Legge, disciplina, sicurezza: cosa è accaduto, dove siamo e dove potremmo essere in futuro: le pratiche politiche attuate, il fallimento dei meccanismi di sicurezza, un nuovo sapere-potere che si impone e lo Stato che si protegge
Un rapporto dei servizi segreti, indirizzato alla presidenza del Consiglio e ai ministri competenti, segnala la possibilità di problemi di ordine pubblico nel Sud Italia nel caso l’epidemia da coronavirus dovesse allargarsi anche a quella parte del Paese. È ciò che riporta Fabio Martini in un articolo pubblicato il 26 marzo su La Stampa (1). “Si tratta di un report top secret” scrive Martini, “ma da quel che trapela il pericolo segnalato è quello di un’escalation, che partendo dalla fragilità e dal possibile collasso delle strutture ospedaliere, possa portare inizialmente a ribellioni legate alla carenza di assistenza e aggravate davanti a casi di «raccomandazioni», che in alcune realtà hanno una loro consistenza. E l’ultimo anello di questa escalation nel Sud potrebbe determinarsi con interferenze sempre possibili da parte della criminalità organizzata”.
Lo stesso giorno su Repubblica, edizione Palermo, Claudia Brunetto e Francesco Patané segnalano un “pomeriggio di tensione all’interno del supermercato Lidl di viale Regione Siciliana per il tentativo di una quindicina di persone di scappare con i carrelli pieni senza pagare la spesa […] sul posto sia polizia che carabinieri hanno ricondotto alla ragione la quindicina di clienti […] Si tratta di famiglie palermitane provenienti dal Cep, dallo Zen e da Cruillas che dopo una lunga trattativa con le forze dell’ordine hanno ammesso di non avere più soldi per pagare la spesa perché rimaste senza possibilità di lavorare dopo l’inizio della quarantena. Carabinieri e polizia sono riusciti a convincere le famiglie in difficoltà a lasciare la merce nel supermercato. Nessuno è stato denunciato” (2).
Come si è potuti arrivare a questa situazione, per di più in un tempo decisamente breve (3), in una liberaldemocrazia a capitalismo avanzato del XXI secolo?
Legge, disciplina, sicurezza
L’epidemia da coronavirus ha prodotto, sui quotidiani e in rete, una serie di analisi e riflessioni che ne hanno seguito l’evoluzione, modificando anche nel tempo la chiave di lettura, com’è normale che sia quando si cerca di capire una situazione nuova e in divenire. Anzi, si può dire che il disorientamento a comprendere è stato specchio sia del disorientamento dei cittadini, sia della gestione caotica, a tratti contraddittoria e incomprensibile, della classe politica italiana, nei vari livelli di governo e responsabilità. Non si intende qui ragionare sui numeri dei contagiati, dei decessi, dei tamponi ecc. né su un aspetto già ampiamente approfondito sui media e che indubbiamente va posto come dato fattuale e premessa che ha condizionato tutti gli eventi, ossia la drammatica situazione del sistema sanitario pubblico italiano smantellato dalle privatizzazioni e dai tagli al welfare operati delle politiche neoliberiste. Dato come acquisito questo elemento, ciò su cui è necessario interrogarsi per cercare di afferrare almeno un capo della matassa, e capire cosa è accaduto politicamente, dove siamo oggi come cittadini e dove potremmo essere in futuro, sono le pratiche di potere messe in atto.
