Il MES, il Recovery Fund e la tigre: documenti alla mano per andare oltre la propaganda politica: che cosa prevedono i regolamenti dei prestiti europei, quali condizionalità impongono e quale strategia politica ed economica viene disegnata
Siamo in piena crisi. Il Pil italiano 2020 potrebbe diminuire fino al 9% e il deficit del bilancio pubblico arrivare all’11%. È la fotografia scattata il primo luglio dall’Ufficio parlamentare di Bilancio nel “Rapporto sulla programmazione di bilancio 2020”. Numeri che potrebbero peggiorare ulteriormente, avvisa il report, perché si basano sul presupposto di una progressiva ripresa dell’economia senza una seconda ondata Covid 19 in autunno. Il fabbisogno di risorse pubbliche a giugno è stato di 21 miliardi contro i 903 milioni di giugno 2019, arrivando a totalizzare 62 miliardi in più rispetto agli stessi sei mesi dell’anno precedente; denaro che finora il governo ha raccolto emettendo nuovi titoli di Stato, dunque aumentando il debito pubblico – che si prevede possa superare il 160% del Pil.
Sul fronte europeo, sempre il primo luglio i tecnici della Commissione dichiarano che al più tardi nella primavera 2021 si dovranno fornire indicazioni sui tempi e sulle condizioni per il ritorno a una piena applicazione, o la revisione, del Patto di Stabilità e Crescita, sospeso a marzo scorso (il Fiscal compact, che prevede un deficit massimo al 3% e una riduzione progressiva del debito pubblico fino ad arrivare a un rapporto con il Pil del 60%); il vicepresidente della Commissione Dombrovskis conferma che la questione sarà affrontata in autunno o in primavera.
In questo contesto si sta consumando il dibattito politico italiano sul MES (Meccanismo europeo di Stabilità) e sul Recovery Fund. Se il primo scatena un confronto – utilizzarlo sì/no, prevede condizionalità sì/no – il secondo trova tutti d’accordo: è finalmente la risposta della Ue che si aspettava, strutturata su sovvenzioni a fondo perduto e prestiti e, una volta trovato il compromesso tra i 27 Paesi, non c’è alcun motivo per non aderire, anzi.
Allo stato attuale, il MES non prevede condizionalità se non quella di utilizzare i fondi per finanziare i costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria, della cura e della prevenzione dovuti alla crisi Covid 19: niente Troika, nessuna imposizione di politiche macroeconomiche che abbiamo visto all’opera durante la crisi dei PIIGS – tagli alla sanità, al welfare, alle pensioni, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro ecc. Come già diversi analisti hanno sottolineato, utilizzare oggi il MES non è dunque un problema, può diventarlo in futuro – e vedremo perché nei dettagli tecnici. Ciò non significa affatto che sia un falso problema. Tuttavia, l’impostazione del dibattito rivela un’altra cosa: siamo davanti al gioco delle tre carte. L’opinione pubblica è spinta a seguire i movimenti della carta del MES e a ignorare quella, di ben altro peso, del Recovery Fund. Guarda il dito e non la luna.
Il dito: il MES
Al solito non è semplice cercare di capire i dettagli di ciò che mette in campo l’Unione europea: non per mancanza di documenti, sui relativi siti Ue sono tutti disponibili – anche se serve una volontà ostinata per trovarli – ma per la matassa che formano.
Per il MES esiste il Trattato (1), poi le Linee guida (2), poi le Condizioni specifiche standard (3); a queste si aggiungono, nel caso dell’assistenza finanziaria resa disponibile per affrontare la crisi sanitaria Covid, le proposte del Consiglio europeo e dell’Eurogruppo (marzo e aprile), poi la “lettera” dei commissari Dombrovskis/Gentiloni (7 maggio) (4), poi la relativa approvazione dell’Eurogruppo (8 maggio) (5), le Condizioni tecniche specifiche del “Sostegno alla Crisi Pandemica” (8 maggio) (6), infine la decisione del Consiglio dei governatori del MES (15 maggio) (7). Trovati tutti i documenti e ricostruito il puzzle, occorre tenere presente la gerarchia delle fonti giuridiche dell’Unione europea.
