Davide Corbetta
Inchiesta sulla realtà tarantina: i finanziamenti pubblici, la corruzione, l’inquinamento, l’avvelenamento delle persone, il problema occupazionale
Il decreto salva produzione
Il 5 febbraio scorso il Senato ha approvato il decreto n. 136 del 10 dicembre 2013 recante “Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali, e a favorire lo sviluppo delle aree interessate”. L’elevato inquinamento industriale in alcune aree del sud della penisola, infatti, ha portato la situazione ambientale e sanitaria a livelli così gravi da rendere necessario una legge ad hoc, che organizzi e coordini sia gli interventi di monitoraggio e di bonifica per la tutela della salute dei cittadini, sia la rivitalizzazione economica delle aree coinvolte. È il caso della Terra dei fuochi, tra le province di Napoli e Caserta, ma soprattutto di Taranto, del suo quartiere Tamburi e del comune di Statte, entrambi limitrofi allo stabilimento siderurgico dell’Ilva.
Entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto, la Regione Puglia ha dovuto definire le modalità di offerta per gli esami utili alla prevenzione e al controllo dello stato di salute della popolazione abitante nelle zone suddette; interventi di verifica comunicati all’Arpa Puglia (Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente), alla quale è stato affidato l’incarico di compiere le analisi dei terreni e dei camini appartenenti all’Ilva; quest’ultima si farà carico degli oneri relativi alle analisi, mentre la bonifica sarà a carico dello Stato.
Il decreto, infatti, che attraverso le sue misure correttive permetterà, tra le altre cose, all’azienda di Taranto di sanare, regolarizzare e continuare la produzione, ha pianificato una spesa per il biennio 2014/2015 di 50 milioni di euro, denaro pubblico che la regione potrà recuperare in due modi: con i “Fondi strutturali europei 2014” e con il “Programma operativo FESR 2007-2013”. Il capitale privato del gruppo Ilva, cui è affidato il compito di uniformarsi all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) (1), dovrà invece muoversi per i soliti canali: le banche, e i soldi dei capitani d’industria.
Finanziamenti pubblici e capitale privato
I Fondi strutturali europei 2014 sono stati istituiti con lo scopo di rilanciare il “sistema produttivo, l’incremento dell’occupazione e il miglioramento della coesione sociale nel nostro Paese”, attraverso un contributo a cui possono attingere le Regioni e che, nel periodo 2014-2020, è stato così ripartito: 30 miliardi spendibili da tutte le regioni – più sviluppate, meno sviluppate e in transizione – e 54 miliardi destinati al Fondo sviluppo e coesione, “nel quale sono iscritte le risorse nazionali destinate al riequilibrio economico e sociale, e a incentivi e investimenti pubblici” (2).
Il Programma operativo FESR 2007-2013 (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) (3) ha invece l’obiettivo di “rafforzare i fattori di attrattività del territorio, migliorando l’accessibilità, garantendo servizi di qualità, salvaguardando le potenzialità ambientali anche attraverso la promozione di un modello di sviluppo sostenibile incentrato su una maggiore efficienza dei consumi energetici, e un significativo innalzamento della produzione da fonti rinnovabili” (4). Una dotazione finanziaria di 4,4 miliardi di euro, che potrebbe tornare utile al rilancio del settore siderurgico.
Alle esigenze del privato, invece, dovrà pensarci il Commissario straordinario di Ilva, Enrico Bondi. Come evidenziato nella relazione sulla gestione commissariale al 31 dicembre 2013, l’azienda ha investito lo scorso anno 166 milioni di euro, prevedendo altri investimenti nel 2014 per 300 milioni. Nel 2013, inoltre, sono già stati stanziati 506 milioni in ordini per misure implementate, in relazione alla prescrizione AIA. Una minima parte, rispetto ai 3 miliardi che il Commissario straordinario prevede di spendere complessivamente, di cui 1,8 per mettere in atto le rimanenti prescrizioni AIA e 1,2 per il piano industriale (5).
