Cosa si muove a destra: tra conservatorismo e neofascismo falangista, e Nuova destra unionista e identitaria
La situazione catalana è complessa (1). Nonostante la presenza di molti soggetti coinvolti nel movimento indipendentista – che vede in Italia, fra i suoi supporter, settori della sinistra assieme alla Lega Nord, che mira a recuperare quello zoccolo duro padanista, ormai deluso dal nuovo corso lepenista del partito, anche se la divisione interna sembra accentuarsi vista la decisione salviniana di eliminare la parola Nord dal logo della formazione per le prossime elezioni, e la nascita di soggetti che potrebbero raccogliere quell’eredità autonomista, come Grande Nord – pochi sono i leader realmente autorevoli, e la sfida per l’indipendenza è condivisa da ideologie opposte. La leadership proviene da quattro formazioni politiche: il Partito democratico europeo catalano (destra moderata), Esquerra repubblicana di Catalogna (sinistra), Candidatura di Unità Popolare (estrema sinistra movimentista) e una frazione del movimento Podemos (sinistra ‘populista’).
Insomma un fronte trasversale e variegato, composto anche da una frangia di centrodestra il cui leader, Artur Mas, è uno dei padri del referendum d’ottobre e discepolo di Jordi Pujol, guida dei nazionalisti di destra catalani e presidente della Catalogna dal 1980 al 2003. Ciò significa che se è senz’altro vero che l’estrema destra spagnola è scesa in piazza contro la secessione, sarebbe errato, come hanno fatto alcuni settori della sinistra italiana, leggere nell’indipendentismo un progetto socialista o addirittura anticapitalista, vista non solo la presenza di un’area di destra ma alcuni interessi economici, tutt’altro che solidali, che si muovono dietro il progetto secessionista (2).
Il quotidiano spagnolo La Vanguardia riportava a fine settembre le dichiarazioni di Mas sulle tensioni con il governo di Madrid: “Stiamo vivendo una repressione pura e dura […] che è indirizzata direttamente a distruggere persone e famiglie. È uno stato di polizia […] anche se non è successo ancora dal punto di vista amministrativo, la Spagna ha già perso la Catalogna” (3). La proposta indipendentista di Mas è arrivata dopo gli scandali di corruzione all’interno del suo ex partito, Convergència Democràtica de Catalunya, poi scioltosi e divenuto nel luglio 2016 l’attuale Partito democratico europeo catalano: una scelta utile per prendere le distanze dalla vecchia formazione e rilanciarsi nell’agone politico con la nuova, dopo essere stato presidente della Generalit dal 2010 a gennaio 2016.
Resta il fatto che l’acuirsi dello scontro fra lo Stato spagnolo e Barcellona ha visto le diverse organizzazioni di sinistra in prima fila a favore dell’indipendenza catalana nelle manifestazioni secessioniste – nonostante non tutta la sinistra sia per la scelta indipendentista, si pensi alla posizione del Partito comunista di Spagna e di Izquierda Unida, favorevoli al mantenimento dell’unità spagnola entro la cornice di una Spagna unita ma federale, repubblicana e soprattutto socialista (4) – e questo ha spinto l’estrema destra catalana, unionista, ad alzare la testa.
Una destra fra conservatorismo e neofascismo falangista
In Europa sta prendendo piede una destra populista e xenofoba, alcune volte più o meno ricollegabile a ideologie naziste o neofasciste, altre di matrice postindustriale. In Spagna no. Le ragioni sono storiche: nel Paese l’unico movimento assimilabile al fascismo fu la Falange de la Jons, di José Antonio Primo de Rivera, Ledesma Ramos e Onesimo Redondo. Una formazione sociale (o nazionalsindacalista, come amavano definirsi i falangisti) composta soprattutto da giovani intellettuali, artisti anticonformisti degli anni ’30, simile sotto tutti gli aspetti alla ‘sinistra fascista’ diaciannovista – la quale si nutriva del mito del Manifesto di San Sepolcro e che, dopo l’emarginazione entro il Pnf per via delle politiche ‘moderate’ di Mussolini, risorgerà dalle velleità populiste della Repubblica sociale italiana – o alla ‘sinistra nazionalsocialista’ (5).
