Beatrice Fossati
Agricoltura: dai consumi alla filiera, cosa è cambiato, le problematiche, chi resiste e chi rischia di non farcela
Fare la spesa non è mai stato così difficile.
Uscire in città semi deserte, evitare lunghi tratti a piedi, mettersi in coda davanti a un supermercato, tenersi a distanza di sicurezza da altre persone, evitare assembramenti, indossare mascherine, guanti, stare attenti a ciò con cui si entra in contatto, evitare di toccarsi il viso, disinfettare i prodotti acquistati. E se per sbaglio ci si dimentica qualcosa, si riparte dal via.
Fare scorta è la parola d’ordine per evitare di dover ripetere il procedimento troppo di frequente, sperando così di posticipare l’unico momento ‘sociale’ che ci è rimasto. L’effetto stock si registra anche nella tipologia di prodotti che finiscono nel carrello (vedi tabella pag. 32).
L’alternativa è la spesa on line, ma la speranza di azzerare lo stress scegliendo con calma i prodotti dal proprio divano, si spegne miseramente davanti a portali che non hanno finestre di consegna fin dalla seconda settimana di marzo. Merce esaurita, code virtuali per accedere alla selezione dei prodotti e quando si ha l’illusione di avercela fatta, gli ordini vengono cancellati oppure si riceve un messaggio che invita a tornare l’indomani dopo la mezzanotte, perché le disponibilità di consegna sono terminate. Una impennata del comparto e-commerce che registrano anche i dati Nielsen (vedi tabella pag. 32).
L’overbooking della grande distribuzione on line ha innescato una caccia alla spesa alternativa sul web, portando il consumatore su itinerari diversi, a patto di ricevere la spesa a casa. Un trasportatore di Milano, che preferisce l’anonimato, specializzato in consegne di prodotti freschi come frutta, verdura, formaggi e alimentari provenienti da alcuni portali on line minori, conferma il trend: “Fino a 15 giorni fa avevamo una o due consegne a privati alla settimana, lavoravamo con ristoranti e con supermercati; adesso i privati sono il 60-70% su una media di 25/30 consegne giornaliere. Sono tutti clienti nuovi che hanno paura di comprare, andare al supermercato, non vogliono fare la fila”.
La consegna del prodotto fresco, limita l’effetto dispensa: “Non fanno spese grosse, poca roba. Frutta e verdura non le possono tenere per 15 giorni, vale per una settimana”. Vista la novità, sono ancora pochi i clienti che rinnovano la spesa settimanalmente: “Sul mio giro ne ho appena 4 o 5 che ordinano nel giro di sette giorni”. La scelta di rifornirsi on line non sembra provenire esclusivamente da un pubblico benestante con disponibilità economica, è più trasversale: “Ho di tutto, anche case popolari. Ma non so, forse sono i figli o i parenti che acquistano e mandano la merce. Non è detto che quelli che comprano lo facciano per se stessi, oggi per esempio è capitato che dei fidanzati si mandassero la frutta”.
On line o al supermercato che sia, nel comparto fresco, l’effetto prima necessità rende poi prioritari certi prodotti rispetto ad altri. Soffermarsi sulla ‘fragola’ diventa dunque significativo perché mostra un altro cambiamento dettato dalla ‘fase covid’: “La fragola è un po’ un articolo civetta, attrae il consumatore” ci racconta al telefono Pietro Ciardiello, direttore della Cooperativa Sole, tra i più grossi produttori di fragole nel Sud Italia. “La grande distribuzione fa campagna promozionale, con sconti, volantini, anche campagne pubblicitarie con tabelloni, per esempio fragole a 1 euro e 50, due euro… la fragola fa immagine. Ma in questa fase anche la grande distribuzione è sotto stress, nel senso che c’è poco personale, organizzare queste cose è un po’ più complicato. Lo stanno facendo, ma non come si farebbe normalmente. Siamo tutti un po’ sotto stress, la produzione, chi commercializza e chi vende”. E nel carrello del consumatore finisce altro: “C’è una domanda molto forte di patate, cipolle, mele, kiwi per esempio, vanno molto bene anche gli ortaggi, sono arrivati a prezzi molto alti, mentre le fragole sono quelle che perdono qualcosa nella vendita”.