La prima mossa di Bondi è stata quella di chiedere alla famiglia Riva, che detiene ancora il 62% del gruppo Ilva, un aumento di capitale sociale, potere a lui affidatogli dal decreto n. 136/2013, per finanziare gli investimenti necessari a mettere in pratica sia “l’autorizzazione integrata ambientale” sia il “piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria” (6). L’entità dell’aumento, che sarà deciso dalle banche e dall’azienda, è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro (7). L’operazione prevede l’offerta delle nuove azioni in opzione ai soci, proporzionata al numero delle azioni possedute; i nuovi titoli di credito possono essere liberati esclusivamente mediante conferimenti in denaro, e i soggetti che decidono di sottoscriverli devono garantire che tali risorse finanziarie saranno messe a disposizione della società per attuare il piano di tutela sanitaria e ambientale (8).
È sempre potere del Commissario straordinario, nel momento in cui non saranno rese reperibili per tempo le risorse necessarie, ovvero in caso di rifiuto della proprietà all’aumento di capitale, chiedere il trasferimento dei fondi ascrivibili al titolare dell’impresa o ai soci di maggioranza sottoposti a sequestro penale, anche di quelli che non riguardano direttamente reati ambientali (9). In pratica, quel denaro della famiglia Riva messo sotto sequestro dalla procura di Milano, che ha aperto un fascicolo per reati ambientali e finanziari, pari a 1,9 miliardi di euro.
Il secondo passo, invece, è stato quello di chiedere aiuto alle banche, convocando una riunione, tenutasi a gennaio 2014, alla quale hanno partecipato, oltre allo stesso Bondi e all’allora ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, anche gli amministratori delegati di Unicredit e Banca Popolare, e il direttore generale di Intesa Sanpaolo. Lo Stato, da parte sua, contribuirà con un prestito di 500 milioni di euro, finanziati dalla Cassa Depositi e Prestiti, che coprirà la gestione ordinaria in attesa del piano industriale. Perché darsi tanta pena?
Innanzitutto perché lo Stato creditore deve difendere la produzione di acciaio, che nel 2012 vede il nostro Paese al secondo posto nella classifica europea, con 27,3 milioni di tonnellate, subito dopo la Germania, che nello stesso periodo ne ha prodotte 42,7 milioni (10). Successivamente, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, ci sono gli interessi che gravitano attorno al siderurgico di Taranto, che nel 2012 ha fruttato da solo 8,2 milioni di tonnellate, ovvero il 30% del prodotto nazionale (11). Cifra che ha subìto, nel 2013, variazioni dovute alla crisi nel settore, scendendo del 12,2% a livello nazionale (24 milioni di tonnellate), decremento causato anche dalla vicenda Ilva, che secondo le stime ha ridotto del 19% la fabbricazione dei prodotti piani (12), in altre parole nastri laminati a caldo e a freddo, laminati elettrozincati, banda stagnata e tubi saldati.
A essere in gioco, però, e qui sta la misura di come verranno utilizzati sia i fondi pubblici che le risorse private, è anche quella che Marco Bentivogli, segretario nazionale Fim-Cisl, ha definito la “bomba sociale tarantina”, costituita da 100 mila disoccupati e da un territorio, quello limitrofo all’impianto dell’Ilva, che sta morendo (13). Le cause di questo patire sociale dei tarantini, tuttavia, sono dovute alla sola crisi del settore dei laminati e al disastro ambientale causato dall’azienda?
Corruzione e concussione: gli ingredienti di una bomba sociale
“In qualsiasi modo si svolga la storia degli uomini, sono gli uomini che la fanno, perseguendo ognuno i suoi propri fini consapevolmente voluti, e sono precisamente i risultati di queste numerose volontà operanti in diverse direzioni, i risultati delle loro svariate ripercussioni sul mondo esteriore, che costituiscono la storia” (14). La vicenda di Taranto è un chiaro esempio delle ripercussioni che hanno le “volontà operanti in diverse direzioni”, e che sono tutte raccolte nell’inchiesta della procura di Taranto, chiusasi il 30 ottobre 2013, denominata “Ambiente Svenduto”.