Il MES mette a disposizione del Paese che ne fa richiesta una “linea di credito” denominata ECCL pari al 2% del Pil; la si può richiedere entro dicembre 2022 e, dal momento in cui viene aperta, avrà durata di un anno, prorogabile di altri 6 mesi per due volte (dunque due anni in tutto); lo Stato potrà non utilizzarla (ma allora non ha senso richiederla), oppure usarla tutta o in parte, a seconda delle esigenze, e dovrà rendere il prestito in dieci anni (il tasso di interesse è minimo, ma non è un aspetto rilevante: oggi il costo del denaro è a zero e anche il tasso di interesse sulle nuove emissioni di titoli di Stato italiani è molto basso); sono soldi già disponibili e l’Italia potrebbe ricevere fino a 36 miliardi.
Il Trattato del MES (art. 14) prevede che l’apertura di una linea di credito ECCL sia accompagnata da una “sorveglianza rafforzata”, in base al regolamento 472/2013 conosciuto come “two-pack” (8), che consta di due passaggi: una verifica preventiva sulla situazione economica e finanziaria del Paese che la richiede, e condizionalità collegate al rilascio del prestito. La verifica preventiva è già stata attuata dalla Commissione Ue, complessivamente per gli Stati dell’Eurozona, e ha stabilito che tutti e 19 “soddisfano i requisiti di ammissibilità per ricevere il sostegno nell’ambito del Pandemic Crisis Support (Sostegno alla Crisi Pandemica)” (9); sulle condizionalità invece si è aperta la partita. Prima negate, poi riconosciute, poi modificate, il match l’ha chiuso la “lettera” dei commissari Dombrovskis/Gentiloni, che è andata dettagliatamente a modificare il regolamento 472/2013, stabilendo la non applicazione, per questa particolare linea ECCL, di tutti quegli articoli che prevedono condizionalità macroeconomiche. Successivamente, sia l’Eurogruppo che il board del MES hanno confermato questa posizione. Dunque, niente Troika.
Il punto è che diversi elementi evidenziano come la decisione possa modificarsi nel prossimo futuro. Fondamentale, innanzitutto, è la gerarchia delle fonti giuridiche dell’Unione, che pone il Trattato al primo posto e la “lettera” all’ultimo (10): ciò significa che una “lettera” non può modificare un Trattato – facendo un parallelismo un po’ azzardato ma rispettoso nella logica, è come se una lettera del governo italiano pretendesse di modificare la Costituzione. Il Trattato (art. 14, comma 6) prevede che una volta erogata la prima tranche del prestito, il MES possa decidere di cambiare il tipo di intervento, passando a una forma di assistenza finanziaria che contempli condizionalità macroeconomiche (11); la stessa eventualità è prevista nelle Linee guida, all’articolo 7 (12).
Sull’aspetto giuridico, che già di per sé basterebbe, si va a sommare la dichiarazione del Consiglio dei governatori del MES del 15 maggio, che evidenzia: “I membri del MES che beneficiano del sostegno alla crisi pandemica saranno soggetti a una maggiore sorveglianza da parte della Commissione europea. Secondo la Commissione, il monitoraggio e i requisiti di rendicontazione si concentreranno sull’effettivo utilizzo dei fondi per coprire i costi sanitari diretti e indiretti. Inoltre, non ci saranno missioni ad hoc oltre a quelle standard che si svolgeranno nell’ambito del semestre europeo. Il MES effettuerà il suo sistema di allarme rapido per analizzare la capacità di rimborso del Paese beneficiario in coordinamento con la sorveglianza della Commissione”. Una sottolineatura che, se da un parte conferma le condizionalità legate solo all’utilizzo dei fondi per i costi sanitari, dall’altra ribadisce la “maggiore sorveglianza” a cui sono soggetti i Paesi e, soprattutto, come sia stata la Commissione ad aver ora stabilito quest’unica condizionalità: ciò non esclude affatto che la Commissione stessa non possa ritenere necessario passare a un’altra forma di assistenza finanziaria, con condizionalità macroeconomiche, in base all’art. 14 del Trattato, se nel corso della sorveglianza la situazione finanziaria del Paese dovesse peggiorare.
