Gli anni Ottanta e la corruzione: il meccanismo degli appalti, il microsistema e i parassiti delle tangenti, raccontati da un protagonista dell’epoca
Qui la prima parte dell’articolo
Era un giochino che rendeva a tutti. Il vincitore dell’appalto intascava ‘l’anticipazione’ e riconosceva come dazione di favore il 10% della cifra incassata. «Detto in soldoni,» precisa l’informatore, «se tu portavi a casa un miliardo, dovevi consegnare cento milioni. Oggi non esiste più quello che ti chiede il 10%. Vuole di più, tutti e subito, prima ancora che tu abbia incassato. Allora, almeno, li davi appena li intascavi.» Lo scrittore ridacchia nel vedere oggi il ministro della Giustizia Paola Severino parlare con piglio severo di nuova Tangentopoli; perché è sempre più chiaro che questa gente non si possa più prendere sul serio, dato che ora il fenomeno corruzione si avvale proprio della copertura di un sistema di Stato privatizzato. E il verbo ‘privatizzare’ non è proprio il dogma cantato da Mario Monti e la sua ghenga?
A leggere i giornali e a sentire i tiggì, si ha l’impressione che la corruzione sia una realtà improvvisamente riapparsa, dopo quasi vent’anni, come uno di quei pupazzi a molla pigiati dentro le scatole. Nel 2008, quando il governo aveva soppresso l’istituto dell’“Alto commissariato per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione”, l’informazione non aveva dedicato molto spazio alla notizia. Così come aveva passato sottotraccia la pesante relazione sullo stato della corruzione in Italia scritta dall’Alto commissario.
Alla stessa maniera, stupisce sentire parlare il ministro Severino come parlerebbe una persona che non abbia mai avuto rapporti con il mondo degli affari in Italia; come se, nei panni di avvocato, non avesse difeso, tra i suoi clienti: l’Eni, la Telecom, la Sparkle, Geronzi, Formigoni, Francesco Caltagirone (vicenda Enimont) e Giuliano Acampora (accusato di corruzione in atti giudiziari nel processo Imi-Sir). Realtà e personaggi che l’ambiente l’hanno vissuto e lo vivono decisamente dall’interno. Protagonisti in passato, protagonisti oggi e protagonisti in futuro, al punto che viene da chiedersi se davvero la Storia, in Italia, sia un concetto vuoto, inesistente. La Severino, grazie alla corruzione ha guadagnato sia in capitale sociale che in capitale economico.
La relazione fraterna costruita costantemente sul filo dell’illegalità, tra politici e grande imprenditoria, richiama la riflessione che Marx nella “Digressione sul lavoro produttivo” riconduce al biblico ‘albero del peccato’: “Il delitto sottrae una parte dell’eccessiva popolazione al mercato del lavoro. Diminuisce così la concorrenza tra la classe lavorativa. Il criminale appare così uno di quei fattori naturali di equilibrio che aprono tutta una prospettiva di utili occupazioni. Il delitto chiama in vita sempre nuovi mezzi di difesa, dispiegando così un’azione produttiva simile a quella esercitata dagli scioperi sull’invenzione delle macchine. Dal tempo di Adamo, l’albero del peccato non è allo stesso tempo l’albero della conoscenza?”.
Giusto. Che cosa sono, in fondo, il project finance, il federalismo, la deregulation, la spending review e tante altre belle formuline magiche, se non una potente azione produttiva, la cui realizzazione è commissionata in un triplice passaggio che transita dall’imprenditore al politico, per finire nelle mani di brillanti tecnici i quali, questi ultimi, studiano nell’ombra la maniera di mantenere l’Italia saldamente nelle mani delle solite facce?
Naturalmente curando di tenere sempre in piedi, ben visibile, la sagoma di cartone della democrazia, davanti agli occhi dei cittadini gonzi. Occorrono creatività e mani rapide. È in questo modo che l’albero del peccato diventa l’albero della conoscenza.