In Sicurezza, territorio, popolazione (4), Michel Foucault analizza tre meccanismi applicati su un territorio e i suoi abitanti in tre diverse epoche storiche: legge, disciplina e sicurezza. In estrema sintesi, e circoscrivendo il ragionamento alla situazione che ci interessa analizzare, il primo attiene al Medioevo: il potere stabilisce una legge e fissa una punizione per chi la vìola; il secondo si costituisce nel XVIII secolo e aggiunge al primo meccanismo un dispositivo di sorveglianza, che mira a prevenire il fatto trasformando il comportamento degli individui – disciplina dunque i corpi, non si limita a punirli quando infrangono un divieto –; il terzo meccanismo, dell’epoca contemporanea, aggiunge ai primi due delle tecniche di sicurezza, che basandosi sulla scienza statistica e su una raccolta di dati e informazioni, mirano a gestire il probabile, l’aleatorio. Foucault sottolinea la dinamica sommatoria dei tre meccanismi: si sviluppano in tre fasi storiche distinte, ma non escludono il meccanismo precedente; ragion per cui l’epoca della sicurezza fa uso anche della pratica legale e di quella disciplinatoria. Così come non è netta la separazione degli effetti/obiettivi ottenuti dalle tre tecniche di potere: una punizione esemplare e severa mira anche a correggere, ossia a disciplinare, il resto della popolazione, e un dispositivo di sorveglianza ha come scopo, trasformando il comportamento, anche quello di gestire la probabilità che si verifichi una situazione.
Spostandosi dall’ambito più immediato, legato ai temi della criminalità e del carcere, al campo medico, Foucault porta tre esempi: la lebbra nel Medioevo, la cui gestione è stata affrontata con un apparato di leggi/punizioni volte semplicemente a separare chi era lebbroso da chi non lo era; la successiva epidemia di peste, affrontata con una regolamentazione che disciplinava gli individui imponendo loro come e quando uscire di casa, i comportamenti da seguire all’interno dell’abitazione, il divieto di contatti, l’obbligo di presentarsi davanti agli ispettori; infine, il vaiolo e le pratiche di inoculazione a partire dal XVIII secolo, che miravano a sapere quante persone fossero colpite dalla malattia, a che età, con quali effetti, con quale mortalità ecc., in un insieme di raccolta di informazioni statistiche e campagne mediche con le quali si cercava di arrestare un fenomeno sia endemico che epidemico.
Ora: è immediato a questo punto il ragionamento sull’attualità. Ancor più se si richiama – per la sua chiarezza ma non è l’unica analisi che va in questa direzione diffusa dal campo medico, che tuttavia non si è certo contraddistinto per un approccio univoco alla gestione dell’epidemia da coronavirus – un’intervista rilasciata il 22 marzo a Globalist.it dal professor Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare e professore di epidemiologia e virologia dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova (5), il quale, partendo da uno studio effettuato sul focolaio esploso nel paese di Vo Euganeo, collabora tuttora con la Regione Veneto nella gestione dell’epidemia.
Rimandiamo alla lettura integrale dell’intervista, ciò che qui preme evidenziare sono alcuni passaggi: “La nostra strategia è quella che si usa in tutte le epidemie che è quella classica di una sorveglianza attiva” afferma il professore; “Sorveglianza attiva sul territorio significa che se una persona chiama e dice ‘sto male’, invece di lasciarla sola a casa senza assistenza e senza niente, con l’unità mobile della Croce Rossa andremo lì, faremo il prelievo alla persona, faremo il tampone ai familiari, faremo il tampone agli amici e al vicinato, perché è là intorno che c’è il portatore sano, è là intorno che ci sono altri infetti […] a raggi concentrici […] così si fa la sorveglianza”; e ancora: “Temo che in Italia manchi la cultura epidemiologica per affrontare le epidemie. Le persone che hanno consentito a Paesi interi di uscire dalla malaria, dal tifo e dal colera purtroppo non stanno più tra noi. Altrimenti questa epidemia avrebbe a-vuto un’altra storia […] è mancato completamente il supporto sul territorio della sanità pubblica. È stato inesistente […] Come fa un sistema sanitario a far fronte a questa marea se non sono stati identificati i casi sul territorio? Non hanno fatto la tracciabilità, non hanno fatto prevenzione. Nessuna epidemia si controlla con gli ospedali, nessuna: si controlla sui territori”.
