I super-soldati geneticamente modificati: stato dell’arte e obiettivi dei progetti militari statunitensi di manipolazione del DNA
L’ottimizzazione delle prestazioni umane è da molto tempo una priorità della ricerca scientifica a fini bellici. Il divario tra il rapido avanzamento tecnologico nel settore degli armamenti e le naturali limitazioni psicofisiche dei membri dell’esercito, col tempo, si è dilatato a dismisura. Mentre le armi sono diventate sempre più sofisticate, oggi come duecento anni fa bisogna prevedere pause per consentire ai combattenti di dormire, nutrirsi e guarire dopo traumi o lesioni. Ed è così che gli esseri umani (o meglio, gli esseri umani come oggi li conosciamo) sono diventati un impaccio, nell’arte della guerra. Perciò non è l’intelligenza artificiale, il calcolo quantistico o le armi laser la tecnologia che il Dipartimento americano della Difesa (DoD) considera prioritari nella strategia del futuro: l’area di ricerca più promettente a scopi bellici è quella delle scienze biologiche (o bioscienze), per la creazione di super-guerrieri. Lo conferma Steven H. Walker, il direttore della DARPA, l’agenzia governativa per i progetti di ricerca avanzata (Defense Advanced Research Projects A-gency), durante una conferenza svoltasi a settembre dello scorso anno presso il Center for Strategic and International Studies di Washington: “È il settore in cui vedo quotidianamente i più incredibili progressi tecnologici” (1).
Oggi le scoperte nel campo della biologia genetica permettono sia di potenziare le risorse fisiologiche dei soldati per renderli più performanti sul campo di battaglia, sia di dotarli di caratteristiche che potrebbero renderli ‘invulnerabili’ agli attacchi chimici o batteriologici del nemico. La creazione di questi nuovi soggetti può essere pianificata attraverso attente modifiche genetiche effettuate con le tecnologie del gene doping e del geneediting, su cui si conducono da anni ricerche ed esperimenti a livello globale. Queste tecnologie non sono state sviluppate inizialmente a scopi militari, ma le loro possibili applicazioni in campo bellico hanno fatto convergere su questi studi (realizzati sia da operatori statali che da soggetti privati) ingentissimi finanziamenti pubblici.
Gene doping e gene editing sono estensioni della terapia genica (gene therapy), definita come l’inserimento di materiale genetico nelle cellule umane per il trattamento o la prevenzione di una malattia o di una disfunzione. Questa procedura di inserzione è nota come trasfezione. In parole povere, all’interno della cellula viene inserito un gene terapeutico per compensare il gene assente o sostituire quello anormale. Generalmente viene utilizzato del DNA, il quale codifica per la proteina terapeutica e viene attivato quando raggiunge il nucleo.
Il gene doping nasce in ambito medico-sportivo e viene definito dalla World Anti-Doping Agency (WADA) come “l’uso non terapeutico di geni, elementi genetici e/o cellule che hanno la capacità di migliorare le prestazioni atletiche”. Già vietato alle prossime olimpiadi, rende possibile migliorare la velocità, la potenza e la resistenza al di là di quanto si riesca a ottenere con qualunque tipo di alimentazione e di allenamento (2).
Il gene editing (o editing del genoma) rappresenta invece un gruppo di tecnologie che danno agli scienziati la capacità di modificare il DNA di un organismo. Queste tecnologie permettono di aggiungere, rimuovere o alterare materiale genetico in specifici punti del genoma di un essere vivente (sia esso una pianta, un animale o un essere umano) per costruire degli organismi geneticamente modificati, utili agli scopi più vari (3).