Tra gli indagati più illustri il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, inquisito per concussione in quanto, secondo le accuse della procura, nel 2010 condizionò con una serie di minacce la decisione di Giorgio Assennato, direttore Arpa (accusato di favoreggiamento), in merito alla rimodulazione e riduzione della produzione dello stabilimento di Taranto: le cause furono i risultati preoccupanti emersi dalle rilevazioni sulla qualità dell’aria, che Vendola chiese ad Assennato di minimizzare, in cambio della sua conferma a direttore dell’Agenzia regionale.
Il problema risaliva in realtà a un limite fissato dal decreto ministeriale 25/11/1994 per il quale, a far decorrenza dal primo gennaio 1999, le città con più di 150 mila abitanti dovevano rispettare 1 nanogrammo di benzo(a)pirene a m3 (15). Il limite fu tolto dal governo Berlusconi ad agosto del 2010, ma fino a quella data la regione Puglia, o meglio, il suo presidente, avrebbe dovuto rispettare la prescrizione, cosa che, secondo la procura di Taranto, non fece. A essere indaganti, comunque, sono in molti, tra imprenditori, avvocati e politici.
Emilio Riva, patron della famiglia Riva (deceduto il 29 aprile scorso), e i figli Nicola e Fabio (16), accusati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale; stessa accusa mossa nei confronti di Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento di Taranto, e di Francesco Perli, legale del gruppo. Sul capo di Girolamo Archinà, ex dirigente dei rapporti istituzionali Ilva, pende invece l’ipotesi di reato di associazione per delinquere con finalità di violazioni ambientali. Ippazio Stefàno, sindaco di Taranto, prima iscritto a Rifondazione comunista e poi passato a Sinistra ecologia e libertà, è indagato per abuso e omissioni in atto di ufficio, avendo sostenuto le strategie dell’azienda a discapito della salute dei cittadini; per lui è stata richiesta dalla procura di Taranto una delega speciale per la costituzione a parte civile del Comune di Taranto (poiché è decisione che, da statuto comunale, spetta al sindaco stesso).
Il dipietrista Lorenzo Nicastro, assessore alla qualità dell’Ambiente della Regione Puglia, è invece accusato di favoreggiamento personale in quanto, secondo la procura, assicurò l’impunità a Vendola, aiutandolo a eludere le investigazioni delle autorità. Inoltre, secondo un’informativa del Gruppo finanzieri di Taranto, che riporta le intercettazioni delle chiamate intercorse tra Fabio Riva (latitante a Londra) e l’avvocato Franco Perli, sarebbe stato Gianni Letta, all’epoca dei fatti (2011) segretario alla presidenza del Consiglio dei ministri del governo Berlusconi, il punto di riferimento della famiglia Riva per il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, firmata il 4 agosto 2011 dall’allora ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Fabio Riva, Daniele Riva (responsabile dello stabilimento di Genova) e la dottoressa Vittoria Romeo (responsabile dell’ufficio romano del gruppo), già a luglio 2010 fecero consegnare a Gianni Letta un documento che manifestava le difficoltà dell’Ilva per il rilascio dell’autorizzazione, e alcune problematiche avute con i siti produttivi di Taranto e Genova: quel che serviva era un po’ di pressione sulla Prestigiacomo, che secondo l’avvocato Perli, come riportato nelle intercettazioni, rischiava di perdere il posto.
“In qualsiasi modo si svolga la storia degli uomini, sono gli uomini che la fanno”, e l’effetto delle loro azioni sulla storia, l’effetto che la difesa del profitto ha avuto sulla salute dei tarantini, è evidente nei reati contestati: disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, ed emissione di sostanze inquinanti con violazione delle normative a tutela dell’ambiente. Elementi di una situazione che non ha visto miglioramenti se a novembre dello scorso anno il gip Patrizia Todisco ha dovuto minacciare il sequestro, o meglio, il ri-sequestro, dei reparti dell’Ilva (parchi minerali, cokerie, altiforni, acciaierie ecc.), nel caso in cui non vengano rispettate le tempistiche di risanamento previste dall’Autorizzazione integrata. Imposizione dovuta a una non significativa diminuzione degli inquinanti, nonostante la produzione dello stabilimento sia stata ridotta, dopo il blocco disposto dalla procura, che ha spento gli altoforni 1 e 2, le batterie dalla 3 alla 8 e l’acciaieria 1.