Per usare le parole di Foucault, un’epidemia si controlla innanzitutto con un dispositivo di sicurezza. E come afferma anche Crisanti, è un sapere storicamente acquisito. La pandemia è un evento probabile e aleatorio che il potere politico – che emana leggi, prescrive, dispone, vieta, emette regolamenti e in uno ‘stato di emergenza’ ha di fatto pieni poteri su tutti gli ambiti sociali ed economici – deve saper gestire, perché la storia l’ha già insegnato.
Meglio compreso dunque che cosa è accaduto, si può anche capire dove siamo oggi. Consapevole – non può essere altrimenti – del proprio totale fallimento nel rispondere all’evento epidemico con i dispositivi di sicurezza che l’evento stesso richiede (ricordiamo che lo ‘stato di emergenza’ è stato dichiarato il 31 gennaio), il potere politico – continuiamo a usare questa definizione e non il termine più specifico di ‘governo’ perché è l’intera classe dirigente politica a essere coinvolta, e vedremo perché – ha applicato con forza i meccanismi di disciplina e di legge; che certo non sarebbero stati esclusi dalla gestione complessiva, ma essendo gli unici attuati, sono stati implementati in modo estremamente violento.
Disciplina sui corpi: limitazioni della libertà di movimento all’intera popolazione sull’intero suolo nazionale – di fatto annullamento di movimento, a meno di doversi procurare cibo, andare a lavorare o per motivi di salute –; obbligo di certificare per iscritto, tramite un modulo da portare con sé, la ragione del proprio essere fuori di casa, a piedi, in auto o con qualsiasi mezzo; polizia per strada con il potere di fermare chiunque per chiedere conto del perché sia uscito dalla propria abitazione; imposizione di un distanziamento spaziale tra una persona e l’altra, da attuarsi sia a carico del singolo (raccomandato un distanziamento perfino all’interno delle mura domestiche, nel nucleo famigliare) che dei gestori delle attività commerciali e produttive rimaste aperte.
Contemporaneamente, applicazione del meccanismo legale, che nella punizione severa diviene anche tecnica disciplinatoria innescando un effetto deterrente: chi viola le disposizioni emanate incorre in un reato che, decreto dopo decreto, ha registrato un’esplosione repressiva senza precedenti. Dai 200 euro iniziali di ammenda si è passati a 3.000, per arrivare anche al reato penale che prevede la reclusione da 3 a 18 mesi per chi, risultato positivo al virus, non rispetta la quarantena, “salvo che il fatto costituisca un delitto colposo contro la salute pubblica punito dall’articolo 452 del codice penale con la reclusione fino a 12 anni”.
Accanto a questi atti più evidenti, il potere politico ne ha implementati altri che, apparentemente differenti, sono invece da inscrivere nelle stesse pratiche.
Il bollettino giornaliero della protezione civile sul numero dei contagiati e dei morti. Assodato, come ormai è divenuto evidente e per stessa ammissione della protezione civile, che entrambi i dati sono privi di qualsiasi coerenza sistemica e affidabilità (6), l’obiettivo del rituale non è la trasparenza ma continuare a spaventare una popolazione già totalmente disorientata; una pratica che, narrata come ‘rassicurante’ – informo i cittadini della situazione di modo che non si sentano in balia dell’ignoto – rientra invece nel meccanismo disciplinatorio.
Stesso discorso per le ordinanze regionali, i Dpcm nazionali, i decreti che si sono susseguiti l’un l’altro; il loro essere scritti in modo vago o incomprensibile; le conferenze stampa o le dirette Facebook a tarda sera; le pubblicazioni in Gazzetta ufficiale la domenica sera con immediata validità dal giorno successivo; il modulo di autocertificazione che cambiava continuamente. Caos, certo, ma consapevole: il potere politico sapeva, e sa, che una simile gestione, generando spaesamento, produce paralisi nei cittadini, che divengono così corpi ancora più docili alla disciplina.
