‘Disforia di genere’: i bambini sono il nuovo mercato: transizioni in età pre-adolescenziale, tra profitti delle case farmaceutiche e delle ‘cliniche di genere’ e pericoloso intento di normalizzazione della diversità
Aggiornamento 2 dicembre 2020. Bloccanti ormonali per avviare la transizione di genere in età adolescenziale: d’ora in poi in Gran Bretagna dovrebbero essere somministrati unicamente con l’ok del Tribunale. È la prima ricaduta della sentenza dell’Alta Corte sul caso Keira Bell versus Nhs, il Servizio sanitario nazionale britannico. A 16 anni Keira Bell è stata paziente della Tavistock Clinic di Londra, specializzata in transizioni di minori. Dopo una diagnosi di disforia di genere le sono stati somministrati bloccanti della pubertà, trattamento al quale sono seguiti doppia mastectomia e ormoni cross-sex (testosterone). “Ero schiava delle mie emozioni” racconta, “non avevo bisogno di chirurgia o di farmaci, ma solo di sapere che andavo bene così com’ero… Non c’era niente di sbagliato nel mio corpo”. Keira ha realizzato di essere semplicemente lesbica. In meno di un decennio in Gran Bretagna casi tra i minori e soprattutto tra le minori, che costituiscono il 76%, sono aumentati a dismisura (da un centinaio a 2.500). Keira si è rivolta al tribunale e l’Alta Corte ha stabilito che «è enormemente difficile per un minore capire e soppesare le conseguenze a breve e a lungo termine del trattamento e decidere se dare il suo consenso all’uso di bloccanti ormonali. C’è da dubitare che un bambino di 14 o 15 anni possa capire… Date le conseguenze a lungo termine degli interventi clinici nel caso in questione, ed essendo il trattamento del tutto nuovo e sperimentale, riconosciamo il fatto che in casi come questi i medici dovrebbero richiedere l’autorizzazione del Tribunale prima di intraprendere il trattamento». (da Avvenire, Marina Terragni)
La notizia è che il 29 marzo scorso l’Agenzia italiana per il farmaco (Aifa) ha approvato la prescrizione medica della triptorelina fuori indicazione, cioè prescritta in modo non conforme alle indicazioni per cui precedentemente era stata autorizzata. Qual è il nuovo uso di questo farmaco antitumorale? La “cura dei disturbi dell’identità di genere” – tutto tra virgolette perché non si tratta di una cura ma di una pesante interferenza con i meccanismi fisiologici. Si suppone che esista una cosa come l’identità di genere, mentre ‘genere’, almeno per noi sociologi, significa i ruoli sociali riservati a maschi e a femmine, sui quali possiamo non essere d’accordo senza che ci venga diagnosticato un disturbo di identità.
Il genere è la distinzione tra ciò che è socialmente considerato maschile e ciò che socialmente consideriamo femminile – al contrario del sesso che è biologicamente determinato ed è la base dell’attribuzione di un genere. I medici invece fanno confusione tra sesso e genere scrivendo: “L’identità di genere è la specifica dimensione dell’identità individuale legata alla percezione soggettiva della propria mascolinità/ femminilità, ossia il genere a cui una persona si sente di appartenere. Solitamente i bambini consolidano la propria identità di genere verso i 3-4 anni (‘sono un maschio e lo sarò per sempre’, ‘sono una bambina e da grande diventerò una donna’)” (1). Questo però dovrebbe essere chiamata “identità di sesso”.
La questione grave e fondamentale è che i fautori (2) di questa novità vogliono trattare non gli adulti, ma i bambini e gli adolescenti che presentano la cosiddetta “disforia di genere”. Scrivono questi esperti: “Cosa fare quando un bambino si sente femminuccia e vuole giocare con le bambole? O se una bambina si sente un maschio e non vuole mai indossare un vestitino?” (3) La risposta finora è stata: niente!