Infine, anche le Condizioni tecniche specifiche di questa linea ECCL relativa al “Sostegno alla Crisi Pandemica” evidenziano in tre punti come il Trattato e le Linee guida rimangano gli assi portanti (13).
In conclusione, una volta attivata la linea di credito ECCL e incassata la prima rata del finanziamento, tutto può cambiare e la Troika può entrare dalla porta principale senza nemmeno dover bussare. E certamente, né i numeri macroeconomici italiani sopra riportati né la futura discussione in merito al ripristino della piena applicazione del Fiscal compact, depongono a favore di una situazione stabile.
Il MES rappresenta dunque un rischio per il futuro: fortemente probabile, ma comunque aleatorio. Il Recovery Fund invece è certo.
La luna: il Recovery Fund
Al momento in cui si scrive, nulla è definitivo: c’è la proposta della Commissione Ue del 27 maggio (composta da alcuni comunicati stampa e un working paper) (14) e la proposta del Regolamento del Fondo, presentata sempre dalla Commissione, il 28 maggio (15). È quest’ultimo il documento più importante. Perché se è molto probabile che il negoziato tra i 27 Paesi porterà a cambiamenti sulle cifre messe a disposizione, la struttura tecnica resterà invariata, nella migliore delle ipotesi, peggiorerà se ci saranno modifiche. Come prima cosa, il quadro generale.
Il Bilancio pluriennale dell’Unione europea 2021-2027, in discussione e da approvare entro l’anno, è previsto di 1.100 miliardi; il “Next Generation EU”, il “nuovo strumento di emergenza per la ripresa”, si va ad aggiungere: sono 750 miliardi, di cui 560 destinati al “Fondo per la ripresa e la resilienza” e i restanti volti a integrare fondi nuovi o già esistenti – occorre tenere sempre a mente che sono cifre da dividere per sette anni e 27 Paesi (vedi immagine 1, pag. 11). Il denaro sarà raccolto aumentando il contributo annuale che ciascun Paese versa alla Ue – che passa dall’1 all’1,4% del Pil –; incrementando allo 0,6% quelle che vengono definite “risorse proprie” dell’Unione – una percentuale sui dazi doganali, sull’IVA ecc. –; ed emettendo obbligazioni sul mercato. Queste ultime rappresentano la novità: saranno emesse tra il 2021 e il 2024 e avranno scadenze tra i 3 e i 30 anni. Rappresentano un debito, come i titoli di Stato di un Paese, e ciò significa che l’Unione europea dovrà rimborsare il capitale alla scadenza e pagare, semestralmente o annualmente, gli interessi: saranno i futuri bilanci pluriennali della Ue a farsene carico, e dunque i contributi che ogni Paese versa annualmente all’Unione sono destinati ad aumentare. Ma non è questo il punto focale.
Dei 560 miliardi destinati al “Fondo per la ripresa e la resilienza”, 310 sono sovvenzioni a fondo perduto e 250 sono prestiti; entrambe le risorse sono disponibili fino al 2024 e per quanto riguarda le sovvenzioni, almeno il 60% deve essere impegnato entro il 2022; per entrambe, la richiesta di accesso deve essere presentata su base volontaria dallo Stato membro; la quota del prestito non può superare il 4,7% del RNL (Reddito nazionale lordo) mentre le sovvenzioni sono concesse in base a tre parametri: popolazione, Pil pro capite, tasso di disoccupazione.
Secondo i calcoli del working paper, sul totale dei 750 miliardi (quindi l’intero Next Generation EU e non solo il Recovery Fund) all’Italia spetterebbero 153 miliardi (tra sovvenzioni e prestiti) e dovrebbe contribuire al rimborso, nei futuri bilanci pluriennali Ue, con 96,3 miliardi; incasserebbe dunque netti 56,7 miliardi, pari al 3,2% del Pil (vedi tabella 2, pag. 12).