Una destra sociale, quella falangista, che verrà spiazzata dall’alzamiento del 18 luglio del 1936, mentre i suoi vertici si trovavano a Madrid, cadendo nelle mani dei repubblicani che li fucilarono nei primi tre mesi della guerra civile. I pochi sopravvissuti, tutte seconde file, combatterono con i nazionali di Francisco Franco che usò i loro simboli, li strumentalizzò, ma li mise ai margini della politica, specie nel dopoguerra.
Il suo erede diretto è stato, dissoltosi il regime nel 1975, Alianza popular prima e l’attuale Partito popolare (Partido popular, PP) di Rajoy poi, movimento conservatore membro del Ppe, caratterizzato dal forte nazionalismo spagnolo. “Anche se ha un fondo ideologico socialmente più moderato rispetto a quanto molta gente crede, l’agenda nazionalista del PP ha ‘penalizzato’ il partito in tutta la Catalogna, in quanto le dichiarazioni anti-migranti e quasi xenofobe dei suoi leader lo hanno fatto sembrare di estrema destra.
Il PP è, in realtà, il partito spagnolo più potente, conservatore socialmente e liberale economicamente. Fu fondato da un ex-ministro di Franco, Manuel Fraga nel 1979, ed è un partito che non ha mai condannato il franchismo”, spiega Victor Solé, responsabile delle Relazioni internazionali presso il Collegio di studi Politici e Sociali della Catalogna (Colpis). Insomma, una sorta di Alleanza nazionale o di Fratelli d’Italia in ‘salsa spagnola’, erede postfascista del regime franchista (come la destra finiana e quella meloniana lo erano del Msi e del fascismo mussoliniano), ma alla guida dei moderati iberici; dunque una destra non estrema al fianco di quella nostalgicamente legata al passato franchista, di fatto inglobata al suo interno.
A tutt’oggi il Partido popular, con tutte le sue anime (centrista-liberale, tecnocratica e cattolico-nazional-tradizionalista) ha occupato interamente la parte destra dello spettro parlamentare, e l’opposizione di sistema si è incarnata in fenomeni riconducibili alla sinistra democratica o anti-capitalista, basti pensare alla breve stagione degli Indignados sfociata in Podemos. Il giornalista Tobias Buck spiegava questo fatto, nel gennaio 2017 sul Financial Times, con l’ancora relativa vicinanza della fine della dittatura; l’area populista è stata quindi interamente riempita da Podemos.
Secondo Carmen González Enríquez, analista del centro studi Real Instituto Elcano, “l’abuso di simboli nazionali e dei riferimenti all’identità nazionale durante il regime franchista ha causato una reazione che ancora persiste. L’opposizione democratica al regime ha rifiutato l’esibizione dei simboli nazionali, dall’inno nazionale alla bandiera, e il nazionalismo spagnolo è stato completamente escluso dalla loro retorica. Al posto della Spagna, i democratici hanno scelto di guardare all’Europa”.
Ma ora l’accelerazione dell’indipendentismo catalano e una quasi parallela ripresa del separatismo basco (mai venuto meno, a dir la verità), sta alimentando una situazione che va nella direzione di favorire l’avanzata in piazza delle destre più radicali, che si sentono libere di agire. L’estrema destra spagnola, però, oltre a non essere particolarmente radicata, è una galassia frastagliata, composta da soggetti ultracattolici e da nostalgici del franchismo (in minor misura, poiché il grosso supporta il Partido Popular) o del citato falangismo di cui, caduto il regime, era rimasto assai poco, se non simboli e sedi vuote e un certo spirito minoritario di matrice anti-borghese e simultaneamente anti-marxista – che negli anni ‘70 ebbe anche delle ricadute ‘nazimaoiste’, si pensi al movimento Lucha de Pueblo, “un gruppo semiclandestino attivo a Barcellona”, antifranchista con venature falangiste e peroniste (6).