Per lo meno niente da parte dei medici, perché certo, i rapporti con i genitori e i compagni di scuola e di giochi rischiano di non essere facili, ma solitamente, e sempre di più nell’attuale clima di maggiore accettazione sociale di quello che ancora Pier Paolo Pasolini chiamava “inversione”, né gli uni né gli altri se ne preoccupano più di tanto. A meno che non ci sia qualche psicologo della scuola, qualche pediatra, qualche medico di famiglia che sono stati ai convegni pro-farmaci e si sono convinti della necessità di intervenire, avendo magari anche letto l’articolo su Medico e bambino che così li istruisce: “Anche se i bambini e gli adolescenti con disforia di genere sono rari, possono rappresentare un dilemma per i professionisti sanitari che vengono interpellati. Ritardare il trattamento fino all’età adulta o anche fino alla tarda adolescenza può avere conseguenze psicologiche negative (malattie psichiatriche, comportamenti autolesionistici, suicidi) e pertanto non trattare gli adolescenti con disforia di genere non rappresenta un’opzione neutrale” (4).
Prima cosa: questi ‘casi’ non sono affatto rari: a un incontro di ArciLesbica su “Quando dico lesbica…” (Milano, 24 aprile 2018) due delle donne intervenute hanno raccontato che da piccole desideravano fortemente essere maschi (cosa successa sicuramente anche ad altre presenti), ed è qualcosa a cui non sfuggono neanche le donne eterosessuali, per tante ragioni. In famiglia fin da bambini quasi sempre ci si rende conto che il genere maschile gode e godrà di privilegi – uscire più liberamente, evitare i lavori domestici, vestire abiti comodi, sottrarsi al destino di preda sessuale – quindi perché non volerli per sé (5)?
E quanto poco ci vuole perché un ragazzo sia etichettato come ‘effeminato’, ‘frocio’, deviante insomma? Non si vuole qui negare la legittimità della transizione, cioè del cambiamento sociale di sesso per chi sente che è il suo migliore destino, ma questo genere di disturbo nel rapporto con il proprio corpo che porta a preferire interventi chirurgici e assunzione di ormoni vita natural durante è davvero molto raro. Ha senso poi fare una transizione solo in età adulta, quando alla fine si è per lo meno provato a vivere nel proprio corpo, ma la diagnosi è quella di un irreversibile rifiuto. Perché come si fa a distinguere un ‘bambino trans’ da un bambino che ha comportamenti ‘disforici’ da piccolo ma da grande non avrà nessun desiderio di cambiare sesso? Non si può (6). Ed è provato che a spingere i piccoli verso un’identificazione con l’altro sesso è proprio quello che chiamano ‘omofobia’ (a me non piace affatto questo termine di sapore medico-psichiatrico) cioè l’intolleranza, l’aggressione contro chi appunto appare ‘invertito’ o ‘invertita’ (7). In altre parole: meglio un figlio trans che gay, meglio una figlia trans che lesbica.
L’Osservatorio nazionale identità di genere (O.N.I.G.) aveva assunto posizioni molto condivisibili rispetto alla devianza di genere nei minorenni (ma vedi oltre quali convegni promuove…): “L’intervento con le famiglie è volto a de-stigmatizzare la varianza di genere, a rafforzare il legame genitore-figlio/a, a offrire le opportune strategie a difesa dei bambini e delle bambine e degli e delle adolescenti, al fine di promuovere la definizione di spazi vitali sicuri” (8). Far accettare alla famiglia l’espressione di genere dei bambini, quindi, che sia ‘disforica’ o ‘variante’, e non spingerli verso una transizione di sesso, sembra la cosa più saggia da fare.
Ma che cos’è la disforia, il “portare male il proprio genere”? Assomiglia molto all’avere il disturbo di grado inferiore di sola “varianza di genere” (essere gay o lesbica), però associato a sofferenza, malessere o stress, protratto per almeno sei mesi e unito alla convinzione o alla volontà di appartenere al sesso opposto (9). Parola di bambino! Ma rassicuriamoci: sono intere équipe di esperti che staranno addosso ai piccoli devianti. Saranno loro a decidere se si trovano davanti a una ‘variante di genere’ o a un piccolo con una vera e propria ‘disforia di genere’. Ed è a quest’ultimo che verrà data la terapia (anti)ormonale con la triptorelina, per bloccargli lo sviluppo prima che sia troppo tardi e finisca nel sesso che non desidera avere. Tutto accade intorno ai dodici anni, molto prima che possa dare uno straccio di consenso informato, circondato poi da adulti che gli chiedono se vuole cambiare sesso, come se questa fosse una cosa possibile, facile e risolva i problemi. Siamo davvero nel mondo di Peter Pan: se gli adulti non distinguono la realtà dalle loro fantasie di onnipotenza, come possono distinguerle i bambini?