Questo è il primo dato su cui riflettere: le cifre sono ridicole. 153 miliardi in quattro anni (entro il 2024) sono pari, in un calcolo grossolano, a poco più di 38 miliardi l’anno; certamente l’Italia ne restituirebbe 96,3 in un tempo molto più lungo, a partire dal prossimo bilancio pluriennale Ue 2028-2034, ma lo sbalzo temporale esiste anche per i titoli di Stato: raccolgo oggi il denaro dall’investitore e lo restituisco a 5, 10, 20 o 30 anni. Sicuramente il tasso di interesse che l’Italia pagherebbe sul prestito dell’Unione è basso, ma valgono le stesse considerazioni fatte per il finanziamento del MES; mentre è indubbio che 56,7 miliardi a fondo perduto sono un dato positivo, ma restano il 3,2% del Pil, all’interno di una crisi che registra i numeri macroeconomici sopra citati. Il punto focale quindi è: qual è la contropartita? Che cosa c’è sull’altro piatto della bilancia?
C’è di fatto qualcosa che assomiglia molto alla Troika, scritto nei tecnicismi del Regolamento del Fondo.
Sia il prestito che la sovvenzione sono rilasciati sulla base di progetti “di investimenti e riforme” (sottolineiamo riforme) che il Paese deve presentare alla Commissione Ue: le riforme sono da attuare in quattro anni, gli investimenti in sette. Entrambi si devono inscrivere all’interno delle “raccomandazioni specifiche per Paese rivolte dal Consiglio agli Stati membri nel contesto del semestre europeo”, che è lo strumento che detta gli orientamenti di politica economica ai Paesi membri. Tre sono i “nuclei di coordinamento della politica economica: riforme strutturali […]; politiche di bilancio, con l’obiettivo di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche in linea con il Patto di stabilità e crescita; prevenzione degli squilibri macroeconomici eccessivi” (16). Una volta approvato il progetto, i finanziamenti del Recovery Fund, siano essi prestiti o sovvenzioni, saranno concessi a rate, sulla base dell’avanzamento delle riforme e degli investimenti, ed è la Commissione l’organo deputato alla stretta sorveglianza: “L’erogazione del contributo finanziario seguirà il completamento delle tappe e degli obiettivi concordati con lo Stato membro interessato. Tali dati pertinenti dovranno essere integrati in un apposito strumento di monitoraggio per Stato membro e per settore politico. A tal fine, gli Stati membri includeranno, nelle loro relazioni annuali sui progressi compiuti nel semestre europeo, prove dei progressi compiuti verso le tappe e gli obiettivi e forniranno alla Commissione l’accesso ai dati di base, compresi i dati amministrativi, se del caso”.
Ancora, sempre citando il Regolamento del Fondo: “Ai fini di un efficace monitoraggio dell’attuazione, gli Stati membri dovranno riferire trimestralmente, nell’ambito del processo del semestre europeo, sui progressi compiuti nella realizzazione del piano di recupero e di resilienza”. Infine, nel caso di mancata attuazione o ritardo nell’implementazione delle riforme e degli investimenti, le rate potranno essere sospese e/o i finanziamenti cancellati: “Per consentire l’adozione di misure che colleghino lo strumento (il Recovery Fund, n.d.a.) a una sana governance economica, al fine di garantire condizioni di esecuzione uniformi, è opportuno conferire al Consiglio il potere di sospendere, su proposta della Commissione e mediante atti di esecuzione, il periodo di tempo per l’adozione di decisioni sulle proposte di piani di recupero e di resilienza e di sospendere i pagamenti a titolo di tale strumento, in caso di inosservanza significativa in relazione ai casi pertinenti connessi al processo di governance economica […] Ai fini di una sana gestione finanziaria, occorre stabilire norme specifiche per gli impegni di bilancio, i pagamenti, la sospensione, la cancellazione e il recupero dei fondi. […] I pagamenti dovrebbero essere effettuati a rate ed essere basati su una valutazione positiva, da parte della Commissione, dell’attuazione del piano di recupero e di resilienza da parte dello Stato membro. La sospensione e la soppressione del contributo finanziario dovrebbero essere possibili quando il piano di recupero e di resilienza non è stato attuato in modo soddisfacente dallo Stato membro”.