Passando dall’ottica del consumatore a quella del produttore, una delle domande che iniziano a sollevarsi è: l’agricoltura e la sua filiera reggono?
“Noi produciamo solo fragole in questo periodo, è la stagione,” dice Ciardiello, “abbiamo finito gli ortaggi. La fragola-coltura, almeno per alcune regioni del Sud come Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia, è un settore importante, coinvolge tantissima manodopera. C’è già uno stato di precarietà e anche di debolezza, e chiaramente una battuta d’arresto come questa può letteralmente mettere in ginocchio il settore”. Oltre al calo di vendite nella GDO (Grande Distribuzione Organizzata) ci sono anche altri fattori: “Non ci sono i mercati ortofrutticoli e ristoranti, pasticcerie e gelaterie sono chiuse, e sono realtà che utilizzano molte fragole: è una parte del mercato che viene a mancare”. In più, sottolinea Ciardiello, “nei giorni scorsi c’è stata un’inflazione della concorrenza spagnola a prezzi anche bassi”.
Vecchie problematiche che vanno a sommarsi a quelle attuali: “Subiamo sempre la concorrenza spagnola. La Spagna è sempre più avanti di noi con la raccolta e quando arriva questo periodo tende ad abbassare i prezzi, perché già una parte della campagna l’ha fatta. Quest’anno i prezzi sono abbastanza bassi e questo crea qualche difficoltà in più in termini di competitività. Le aziende spagnole sono molto più grandi e hanno efficienze diverse dalle nostre”.
Nel gioco del libero mercato, anche per la Cooperativa Sole l’export, pari al 30% del fatturato, almeno riequilibra un po’ la bilancia, aiutando a compensare il calo di domanda interna: “In questo periodo sta andando anche bene, facciamo piccole esportazioni prevalentemente nella grande distribuzione del nord Europa, Germania, Svizzera e Austria”.
Le vecchie problematiche non sono finite, prosegue Ciardiello: “I problemi sono quelli relativi alla manodopera, che in questo momento non abbiamo. È una mancanza strutturale, ma quest’anno è più accentuata. È una difficoltà che nel mese prossimo (aprile, n.d.a.) aumenterà, perché molti stagionali sono rimasti a casa, non sono potuti venire. Noi siamo molto legati alla manodopera rumena e chi doveva arrivare in questo periodo probabilmente non arriverà, perché c’è un tema di mobilità.”
A confermare la prospettiva di Ciardiello si unisce Gianluca Iovine, agronomo che opera con grandi aziende agricole nel Sud Italia: “Questi problemi li vedremo anche dopo, perché non c’è manodopera e le aziende agricole hanno grosse incognite nella programmazione. Pensiamo solo alla campagna del pomodoro da industria che sta per arrivare, che in Italia fa circa 50 mila ettari tra distretto Nord e distretto Centro-Sud: molte delle aziende coinvolte si avvalgono di lavoratori stranieri, e se prima programmavano 100 ettari, oggi non sanno quanti programmarne. Proprio ora sto andando a Latina per un cliente che ha 60 ettari di pomodoro da industria, e 60 ettari di pomodoro, che sono un po’ di soldini, non li lasci così. Sono interventi che vanno fatti, perché comunque la gente continuerà a mangiare le conserve vegetali o i sughi pronti”.
Per far fronte alla situazione ed evitare cali drastici nella produzione arriverà la meccanizzazione: “Se prima un’azienda ragionava nel fare alcune fasi della lavorazione a mano, adesso farà tutto a macchina” evidenzia Iovine. Anche se “l’intervento umano è quello che fa la differenza. Prendiamo per esempio una coltura come il pomodorino del Piennolo del Vesuvio, che prevede un intervento di cimatura. I germogli apicali vengono spezzati a mano per fare in modo che la pianta mantenga una certa altezza e si sviluppi lateralmente. L’intervento storicamente è sempre stato fatto a mano, perché è un’operazione in cui il bracciante esperto sa cosa fare. Se quest’anno le aziende non hanno manodopera, prenderemo i forbicioni da giardiniere per tagliare. Sicuramente non è un intervento convenzionale, ma non è che non produco perché non ho gli operai che vengono a farmi la cimatura”.