Dopo il regime si sono sviluppate formazioni come Fuerza Nueva, con molti militanti ma pochi voti, capaci di eleggere sempre e solo il deputato Blas Pinar, notaio nostalgico di Franco e legato agli ambienti militari, tanto che fu l’unico deputato rimasto tranquillamente al suo posto in Parlamento quando il tenente colonnello Tejero tentò il colpo di Stato il 23 febbraio del 1981. Uno dei punti in comune di questa galassia è, ovviamente, la critica a ogni forma di separatismo e anche di autonomia locale, da quella catalana a tutte le altre presenti in Spagna. Formazioni come Alianza Nacional e Democracia Nacional, eredi di Fuerza Nuova, entrambe vicine all’iconografia tipica del neonazismo, insieme alla mai del tutto defunta Falange Espanola, hanno quindi dato vita a un’area decisa a contrastare in ogni modo “la deriva disgregatrice dell’Hispanidad”.
Già negli ultimi anni si erano evidenziate per atti dimostrativi contro l’immigrazione e l’indipendentismo catalano, come l’assalto ai locali della Delegación del Govern de la Generalitat catalana a Madrid l’11 settembre 2013, in occasione della Diada, la festa della Catalogna, durante il quale militanti falangisti fecero irruzione nel locale e distrussero alcune installazioni e mobili nella sala del centro culturale, interrompendo la riunione, spintonando i presenti e salendo sul palco con bandiere spagnole al grido di “La Catalogna è Spagna”; azione per cui il leader della Falange venne arrestato. Con la tensione nata tra Madrid e Barcellona le provocazioni sono aumentate: si pensi alle scritte di chiara matrice falangista (“Morte al separatismo, Viva la Spagna”) comparse lo scorso settembre, quindi ancor prima del referendum, sui muri del Matadero, il centro culturale madrileno dove doveva tenersi un convegno sul diritto a decidere dei catalani, organizzato dalla sinistra locale.
Una Nuova destra identitaria: Plataforma per Catalunya
Una formazione populista tuttavia è nata, e cerca di staccarsi di dosso l’etichetta palesemente neofascista senza passare per moderata: è Plataforma per Catalunya (PxC). “Primer els de casa” (“Prima quelli di qui”) è il motto in catalano del partito, ma la cosa non deve trarre in inganno: PxC non è affatto un partito indipendentista, bensì un movimento appartenente alla galassia della destra identitaria, che ha ottenuto successi in Catalogna con un programma anti-immigrazione e anti-islamico, raccogliendo circa 75.000 voti alle regionali del 2010 (con una media generale del 3%, ma con punte del 15 e del 19% in alcune località) e balzando alle cronache nazionali per l’elezione di ben 67 consiglieri comunali l’anno successivo, fatto che ha spinto El Paìs del 9 maggio 2011 ad affermare che “la xenofobia mette radici” nella regione.
Platforma per Catalunya è un movimento federalista etno-identitario di estrema destra, che ha fatto della ‘liberazione’ della regione dall’immigrazione e dal centralismo spagnolo una bandiera, e risulta essere la più consistente formazione dell’ultradestra catalana, con circa 10.000 militanti, come indicano certe inchieste (7). Fondata dall’ex esponente di Fuerza nueva, Josep Anglada, nel 2002, PxC è imparentata con una galassia politica nota ai lettori di Paginauno, ovvero la destra identitaria regionalista: è infatti una versione catalana dei francesi del Bloc identitaire e degli italiani di Generazione identitaria – divenuti più noti alle cronache la scorsa estate per la missione anti-Ong Defend Europe – e fa capo a quell’area nata nei primissimi del decennio scorso in zona franco-belga da una costola di Synergies européennes (a sua volta separatasi nel 1993 dal Grece, la principale associazione metapolitica europea impegnata nell’elaborazione delle riflessioni della nouvelle droite di Alain de Benoist) e da certi settori militanti nazionalbolscevichi gravitanti intorno a Unité radicale e all’associazione culturale francese Terre et peuple, animata da Pierre Vial, storico esponente del Grece (8).
Un’area che si è sviluppata “come evoluzione dei gruppi che cercano di raccogliere le aree giovanili della nuova ed estrema destra”, con l’idea di costruirsi “sotto l’emblema di una presunta cultura identitaria” rifacendosi “alle tradizioni identitarie dei popoli europei”, compresa “l’attenzione alle piccole patrie, ai regionalismi, ai dialetti”, nota il giornalista e studioso delle destre Guido Caldiron, attualizzando in chiave islamofoba le direttrici della nouvelle droite di de Benoist (9).