Tra le pratiche di potere adottate, una riflessione merita anche quella che possiamo chiamare ‘la caccia al runner’. Storicamente ogni epidemia deve avere il suo ‘untore’, di modo che la paura, la rabbia, la frustrazione dei cittadini – sentimenti che crescono sempre più come risultato dei meccanismi disciplinari – si possano scaricare in orizzontale, all’interno della popolazione – in una dinamica che vuole anche creare la divisione tra ‘cittadino responsabile’, e dunque facente parte della ‘società civile’, e ‘individuo irresponsabile’, che si pone al di fuori della comunità – e non in verticale, verso le colpe e le responsabilità di quel potere politico che ontologicamente ha il dovere di gestire l’evento di una situazione epidemica.
Certamente la responsabilità individuale è necessaria in un’epidemia, ma ciò a cui abbiamo assistito è stata una dinamica ipertrofica di colpevolizzazione del singolo – supportata dalla complicità della grande informazione – per far sì che il potere potesse parallelamente deresponsabilizzarsi e portare avanti la falsa narrazione di aver ben gestito l’epidemia fin dal suo inizio. E così, mentre lo stato di emergenza veniva dichiarato il 31 gennaio, mentre si è lasciato che il virus si diffondesse senza fare nulla fino al 21 febbraio, data della prima ordinanza del ministero della Salute, mentre non si metteva in atto alcun meccanismo di sicurezza sul territorio per gestire l’epidemia, mentre gli operatori ospedalieri venivano lasciati senza dispositivi di protezione, mentre le persone continuavano a contagiarsi a vicenda sui mezzi pubblici andando a lavorare, e nelle fabbriche del bergamasco e non solo, la responsabilità della diffusione del contagio e della relativa prevenzione per evitarlo veniva scaricata prima su tutti i cittadini e poi, disciplinata la gran parte, sui singoli irresponsabili che facevano “attività motoria individuale all’aperto” invece di starsene rinchiusi in casa. Oltretutto, si è applicato questa dinamica di colpevolizzazione mentre il potere politico, in una vergognosa e inaccettabile complicità con Confindustria, ha bloccato la produzione di beni non necessari solo il 23 marzo, quando gli ospedali lombardi sono arrivati al collasso e i morti si sono iniziati a contare in diverse centinaia al giorno.
Certamente fermare l’attività produttiva di un Paese significa aggiungere il problema economico a quello sanitario – e sono numerose le riflessioni da fare sugli interventi finanziari messi in atto dal governo e sull’atteggiamento dell’Unione europea, ma non è un tema che si vuole affrontare in questa analisi – ma chiunque seguisse l’evolversi della situazione leggendo il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 ore, si rendeva facilmente conto sia della forte pressione esercitata dall’associazione industriale sulla politica per evitare la chiusura, sia del fatto che il problema principale non era la mancanza di liquidità che il blocco avrebbe comportato alle imprese, per quanto importante, ma la perdita degli spazi conquistati sui mercati internazionali nelle catene del valore, che dovevano essere mantenuti anche mettendo a rischio la salute dei lavoratori e, inevitabilmente, dei loro famigliari.
Una notazione, in questa pervasiva propaganda volta a colpevolizzare i cittadini e ad assolvere il potere politico, merita anche la campagna mediatica #iorestoacasa a cui si sono prestati personaggi della cultura, dello spettacolo e dello sport. Per due ragioni: perché accettando di farne parte si sono resi complici della gestione disciplinatoria e punitiva del potere politico, anziché criticarla, e perché il rispetto nei confronti della moltitudine di cittadini e famiglie rinchiusi in monolocali, bilocali, case senza nemmeno un balcone, oppressi dal pensiero di un saldo in banca vicino allo zero e drammaticamente divisi tra la paura di contrarre il virus andando a lavorare e il bisogno di andarci per poter pagare affitto e bollette, avrebbe dovuto impedire loro di scattare selfie e girare video dall’agio di abitazioni confortevoli e di una tranquilla situazione finanziaria.