Stato di emergenza denunciato anche dall’eurodeputata Margrete Auken, che per le stesse ragioni ha presentato alla Commissione europea un’interrogazione sull’emergenza ambientale e sanitaria a Taranto (17), attivando la Commissione petizioni, che si riunisce a Strasburgo per il rispetto dei diritti dei cittadini, affinché venga avviata la procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Il governo italiano non ha fatto nulla per rispettare le normative europee sulle emissioni industriali, ed è anche inadempiente rispetto alla direttiva ambientale “Chi inquina paga” e alla direttiva comunitaria denominata “Seveso” (18).
Tutto questo è il prezzo da pagare per il solito gioco all’italiana in cui il capitale privato, messo davanti al fatto di dover rinunciare a una parte di profitti per adeguare la produzione a regole di rispetto per la salute e l’ambiente, fa invece affidamento sulle regole della corruzione. Dall’altra parte, infatti, se l’inchiesta giudiziaria troverà conferma nell’iter processuale, vi sono politici, uomini di Stato, che hanno barattato interessi personali e produttivi con la salute di chi, oltre a consumare i propri mezzi di sostentamento, consuma anche la propria vita, ovvero i lavoratori.
Il decreto n. 136/2013 ha infatti rimarcato, secondo il gip Todisco, una situazione di emergenza grave, “dato il pregiudizio recato all’ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante, e di emergenza occupazionale, considerato che l’eventuale chiusura dell’Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone” (19).
“L’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto, ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale” (20).
A che livelli è arrivata la brutalità inflitta alla popolazione tarantina?
Risvolti sulla salute delle persone
“I mutamenti puramente quantitativi si risolvono a un certo punto in differenze qualitative” (21).
Tra novembre e dicembre 2013 Arpa Puglia certificò che i valori di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), ovvero un cocktail di molecole cancerogene, misurati nell’aria di Taranto, nello specifico sopra il quartiere di Tamburi, vicino ai comignoli dell’acciaieria, erano equivalenti a quelli rilevati nel 2009 e nel 2010. Il governo italiano, adesso, rischia una multa salatissima da parte della Corte di Giustizia europea, se verrà accertato l’omesso controllo delle polveri: 650 mila euro per ogni giorno d’infrazione. Tuttavia, secondo la relazione del Commissario straordinario al 31 dicembre 2013, lo stato dei lavori nel siderurgico di Taranto non è così arretrato, e i livelli di PM10 e IPA sono in diminuzione. Risultato accreditato anche dalla riduzione degli incidenti infortunistici (vedi Tabella 1), in linea con quelli del settore siderurgico.
Nel primo trimestre del 2014, continua la relazione, è stata avviata l’attività di acquisizione del “sistema di gestione integrato salute, sicurezza e ambiente” come previsto dalla normativa UNI EN ISO 14001 e OHSAS 18001, e sviluppata la revisione del modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.lgs. 231/01 che “disciplina le responsabilità amministrative delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”. Sempre in materia di sicurezza e salute, è stata avviata anche l’attività dell’Organismo di vigilanza, che supporta la struttura commissariale per le operazioni di controllo e verifica, e un nuovo modello di gestione integrata di qualità e ambiente. Lo scopo è quello di migliorare i rapporti di collaborazione e coordinamento tra chi ha il compito di redigere e aggiornare i documenti normativi, effettuare verifiche interne sul rispetto delle norme di qualità (UNI EN ISO 9001) e individuare le aree critiche di gestione aziendale, proponendo di conseguenza le opportune azioni correttive.