L’informatore ha un moto d’ira, perché, dice, i partiti allora avevano, malgrado tutto, una connotazione politica e un’identità di cui gli iscritti erano coscienti. Poi, certamente c’è stata quella realtà che sta raccontando allo scrittore. Ma, aggiunge, se prima la competizione economica consisteva nello spartirsi frazioni di spesa pubblica, oggi i partiti hanno consegnato questa spesa al Capitale perché diventasse profitto privato. E questo non è altro che un investimento protetto degno di uno Stato assistenziale. Ma da qui, la deriva: per farlo i partiti si sono trasformati in comitati d’affari, e buonanotte alla democrazia e alla mediazione politica tra le parti sociali.
Il personaggio che riceve la telefonata misteriosa in cui viene a conoscere la percentuale del giusto ribasso che gli consente di aggiudicarsi l’appalto (1) è il protagonista di un’ascesa sociale che ha caratterizzato il destino di molti altri come lui. Inizia come impresa pseudo artigiana, una s.a.s., insieme a un amico che gli presta il nome e a un operaio. Una piccola società edile che svolge piccoli lavoretti: la signora che lo chiama per l’appartamento e minuzie di questo tipo, così che, per parecchi anni, il lavoro più grosso tra quelli effettuati rimane la restaurazione di un palazzo. Fino a quando suo padre – un socialista di vecchio stampo – gli presenta un onorevole che è solito aiutare durante le campagne elettorali.
L’informatore sorride, come se il volto di questa persona gli fosse improvvisamente riapparso davanti: «Un giorno questo onorevole mi chiama per dirmi di andare con lui a Roma perché vuole farmi conoscere una persona. Quella persona era Bettino Craxi, che allora era già famoso pur non essendo ancora presidente del Consiglio o lo statista, o comunque la persona che mirava a diventare uno statista. Così andammo lì, lo incontrai e parlammo. Mi chiese cosa facevo, se volevo allargarmi, e da lì è cominciato un periodo che io considero meraviglioso. Prima di tutto perché ho imparato molte cose. Certo, se avessi avuto maggiore esperienza in certe situazioni mi sarei comportato diversamente e certe cose non le avrei fatte. Ma non nel senso che potreste intendere tu o la morale comune (adesso il suo sguardo ironico fissa lo scrittore). Ricordi cosa ti dissi quando ho accettato di raccontarti la mia storia? Non chiedermi di rinnegare quel periodo. Sono stati anni bellissimi e peccato solo per quell’epilogo. Forse sarebbe bastato che i vertici avessero dettato una strategia comune da adottare davanti ai giudici, anche se forse eravamo veramente in troppi per poter raggiungere tutti. Invece si è scatenato il fuggi fuggi, lo scaricabarile. O forse sarebbe bastato che io fossi stato meno ingenuo e oggi sarei ricco, lavorerei ancora ad alti livelli e sarei tenuto in alta considerazione da molta gente che so io. Sarebbe stato sufficiente fare qualche mese di galera, come hanno fatto molti; dopo essermi preoccupato di imboscare un bel po’ di soldi, va da sé. Ma allora avevo paura del carcere; ma allora avevo trentasette anni e lavoravo da quando ne avevo undici. Capirai che ero un po’ stufo. Come tanti altri!, dirai tu. Può darsi, ma bisogna esserci dentro alle situazioni per poterle giudicare, come al contrario sono soliti fare molti giornalisti forcaioli che un’ora di lavoro vero in vita loro non l’hanno mai fatta.»
Dall’essere una s.a.s., nell’arco di sei, sette mesi un altro socio entra nell’azienda. È una persona che il protagonista conosce, è il factotum di una ditta che fa coloriture, sempre presente in cantiere. «Era una persona che risolveva problemi, hai presente quel personaggio buffo in quel film con John Travolta? E così, siamo diventati un’azienda con tredici impiegati e sei operai. E questo è potuto accadere perché siamo entrati nel giro degli affari pubblici.» L’informatore incontra Craxi parecchie volte, e con lui diverse altre persone. Ogni volta Craxi gli dice: Scendi a Roma che ti presento a una persona: lui ti spiegherà cosa devi fare…
«Mi dava del tu e io continuavo a chiamarlo onorevole e altre volte presidente. Il meccanismo degli appalti pubblici ruotava, come ti dicevo, intorno all’anticipazione, ovvero: quando ti aggiudicavi il lavoro, se, mettiamo, ammontava a 4 miliardi, 400 milioni te li davano subito come anticipo. Prendevi il 10% per l’acquisto materiali. C’erano aziende che nemmeno iniziavano i lavori. È così che si è ingrandita la mia azienda…»
Lo scrittore lo guarda perplesso: in questo caso niente tangente, allora. Dove stava il guadagno per il… partito? «Capisco cosa vuoi dire, ma devi inserire questo aspetto in un sistema molto, ma molto ampio e diffuso.»
