What is Left/What is Right: De Benoist e la povertà intellettuale di una sinistra che ricorre alla censura
Doveva essere una serata dedicata al confronto culturale e politico, ma le ragioni elettorali sono prevalse. Il protagonista della vicenda è noto ai lettori di Paginauno, ovvero il filosofo e teorico della nouvelle droite Alain de Benoist, invitato dalla Fondazione Feltrinelli il 13 febbraio scorso per un dibattito con lo studioso Piero Ignazi, politologo bolognese autore di diversi studi sulla cultura e la politica di destra, e la moderazione affidata al giornalista Gad Lerner. L’evento è stato invece cancellato – per essere riproposto successivamente – a seguito delle proteste di alcuni accademici schierati a sinistra, che hanno reputato sbagliata la scelta di far parlare un intellettuale da loro considerato “neofascista”.
Il dibattito, parte di una serie di conferenze indette dalla Fondazione dal tema What is Left/What is Right, nato con l’intento accademico di “comprendere e definire il futuro di sinistra e destra nel XXI secolo”, come riporta il sito della Fondazione stessa, era stato preceduto il 30 gennaio con l’invito, compartecipi le stesse personalità – Ignazi e Lerner – di Florian Philippot, europarlamentare francese eletto nelle file del Front national, ex direttore della campagna elettorale di Marine Le Pen, fra i fautori della dédiabolisation del partito populista francese e, dopo la rottura con la casa madre – per una storia di conflitti d’interesse – animatore del movimento Les Patriotes, che lo stesso Philippot definisce ai microfoni della Fondazione come “non identitario, non nazionalista e profondamente repubblicano”, anche se propone un forte controllo dell’immigrazione e ha come obiettivo la Frexit, cioè la rottura della Francia con l’Unione europea e i suoi diktat.
È bastato fare il nome di Philippot per scatenare reazioni. Come dirà poi Lerner nell’introdurre il dibattito, la casella email della Fondazione è stata letteralmente bombardata da lettere di protesta di cittadini che criticavano la presenza di un “fascista” in quello che è notoriamente un centro di ricerca connotato a sinistra, visto il corposo archivio del movimento operaio e dei partiti socialisti, comunisti e della sinistra extraparlamentare. È sembrato che la Fondazione avesse dato troppo spazio a due figure di destra a scapito della sinistra, senza alcun contraddittorio; cosa non esatta.
Le prime polemiche contro Philippot sono poi esplose contro Alain de Benoist. L’evento del 13 febbraio infatti, dopo i fatti di Macerata e a poche settimane dalle elezioni politiche del 4 marzo, nel bel mezzo di una campagna elettorale che è stata connotata anche, spesso strumentalmente, dallo scontro fascismo/antifascismo, viene quindi cancellato per non lasciare spazio di tribuna all’uomo simbolo della destra culturale anti-globalista francese. La lettera degli studiosi antifascisti, partita da una raccolta firme apparsa su change.org e ripresa dal blog collettivo Lavoro Culturale e dalla sezione blog di Mediapart, giornale online di informazione indipendente, porta il titolo polemico What has been left?, ovvero: “Cos’è stata la sinistra?”.
Il verbo, volutamente al passato, accusa la Fondazione: “Vi impegnate per democrazia e antifascismo, ma siamo indignati per la vostra cecità politica. Fare parlare due esponenti dell’estrema destra aggiunge solo altra confusione e legittima la loro strategia di de-demonizzazione”. “Anche noi facciamo ricerca”, spiegano gli accademici, “e proprio in virtù dei nostri lavori, non possiamo che essere indignate e indignati dalla vostra cecità politica”. “Proprio perché studiamo l’estrema destra siamo sorprese e sorpresi nel vedere che la vostra Fondazione, di cui apprezziamo l’impegno per la democrazia e l’antifascismo, ha invitato due noti rappresentanti dell’estrema destra francese, quali Alain de Benoist e Florian Philippot, a intervenire in un ciclo di conferenze su cosa significhi destra e sinistra.