È tutto perfettamente reversibile, assicurano i dottori, che però non ignorano che quasi nessun adolescente o preadolescente che ha preso il bloccante è poi tornato indietro per vivere la sua pubertà. Il contrario accadeva prima dell’uso di farmaci: la stragrande maggioranza di chi pensava da piccolo di poter cambiare sesso, poi non lo faceva. I ‘piccoli trans’ assumeranno triptorelina a loro rischio e pericolo: il farmaco autorizzato per un uso “non conforme”, i cui effetti si dice siano reversibili (il blocco della pubertà non ha conseguenze sull’organismo?!), è oggetto di un gigantesco esperimento medico e sociale cominciato in Olanda appena una quindicina di anni fa. Un po’ presto per dire che un farmaco è innocuo.
Gli effetti sociali che si prospettano sono devastanti: quale bambino che potrebbe da adulto diventare gay, lesbica, bisessuale o eterosessuale continuando ad avere comportamenti “non conformi al proprio genere” socialmente determinato, potrebbe scampare alla normalizzazione ormonale, medica e chirurgica? Dopo qualche anno i risultati non sono affatto tranquillizzanti: una inchiesta (fatta via internet, certo metodologicamente discutibile) ha trovato che per più di 200 donne che avevano transizionato diventando uomini trans in media a diciassette anni, l’età del rimpianto e del ritorno al proprio sesso è stata a ventidue anni (10). Questo accade nei Paesi di lingua inglese, dove le storie di queste ragazze e ragazzi “detransizionati” sono censurate, vilipese, nascoste da un clima culturale e dal pensiero unico che sui mezzi di comunicazione esalta le possibilità tecniche di manipolare i corpi attraverso i farmaci e la medicina.
È il transumanesimo, la fede nel raggiungimento della perfezione attraverso la tecnologia, che permette di incarnare i propri progetti mentali, persino sul proprio corpo. Nel blog di Martine Rothblatt, Da transgender a transumano, si legge: “Le persone che rifiutano di essere etichettate come maschi o femmine sono i pionieri nel vedere l’umanità come non limitata da nessuna base particolare, quale la carne” (11). Questa attivista trans (chiamata “l’amministratrice delegata più ricca d’America”) vuole abolire il linguaggio sessuato per cambiare l’ingiusto trattamento delle donne.
Come minimo è una filosofia che vuole stare in piedi sulla testa: non si parte infatti dalle parole volendo cambiare la realtà, le parole possono solo prenderne atto – oppure mistificare la situazione (12). L’unico risultato ottenibile con tali manipolazioni verbali in un mondo fatto di maschi e di femmine (e qualche intersessuato), è cancellare la dicibilità della differenza sessuale, e quindi ammutolire anche l’analisi delle disuguaglianze tra i sessi. E se provate a dire che i corpi trans hanno subito trasformazioni rischiose e pericolose, l’attivista trans statunitense Julia Serrano vi risponderà che i corpi trans sono altrettanto validi degli altri. Sarà forse persino un miglioramento, dato che incarna la promessa della tecnologia di soddisfare i nostri desideri: io ho scelto il mio corpo, tu no! Non devono esistere voci critiche al Progresso, e il Progresso ora ci mette davanti alla (pretesa) possibilità di ampliare ulteriormente le nostre già enormi facoltà di scelta – per chi se lo può economicamente permettere, ovviamente. (Gli attivisti trans comunque sono preoccupati per la giustizia sociale ed esigono che la transizione precoce sia rimborsabile dalle assicurazioni.)