Il gene doping
Non serve molta fantasia per rendersi conto che le qualità che rendono un atleta più performante sono altamente desiderabili anche in un soldato: con la crescente attenzione a livello mondiale allo sviluppo di forze armate più agili e letali (si pensi agli investimenti nei corpi speciali), le applicazioni mirate per migliorare i componenti dell’esercito a livello individuale hanno un grande fascino. Jared M. Stafford, laureato in medicina alla Johns Hopkins University e analista presso l’Edgewood Chemical Biological Center (ECBC, la principale struttura militare degli USA per la ricerca chimica e biologica a scopo medico non terapeutico); James J. Valdes, laureato in neurotossicologia alla Johns Hopkins University e consulente dell’esercito americano per le biotecnologie dal 1990 al 2014; e Aleksandr E. Miklos, laureato in biochimica alla Duke University e contractor all’ECBC, identificano specifiche aree-chiave su cui intervenire per migliorare le prestazioni del soldato attraverso il doping genetico, fra cui la resistenza, la forza, la tolleranza al dolore, il miglioramento dei livelli di energia e l’aumento della vascolarizzazione (4). Gli agenti biologici utilizzati a questo scopo so-no, fra gli altri, l’eritropoietina (EPO), i fattori di crescita insulino-simile, l’ormone della crescita (somatotropina), la miostatina, il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), il fattore di crescita dei fibroblasti, l’endorfina, le encefaline e l’alfa-actinina-3 (ACTN3). I geni artificiali possono essere introdotti nel corpo direttamente (per esempio attraverso un’iniezione in un muscolo) oppure possono essere trasportati nell’organismo da un vettore, tipicamente un virus modificato. Un vantaggio unico di questa estensione della terapia genica è che, grazie alla produzione continua della proteina in vivo (cioè nell’organismo del soggetto sottoposto al gene doping), i picchi farmacodinamici delle sostanze dopanti vengono eliminati, fornendo così un rilascio costante.
Aumentare la resistenza
L’eritropoietina (EPO) è un ormone prodotto principalmente dai reni che aumenta la massa dei globuli rossi (RBC, red blood cell) e di conseguenza l’apporto di ossigeno ai muscoli, contribuendo così a migliorare notevolmente le attività legate alla resistenza. Utilizzando il doping genetico, l’EPO potrebbe essere somministrato al soldato tramite un vettore virale e il conseguente aumento della capacità di trasporto dell’ossigeno nel sangue sarebbe particolarmente utile per i soldati in pattuglia, in ricognizione a lungo raggio, o che partecipano a un combattimento di lunga durata. La stanchezza fisica, infatti, diminuisce la prontezza di reazione, e portata all’estremo rende i soldati incapaci di completare qualunque missione. I livelli di EPO che potrebbero essere raggiunti con il doping genetico superano di gran lunga quelli riscontrabili naturalmente anche negli atleti super-allenati.
In aggiunta all’innalzamento dei livelli di EPO, il gene doping potrebbe potenziare un’altra molecola, il fattore di trascrizione HIF (o fattore inducibile da ipossia), che modula l’attività dell’organismo in ambienti a basso contenuto di ossigeno, aumentando la produzione di globuli rossi e l’energia cellulare: questo particolare ‘ritocco genetico’ potrebbe essere molto utile nelle operazioni in montagna ad alta quota per compensare gli effetti negativi del mal d’altitudine.
Aumentare la forza
La forza fisica è essenziale per qualunque soldato per svolgere i propri compiti, ma è ancora più importante per i soldati delle operazioni speciali che devono impegnarsi in battaglie ravvicinate e combattimenti particolarmente pesanti. Il doping genetico offre diverse opzioni per aumentare la dimensione e la forza muscolare: per esempio l’ormone della crescita, già utilizzato come agente dopante nello sport, ha effetti anabolizzanti sulle proteine muscolari e sul tessuto connettivo dei muscoli scheletrici umani (cioè dei muscoli collegati alle ossa che costituiscono nel loro complesso la muscolatura volontaria). In prospettiva anche la somatomedina o IGF-1, una proteina che stimola la proliferazione cellulare, la crescita somatica e la differenziazione e che porta a una drammatica ipertrofia muscolare nei topi, potrebbe avere un grande impatto sulle dimensioni dei muscoli umani e sulla forza, così come la miostatina, un’altra proteina che funziona come regolatore negativo della massa muscolare (‘spegne’ la crescita muscolare): quando il gene che produce la miostatina nei topi viene disattivato, si verifica una crescita muscolare superfisiologica e la contemporanea riduzione della massa grassa.
Migliorare la vascolarizzazione
Il fattore di crescita dell’endotelio vascolare stimola la produzione di nuovi vasi sanguigni, rendendo possibile un maggiore afflusso di sangue, ossigeno e sostanze nutritive al cuore, al fegato, ai muscoli e ai polmoni, ritardando l’esaurimento di energia. Come nel caso del gene doping con l’EPO o il fattore di trascrizione HIF, i miglioramenti della vascolarizzazione renderebbero il corpo del soldato più efficiente e prolungherebbero la capacità di combattere o di impegnarsi in altri compiti militari, aumentando così l’efficacia del combattimento.