(Rimandiamo al dossier Gli euroleaks di Varoufakis. La verità sulla trattativa tra la Grecia e la Troika, a pag. 16, per approfondire quali meccanismi implementi questo tipo di procedura – rate, riesami, valutazioni – e come si imponga sulle politiche di un Paese che vi si sottopone.)
A concludere, non manca la possibilità della segretezza, che renderà arduo per i cittadini comprendere quel che accade: “La Commissione trasmette senza indugio al Parlamento europeo e al Consiglio i piani di recupero e di resilienza approvati nell’atto di esecuzione della Commissione a norma dell’articolo 17.2. Lo Stato membro interessato può chiedere alla Commissione di rettificare informazioni sensibili o riservate la cui divulgazione metterebbe a repentaglio gli interessi pubblici dello Stato membro”.
Cavalcare la tigre
La crisi economica mordeva già nel 2019. L’estate più pazza del mondo, quando i tassi di interesse sui titoli di Stato e sulle obbligazioni corporate erano entrati in territorio negativo e il prezzo dell’oro si impennava (oro e obbligazioni sono i tipici beni rifugio); quando tutti i dati macroeconomici dell’economia reale indicavano che la recessione bussava alle porte dell’autunno, con la crescita cinese che registrava una flessione sulle attese e quella statunitense che iniziava leggermente a frenare, la Germania che temeva il terzo trimestre in negativo, l’Opec che continuava a tagliare le previsioni di domanda di petrolio e l’FMI che gli andava dietro, continuando ad abbassare le stime di crescita mondiale per il 2019 e il 2020; quando la bolla finanziaria si stava gonfiando a dismisura e, per non farla esplodere, Bce e Fed riaprivano il Quantitative easing (17). Su tutto, la struttura manifatturiera era da riprogettare, nell’ottica di una transizione ecologica, e nessuna impresa privata avrebbe mai avuto i capitali per farlo: serviva lo Stato, che doveva tornare a mettere piede nell’economia con la potenza di investimenti pubblici, per salvare il capitalismo da una sua ennesima crisi. Già la proposta di bilancio pluriennale dell’Unione europea presentato dalla Commissione Junker andava in questa direzione, puntando su quello che era stato chiamato Green New Deal. Poi è arrivato il Covid 19 a travolgere ogni cosa.
Sia chiaro: non stiamo dicendo che l’epidemia da coronavirus sia stata programmata o voluta o cercata o fatta accadere in qualche modo. Cavalcare la tigre non significa andare in cerca della tigre: significa trovarcisi in groppa, non si sa come, e a quel punto studiare una strategia.
Il Covid 19 dà alla politica la possibilità di disegnare una nuova società con una rapidità impensabile. Sul piano tecnologico e sociale (tracciamento, controllo, mutazione di fruizione degli spazi pubblici, isolamento individuale), formativo (scuola) e lavorativo (smart working). Una “nuova normalità”. Non si stanno infatti approntando piani per rispondere all’emergenza nel caso il contagio da coronavirus torni a diffondersi in autunno, per essere preparati ed evitare un altro lockdown: si sta strutturando stabilmente la società in modo diverso, che l’epidemia torni o meno.
In groppa alla tigre anche il capitalismo, che ha nella crisi da Covid la scusa per richiedere prepotentemente gli aiuti di Stato per salvarsi – senza mutare l’ideologia neoliberista: il controllo delle imprese rimane privato; lo Stato sta facendo da banca, da facilitatore, da supporto; non c’è nulla di keynesiano nelle politiche attuate dal governo italiano e dalla Ue.
In groppa alla tigre anche l’Unione europea. Il Recovery Fund, al pari del MES, è ciò che è stata la Troika nella crisi dei debiti sovrani del 2010-2012: porterà le politiche neoliberiste dove c’è ancora spazio per applicarle o inasprirle. Di modo che superata la crisi, il capitalismo, ristrutturato con i soldi pubblici, possa entrare in una nuova fase di crescita. Mentre un abile gioco delle tre carte porta l’opinione pubblica italiana a dibattere sul MES e ad aprire le braccia al Recovery Fund.