Dopo il primo aggancio con il leader socialista passa qualche mese, finché un giorno Craxi lo chiama dicendogli di presentarsi a Roma con due operai. Operai, è un termine generico, spiega l’informatore, è un termine molto generico; così si reca a Roma e Craxi gli dice: Abbiamo acquistato un appartamento. «C’erano quegli enti tipo Mutilati di guerra, Maternità e infanzia… che venivano pian piano smantellati. Come questi immobili si liberavano, loro li acquistavano per pochi soldi rispetto al loro valore di mercato. Erano appartamenti che avevano location di alto lignaggio, che so: in centro in Piazza San Pietro e Paolo. Questi immobili molte volte andavano all’asta, anche se più spesso all’asta non ci arrivavano proprio perché la vendita avveniva prima, purché fosse remunerativa. Così loro acquistavano – non so dire se ‘loro’ fosse il partito o Craxi in prima persona. Io a lui non ho mai dato niente direttamente, ad altra gente che gli gravitava attorno sì, ma a lui mai. Anche se tra noi intercorreva un discorso bello chiaro: io ti passo l’affare, ma il 10% deve venire al partito.»
Acquisiscono quindi questo appartamento per 400 milioni, e quella mattina, appunto, Craxi gli chiede degli operai: Dove sono? Perché entro dieci giorni l’appartamento deve essere a posto. «Si trattava,» ricorda l’informatore, «di 210 metri quadrati, e completare i lavori in quel breve lasso di tempo non era un’impresa molto facile da realizzare.» Non ci siamo capiti, gli dice allora Craxi, stucco, pittura e cambiare le tratte («Perché allora c’erano ancora le vecchie prese di plastica giallognole»). E deve essere finito. Tranquillizzato, l’informatore gli risponde che se si tratta solo di questo, non ci sono problemi. ‘Stucco e pittura’ significa un lavoretto molto rapido, di facciata.
«Ero in soggezione, perché Craxi era molto carismatico, figurati se mi sarei mai sognato di chiedergli lì per lì quanto mi avrebbe dato per questo lavoro. Così, giunto in aeroporto, mentre aspettavo l’aereo, chiamai l’onorevole che ci aveva presentati. Gli dissi che avrei mandato gli operai, ma… E lui mi rispose dicendomi che dovevo stare tranquillo e di fare quello che mi veniva chiesto perché mi sarei trovato bene. Io mi fidai, in fondo mi aveva detto di non preoccuparmi.»
Dentro l’appartamento entrano tre o quattro operai, insieme all’informatore, ci rimangono per dieci, quindici giorni e lo rimettono a posto abbastanza bene. L’informatore avvisa l’incaricato di Craxi, il quale arriva e verifica che il lavoro sia stato realizzato ad arte. Alla fine si complimenta con lui. «Solo che io avevo sempre dentro questo pensiero dei soldi. Non che fosse una grande cifra, ma la mia paura era che mi avessero chiesto un’offerta, giusto per cominciare, per conoscermi. D’altro canto, io e il mio sparuto gruppetto di lavoratori eravamo in trasferta: avevo messo gli operai a dormire in albergo…»
Ma il timore della fregatura stenebra molto presto. Dopo una settimana, l’incaricato di Craxi gli consegna 60 milioni in contanti e gli dice di contarli, ma l’informatore, figurarsi, non ha problemi di quel tipo perché si fida. D’altro canto, è felicissimo poiché le spese da lui sostenute ammontano a poco meno di 10 milioni. Si reca all’aeroporto, s’infila nel primo bagno, si chiude dentro e, seduto sul water, attacca a contare le banconote.
Il bello è che, consegnandogli i contanti dentro una busta bianca, l’incaricato gli dice che a breve avrebbe provveduto al saldo.