Sopportare il dolore
Per aumentare la soglia del dolore si introduce nell’organismo dei soldati specifici geni che sintetizzano endorfine analgesiche (composti prodotti dal cervello e dotati di un effetto paragonabile a quello della morfina e degli altri farmaci oppioidi) ed encefaline (neurotrasmettitori coinvolti nella regolazione della sensazione dolorosa). Queste sostanze, secondo gli studi, funzionerebbero ugualmente bene sia nel caso di lesioni acute o croniche (come nel caso di una ferita da proiettile), sia quando nei muscoli si accumula acido lattico come risultato di uno sforzo fisico continuo. Tali narcotici naturali potrebbero sostituire le medicazioni con farmaci antinfiammatori e antidolorifici, riducendo di conseguenza la necessità di portare questo tipo di rifornimenti in missione e fornendo al contempo una soluzione per alleviare il disagio fisico e il dolore.
Aumentare l’energia
Migliorare l’efficienza metabolica di un soldato significherebbe aumentare le sue prestazioni nel combattimento. L’adenosina trifosfato (ATP) è la fonte immediata di energia per tutti i processi cellulari. Nel nostro corpo la produzione di ATP passa attraverso il ciclo di Krebs (o ciclo dell’acido tricarbossilico), la catena di trasporto degli elettroni e la glicolisi. Questi processi avvengono nei mitocondri, organelli cellulari di forma allungata che costituiscono la ‘centrale elettrica’ delle cellule: in milioni di anni di evoluzione essi hanno prodotto percorsi altamente efficienti per la produzione di energia che hanno caratteristiche strutturali simili in tutti gli esseri umani. Tuttavia il funzionamento metabolico varia da individuo a individuo, per cui non è possibile effettuare dei percorsi ‘standard’ di potenziamento. Quel che oggi si può fare, attraverso la metabolomica (lo studio sistematico delle impronte chimiche lasciate da specifici processi cellulari) è definire il profilo metabolico del singolo soldato, che rappresenta una sorta di fotografia della sua chimica fisiologica. Questa fotografia potrebbe poi servire come linea di base per personalizzare gli elementi che migliorano le prestazioni individuali, come la dieta e l’addestramento. L’ingegneria metabolica, cioè il miglioramento diretto dei processi cellulari attraverso la modifica di specifiche reazioni biochimiche o l’introduzione di nuove reazioni, tuttavia, offre maggiori opportunità e permette di aumentare la sintesi di ATP nei soldati in modo più rapido ed efficiente (5).
L’editing genetico
L’editing genetico si basa sulla tecnologia CRISPR, definita una delle più grandi scoperte scientifiche del decennio: il CRISPR utilizza una proteina (in genere la Cas9), che funziona come una sorta di forbice molecolare in grado di tagliare un DNA bersaglio. Questa forbice molecolare può essere programmata per effettuare modifiche al genoma di qualunque cellula, sia essa animale, umana o vegetale, ragion per cui la tecnologia CRISPR-Cas9 può essere utilizzata per modificare il patrimonio genetico di ogni essere vivente, sulla base delle più varie motivazioni, per ragioni terapeutiche e non. Molte possibili applicazioni del CRISPR hanno una grande rilevanza per il Dipartimento della Difesa (DoD): uno studio di gene editing su embrioni di beagle ha prodotto dei cuccioli con il doppio della massa muscolare; si potrebbe innestare un gene animale, come quello che conferisce ai rettili la capacità di vedere in condizioni di scarsa luminosità, sul DNA umano per ottenere soldati con capacità da supereroi. Oppure, e questa è una strada che il DoD sta attualmente percorrendo, “si può proteggere un soldato sul campo di battaglia da armi chimiche e biologiche controllando il suo genoma […] facendo sì che il suo genoma produca proteine che lo proteggano in automatico” (6). Storicamente, l’esercito ha cercato di proteggere le truppe da armi chimiche e biologiche attraverso dispositivi di protezione e vaccini, ma la terapia genica potrebbe essere una soluzione migliore, che renderebbe inutile sviluppare e immagazzinare medicinali per ogni possibile minaccia: “Se possibile, vogliamo che sia l’organismo umano a diventare una fabbrica di anticorpi”, afferma il direttore della DARPA (7).
I programmi DARPA
Il soggetto interno al DoD che si occupa specificamente delle applicazioni di gene editing è il Biological Technologies Office (BTO) della DARPA, creato nel 2014 e diretto dalla dott. ssa Renee Wegrzyn. Scopo della sezione è “utilizzare gli strumenti della biologia sintetica per supportare la biosicurezza e risolvere le malattie infettive” (8). I programmi il cui contenuto è stato reso pubblico (è evidente che il DoD conduce anche programmi di ricerca che, per ragioni di interesse nazionale, godono di vari livelli di confidenzialità e segretezza) sono denominati Living Foundries (9); SafeGenes (10); DIGET (Detect It with Gene Editing Technologies) (11); e PREPARE (PReemptive Expression of Protective Alleles and Response Elements) (12).