Qui è dove siamo oggi. E compreso anche questo, possiamo cercare di capire cosa ci aspetta.
Un nuovo sapere-potere
Si parla di riaperture graduali, rischi di lockdown ripetuti, tamponi ed esami fatti a larga parte della popolazione, di un vaccino che non può arrivare prima del 2021. Si parla di app per il tracciamento e di privacy, non è ancora chiaro se imposte obbligatoriamente o su base volontaria. Di certo c’è quanto già contempla il Gdpr europeo, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati in materia di trattamento dei dati personali e di privacy, operativo da maggio 2018. Per il primo ambito, il Gdpr prevede alcune eccezioni in situazioni emergenziali, non considerando assoluto il diritto alla protezione dei dati quando si scontra con altri diritti costituzionali, di pari rango o superiore, come quello alla salute. Quindi il consenso della persona per il loro trattamento può essere bypassato quando vi siano “motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”.
L’epidemia da Covid-19 indubbiamente rientra in questo caso, dunque i dati personali possono essere acquisiti senza il consenso. In merito al secondo ambito, aleggia sulla Ue la direttiva ePrivacy, non ancora entrata in vigore, che regola la privacy delle comunicazioni, e quindi anche la geolocalizzazione necessaria a una eventuale app di tracciamento. E ne contempla l’uso se è possibile l’utilizzo in forma aggregata o ottenendo il consenso per motivi di pubblica sicurezza – e anche in questo caso l’attuale epidemia vi rientra, come fattispecie.
Nel decreto legge 14 del 9 marzo, all’articolo 14, il governo ha già permesso il trattamento “dei dati personali, anche relativi agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679 (il Gdpr, n.d.a.), che risultino necessari all’espletamento delle funzioni attribuitegli nell’ambito dell’emergenza determinata dal diffondersi del Covid-19” anche senza il consenso della persona interessata. L’articolo 9 riguarda i “dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché […] dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”; l’articolo 10 riguarda “i dati personali relativi a condanne penali e reati”. Nello stesso decreto, il governo ha autorizzato a fare uso di tali dati la Protezione civile, il ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, “le strutture pubbliche e private che operano nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e i soggetti deputati a monitorare e a garantire l’esecuzione delle misure disposte ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13”.
Di fatto quindi, dal 9 marzo, la raccolta dei dati è già attiva, e non solo di quelli sanitari, e ne fanno uso anche realtà private e forze dell’ordine ed esercito, ossia “i soggetti deputati a monitorare e a garantire l’esecuzione delle misure” disposte dalla legge 13/2020, che vedremo. La discussione pubblica in atto su app e tracciamento e relativa privacy è dunque una farsa – chi garantirà che i dati verranno utilizzati in forma aggregata? E chi garantirà invece la protezione di quelli individuali raccolti al fine del tracciamento delle persone risultate positive al virus? Chi garantirà che la app, una volta installata nello smartphone, non avrà accesso a tutto ciò che ognuno di noi archivia in quel computer che ci ostiniamo a chiamare ‘telefono’?
Sempre il decreto legge 14 prevede che la raccolta dei dati possa essere effettuata “fino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020”, quindi fino al 31 luglio. Per ora. Salvo proroghe che, vista l’evolversi della situazione, è facile prevedere. E salvo app installate nello smartphone.
Per Foucault la Storia è discontinuità: non è un flusso lineare di avvenimenti, un divenire omogeneo, ma una serie di salti, di fratture, di nuove griglie di sapere che si costituiscono e si impongono a seguito di nuove scoperte scientifiche, di eventi, sostituendosi alla griglia precedente e producendo cambiamenti politici, economici, sociali. Il rapporto tra sapere e potere è indissolubile per Foucault, è dialettico, sapere e potere si tengono, e divenendo il primo ‘principio di verità’ diviene una pratica di potere.