Un ciclo di conferenze inserito, peraltro, all’interno di un percorso ideato perché gli elettori si orientino in vista delle elezioni politiche del 4 marzo”. Secondo gli studiosi, “ad accomunare attori molto diversi come de Benoist e Philippot è il ‘nativismo’, una visione del mondo secondo la quale gli Stati dovrebbero essere abitati solo da ‘nativi’ e, dunque, ogni persona (o idea) diversa sarebbe problematica per la sopravvivenza delle comunità nazionali. Una visione così omogenea ed escludente della società è in contraddizione con il pluralismo che caratterizza la democrazia”.
Inoltre, “le ricerche scientifiche sul Front national mostrano come la de-demonizzazione del partito guidato oggi da Marine Le Pen sia una strategia di comunicazione politica, non un lavoro di rottura ideologica rispetto alle posizioni di Jean-Marie Le Pen. Fare intervenire Philippot significa chiaramente contribuire, anche involontariamente, a questa strategia di normalizzazione. Neanche la nuova formazione di Philippot, Les Patriotes, si allontana da questo ragionamento, come chiaramente dimostrato nell’articolo a sua firma pubblicato sul vostro sito. Sostituire, infatti, la dicotomia politica tra destra e sinistra con un lessico che vede contrapposti ‘patrioti’ e ‘mondialisti’ ne è esempio emblematico: Ni droite, ni gauche: Français! è stato a lungo uno slogan di Jean-Marie Le Pen e Samuel Maréchal” (1).
Messa così sembra che la Fondazione si sia limitata a dare il microfono ai due personaggi, senza contraddittorio, mentre a entrambi i dibattiti era prevista la presenza di Gad Lerner, da sempre vicino alla sinistra liberal e autore di un endorsement a favore di +Europa, una delle formazioni maggiormente europeiste e neoliberiste tra quelle che si sono presentate alle ultime elezioni, e con de Benoist doveva dialogare anche il prof. Piero Ignazi, studioso dei movimenti di estrema destra e certamente non di simpatie destrorse.
Inoltre, a guardare il calendario degli incontri, la Fondazione ha dato spazio a personalità di un certo spessore ascrivibili alla sinistra, come Paul Mason, giornalista economico inglese, scrittore e autore del saggio Postcapitalismo, intellettuale di riferimento del nuovo Labour Party di Jeremy Corbyn, restauratore di una linea socialista nello storico partito della sinistra inglese e critico verso la degenerazione liberal e mercatista impressa precedentemente da Tony Blair, e Yanis Varoufakis, economista ed ex ministro delle finanze greco del governo Tsipras, in un confronto con l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
In una lettera, il segretario generale della Fondazione ha risposto agli accademici sottolineando che “fa parte dello scopo che abbiamo dato alla nostra istituzione, e in realtà appartiene a pieno titolo alla nostra cultura, la promozione di un confronto plurale e la creazione di uno spazio che non assecondi una tesi ma si impegni nella promozione della conoscenza e dell’informazione utili per promuovere capacità critica. Rispettiamo la vostra posizione ma riteniamo che la peculiarità del nostro ruolo, in Italia e in Europa, sia proprio quello di contribuire a fondare la società del futuro, da una parte esaltando le radici dell’antifascismo, che trovano ampio spazio nei nostri archivi e nelle nostre ricerche, ma dall’altra anche promuovendo l’incontro di opinioni diverse e l’ascolto delle ragioni degli avversari, che di un contesto propriamente democratico sono il fondamento” (2).
“Non avevo alcuna intenzione di immischiarmi nella campagna elettorale italiana”, ha ribattuto Alain de Benoist all’email della Fondazione Feltrinelli. “Mi sembra che lei abbia ceduto alle pressioni della piccola bolla che fomenta l’odio che vi ha indirizzato una grottesca ‘lettera aperta’ e intimato di non darmi la parola. Peccato”. “Non ho chiesto di essere invitato a questa conferenza. La Fondazione Feltrinelli mi ha contattato la scorsa estate per invitarmi. Mi dissero che volevano organizzare un ciclo di conferenze sulla questione Destra-Sinistra. Era l’argomento di uno dei miei ultimi libri, che è anche stato tradotto in italiano: Populismo. La fine della destra e della sinistra (Arianna, Bologna, 2017).