Living foundries
Al DoD deve essere garantito l’accesso a un certo numero di molecole critiche di alto valore, spesso proibitive e costose, non reperibili a livello nazionale e/o impossibili da produrre con i tradizionali approcci sintetici. Il programma Living Foundries mira a consentire la produzione adattabile, scalabile e su richiesta di queste molecole attraverso il biomanufacturing. Il biomanufacturing è una biotecnologia che utilizza sistemi biologici per produrre biomateriali e biomolecole commercialmente importanti che vengono utilizzate per esempio per la produzione di farmaci, di dispositivi di protezione, per la lavorazione di alimenti e bevande, e molto altro. La produzione industriale di molecole complesse avviene attraverso “la programmazione dei processi metabolici fondamentali dei sistemi biologici”, cioè esse si ottengono da colture di microbi, oppure dal metabolismo di cellule animali o vegetali coltivate in strutture specializzate. Le cellule utilizzate durante la produzione possono essere naturali o modificate con le tecniche di ingegneria genetica.
Safe Genes
Safe Genes è stato sviluppato per proteggere i membri dell’esercito dall’uso improprio accidentale o intenzionale delle tecnologie di modifica del genoma. Il programma “utilizza i progressi della tecnologia di gene editing per accelerare lo sviluppo di trattamenti profilattici e terapeutici avanzati contro gli effetti indesiderati del gene editing” (affermazione questa che, non serve rimarcarlo, ha un contenuto alquanto paradossale). Safe Genes, secondo la DARPA, “fornisce un set di soluzioni a più livelli, modulare e adattabile per: proteggere i soldati e la patria contro il cattivo utilizzo accidentale o intenzionale delle tecnologie di genome editing; prevenire e/o invertire i cambiamenti genetici indesiderati in un dato sistema biologico; e facilitare lo sviluppo di farmaci sicuri, precisi ed efficaci che utilizzino le tecnologie di genome editing”. La DARPA sottolinea che “la sicurezza è una priorità del programma. Tutto il lavoro si svolge in strutture controllate e sicure dal punto di vista del rischio biologico. Inoltre, Safe Genes è supervisionato dal punto di vista etico, legale e per le sue implicazioni sociali da un team di esperti che aiutino la DARPA a identificare in modo proattivo i potenziali problemi legati alle tecnologie di editing. Il team di esperti si impegnerà anche con le potenziali parti interessate, compresi i responsabili dei controlli governativi, per promuovere l’importanza di queste ricerche scientifiche e per richiedere esperimenti sui temi che suscitano dubbi e preoccupazioni”.
DIGET
Il DoD richiede un rilevamento tempestivo e completo delle minacce biologiche e per contrastare la diffusione delle malattie. Oggi nemmeno i sistemi diagnostici e di biosorveglianza più all’avanguardia sono in grado di tenere il passo con le epidemie per supportare il processo decisionale nel momento e nel luogo del bisogno. Il programma DIGET mira a sfruttare i progressi delle tecnologie di modificazione genica per sviluppare “dispositivi di rilevamento dell’acido nucleico semplici da utilizzare, a basso costo e rapidamente riconfigurabili” in grado di individuare qualsiasi minaccia biologica.
PREPARE
La logica del programma è che gli agenti patogeni con potenziale pandemico, le sostanze chimiche tossiche e i materiali radioattivi mettono in pericolo la salute pubblica e rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, e nonostante gli investimenti nello sviluppo di contromisure mediche, queste hanno ancora un’applicabilità limitata, un’efficacia insufficiente, richiedono dosi ripetute, processi di produzione lunghi e complessi e requisiti per lo stoccaggio logisticamente onerosi; queste limitazioni rendono straordinariamente difficile trattare il gran numero di individui che potrebbero essere colpiti dagli esiti di un disastro naturale, di un incidente, di un’epidemia o di un attacco diretto in un’area densamente popolata. Il programma PREPARE quindi “intende identificare quali siano le difese genetiche innate degli esseri umani contro questo tipo di minacce per sviluppare dispositivi medici in grado di attivare rapidamente queste difese genetiche, senza alterare il DNA sottostante”.