Ma – almeno in Italia – un ma ci sarebbe. I farmaci autorizzati per uso non conforme devono essere prescritti, come scrive Aifa, “sulla base delle evidenze documentate in letteratura e in mancanza di alternative terapeutiche migliori” (13). La letteratura scientifica non documenta affatto il successo di questo impiego di bloccanti della pubertà (negli Usa si usa il Lupron) (14). Tra gli stessi medici l’intervento sui minori è oggetto di controversie, e le terapie sono consigliate solo dalla Endocrine Society e dalla World Professional Association for Transgender Health. Tanto più che i criteri diagnostici per la disforia di genere negli adolescenti (e adulti) non sono molto stringenti.
Per il manuale diagnostico DSM-5, adottato negli Stati Uniti e punto di riferimento anche in Italia, è sufficiente questo: “Un forte desiderio di essere trattato come appartenente al genere opposto (o a un genere alternativo diverso dal genere assegnato)” unito a “una forte convinzione di avere i sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato)”. Questo mi pare includere tutte le donne femministe, o comunque consapevoli della limitazione del ruolo di genere femminile.
Infatti, quello che si vede nei Paesi in cui le transizioni precoci sono ammesse (Olanda e molti altri del nord Europa, Stati Uniti, Canada, Spagna) è che i casi aumentano esponenzialmente, in particolare proprio tra le ragazze. In Norvegia dal 2012 i minori che si rivolgono alla clinica per transessualità sono raddoppiati ogni anno, e due terzi sono ragazze. Si tratta di un contagio sociale: chi vuole diventare maschio imita un’amica o un gruppo di riferimento trovato via internet. Questi nuovi casi presentano anche più frequentemente patologie psichiche serie, come l’autismo (oppure sono nello spettro dell’autismo), e anche appunto la “suicidalità”, che non è affatto detto sia causata dalla disforia di genere – al contrario il soggetto può credere la transizione il rimedio alle sue tendenze suicide.
L’argomento “meglio un figlio trans che un figlio morto” è l’asso di briscola nelle discussioni con i genitori, e gli adolescenti se lo si suggeriscono a vicenda, o vengono consigliati in tal modo dagli attivisti trans adulti on line. La questione appare sempre anche sugli articoli della grande stampa, che presentano la “transizione precoce” come soluzione, facendo terrorismo verbale. Le stime presentate sono esagerate e non si menziona mai il fatto che anche tra chi ha compiuto la transizione i tassi di suicidalità rimangono incredibilmente alti (15). Nemmeno l’altra briscola della protezione dal bullismo funziona, perché la varianza di genere non viene affatto annullata prendendo farmaci. Che si voglia normalizzare il pargolo facendolo diventare socialmente una femmina non migliora le cose, perché difficilmente il bullo o il gruppo che si accanisce sul deviante accetterà la transizione come segno di normalità.
Il risultato concreto dell’aver lasciato libero campo agli ‘specialisti del genere’ – nonché all’industria farmaceutica che si assicura forniture vitalizie di ormoni – è che qualunque altra possibile spiegazione della disforia di genere, come appunto il fatto che mascheri altri disturbi, viene negata. Tutto ciò non è sufficiente ai voraci appetiti degli specialisti che coltivano questo nuovo campo, nonché all’industria farmaceutica e quindi negli Usa si richiede – e in molti Stati la si è già ottenuta – l’approvazione di leggi che impediscano di trattare la disforia di genere cercando di aiutare chi ne soffre a trovarsi bene nel proprio corpo, per esempio terapie integrative o olistiche (16).
L’etichetta è “gender affirmation”, e significa che se io dico di essere uomo, allora il mondo deve trattarmi come tale e nessuno può contraddirmi, tantomeno un medico o psicologo. Anche il NHS, il servizio sanitario britannico, ha approvato un protocollo d’intesa in base al quale un medico non può mettere in discussione l’autopresentazione “di genere” (cioè di sesso) di un paziente, né esplorare la possibilità di un suo disagio mentale, perché sarebbe l’equivalente della “terapia di conversione” fatta a un omosessuale.