Parte della scienza medica, tra cui Crisanti, sapeva come gestire l’epidemia da coronavirus. Ma nell’insieme si è divisa, dando indicazioni opposte, e sul Covid-19 ancora regna l’ignoto: gli asintomatici lo trasmettono? Per quanto tempo? Sono possibili ricadute? L’aria è un veicolo di diffusione? Dovremmo indossare tutti mascherine? È dal positivismo ottocentesco che in Occidente siamo culturalmente strutturati ad affidarci alla scienza, alle sue scoperte, alla sua capacità di dare risposte razionali. Ma davanti a questo nuovo virus la scienza medica sta navigando a vista, e anche questo ha disorientato i cittadini.
Su questa destabilizzazione, che tocca paure ancestrali come lo sono la malattia e la morte, il potere politico sta mettendo in atto uno spostamento: la verità e la salvezza, che la medicina non sta fornendo, ci saranno consegnate dalla tecnologia digitale. Questa epidemia rappresenta un salto storico, una frattura: la scienza fornirà il vaccino ma nel frattempo la tecnologia proteggerà la nostra salute, diventerà un principio di verità che sarà una nuova pratica di potere. La sorveglianza sulla vita di ogni singolo cittadino diventerà totale, disegnando una nuova società del controllo; per il nostro bene acquisiremo nuove abitudini e perderemo l’idea stessa di privacy, che è molto più della dimensione privata: è la relazione di potere tra individuo, Stato e mercato. Non resterà l’emergenza, cambierà la normalità.
Il Principe
Il Principe di Machiavelli è divenuto in parte un documento storico, essendo stato superato dall’evolversi dei regimi e delle istituzioni politiche, ma non ha perso di attualità nell’analisi della figura dell’uomo politico, del profilo di colui, oggi non più singolo principe ma classe dirigente, che ha il compito di governare un Paese, prefiggendosi una strategia, e dunque mettendo in campo tattiche. Machiavelli mette subito in chiaro la sua impostazione: lui va alla “verità effettuale della cosa” e non “alla immaginazione di essa”, perché ciò gli pare più conveniente nella sua analisi: diremmo oggi che non si ferma alla narrazione dell’etica ufficiale ma va alla reale natura del potere politico, perché “molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti in vero essere, perché gli è tanto discosto da come si vive a come si doverebbe vivere”.
Per conquistare e mantenere la guida di uno Stato, questo l’obiettivo del principe a cui Machiavelli vuole dare il suo contributo di riflessione, il politico “non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizi, sanza e’ quali possa difficilmente salvare lo Stato”: virtù e vizi, bene e male, l’ambito morale insomma, ha nulla a che vedere con la pratica politica. Ancora, l’uomo politico deve saper usare di leggi e di forza, “quel primo è proprio dell’uomo, quel secondo, delle bestie”: il principe deve “sapere usare l’una e l’altra natura” e della seconda deve prendere la volpe, perché astuta, e il leone, perché forte. “Ma è necessario” sottolinea infine Machiavelli, “questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare”.
Operando una rapida deviazione di percorso dal tema qui affrontato, un recente fatto diviene emblematico di quanto sia attuale Machiavelli. A domanda di una giornalista: “È legale, secondo la legge europea, sparare proiettili di gomma contro i richiedenti asilo?”, azione compiuta dalle forze dell’ordine elleniche sul confine con la Turchia, il portavoce della Commissione europea Eric Mamer, il 6 marzo scorso, risponde: “Direi che non si può fare una domanda teorica come questa, tutto dipende dalle circostanze, e sono le autorità greche che nel loro compito di difendere i confini decidono il modo migliore per raggiungere il loro obiettivo”. Il potere, che impone una morale ai cittadini e anche su quella fa leva per disciplinarli (il ‘bene pubblico’, la ‘società civile’), è per sua natura amorale: la scelta di come agire “dipende dalle circostanze” e utilizza ciò che considera “il modo migliore per raggiungere l’obiettivo”, che per il Principe è uno e uno soltanto: salvare lo Stato.