Secondo Iovine, che si confronta quotidianamente con gli operatori di settore, “c’è un po’ di rallentamento, ma comunque si lavora. Sicuramente con più difficoltà nella gestione del personale. Ma non ci sono clienti che in questo momento, ah c’è il coronavirus quindi non programmo. I problemi sono altri, come la siccità. Abbiamo avuto un inverno molto caldo, ci sono le dighe vuote e quindi il dilemma principale in questo momento nel sud Italia è: come affrontiamo la campagna estiva se le dighe sono vuote?”.
Se per le grandi filiere tutto scorre rallentato e con la necessità di riorganizzare alcuni processi, il produttore più piccolo restituisce uno scenario più in sofferenza su diversi fronti.
Francesco Serra è vice presidente del Consorzio produttori peperoncino di Calabria, a San Marco Argentano in provincia di Cosenza; il quale, oltre a essere specializzato sul prodotto peperone, raccoglie e distribuisce ortaggi e frutta di vario genere a GDO, ingrosso, mercati e piccole attività commerciali nelle zone di Campania, Calabria e Basilicata. Anche per lui ora è il momento delle fragole, ma raccoglie anche arance: “C’è una forte richiesta di arance in questo periodo ma qui ormai sono finite: fino a qualche tempo fa non se ne vendevano proprio, adesso c’è la domanda” dice Serra. Sarà l’effetto vitamina C e difese immunitarie?
In più, adesso “c’è richiesta di verdura in generale” e il Consorzio raccoglie e vende cavolfiori, broccoli, rape, finocchi. E racconta di problemi nella logistica. “Ci sono autisti che non vogliono più viaggiare, perché hanno problemi. Hanno ragione, hanno paura, giustamente. Gli autogrill poi non sono aperti, non hanno neanche i servizi di prima necessità. E guardano tutti l’autista come fosse un portatore di coronavirus…”. Continua Serra: “Perdiamo qualche fornitura, perché non ci sono tutti i trasportatori disponibili normalmente. Se poi non hanno il camion pieno alla partenza, non si mettono in viaggio: il trasporto si compone con più aziende e se un’impresa non fornisce una pedana di pere, un’altra una di mele ecc. l’autista non riempie il camion, e quindi non parte. Un camion trasporta 32 pedane e se non ci sono, non si muove”.
I ritmi di lavorazione non sono più gli stessi, di conseguenza la produzione ne risente: “Non tutte le aziende riescono a lavorare a pieno regime, un giorno si lavora e l’altro si sta fermi, per il problema della manodopera e per le vendite che iniziano a diminuire. I lavoratori arrivano da Paesi come Romania e Bulgaria, e adesso gli stranieri non possono entrare in Italia; in più i dipendenti italiani hanno paura del virus e non vogliono lavorare. Hanno ragione, con una pandemia di questo genere”. La cooperativa conta in media 20 lavoratori, ma ora non ci sono tutti: “Quando ci sono, lavoriamo, altrimenti no. Se ti servono 10 persone e ne hai 5 disponibili, cominci con 5 e il giorno successivo ne devi recuperare altre cinque. Hanno paura, hanno proprio paura, la paura vera”.
Domanda in calo, manodopera e trasporti in difficoltà, sono tra i cambiamenti che il coronavirus ha portato nella gestione quotidiana delle piccole imprese agricole. Dall’analisi Nielsen, “dopo tre settimane con trend positivo a doppia cifra” dovute all’effetto accaparramento da lockdown, “il trend delle vendite a valore rallenta”. Secondo Serra, “nella GDO non ci sarà più una grande affluenza, perché stanno per finire i soldi, la gente sta attenta. Questa pandemia non finisce oggi, potrà finire tra un mese o tre, e quando si comincia a risparmiare, poi si ripercuote sulla grande distribuzione, sull’agricoltore, è tutta una catena. Si parte dal piccolo consumatore per arrivare a noi”.