Vediamo di chiarire questo concetto: in biologia molecolare, con il termine espressione genica si intende il processo attraverso cui l’informazione contenuta in un gene (costituito dal DNA) viene convertita in una macromolecola funzionale (tipicamente una proteina) con uno scopo specifico. Ciò che la DARPA si propone è innanzitutto di individuare quali siano i geni che si attivano, per esempio, durante l’esposizione a determinate radiazioni e che producono la proteina specifica che difende l’organismo dagli effetti negativi di queste radiazioni. Il secondo passo è quello di trovare un farmaco che stimoli il gene a produrre questa proteina prima che il soggetto venga in contatto con le radiazioni, in modo che il soldato goda di una specie di “vaccinazione genetica” contro questa minaccia specifica. Il programma si propone, come passo iniziale, di studiare i geni interessati alle misure di difesa che l’organismo mette in campo contro quattro condizioni patologiche: la comune influenza, l’overdose da oppioidi, l’avvelenamento da organofosfati e l’esposizione alle radiazioni gamma.
I rischi delle tecnologie di gene editing
Che si parli di gene editing, di gene doping o di vaccinazione genica, è evidente che la manipolazione del DNA potrebbe fornire ai membri degli eserciti capacità altamente desiderabili. Tuttavia queste tecnologie tanto magnificate sono ancora molto al di là dall’essere sufficientemente precise e affidabili, non solo per quanto riguarda il processo di editing in sé (cioè la capacità di modificare o attivare il materiale genetico) o l’efficacia della manipolazione rispetto all’obiettivo (gli esperimenti finora effettuati sono in genere definiti “molto promettenti”, ma nessuno ha davvero ottenuto i risultati sperati), ma soprattutto per le possibili ripercussioni negative sull’uomo e sull’ambiente, a breve e a lungo termine. A breve, gli esperimenti finora intrapresi hanno portato alla luce tutta una serie di possibili risposte negative dell’organismo, che vanno dalle reazioni immunitarie gravi alle risposte infiammatorie massicce, dallo sviluppo di neoplasie (cancro) fino alla morte. Degli effetti nel lungo periodo, in particolare sul genoma umano e sull’ambiente, non sappiamo invece ancora nulla, ed è possibile che ci si accorga che la situazione è sfuggita di mano solo quando sarà troppo tardi.
Il programma Safe Genes è emblematico da questo punto di vista: il DoD si preoccupa già oggi, prima ancora che si arrivi allo stadio dell’implementazione delle nuove tecnologie, di sviluppare un programma che dovrebbe, teoricamente, permettere di tornare al punto di partenza se le cose dovessero prendere una brutta piega. Il problema è che la tecnologia per attuare le modifiche e quella per tornare allo status quo ante sono la stessa: se è inaffidabile in andata, è inaffidabile al ritorno, sempre poi che sia davvero possibile intervenire in tempo in caso di errore (se per esempio una procedura di gene editing provocasse la morte inaspettata dei soggetti, non si vede quale tipo di rimedio sia possibile). Inoltre, in aggiunta a tutti questi dubbi di natura scientifica, bisogna tenere presente una vasta gamma di considerazioni etiche, inevitabili quando si parla di manipolazione del patrimonio genetico, in particolare di quello degli esseri umani – tema già affrontato nell’articolo Genome editing. Le modifiche al DNA umano, nel numero scorso – e ancor di più quando i soggetti coinvolti hanno uno status particolare, come nel caso del personale militare.
Il panorama legislativo
Tra il 1918 e il 1941 circa 60.000 soldati statunitensi sono stati sperimentalmente esposti a gas mortali co-me l’iprite (il tioetere del cloroetano, chiamato anche gas mostarda a causa del suo odore, che ha causato quasi 400.000 vittime durante la Grande Guerra), e dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1975 gli scienziati militari hanno continuato a sviluppare e testare su membri dell’esercito (sebbene su scala minore) presso l’Edgewood Arsenal, il principale centro militare di ricerca per la guerra chimica situato ad Aberdeen, nel Maryland, più di 250 composti chimici: da insetticidi come l’organofosforo ad agenti nervini, antidoti di agenti nervini, agenti inabilitanti come i gas lacrimogeni, e perfino agenti psicoattivi come i cannabinoidi o LSD (13).