1) https://www.esm.europa.eu/sites/default/files/20150203_-_esm_treaty_-_it.pdf
3) https://www.esm.europa.eu/sites/default/files/facility_specific_terms_15122015_clean.pdf
4) https://www.consilium.europa.eu/media/43823/letter-to-peg.pdf
6) https://www.consilium.europa.eu/media/44011/20200508-pcs-term-sheet-final.pdf
7) https://www.esm.europa.eu/press-releases/esm-board-governors-backs-pandemic-crisis-support
8) La normativa conosciuta come “six-pack” e “two-pack” (2011 e 2013) e il “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica monetaria” (2012, il cosiddetto “Fiscal Compact”) hanno fissato nel dettaglio le regole delle procedure di sorveglianza e di quelle di infrazione, il “braccio preventivo” e il “braccio correttivo”, relativi ai parametri finanziari di bilancio dei Paesi dell’Eurozona
9) Dichiarazione Eurogruppo 8 maggio 2020, vedi nota 5
10) Gerarchia delle fonti giuridiche dell’Unione europea: 1. trattati; 2. regolamenti, direttive, decisioni, pareri, raccomandazioni; 3. comunicazioni, risoluzioni. Tra queste ultime rientrano le “lettere”
11) Trattato MES, art. 14 comma 6: “Dopo che un membro del MES abbia già ottenuto fondi una prima volta (per mezzo di un prestito o di un acquisto sul mercato primario), il consiglio di amministrazione decide di comune accordo su proposta del direttore generale e sulla base di una valutazione condotta dalla Commissione europea, di concerto con la BCE, se la linea di credito è ancora adeguata o se sia necessaria un’altra forma di assistenza finanziaria”
12) Linee guida sull’assistenza finanziaria precauzionale, articolo 7, “Riesame dell’adeguatezza dell’assistenza finanziaria precauzionale”, commi 2.2 e 3.3: “Nel caso in cui il membro beneficiario del MES si discosti dalle sue condizioni politiche o se tali impegni sono diventati chiaramente inadeguati per risolvere la minaccia di perturbazioni finanziarie, il Consiglio dei governatori può decidere di chiudere la linea di credito. Il membro beneficiario del MES dovrebbe allora richiedere un sostegno regolare alla stabilità, con un programma di aggiustamento macroeconomico completo, secondo la procedura a esso applicabile”; “Dopo che il membro del MES beneficiario ha attinto per la prima volta fondi attraverso un prestito o un acquisto sul mercato primario, il consiglio di amministrazione decide, su proposta del direttore generale e sulla base di una valutazione condotta dalla Commissione europea, di concerto con la BCE, se la linea di credito continua ad essere adeguata o se è necessaria un’altra forma di assistenza finanziaria”
13) Condizioni tecniche specifiche del “Sostegno alla Crisi Pandemica”, 8 maggio: “Per ogni richiesta di sostegno alle crisi pandemiche saranno seguite le procedure previste dal trattato del MES e dalla linea guida sull’assistenza finanziaria precauzionale”; per la sorveglianza “saranno seguite le disposizioni pertinenti della linea guida del MES. La Commissione ha fornito chiarimenti sul monitoraggio e la sorveglianza, che dovrebbero (corsivo dell’autore, n.d.a.) essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato da COVID 19 e proporzionati alle caratteristiche e all’utilizzo del sostegno alla crisi pandemica, in conformità con il two-pack (regolamento UE n. 472/2013)”; base giuridica è “l’attuale quadro giuridico del MES, in particolare l’articolo 14 del trattato MES, l’orientamento del MES sull’assistenza finanziaria precauzionale e i documenti di prestito del MES”
14) Cfr. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_20_940
15) Cfr. https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/com_2020_408_en_act_part1_v9.pdf
16) Cfr. https://www.consilium.europa.eu/it/policies/european-semester/. In merito al modus operandi del semestre europeo, cfr. Giovanna Cracco, Per chi sta realmente lavorando questa economia?, Paginauno n. 63/2019
17) Cfr. Giovanna Cracco, Bolla finanziaria. È in arrivo la (seconda) tempesta perfetta?, Paginauno n. 64/2019