Mamer ci ha consegnato uno squarcio di verità, un momento di etica non ufficiale – gli uomini non sono macchine e sotto pressione capita che perdano il controllo su ciò che si può dire e ciò che, convenientemente, non si può –; ma è qualcosa che ogni cittadino sa, se si ferma a riflettere. Il potere politico, di ogni colore, sta operando contro il benessere della popolazione da decenni: ha smantellato la sanità, reso precario il lavoro, consentito salari sotto il livello di sussistenza, tagliato le pensioni, distrutto la scuola pubblica. Da decenni gestisce la povertà invece di combattere le cause sistemiche che la creano, e contribuisce attivamente a sostenere una struttura economica capitalistica che genera sempre più disuguaglianza.
Oggi il potere politico ci dice che tutte le pratiche che ha attuato, sta attuando e attuerà, hanno come obiettivo quello di “salvare vite”. Ma se usciamo dalla narrazione e andiamo alla “verità effettuale della cosa”, vediamo che ha utilizzato legge (punitiva) e forza (disciplinare), capacità simulatorie (la negazione delle proprie colpe e responsabilità) e dissimulatorie (ha chiamato “trasparenza” l’instillazione di una quotidiana paura utile a ottenere un maggiore rispetto della disciplina).
Resta un punto: l’applicazione violenta dei meccanismi di legge e di disciplina a compensare dispositivi di sicurezza non attuati, la colpevolizzazione dei cittadini, la creazione del capro espiatorio dell’untore, rispondono almeno alla strategia di “salvare vite” o sono tattiche dovute alle circostanze e volte al solo e unico obiettivo del Principe, ossia salvare lo Stato? Quel che gli avvenimenti e la cronologia ci consegnano, è che quando ha capito la dimensione del problema, che i morti potevano essere migliaia e non centinaia, che il sistema sanitario rischiava il collasso – e in Lombardia di fatto è collassato, lo dimostrano i decessi avvenuti in casa, chissà se la “trasparenza” ci consegnerà mai questi numeri reali – il potere politico ha iniziato a temere per se stesso. È divenuto violento nelle pratiche e, insieme, ha schierato l’esercito.
Il 9 marzo è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la legge 13/2020: si tratta del decreto legge 6/2020 del 23 febbraio, convertito in legge dal passaggio parlamentare il 5 marzo, durante il quale il Parlamento ha rafforzato il comma (art. 3, comma 5) relativo all’utilizzo dell’esercito: “Al personale delle forze armate impiegato, previo provvedimento del prefetto competente, per assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”. Previa autorizzazione prefettizia quindi, che si inserisce nella linea di comando del ministero dell’Interno, i soldati possono avere gli stessi poteri delle forze di polizia, tra cui l’arresto nel caso di disordini pubblici. L’esercito è stato schierato in strada non per sanzionare il singolo runner indisciplinato o chi esce di casa per ragioni non “necessarie” – a questo possono pensare gli abbondanti poliziotti e carabinieri –; è lì per il pericolo segnalato dal rapporto dei servizi segreti, per il rischio di ribellioni legate alla carenza di assistenza sanitaria, per la paura di assalti ai supermercati da parte di cittadini che rimasti senza denaro non possono più comprare il cibo. È lì per mantenere l’ordine pubblico nel caso la situazione, a lungo andare, precipiti, portando con sé non tanto la caduta del governo Conte ma la messa in discussione di tutte le istituzioni politiche di questo Paese, che non hanno tutelato la vita dei cittadini – anche procrastinando la chiusura delle attività produttive. L’esercito è lì, direbbe Machiavelli, per salvare lo Stato, non curandosi il principe “di incorrere nella infamia di quelli vizi, sanza e’ quali possa difficilmente salvarlo”; è lì per usare della bestia.