La causa delle transizioni precoci viene quindi fatta avanzare con un miscuglio di buoni intendimenti e soluzioni false, addirittura controproducenti. La madre del blog Mio figlio in rosa, che ha lo scopo di far accettare i comportamenti non conformi rispetto al genere dei bambini come il suo, ha esultato per la possibilità data dall’Aifa di bloccare la pubertà. Invece nei luoghi dove la cosa non è purtroppo più una novità, come gli Stati Uniti, la madre di una “desistente” (che non si identifica più come transessuale) scrive: “Spazi enormi, significativi ed emozionanti delle vite dei nostri figli si sono sviluppati nei mondi digitali mentre i loro mondi materiali sono diventati più piccoli, più isolati e scollegati. In molti casi, i nostri figli erano già dissociati dai loro corpi ancor prima di scoprire le identità trans. Correre, saltare, ballare, lottare, tutte queste cose ora accadono principalmente in spazi controllati. L’unico posto rimasto a disposizione di molti giovani per allontanarsi dagli spazi controllati, inventati e protetti dagli adulti sono i mondi digitali. Ne consegue, in questo clima, che i ‘sé autentici’ potrebbero anche essere prodotti di consumo proposti dalla tecnologia. Alla faccia dell’obsolescenza programmata! Questa è l’obsolescenza pianificata del corpo dal momento della sua nascita, e i nostri bambini sono i primi soggetti degli esperimenti del transumanesimo” (17).
Il sogno liberale della realizzazione della scelta individuale si tramuta in un incubo orwelliano in cui le voci contrarie sono messe a tacere come bigotte e reazionarie, colpevoli dei suicidi di aspiranti trans, oggetto di aperte minacce (propagandate come “arte” (18), in un pensiero unico che va dall’Associazione dei medici americani (AMA) a quella degli psicologi (APA), ai media, tutti d’accordo nel diffondere il concetto di “bambini e adolescenti trans”. Nulla di nuovo: la classe medica si è spesso data il compito di cane da guardia dei ruoli di genere e di garante dell’ordine sociale: ricordate Lombroso?
Di nuovo c’è il fatto che i profitti dalle vendite di testosterone aumentano a dismisura, come quelle di tutti gli altri farmaci usati nelle transizioni: nel 2013 il fatturato del testosterone negli Stati Uniti è stato di 2,4 miliardi di dollari, e la proiezione per l’anno in corso è di 3,8 miliardi, il 58% in più (19). Lo si usa anche per altro, ma la proliferazione delle cliniche “specializzate in genere” (ne esisteva una dieci anni fa, oggi sono cinquanta) è sicuramente correlata all’esplosione dei profitti. Se si possono fare operazioni di ingegneria sociale antidevianza e contemporaneamente far girare il soldo, perché non essere tutti d’accordo?
1) Disforia di genere e dintorni, Gianluca Tornese, Massimo Di Grazia, Anna Roia, Giovanna Morini, Dora Cosentini, Marco Carrozzi, Alessandro Ventura, n. 7, 2016, p. 437, articolo presentato così su http://www.onig.it/drupal8/node/83: “La rivista Medico e Bambino, a larga diffusione tra pediatri di libera scelta e medici di medicina generale, ha recentemente pubblicato un articolo a cura del gruppo O.N.I.G. di Trieste”
2) La Verità ha riportato che la richiesta all’Aifa è stata presentata dal presidente della Società Italiana di Endocrinologia, Paolo Vitti, della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, Alberto Ferlin, della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Stefano Cianfarani, e dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, Paolo Valerio
3) Parole con cui è stato presentato il Convegno “Cose del Genere. Disforia di genere e dintorni in pediatria”, Trieste, 9 giugno 2017
4) Disforia di genere e dintorni, art. cit.