Molti esperimenti erano destinati al miglioramento delle capacità protettive di indumenti e maschere antigas; altri hanno misurato l’impatto (per esempio la velocità d’azione o l’efficacia) degli agenti tossici per valutarne l’uso in casi specifici, per esempio a fini antisommossa. Altri test si sono concentrati sull’azione di composti u-tili per stordire il nemico o per essere utilizzati per il cosiddetto ‘lavaggio del cervello’ (brainwashing).
Tuttavia, dopo la notizia di esperimenti scientifici non etici sull’uomo condotti negli Stati Uniti e all’estero, e in particolare dopo lo scandalo dello studio sulla sifilide di Tuskegee (14), il 18 aprile 1979 lo United States Department of Health and Human Services pubblicò il Rapporto Belmont, intitolato Ethical Principles and Guidelines for the Protection of Human Subjects of Research (Principi etici e linee guida per la protezione dei soggetti umani coinvolti nella ricerca), che costituisce uno dei più importanti documenti storici nel campo dell’etica medica, e stabilisce i tre fondamentali principi che consentono la partecipazione di cavie umane agli esperimenti scientifici (15).
Questi capisaldi sono il principio di autonomia (respect for persons), che comporta la protezione di tutte le persone (specialmente quelle che, per qualunque ragione, soffrono di capacità ridotte), un trattamento rispettoso e la necessità del consenso informato; il principio del beneficio (beneficience), ossia la filosofia del “non arrecare danno”, che comporta la massimizzazione dei benefici per il progetto di ricerca e la contestuale minimizzazione dei rischi per i soggetti; e il principio di giustizia (justice), che assicura una gestione equa delle procedure di ricerca in un’ottica di non sfruttamento dei soggetti testati.
Nel 1981, sulla base del Rapporto Belmont, l’HHS (il Departement of Health and Human Services) e la FDA (Food and Drug Administration) hanno rivisto e reso il più possibile compatibili, secondo i rispettivi statuti, i regolamenti esistenti in materia di esperimenti che coinvolgono soggetti umani. Da questa revisione comune è nata la Federal Policy for the Protection of Human Subjects, meglio nota co-me Common Rule, che è stata pubblicata nel 1991 ed è adottata da venti fra dipartimenti e agenzie, incluso il DoD (16). Il DoD ha poi sviluppato regolamenti propri che riguardano l’implementazione della Common Rule e le considerazioni relative alle protezioni speciali per i membri delle forze armate, e ha convenuto di conformarsi alle normative della Food and Drug Administration relative allo sviluppo e all’utilizzo di nuovi farmaci, compreso l’obbligo di ottenere il consenso informato da parte dei membri dei servizi militari che partecipano a sperimentazioni biologiche. In particolare, il paragrafo 980 del codice 10 USC (17) stabilisce che tutti coloro che partecipano come soggetti sperimentali a ricerche finanziate dal DoD debbano essere in grado di dare il proprio consenso preventivo, a meno che il partecipante non sia un diretto beneficiario del progetto, nel qual caso il consenso può essere ottenuto da un suo rappresentante legale.
Tuttavia, già prima della firma della Common Ru-le erano stati previsti con una disposizione di legge i casi in cui il Dipartimento della Difesa era sollevato dall’onere di ottenere il consenso dai membri dell’esercito, e cioè in caso di emergenza militare e per la protezione da agenti biologici o chimici. Questa eccezione alla Common Rule, nota come Interim Rule, è stata autorizzata dalla FDA nel 1990, durante la prima Guerra del Golfo. La regola, che doveva essere provvisoria, ha sollevato diverse questioni etiche (18), per cui nel 1999 il Congresso ha stabilito che il DoD potesse fare a meno del consenso informato del personale militare solo con un ordine esecutivo del Presidente degli Stati Uniti emanato sulla base di una minaccia alla sicurezza nazionale (19). Nel novembre del 2017, infine, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la Additional Emergency Uses for Medical Products to Reduce Deaths and Severity of Injuries Caused by Agents of War, una legislazione che permette al DoD, in caso di emergenza, di accelerare lo sviluppo e fare uso di farmaci con un potenziale significativo per la sicurezza nazionale per contrastare gli agenti bellici nemici (20).