“Ho accettato l’invito, che poi è stato confermato più volte lo scorso gennaio. Pochi giorni fa, ho sentito parlare di una ‘lettera aperta’ alla Fondazione Feltrinelli nella quale si diceva, per ragioni non chiare, che questo invito era in qualche modo scandaloso e si chiedeva di cancellare l’annunciata discussione. Questa lettera è stata firmata da italiani di cui non ho mai sentito parlare e da quattro o cinque studiosi francesi completamente sconosciuti, a eccezione di Eric Fassin, un sostenitore estremista dell’ideologia gender, lo stesso Eric Fassin che qualche mese fa aveva dibattuto con me abbastanza normalmente alla radio pubblica France-Culture”.
“Secondo me (la proposta di censura, n.d.a.) non è solo incredibilmente intollerante e pieno di odio, ma anche estremamente stupido. Prova ad attribuirmi tesi che non sono mai state le mie, e prova a stabilire una connessione tra me e Florian Philippot, che non ho mai incontrato una sola volta in tutta la mia vita (in 45 anni inoltre non ho mai votato per il Front national)” (3).
Secondo il teorico della nouvelle droite, i firmatari dell’appello non hanno mai veramente letto nulla dei suoi testi, fermandosi forse ai primi saggi, scritti nei tardi anni Sessanta, quando, di fatto, de Benoist era legato alla destra radicale francese. Ma come veniva ribadito in un’intervista rilasciata a Michel Marmin e pubblicata nel 1985 su Eléments, l’organo del Grece, il Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne, l’associazione che elabora in Francia il discorso metapolitico della nouvelle droite, ogni approccio pertinente lo studio di tale corrente filosofica – come di tutti i pensieri – esige assolutamente una periodizzazione, dato che considerare tutti i lavori a essa riconducibili come “‘contemporanei’ […] rende il fenomeno letteralmente incomprensibile” (4).
È ciò che è stato fatto in questa rubrica dal dicembre 2012, quando è nata, e nel mio saggio uscito per i tipi di Paginauno nel 2014, La Nuova destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist, e non certo per promuovere il pensiero della nouvelle droite, superfluo dirlo, ma perché un dibattito politico e culturale si basa sulla conoscenza e sul confronto delle visioni contrapposte.
Oltretutto, si toglie il microfono a de Benoist – per poi ridarglielo il 6 aprile, dopo le elezioni, sempre accanto al prof. Ignazi e a Gad Lerner – ma, come evidenzia Stefano G. Azzarà nel blog Materialismo Storico, non lo si sottrae alla sinistra liberale: “I firmatari si indignano per la presenza alla Fondazione Feltrinelli di de Benoist e Philippot. Ma cosa avrebbero e hanno avuto da dire a proposito dei numerosi incontri ai quali la medesima Fondazione ha invitato esponenti liberal statunitensi o europei, personaggi che hanno sostenuto e sostengono quel progetto di ricolonizzazione del mondo che passa per le infinite guerre Nato e Usa degli ultimi decenni? Sono autori e professori che rappresentano una destra diversa, perché universalista-immediatista, ma certamente non meno pericolosa di quella particolarista, comunitarista o eurasiatista; anzi in questa fase forse più pericolosa perché assai più efficace.
Eppure, nessuno ha mai protestato per la loro presenza in Italia, forse in omaggio a quel defunto paradigma unitario antifascista che però proprio i liberali hanno per primi revisionato e al quale occorrerebbe oggi contrapporre un autonomo revisionismo di sinistra. È giusto allora criticare de Benoist e al limite – in caso di stato d’eccezione – anche impedirne le conferenze. Ma solo se hai già contestato e cacciato, per dire, Berman o Walzer.
Questa sarebbe vera lotta culturale: altrimenti siamo al consueto facile sguardo occidentocentrico che rimuove la sorte di tutti coloro che non risiedono o non sbarcano sul Sacro Suolo delle Libertà. A parte alcuni nomi, sembra la tipica operazione della polizia morale a convenienza degli intellettuali ‘di sinistra’, con in prima fila i veri rossobruni del Manifesto (diritti civili + bombe Nato) impegnati nella loro eterna polemica contro i rozzobruni” (5).
