Dietro l’atto che potrebbe mettere fine alla storica impunità di Israele, i timori della crisi che avrebbe investito la legittimità del Diritto Internazionale Umanitario e della Corte penale internazionale
Il 20 maggio scorso il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) Karim Khan, richiede mandati di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi sul territorio di Israele e nella Striscia di Gaza a partire dal 7 ottobre 2023; li richiede per tre figure di Hamas – Yahya Sinwar (capo del Movimento Hamas), Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri più comunemente noto come Deif (comandante in capo dell’ala militare di Hamas, le Brigate Al-Qassam) e Ismail Haniyeh (capo dell’ufficio politico di Hamas) – e per due esponenti del governo israeliano – il Primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant. A destare scalpore non sono le prime tre richieste bensì le ultime due: la CPI si è infatti fino a oggi contraddistinta per aver ignorato gli atti compiuti dai Paesi occidentali – su tutti, il caso degli Stati Uniti nella guerra in Afghanistan e quello della Gran Bretagna in Iraq, entrambi archiviati con un nulla di fatto. L’azione contro due politici israeliani segna dunque una cesura storica, sia per lo Stato di Israele che per la comunità internazionale. Non si può tuttavia tacere che ci sono voluti 37.000 morti palestinesi, il blocco degli aiuti umanitari imposto ai valichi di Gaza, e la conseguente diffusione di una “catastrofe alimentare” con concreto rischio di carestia (parole dell’ONU), perché la CPI cogliesse la portata della crisi istituzionale che l’avrebbe investita se non avesse sollevato alcuna imputazione. Karim Khan chiude infatti la sua dichiarazione sulla richiesta dei mandati di arresto – che qui pubblichiamo, con traduzione a cura di Paginauno, solo per la parte relativa a Netanyahu e Gallant (qui la dichiarazione completa relativa anche a Sinwar, Deif e Haniyeh https://www.icc-cpi.int/news/statement-icc-prosecutor-karim-aa-khan-kc-applications-arrest-warrants-situation-state) – affermando: “Cerchiamo oggi di essere chiari su una questione fondamentale: se non dimostriamo la nostra volontà di applicare la legge in modo equo, se viene vista come applicata in modo selettivo, creeremo le condizioni per il suo crollo. […] Questo è il vero rischio che corriamo in questo momento. Ora più che mai dobbiamo dimostrare collettivamente che il Diritto Internazionale Umanitario, la base fondamentale della condotta umana durante i conflitti, si applica a tutti gli individui […]”. Da decenni infatti Israele gode di un’impunità ufficiosa quanto effettiva: sono centinaia le risoluzioni ONU, tra Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza, disattese da Israele a partire dal 1948 e più volte richiamate e ribadite dall’Onu stessa. L’elenco completo può essere trovato sul sito ONU qui https://www.un.org/unispal/data-collection/general-assembly/ e qui https://www.un.org/unispal/data-collection/security-council/. Tra le più note la 194 del 1948, che dopo la guerra arabo-israeliana sanciva il diritto dei profughi palestinesi al ritorno e alla restituzione; la 242 del 1967, che dopo la guerra dei 6 giorni chiedeva a Israele di ritirarsi dai territori occupati durante il conflitto; la 3236 del 1974, che riaffermava i diritti inalienabili del popolo palestinese all’autodeterminazione, all’indipendenza e alla sovranità nazionale; la 465 del 1980, che condannava la politica israeliana di colonizzazione dei territori occupati, chiedeva la cessazione della pianificazione di nuovi insediamenti e lo smantellamento di quelli esistenti; la 497 del 1981, che dichiarava nulla l’annessione israeliana delle Alture del Golan; la ES-10/13 del 2003, che condannava la costruzione da parte di Israele del Muro in Cisgiordania che inglobava colonie israeliane e pozzi d’acqua. E infinite altre che deplorano il rifiuto israeliano di cooperare con l’ONU, condannano la deportazione dei palestinesi e le pratiche israeliane che negano i diritti umani dei palestinesi, e ingiungono a Israele di applicare misure che prevengano atti illegali di violenza da parte dei coloni israeliani. Vedremo come avanzerà il procedimento della CPI, se l’ufficiosa impunità di Israele è davvero giunta al suo termine.
Dichiarazione del procuratore della CPI Karim Khan sulla richiesta di mandati d’arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant
Sulla base delle prove raccolte ed esaminate dal mio Ufficio, ho ragionevoli motivi per ritenere che Benjamin Netanyahu, il Primo ministro israeliano, e Yoav Gallant, il ministro della Difesa israeliano, siano responsabili penalmente dei seguenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi sul territorio dello Stato di Palestina (nella Striscia di Gaza) almeno dall’8 ottobre 2023:
- La fame dei civili come metodo di guerra come crimine di guerra contrario all’articolo 8(2)(b)(xxv) dello Statuto;
- Causare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute contrari all’articolo 8(2)(a)(iii), o trattamenti crudeli come crimine di guerra contrario all’articolo 8(2)(c)(i);
- Omicidio intenzionale contrario all’articolo 8(2)(a)(i), o omicidio come crimine di guerra contrario all’articolo 8(2)(c)(i);
- Dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile come crimine di guerra contrario agli articoli 8(2)(b)(i), o 8(2)(e)(i);
- Sterminio e/o omicidio contrario agli articoli 7(1)(b) e 7(1)(a), anche nel contesto di morti per fame, come crimine contro l’umanità;
- Persecuzione come crimine contro l’umanità contrario all’articolo 7, paragrafo 1, lettera h;
- Altri atti disumani che costituiscono crimini contro l’umanità contrari all’articolo 7, paragrafo 1, lettera k.
Il mio Ufficio sostiene che i crimini di guerra presunti in queste richieste sono stati commessi nel contesto di un conflitto armato internazionale tra Israele e Palestina e di un conflitto armato non internazionale tra Israele e Hamas (insieme ad altri gruppi armati palestinesi), che si svolgeva in parallelo…
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