poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca e la riconversione del Poligono Interforze del Salto di Quirra in un centro polivalente tecnologico-scientifico. In una terra come la Sardegna dove da diversi decenni le servitù militari sono state vissute come vere e proprie schiavitù, la notizia è dirompente.
I contenuti della relazione sembrano non lasciare dubbi: i poligoni militari hanno inquinato e contaminato immense aree della Sardegna, al loro interno sono state utilizzate armi e sostanze di ogni tipo incidendo in maniera decisiva nell’aumento di tumori, linfomi e malattie gravi tra gli abitanti delle zone limitrofe ai poligoni. Una vera e propria rivoluzione, considerando l’assoluta omertà su questo tema da parte dello Stato Italiano fino al maggio 2012. Ma a leggere bene i documenti, la realtà sembra diversa. La relazione infatti non parla mai esplicitamente di chiusura dei poligoni ma di “proposte e indicazioni”. Tra queste ci sono: “Avviare, senza alcun ulteriore indugio, l’opera di bonifica radicale, coerentemente con le indicazioni sulla criticità della condizione ambientale”; “procedere al ridimensionamento delle servitù militari in Sardegna, anche mediante la progressiva riduzione dei Poligoni di Capo Frasca e di Capo Teulada e la concentrazione di tutte le attività sostenibili nel Poligono Interforze di Salto di Quirra”; “impegnare il governo all’inserimento, a partire dalla prossima Legge di Stabilità 2013, di un congruo e adeguato finanziamento pluriennale dedicato alle opere di bonifica dei poligoni militari”.
Insomma, la relazione, per quanto innovativa e coraggiosa rispetto al silenzio che per cinquant’anni lo Stato ha tenuto su ciò che accadeva all’interno dei poligoni militari, rimane tuttavia una serie di “linee di indirizzo”. Di fatto, spetta dunque al governo e alla Regione predisporre un piano d’azione che porti alla chiusura definitiva dei poligoni e, cosa ben più importante, alla bonifica degli stessi. Bonifica che in alcuni punti sembra addirittura impossibile, come nel caso della Zona Delta interna al Poligono di Capo Teulada: una penisola di circa 400 ettari dichiarata inagibile persino ai militari stessi a causa dell’elevata contaminazione del terreno e dell’enorme quantità di ordigni presenti al suo interno.
Il punto debole della relazione della Commissione parlamentare riguarda proprio la possibilità di portare a compimento le bonifiche e soprattutto il loro finanziamento. Dopo il clamore suscitato dal possibile taglio dei finanziamenti alle bonifiche nel luglio scorso a causa della spending review, nel dicembre 2012 il ministro della Difesa Di Paola ha annunciato l’arrivo di 25 milioni di euro per il triennio 2013-2015 per dare avvio alle bonifiche, una prima tranche dei 75 milioni totali messi a disposizione. A fronte dei circa 300 milioni chiesti dalla Commissione appaiono pochi, ma leggendo i dati forniti dal Comitato Gettiamo le basi, da anni impegnato nella lotta per chiedere la chiusura dei poligoni militari in Sardegna, sembrano davvero delle briciole.
In una lettera indirizzata alla Commissione parlamentare spedita poche settimane prima della decisione finale, il Comitato scriveva: “Lo studio del Cnr di Ancona del 2005 titolato ‘Studio per la riduzione dei vincoli permanenti nell’area marina di Teulada’ […] prevede un tempo di circa trenta anni per portare a termine l’operazione, la stima non si discosta da quella standard dei centri studi delle forze armate degli Stati Uniti. […] Il poligono caraibico di Vieques, nel Puertorico, dismesso il 1/5/2003, per tipo di attività e dimensioni può considerarsi come il gemello minore di quello di Capo Teulada. La bonifica terminerà nel 2022, finora è stato ripulito solo un terzo. Il budget standard degli Usa per la bonifica di siti militari è stato presto sforato, è stato necessario istituire un super found. Finora sono stati investiti $ 486 milioni. […] Per la bonifica della base Usa nell’isola hawaiana di Kaho’olawe (più piccola di Capo Teulada) sono stati investiti $ 400 milioni, per bonificare il 10% dell’area”.
Insomma, numeri impressionanti. La certezza che i soldi possano realmente venire stanziati non c’è, così come ancora non è certo se i poligoni verranno realmente chiusi. Quel che resta al momento è un territorio irrimediabilmente compromesso con un’incidenza di tumori ben sopra la media, i cui abitanti si sono visti addirittura rifiutare i risarcimenti da parte dello Stato perché, come accaduto nel 2011, abitavano oltre il limite di un chilometro e mezzo dal confine del poligono militare. Ancora una dimostrazione dell’attuale impotenza dei sardi nel poter essere artefici del proprio futuro.
(1) Cfr. O. Onnis, Poligono Interforze del Salto di Quirra. Servitù militari e questione sarda, Paginauno n. 22/2011