Così come la gran parte dei militanti del Bloc identitaire viene da formazioni extraparlamentari situate per lo più alla destra del Front national, così quelli di Plataforma per Catalunya provengono da quella stessa ultradestra che si nutre di slogan unitaristi. L’area identitaria, infatti, nasce da un pugno di militanti provenienti da Fuerza nueva e da gruppi radicali dell’ultradestra neonazista spagnola attivi negli anni ’80 e ’90, come l’Aliansa por la unidad nacional o il network Cedade, radicato proprio a Barcellona.
Occorre notare, e sembra teoricamente un controsenso ma non lo è se si guardano i legami, che il nuovo leader di PxC, August Armengol – dato che il fondatore Anglada è stato espulso nel 2014 dal partito per “deficienze nelle gestione”, sostituito da Xavier Simó, ed è andato a fondare la piccola e velleitaria formazione Somi, cioè “Somos identitarios” (10) – sul referendum indipendentista ha lanciato lo slogan “Non votare, non votare e non votare”, commentando su Facebook: “Siamo profondamente catalani e, quindi, profondamente spagnoli” e “la Spagna non voterà”.
A conferma di questo legame con l’estrema destra unionista, nonostante il rimando identitario regionalista e, in teoria, a-fascista, ci sono anche i filmati di comizi di Josep Anglada, con tanto di giovani skinhead fra il pubblico, molti dei quali tatuati con svastiche, croci celtiche e T-shirt del White Power, documentati dal dossier Informe 2012. L’estat del racisme a Catalunya, redatto dai militanti catalani di SOS Racisme e ripreso dall’emittente TV3 (11), e da alcune esternazioni di Anglada nel 2002: “Condivido molte idee degli skinhead, ma non è questo il momento di dirlo. Allo stesso modo, potrei dire che se fossi presidente ci metterei un’ora a ristabilire la pena di morte per i terroristi e i trafficanti… ma oggi dobbiamo costruirci ‘un’immagine’. In questo momento non mi conviene parlare chiaro” (12).
Terre et peuple, l’associazione neodestrista sopra citata, presente anche in Spagna con Tierra y pueblo (http://tierraypueblo.blogspot.it/), ha una sezione catalana, Tierra y pueblo–Catalunya, capace di organizzare eventi con l’autore Swami Satyananda Saraswati, catalano vissuto per oltre trent’anni in India e autore di El Hinduismo, libro utilizzato per ribadire l’importanza del sistema castale, “ejemplo vivo de la tradición hiperbórea” indo-europea (13). E i legami di PxC si spingono fino a formazioni come il Front national francese, il Vlaams Belang fiammingo, gli austriaci del Fpö e gli ambienti identitari della Lega Nord – si pensi alla presenza di Anglada, nel 2012, a un dibattito a Belluno organizzato dal Carroccio, assieme a Mario Borghezio.
Plataforma per Catalunya, al pari degli altri soggetti populisti di destra presenti in Europa, si è affermata fra i ceti svantaggiati, nella cintura periferica delle città catalane, chiedendo sicurezza sociale e misure securitarie contro gli immigrati irregolari, e la chiusura dei luoghi di culto islamici. Si è presentata per la prima volta a una tornata elettorale nel 2003, registrando costanti balzi in avanti: dai 4.900 voti delle elezioni autonome della Catalogna ai 12.000 del 2007 in quelle municipali, fino all’esplosione con 75.000 voti alle autonome del 2010; nelle municipali dell’anno successivo ha in sostanza mantenuto il consenso, registrando 66.000 preferenze e affermandosi anche in aree tradizionalmente di sinistra, indirizzando verso los moros gli strali xenofobi e trasformando i migranti nel capro espiatorio di una crisi economica che ha ben altre radici. E su tutto, nonostante il richiamo identitario regionalista, non vuol sentir parlare di secessione.