L’informatore sorride al ricordo, come se i soldi fossero adesso lì, materiali, da prendere solo allungando la mano: «In totale presi 180 milioni! In seguito venni a sapere che quell’immobile era stato venduto per 2 miliardi e 800 milioni! Certo è che da quel momento avevo conquistato la loro fiducia. Mi chiamavano e mi dicevano: domani mattina devi andare a XY a vedere la caserma dell’esercito. Appalto da 6 miliardi. È lì che è cominciato, per quanto mi riguarda, il discorso appalti pubblici. Appalti manovrati. Con tutto il complicato meccanismo di giro di telefonate di cui ti ho già raccontato.»
Di questi meccanismi qualcuno ha scritto, pur sempre rimanendo all’interno di una radiografia del macrosistema. L’informatore, nei suoi racconti, sottolinea sempre di avere conosciuto personalmente Craxi, ma di avere avuto a che fare con l’intero arco politico che, nel suo complesso, agiva allo stesso modo. La Dc, il Pci, erano tutti coinvolti; arrivava sempre il personaggio che a un certo punto chiedeva di metterti una mano sul cuore. Ma c’è un altro volto tra i tanti protagonisti che gravitano intorno alla galassia di appalti e tangenti, che è rimasto sempre in ombra: quello dei finanzieri. Questi seguivano il dispositivo del buono e del cattivo.
«Erano due, arrivavano e uno cominciava dicendo: guardi qui, c’è una bolla sbagliata (all’epoca erano entrate in vigore le prime bolle di consegna), non va bene. Io naturalmente chiedevo a quanto ammontasse la multa, anche perché non mi risultava che si trattasse di un errore così grave. Per cui chiedevo: due milioni? E quello: sì, due milioni questa. Così, tra tutte le bolle sbagliate mi veniva ventilata una stangata da paura. E se cercavo di contrattare, questo rimaneva rigido sulle sue posizioni. Ma no, non se ne parla neanche, affermava indignato, quasi prospettandomi l’accusa di tentata corruzione. Sembrava il massimo dell’onestà e del rigore professionale.»
Il romanzo è strutturato su tre diverse temporalità costruite in modo tale da permettere una riflessione sul tema dell’inesistenza della Storia in un Paese come l’Italia: gli inizi, l’ascesa e la caduta, e oggi. Nello schema generale, solamente due scene prevedono la Guardia di finanza come protagonista, una all’interno della parte centrale, nella fase del successo, e l’altra ambientata nel 2011. La prima prosegue il giorno dopo la questione delle bolle sbagliate, quando in ufficio gli arriva l’altro, quello rimasto silenzioso dietro le quinte della ribalta su cui ha recitato il collega onesto e incorruttibile.
Scrivendo la scena, lo scrittore rammenta una novella di Verga poco nota: La chiave d’oro. Un giudice, appena giunto sul luogo di un delitto, accusa di omicidio il canonico, proprietario del terreno su cui è stato rinvenuto il cadavere di un poverocristo in cerca di cibo per sfamarsi. Il giudice si infuria di fronte al silenzio del canonico e minaccia di legarlo e di farlo portare in carcere. In realtà, Verga sta descrivendo il gioco della concussione/corruzione che sta avvenendo tra i due, in maniera molto sottile, attraverso messaggi cifrati, inscritti nell’atteggiamento esageratamente rabbioso del giudice. Tanto più questi minaccia di mettere il canonico in manette e di portarlo dentro, e tanto più il canonico comprende che il giudice è disponibile.
Con i due militari delle Fiamme gialle accade la medesima cosa. Il finanziere silenzioso arriva da solo nell’ufficio dell’informatore e chiede di scusare il collega. Posso fare qualcosa?, chiede il protagonista del romanzo. Sa, risponde l’agente, il collega è nervoso, si sposa la figlia. Va beh, cosa gli serve? «Bada, non chiedevo mai: cosa gli devo dare? Sai, sono persone suscettibili. Io avevo un mobilificio al quale spedivo persone di questo genere, quando si trattava di arredamento. Il proprietario sapeva già di dovergli dare quello che chiedevano e di addebitarlo a me. Questi erano la zona morta dell’intero gioco perché non portavano alcun guadagno. Erano parassiti che si facevano forti della divisa che indossavano. E non è che se pagavi una volta, dopo eri tranquillo. No! Non so se la voce girasse all’interno, ma quelli continuavano a uscire ed era tutte le volte la stessa storia, anche se con protagonisti diversi. Boh, forse si scambiavano favori anche tra loro (sorride). A un certo punto, mi andava anche bene. In seguito buona parte degli imprenditori di quell’epoca ha taciuto su episodi simili, però, in quel momento, tutto sommato, andava bene a tutti.»