Fermo restando infatti che il comunitarismo debenoistiano, pur non essendo più “nativista” – accusa alla nouvelle droite che poteva reggere negli anni Settanta – ha nell’attuale “differenzialismo” il rischio concreto di promuovere esclusione e separatismo fra allogeni e autoctoni, dall’altra parte l’universalismo, forte nell’attuale sinistra, porta avanti un processo di uniformizzazione economica e culturale in senso capitalista e liberale. Entrambe le posizioni, da un punto di vista culturale, sono figlie della crisi del 1989, della fine delle ‘grandi narrazioni’, della filosofia postmoderna, della “modernità liquida” di Zygmunt Bauman, della forma-mentis della “perenne contemporaneità”.
Secondo Azzarà, la categoria del postmoderno ha accompagnato, negli ultimi lustri, una “sconfitta organica di sistema che va dal politico all’economico sino all’immaginario”. Una sconfitta che ha coinvolto persino il linguaggio, come mostra la trasformazione “di due termini centrali del nostro lessico politico, quali quello di ‘democrazia’ (svuotata di ogni contenuto economico-sociale egualitario e di ogni riferimento alla partecipazione attiva dei gruppi sociali e ridotta a un formalistico rito elettorale) o di ‘riforme’ (un termine che significa oggi l’esatto opposto di ciò che significava in origine e cioè non redistribuzione ma accentramento delle risorse a esclusivo favore dei ceti dominanti)” (6).
È quella che i politologi liberali dei primi anni Novanta, come Francis Fukuyama, hanno descritto come The End of History, la fine della storia, che approdata al suo fine, il trionfo del pensiero liberale sulle altre grandi narrazioni, sia quella fascista che la comunista, perde ogni altra finalità. In risposta però si sviluppano nuove dicotomie, nuove conflittualità, nuove narrazioni. Ed è così che a destra abbiamo le “nuove sintesi” elaborate dalla nouvelle droite (Marco Revelli, in uno studio sul neodestrismo del 1984, compara lo sviluppo di tale scuola in Francia e in Italia in corrispondenza con la crisi della rappresentanza e lo sviluppo del postfordismo) (7), che non rinnegano le vecchie idee moderne ma tengono testa a quella postmoderna, animando una contro-narrazione che ha l’obiettivo di diventare egemonica.
Il problema è che di fatto, al momento, l’obiettivo l’ha raggiunto, perché al contrario la sinistra mainstream – diversa è la realtà della rete, dove circola un’elaborazione teorica – non rappresenta da tempo una posizione critica rispetto al presente, e infatti non è in grado politicamente e culturalmente di contrastare una destra populista e reazionaria oggi capace di penetrare fra i ceti popolari, come hanno dimostrato anche in Italia le ultime elezioni. E non è certo rifiutando di confrontarsi con de Benoist e le sue posizioni su sovranità, democrazia, multipolarismo, geopolitica, immigrazione, sociobiologia… che l’intellighenzia di sinistra riuscirà a sviluppare nuovamente un pensiero che possa dare una risposta alla deriva neoliberista e alla crescita delle disuguaglianze prodotta dai processi di globalizzazione del Capitale; un pensiero che sia di sinistra, e non liberale, né di destra.
1) What has been left? Lettera aperta alla Fondazione Feltrinelli, in https://www.change.org/p/what-has-been-left-lettera-aperta-alla-fondazione-feltrinelli
2) S. Cafasso, Fondazione Feltrinelli chiude all’ideologo della nouvelle droite, Lettera 43, 5 febbraio 2018
3) M. Scaglia, Le idee fanno paura. Alain de Benoist al Foglio: “La Fondazione Feltrinelli ha ceduto a chi fomenta l’odio”, Barbadillo, 8 febbraio 2018
4) M. Marmin, Vers nouvelle convergences. Entratien avec Alain de Benoist, in Elément n. 56, inverno 1985
5) S. G. Azzarà, De Benoist, Walzer, gli intellettuali di sinistra e la lotta culturale: un appello sbagliato e un contro-appello che non lo è di meno, Materialismo storico, 10 febbraio 2018
6) S. G. Azzarà, Democrazia cercasi, Imprimatur 2014, p. 301
7) Cfr. M. Revelli, “La nuova destra”, in F. Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Feltrinelli, 1984, pp. 118-214 e D. Cofrancesco, “La nuova destra dinanzi al fascismo”, in Aa.Vv., Nuova Destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta, Istituto storico della Resistenza, Cuneo 1983, pp. 75-113