5) Sul lato FtM, da femmina a maschio, della transizione precoce, vedi anche Daniela Danna, La Piccola Principe. Lettera aperta alle nuove generazioni su pubertà e transizione, opuscolo in uscita
6) Lo ammette anche il citato articolo di Medico e bambino: “Dal punto di vista clinico sarebbe importante riuscire a discriminare prima dell’inizio della pubertà tra quei bambini che continueranno a manifestare disforia di genere (persisters) e quelli in cui invece la disforia di genere scomparirà (desisters), ma attualmente non è chiaro quando e come la disforia di genere in infanzia persista o desista in adolescenza e in età adulta” (p. 441). Persino tra le bambine che manifestano un fortissimo disagio per essere femmina, e un’avversione verso i propri genitali (disforia di genere in senso stretto) è solo una minoranza a diventare trans (K.D. Drummond et al.: “A follow-up study of girls with gender identity disorder”, Dev Psychol. 2008;44(1):34-45, riassunto in http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18194003/
7) D. DeLay et al.: “The Influence of Peers During Adolescence: Does Homophobic Name Calling by Peers Change Gender Identity?” in J Youth Adolesc. 2018;47(3):636-649 (qui il sommario con riferimenti ad articoli analoghi: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29032442
8) Cosa fare se i vostri figli hanno uno sviluppo atipico della identità di genere, a cura della Commissione minorenni dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (http://www.onig.it/drupal8/docs/opuscolo_mino renni.pdf, datato 2016)
9) La definizione di riferimento è quella del DSM-5, il manuale diagnostico adottato negli Stati Uniti e punto di riferimento anche in Italia, e la si può leggere nell’articolo citato su Medico e bambino
10) Cfr. Survey of Co-Morbid Mental Health in Detransitioned Females – Analysis and Results Edit, febbraio 2017, https://desisterresister.wordpress.com/2017/02/21/survey-of-co-morbid-mental-health-in-detransitioned- females-analysis-and-results-edit/
11) Talking and Thinking About Sex, 6 ottobre 2009, http://transgender2transhuman.blogspot.it/2009/
12) Per una critica alle derive idealiste (in senso filosofico) della ‘sinistra’ attuale, vedi Renaud Garcia, Il deserto della critica, Eleuthera 2016
13) Lo si legge in un documento dell’Aifa sul significato di “off label” (fuori indicazione), testo che continua così: “D’altra parte, l’uso di farmaci off-label espone il paziente a rischi potenziali, considerato che l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci sono state valutate in popolazioni diverse da quelle oggetto della prescrizione off-label”, http://www.agenziafarmaco.gov.it/wscs_render_attachment_by_id/111.285018.115401469992960af. pdf?id=111.285023.1154014700132
14) L.J. Vrouenraets et al.: “Early Medical Treatment of Children and Adolescents With Gender Dysphoria: An Empirical Ethical Study”, in J Adolesc Health, 2015;57(4):367-73
15) Vedi per esempio J. Michael Bailey e Ray Blanchard: Suicide or transition: The only options for gender dysphoric kids?, 2017, https://4thwavenow.com/2017/09/08/suicide-or-transition-the-only-options-for-gender-dysphoric-kids/ e altri articoli da 4tWave Now, un blog di “comunità virtuale di genitori e altri che hanno dubbi sulla medicalizzazione dei giovani atipici rispetto al genere” (https://4thwavenow.com) che invoca una quarta ondata di femminismo (la prima è quella delle suffragette, la seconda gli anni ‘70, la terza è quella attuale della decostruzione non solo del genere ma anche del sesso)
16) Cfr. Becoming whole: Could integrative medicine heal the mind-body split in gender dysphoria?, 18 giugno 2017, https://4thwavenow.com/2017/06/18/becoming-whole-could-integrative-medicine-heal-the-mind-body-split-in-gender-dysphoria/
17) Brie Jontry, Born in the right body: Introducing 4thWaveNow’s new spokesperson, mom of a teen desister, 25 ottobre 2017, https://4thwavenow.com/2017/10/25/born-in-the-right-body-introducing-4thwavenows-new-spokesperson-mom-of-a-teen-desister/
18) Cfr. La biblioteca pubblica di San Francisco ospita arte transgender con armi per uccidere le femministe, 27 aprile 2018, https://gendertrender.wordpress.com/2018/04/27/san-francisco-public-library-hosts-transgender-art-exhibit-featuring-weapons-intended-to-kill-feminists/ e anche il commento di Giovanni Dall’Orto, L’arte trans di assassinare le donne dissenzienti, 30 aprile 2018, https://giovannidallorto.wordpress.com/2018 /04/30/larte-trans-di-assassinare-le-donne-dissenzienti/
19) Cfr. Statista, Annual testosterone drug revenue in the U.S. in 2013 and 2018 (in billion U.S. Dollars, https://www.statista.com/statistics/320301/predicted-annual-testosterone-drug-revenues-in-the-us/