1) Cfr. Giovanna Baer, Catalogna, Europa, pag. 10
2) Cfr. A. Bartoloni, Le radici economiche dell’indipendentismo catalano, La città futura, 23 settembre 2017
3) L. B. García, Artur Mas: “El Estado español ya ha perdido a Catalunya”, La Vanguardia, 26 settembre 2017
4) Una testata comunista italiana che ha dato ampio spazio a queste riflessioni nate in seno al Pce spagnolo, sottolineando la strumentalizzazione economica delle ragioni secessioniste da parte della borghesia catalana ma condannando, contemporaneamente, la repressione del governo centrale di Madrid, è stata Marx21, organo dell’omonima associazione culturale vicina al neo-rinato Pci (l’ex Pdci) e presieduta dal filosofo hegelo-marxista di formazione lukàcsiana Domenico Losurdo. Cfr. a riguardo: F. Gallego, Il referendum del 1° ottobre in Catalogna e le responsabilità della sinistra, intervento durante l’incontro “Federalismo, Sinistra e Catalogna”, Caum, 16 settembre 2017; L’Appello del Partito Comunista di Spagna alle forze progressiste e di sinistra, 21 ottobre 2017; e infine T. Cartalucci, L’indipendenza catalana: cinque cose su cui riflettere, 25 ottobre 2017
5) “Un movimento di uomini e idee che si organizza dentro il partito (nazista, n.d.a.) con programmi, giornali e case editrici alternativi a quelli hitleriani, che aspira all’annientamento del capitalismo attraverso una forma di bolscevismo che non rinuncia al valore della Nazione e al ruolo dello Stato, che si ispira a quella sinistra nazionale tedesca erede di Lassalle, dei ‘socialisti della cattedra’, di Rodbertus; non a caso alcuni teorici della sinistra nazionalsocialista, come Otto Strasser, provenivano dalla sinistra socialdemocratica; e non a caso essi chiedevano, con il giovane Goebbels, addirittura l’espulsione di Hitler dal partito contestandone peraltro l’ossessivo antisemitismo che spostava l’attenzione da quello che essi consideravano il nemico principale: il capitalismo”. Cfr. M. Ingrassia, La sinistra nazionalsocialista. Intervista con Michelangelo Ingrassia, a cura di F. Algisi, Archivio storico.info, intervista che fa riferimento al libro di M. Ingrassia, La sinistra nazionalsocialista. Una mancata alternativa a Hitler, Siena, Cantagalli, 2011
6) Cfr. Archivio Antifascista, Quando il fascismo si colora di rosso, Umanità Nova, 12 novembre 2000
7) Cfr. J. Romero, Los cuatro grandes bloques de la extrema derecha en España, Publico, 18 novembre 2007
8) Rimando al riguardo a miei precedenti articoli: Il Mouvement Identitaire francese: dal gramscismo di destra a Terre et peuple, Paginauno n. 35/2014 e Il Mouvement Identitaire francese: da Unité radicale al Bloc identitaire, Paginauno n. 37/2014. Cfr. anche S. François, Réflexion sur le mouvement «Identitaire», parte 1 e 2, Fragments su les Temps Présents, 3 e 5 marzo 2009 e J.-Y. Camus, Le Bloc Identitaire, nouveau venu dans la familie de l’extrême droite, Rue89, 19 ottobre 2009, e per approfondimenti al mio saggio La Nuova Destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist, Edizioni Paginauno, 2014, pp. 175-218
9) G. Caldiron, Estrema destra. Chi sono oggi i nuovi fascisti?, Newton Compton editori, 2013
10) Cfr. El Consell Executiu destitueix Anglada per deficiències en la gestió, 8 febbraio 2014, e Plataforma per Catalunya expulsa a Josep Anglada del partido, n. f., La Vanguardia, 31 marzo 2014
11) Informe 2012. L’estat del racisme a Catalunya, http://www.sosracisme.org/wpcontent/uploads/2013/03/Informe-Racisme-2012.pdf
12) Cit. in J. Cantarero, La huella de la bota, Editiones Planeta, 2010
13) Cfr. http://tierraypueblo.blogspot.it/2014/09/el-hinduismo-ejemplo-vivo-de-la.-html e il libro El Hinduismo, colecció ‘Fragmentos’, n. 26, Fragmenta Editorial, Barcelona, 2014