La seconda scena è ambientata nel 2011. Il protagonista ha sessant’anni, e la sua vita è la conseguenza di quanto gli è accaduto in passato. Lavora ancora nello stesso ambiente, come il lettore ha già capito, ma in posizioni di minore rilievo. Un uomo, un finanziere, gli chiede un preventivo di lavoro su un rustico da poco acquistato. «In realtà, definirlo ‘rustico’ è un eufemismo. Sarebbe meglio dire ‘rudere’, ma sarebbe ancora una definizione impropria perché è persino peggio di un rudere: una cosa indegna. Riesci a immaginarla?» Lo scrittore sorride e annuisce.
«Fino al primo piano, questo rudere è pieno di ogni tipo di rifiuto. C’è un albero cresciuto dentro casa, ci sono materassi, biciclette, televisori, roba da mangiare, c’è di tutto. Come se la gente che vive lì intorno avesse eletto quello spazio a pattumiera del quartiere. Bon, gli ho fatto il preventivo. Tieni conto che a me veniva 9.000 euro ma ho chiesto al mio capo di permettermi di abbassarlo a 7.750, così se mi avesse chiesto un ulteriore sconto, avrei arrotondato a 7.000. Ci stavamo dentro e avremmo pagato la gente, anche se impiccati. In fondo, avevamo pur sempre a che fare con uno della Guardia di finanza. Nessun problema per il mio capo, così sono andato dal tizio e gli ho mostrato il preventivo. Indovina? Quello si è arrabbiato, dicendo di avere chi avrebbe fatto il lavoro per 8.000 euro, tetto compreso. Porto qui tre marocchini, diceva, che in tre giorni mi liberano tutto.» L’informatore fa una breve pausa a sottolineare la gravità di quelle parole, ancor più se uscite da quella bocca. Dice: «Io i marocchini non li ho, ma nemmeno li avrei mandati. Se mi arriva l’Asl a controllare, io chiudo, mentre a lui non succede nulla. Il bello è che questi dovrebbero essere coloro che controllano che non circoli il nero.»
Tornando agli anni Ottanta, l’informatore, una volta introdotto nel saturnale degli appalti pubblici, entra a far parte dell’ambiente. Conosce persone importanti e diventa a sua volta conosciuto. Si è comportato bene, è uno che quando prende un impegno lo assolve al meglio. Adesso cominciano a chiamarlo anche per altre operazioni; cose che egli svolge ai margini dell’attività edile. Un incaricato gli dice: domani mattina c’è una vendita all’asta di un terreno a Napoli, 200 mq, al massimo devi arrivare a questa cifra… «Mi dicevano di firmare tutto, che nell’arco di un’ora mi sarebbe arrivata la disponibilità economica sul conto – un conto, beninteso, aperto apposta. Così, io andavo là, non rilanciavo oltre la cifra limite che mi era stata imposta, quindi firmavo i documenti, con i quali mi impegnavo a formalizzare l’acquisto entro quindici giorni, l’incaricato versava i soldi sul conto, io compravo e intestavo alla mia azienda, quindi vendevamo.
«Ero entrato nel giro dei fallimenti. È lì che ho conosciuto autentici pezzi da novanta, tuttora in giro, rispettati come persone perbene. Figure di rilievo nel mondo dell’economia e della finanza». L’informatore fa una lunga pausa, quindi riprende: «Sai, è un peccato non poter fare i nomi, ma… credimi, non ho scelta. Tu non hai idea della gente che queste persone perbene avevano alle spalle. Individui dai metodi spicci. E visto che sono ancora tutti in attività, chi tra i rispettabili e chi nella criminalità organizzata, mi spiacerebbe che all’improvviso si ricordassero di me. E poi tu non hai la scorta…»
Il romanzo mai scritto sugli anni Ottanta (parte 1/3), Walter G. Pozzi
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