Specificità
Con l’emergere della tecnologia CRISPR e la possibilità per i membri delle forze armate di accedere a miglioramenti genetici permanenti, il dibattito su dove ci si dovrebbe fermare quando si tratta di ottimizzare le prestazioni del personale militare richiede ulteriori considerazioni. In genere, quando si parla di editing genetico si accettano come etiche le modifiche al DNA effettuate in un contesto terapeutico (gene therapy), che si propongono di trovare una cura efficace a una determinata patologia; e si considera moralmente inammissibile l’editing genetico effettuato a fi-ni eugenetici o di potenziamento. Tuttavia, attualmente non esiste negli USA un regolamento specifico che impedisca il potenziamento genetico dei membri dei servizi militari, sebbene l’attuale enfasi del Dipartimento sull’ottimizzazione delle performance e sulla reversibilità degli interventi suggerisca in generale un distacco dalle pratiche di editing con effetti permanenti (la modifica del DNA tout court). Ma, con il perfezionarsi della tecnologia, è “concepibile che in futuro ta-li sviluppi possano diventare pienamente conformi alle politiche del Dipartimento” (21). Quindi, partendo dal presupposto che possa essere ammesso utilizzare il CRISPR per il potenziamento militare, le questioni più delicate dal punto di vista etico evidenziate in letteratura sono quelle che riguardano il consenso informato, il rapporto rischi/benefici e la parità di accesso.
Per quanto riguarda il consenso informato, fatte salve le considerazioni generali espresse nel paragrafo precedente, uno dei fattori specifici che complicano la questione è la struttura di comando: per un membro dell’esercito disobbedire all’ordine di un superiore è un crimine, e come tale viene sanzionato dal codice militare. Per proteggere i soldati da indebite pressioni da parte degli ufficiali superiori, la responsabilità di ottenere il consenso dovrebbe spettare a un organismo esterno alla catena di comando (per esempio il gruppo di ricerca). Un altro fattore specifico che potrebbe interferire con la volontà del singolo soldato di partecipare a un esperimento è il fatto che i membri dell’esercito sono addestrati ad agire come un unico organismo: può essere particolarmente difficile per un individuo non comportarsi come gli altri membri del proprio gruppo, specialmente se la maggioranza dell’unità ha deciso di partecipare. Una complicazione ulteriore, trattandosi di tecnologie sofisticate, è che alcuni soggetti potrebbero avere difficoltà a comprendere i concetti di base di genetica e di terapia genica, oppure potrebbero sentirsi costretti a partecipare a un esperimento convinti che questa procedura possa offrire loro un vantaggio sul nemico o proteggerli da un attacco terroristico.
Per quanto riguarda invece il problema del rapporto rischi/benefici, considerando che i membri del servizio militare corrono già pericoli significativi semplicemente arruolandosi, alcuni autori ritengono che i soldati possano essere dei candidati preferenziali per la ricerca genica poiché il potenziamento (eventuale) del DNA migliorerebbe le loro possibilità di sopravvivenza durante i conflitti. Tuttavia, vale a nostro avviso anche la considerazione opposta: dato che i membri delle forze armate corrono già rischi reali, è moralmente condivisibile fare correre loro anche rischi eventuali quali, per esempio, le mutazioni fuori bersaglio?
Infine, per ciò che concerne la parità di accesso, bisogna considerare che l’uniformità di trattamento è un importante meccanismo che le forze armate usano per fare rispettare la disciplina, intimamente connesso alla catena della struttura di comando. Tuttavia, a causa dei rischi associati alla ricerca sul potenziamento genico, la partecipazione ai primi studi sull’uomo potrebbe essere limitata al personale delle sole forze speciali, quelle create per eseguire le missioni più pericolose. Ma, se gli esperimenti dovessero funzionare, si creerebbe una situazione in cui la maggior parte dei membri dell’esercito dovrebbe scendere in campo priva delle risorse messe a disposizione di pochi privilegiati, e le cui conseguenze potrebbero andare dal semplice dissenso al rifiuto di combattere.
Conclusioni
Gli scienziati non hanno dubbi che le biotecnologie in campo militare si o-rienteranno verso il potenziamento del genoma (qualunque cosa questa espressione voglia dire): “Accadrà sicuramente”, dice Derya Unutmaz, capo ricercatore del Jackson Laboratory for genomic medicine (22) intervistato dal South China Morning Post: “A livello militare non si può non desiderare di creare dei super-soldati, in grado di resistere a tutti i tipi di malattie e a tutte le condizioni climatiche […] Finora erano fantascienza, ma ora abbiamo gli strumenti per renderli reali”.