I segnali della povertà, al Sud cominciano a farsi sentire forti e chiari: una persona su dieci ha bisogno di cibo, come riporta il Sole 24 Ore (1): “Al Sud, nuovi poveri si aggiungono a quelli già censiti: per l’Istat nel 2018 erano pari al 10% le famiglie in povertà assoluta nel Mezzogiorno”. Lavoratori in nero “a giornata” che in questo frangente si trovano “senza alcuna forma di tutela e protezione”. Un’emergenza che si aggiunge a quella sanitaria, e “un’area di fragilità a cui non si era preparati”, come spiega Monica Buonanno, assessore ai Servizi sociali di Napoli. Inattività anche per i piccoli rivenditori di frutta e verdura abusivi che occupavano le strade di Palermo, come riporta sempre il Sole 24 ore (2), per via delle restrizioni e per la mancanza di accesso ai mercati per i rifornimenti. Minoranze sommerse che ora si trovano senza attività e punti d’appoggio.
Le grandi filiere dell’agroalimentare sono ben lontane da queste dinamiche, continuano a produrre e a ragionare su grandi quantità. Iovine infatti non rileva le problematiche segnalate da Serra, e per lui la motivazione è da ricercare nei grandi numeri: “Le aziende con cui lavoro hanno parecchi soci, parecchia produzione, fanno bilici interi al giorno. Il Pil agricolo è condizionato dalle grandi filiere, ortofrutta fresca e trasformata, cerealicola, viticoltura enologica. In Campania abbiamo aziende che fatturano 8-900 milioni di euro di trasformazione di pomodoro”. Sono quelle che fanno la differenza.
Una cosa però accomuna le due realtà, grandi e piccole: le zone rosse. “Ci sono diversi comuni denominati zone rosse, dove non possiamo più né ritirare né arrivarci” dice Serra. “Ad Ariano Irpino ho un cliente, una grossa azienda agricola che fa seminativi, olio e ha un allevamento di capre” racconta Iovine: è una zona rossa “e chiaramente ora non ci sto andando, non posso fare la mia visita periodica: mi sento telefonicamente, ma è una limitazione. Mi hanno parlato delle difficoltà di vivere in quel contesto, perché non si possono muovere, non possono fare praticamente nulla, ma l’azienda continua il suo corso”. Anche se “ci sono delle criticità nella consegna dei materiali necessari: se oggi dovessi mandare una pedana di concime ad Ariano Irpino, sarebbe un problema. L’ultimo Dpcm (quello del 22 marzo, n.d.a.) afferma che la filiera agricola rientra tra i codici Ateco autorizzati, però il decreto non considera le farmacie agrarie. Per intenderci quelle che danno concimi, antiparassitari e che forniscono i mezzi tecnici per l’agricoltura”. Il decreto dice che tutti gli attori connessi a una filiera sono a loro volta autorizzati, ma questo tipo di forniture sembrano non rientrare. Quindi cosa succede? “Se una farmacia agraria avesse necessità di mandare una pedana di concime in un’azienda, ora dovrebbe fare una comunicazione al prefetto, figurati in una zona rossa. È un ragionamento fatto proprio qualche giorno fa con una farmacia… insomma diventa un po’ complicato”. Al momento in cui si scrive, le zone rosse nel Sud Italia sono 14 in Calabria, 6 in Campania, 4 in Sicilia e 3 in Basilicata.
La fotografia che emerge da questo breve viaggio è quella di un settore agroalimentare che sta cercando di districarsi nello scenario di emergenza. Consumi in crescita esponenziale, in particolare on line e un ‘effetto scorta’ che dall’inizio del lockdown non dà grandi segni di indebolimento, anche se qualcuno lo dà. I grandi e piccoli produttori cercano di trovare soluzioni alle problematiche vecchie, come la manodopera, e a quelle nuove, i trasporti e le zone rosse. Senza dimenticare la povertà delle persone, un tema ora in forte crescita, che potrebbe influire sui consumi. Con l’incombere della stagione produttiva a pieno regime su tutto il territorio italiano, i prossimi mesi saranno decisivi per stabilire se davvero il sistema potrà reggere.
1) Vera Viola, Ha bisogno di cibo una persona su 10, Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2020
2) Cfr. Nino Amadore, A Palermo in 11mila chiedono assistenza, Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2020