Perché è vero che gli uomini sono semplici e si lasciano ingannare, e abbiamo visto fino a ora quanto lo siano, ma quando si tocca la morte e la fame, è quando storicamente il potere ha dovuto usare la forza della repressione visibile, nelle strade, per proteggersi e autoconservarsi. In questo senso è corretto parlare di potere politico e non solo di governo: perché il decreto è stato rafforzato nell’utilizzo dell’esercito dal Parlamento, perché non si è alzata una sola voce politica a denunciare l’uso violento delle pratiche di legge e disciplinatorie né a sottrarsi alla campagna di paura, alla colpevolizzazione dei cittadini, alla creazione del capro espiatorio dell’untore.
Nulla sarà più come prima. Non la socialità, non la modalità lavorativa, non il rapporto del cittadino con il potere. Lo spirito di adattamento è una delle capacità migliori e peggiori dell’Uomo: migliore quando si trova davanti a qualcosa che non è in suo potere modificare, peggiore quando vi si rintana per paura di combattere. L’abitudine fa il resto, e la variabile del tempo è fondamentale: già ora, a un mese, nel momento in cui si scrive, di vita in lockdown, occorre compiere uno sforzo razionale di memoria per ricordare come era prima: com’è uscire di casa perché si ha voglia di farlo, com’è una città occupata dai suoi cittadini e non dalle forze dell’ordine, com’è bersi una birra con gli amici in un pub, com’è manifestare in piazza il proprio dissenso, in una vicinanza e unione di corpi che è forza collettiva.
Il potere lo sa, e sull’elemento tempo agisce affinché la disciplina imposta venga introiettata da ogni singolo divenendo autodisciplina. Riaprirà fabbriche e uffici, torneremo a lavorare – contenti di farlo perché non ci sono né soldi né risparmi a cui attingere – ma ora il senso e il legame collettivo è spezzato. Non per colpa del coronavirus ma per come è stato gestito l’evento epidemia. E non c’è nulla, in questa gestione, che il potere politico abbia attuato senza la consapevolezza di ciò che stava facendo, incidendo sul singolo corpo, fisico, psicologico e intellettuale, e sul corpo sociale, disegnando un nuovo futuro. Ma sempre, accettarlo o rifiutarlo, dipende da noi.
1) F. Martini, Virus, allarme degli 007 al Sud. “Rischio rivolte se si propaga”, La Stampa, 26 marzo 2020. Notizia riportata anche da V. di Giacomo su Il Mattino il giorno successivo, Avviso a Conte degli 007, “Sommerso e mafie, pericolo rivolte nel Sud”, con ulteriori dettagli
2) C. Brunetto e F. Patané, Coronavirus, Biagio Conte: “Allarme povertà in città”. Lidl preso d’assalto da un gruppo di indigenti, Repubblica ed. Palermo, 26 marzo 2020
3) È del 21 febbraio la prima ordinanza, del ministero della Salute, che individua una “zona rossa” in 11 comuni della Lombardia, del 23 febbraio il decreto legge che dà le prime disposizioni di contenimento, del 25 febbraio il Dpcm che istituisce una “zona gialla” in sei regioni del Nord Italia, dell’8 marzo il Dpcm che estende una serie di restrizioni a tutta Italia e del giorno successivo, 9 marzo, il Dpcm che applica all’intero Paese le limitazioni di movimento individuali
4) Corso al Collège de France tenuto da Michel Foucault nel 1978, pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2005
5) Chiara D’Ambros, Crisanti: “Epidemia di coronavirus in Italia? Numeri inesatti. Male contenimento e monitoraggio di positivi’’, globalist.it, 22 marzo 2020
6) Accertato il fatto che è possibile contrarre il virus ed essere asintomatici, il numero dei contagiati assume un significato solo nel caso venga effettuato il tampone a tutta la popolazione; in merito al numero dei decessi, già il 22 marzo il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ha denunciato un ‘sommerso’ di persone decedute, soprattutto nelle Rsa ma anche nella loro abitazione, che non emerge dai dati ufficiali