Il problema, secondo il ricercatore, è che se una nazione facesse un passo simile, gli altri Paesi ne seguirebbero l’esempio per evitare di essere superati dal punto di vista tecnologico. Esattamente quello che è successo con gli ordigni nucleari e che ha portato il pianeta sull’orlo dell’Apocalisse. Il metodo invocato per impedire questa escalation, come al solito, è quello della concertazione: un sistema di regolamentazione globale per la modificazione genetica che potrebbe impedire o scoraggiare i Paesi dall’abusarne. Ma è un metodo che non ha mai funzionato. La Cina per esempio è uno dei concorrenti per il primato nelle tecnologie di manipolazione del genoma, e nessuno sa a che risultati siano giunti i progetti di ricerca e quali siano le restrizioni legislative. Gli Stati Uniti risponderanno allentando i vincoli di legge sulla sperimentazione sugli esseri umani (o dilatando l’ambito di applicabilità delle eccezioni) e mobilitando un consenso di massa sulle scienze biologiche come fattore chiave di sopravvivenza – proprio ciò che il DoD sta già facendo. E quel che ci possiamo aspettare, è impensabile.
2) Gaffney, G. R., Parisotto, R. 2007. Gene Doping: A Review of Performance Enhancing Genetics. Pediatric Clinics of North America, 54, 807-822
3) Cfr. Giovanna Baer, Genome editing. Le modifiche al DNA umano, Paginauno n. 66/2020
5) Cfr. Valdes, J.J., et al. 2010. Bio-Inspired Innovation and National Security. National Defense University Press. 219-225
7) Ibidem
8) Cfr. https://www.darpa.mil/staff/dr-renee-wegrzyn
9) Cfr. https://www.darpa.mil/program/living-foundries
10) Cfr. https://www.darpa.mil/program/safe-genes
11) Cfr. https://www.darpa.mil/program/detect-it-with-gene-editing-technologies
12) Cfr. https://www.darpa.mil/program/preemptive-expression-of-protective-alleles-and-response-elements
13) Cfr. Military Chemical Warfare Agent Human Subjects Testing: Part 1 — History of Six-Decades of Military Experiments With Chemical Warfare Agents, Mark Brown, PhD, Military Medicine, Volume 174, Issue 10, October 2009, Pages 1041–1048, https://academic.oup.com/milmed/article/174/10/1041/4339311
14) Lo studio sulla sifilide di Tuskegee fu un esperimento clinico attuato e seguito dallo United States Public Health Service nella città di Tuskegee, in Alabama, negli USA, fra il 1932 e il 1972: vennero reclutati 399 inconsapevoli mezzadri afroamericani malati di sifilide e 201 sani (come gruppo di controllo), i quali furono seguiti dalle autorità coinvolte per capire l’evoluzione della malattia e i suoi reali effetti. Tuttavia, sebbene già nel 1940 fosse stata provata l’efficacia della penicillina come cura della malattia, i medici proseguirono nel programma, seppur consapevoli che avrebbe portato a un disastro sia sul piano sanitario che su quello sociale. Nel 1972 la ricerca cadde sotto i riflettori dell’opinione pubblica, prendendo la prima pagina di tutte le testate nazionali, e si concluse nel giro di un giorno. A causa dell’esperimento, i soggetti malati a cui erano state negate le cure morirono, dopo aver trasmesso la sifilide alle loro donne che, rimaste incinte, trasmisero una sifilide congenita ai loro nascituri
15) Cfr. https://www.hhs.gov/ohrp/regulations-and-policy/belmont-report/index.html
16) Cfr. https://www.hhs.gov/ohrp/regulations-and-policy/regulations/common-rule/index.html
17) Limitation on use of humans as experimental subjects, https://uscode.house.gov/view.xhtml?req=granuleid:USC-prelim-title10-section980&num=0&edition=prelim
18) Cfr. https://www.rand.org/pubs/monograph_reports/MR1018z9/MR1018.9.chap4.html
19) Executive Order 13139, dal titolo Improving Health Protection of Military Personnel Participating in Particular Military Operations, https://www.govinfo.gov/content/pkg/FR-1999-10-05/pdf/99-26078.pdf
20) Public law n. 115-92, https://www.congress.gov/115/plaws/publ92/PLAW-115publ92.pdf
21) Ethical Issues of Using CRISPR Technologies for Research on Military Enhancement, Marsha Greene e Zubin Master, Journal of Bioethical Inquiry volume 15, pages327–335(2018) https://link.springer.com/article/10.1007/s11673-018-9865-6
22) Bryan Galvan, CRISPR ‘super-soldiers?’ Why we need international gene-editing rules, South China Morning Post, 8 gennaio 2019, https://geneticliteracyproject.org/2019/01/08/crispr-super-soldiers-why-we-need-international-gene-editing-rules/