Tra ottobre e dicembre 2013 sono state erogate 43.225 ore uomo per la formazione obbligatoria sulla sicurezza, e a febbraio 2014 il Commissario straordinario ha avviato riunioni periodiche per cercare soluzioni che riducano i rischi lavorativi. Insomma, in contrasto con le denunce del gip Patrizia Todisco, dell’eurodeputata Margrete Auken e dell’Unione europea in generale, secondo il Commissario straordinario le condizioni paiono essere in miglioramento. Presunzione espressa anche nelle considerazioni finali della “Relazione sui dati della qualità dell’aria – Taranto” per il periodo gennaio/ottobre 2013, che definisce un miglioramento della qualità dell’aria, PM10 e benzo(a)pirene, sia a Taranto sia nelle zone limitrofe al siderurgico, pur facendo notare che queste rilevazioni rimangono “tuttora maggiori, in generale, rispetto agli altri siti”.
La cosa certa è che non bisogna dimenticare la storia recente dell’Ilva, e più in generale del comune di Taranto, i cui abitanti, uomini, donne e bambini, continuano a subire gli effetti della produzione d’inquinamento industriale. A dicembre 2011 la rivista Epidemiologia e Prevenzione ha pubblicato uno studio sulla mortalità della popolazione che vive in prossimità dei SIN (22) e dei grandi centri industriali o di smaltimento rifiuti, lo “Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio di Inquinamento”.
Il progetto, più semplicemente denominato SENTIERI, è stato condotto e finanziato dal “Programma strategico ambiente e salute” del ministero della Salute e dal Progetto CCM 2009 “Sorveglianza epidemiologica di popolazioni residenti in siti contaminati”, sempre del ministero della Salute.
I dati censiti derivano, in gran parte, dai progetti di bonifica che sono stati ipotizzati per i diversi Siti di Interesse Nazionale, quindi le aree più sottoposte ad analisi sono quelle industriali, come l’Ilva di Taranto. Le informazioni raccolte hanno lo scopo di verificare “se e quanto il profilo di mortalità delle popolazioni che vivono nei territori inclusi in aree d’interesse nazionale per le bonifiche si discosti da quello delle popolazioni di riferimento” (23).
La mortalità studiata per ogni sito è quella del periodo 1995-2002, più un aggiornamento che riguarda il periodo 2003-2009 pubblicato su “Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica”, redatto dalla collaborazione tra il Dipartimento ambiente e connessa prevenzione primaria dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’ufficio di statistica dell’ISS, il Centro nazionale di epidemiologia, e il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin dell’Università La Sapienza di Roma. I comuni di Taranto soggetti all’analisi comprendono 216.618 abitanti (dato del censimento 2011) e: una raffineria, l’impianto siderurgico, l’area portuale e le discariche di RSU con siti abusivi di rifiuti. Il profilo di mortalità, suddiviso per cause di morte, è calcolato sul rapporto standardizzato di mortalità, ovvero sul confronto tra il numero dei casi di morte osservati e il numero dei casi attesi, ed esprime l’eccesso o il difetto di mortalità esistente tra la popolazione osservata e la popolazione presa come riferimento. I risultati per il SIN di Taranto sono sconcertanti (vedi Tabella 2).
Fatta eccezione per le malattie dell’apparato genitourinario, il tasso di mortalità osservato nel periodo 1995-2002 è sempre maggiore rispetto alle previsioni, arrivando a un eccesso del 15% per gli uomini e 13% per le donne per quanto concerne i tumori, e un eccesso del 14% per gli uomini e 42% per le donne per le malattie dell’apparato digerente. Nel periodo successivo, quello 2003-2009, il profilo di mortalità continua a peggiorare (vedi Tabella 3). Qui addirittura la percentuale di eccesso è in aumento per quasi tutte le tipologie di malattia, con particolare rilievo, ancora una volta, per quelle dell’apparto digerente: più 47% per gli uomini e più 19% per le donne.
Non è un caso, dunque, che da un monitoraggio effettuato dall’Asl di Taranto a marzo 2008, venga segnalato come in alcune aziende zootecniche presenti sul territorio del comune e della provincia, si sia riscontrata un’importante contaminazione della catena trofica da composti organolettici. In 32 campioni raccolti, in 8 aziende, la concentrazione di diossine, ossia di composti chimici tossici, che si accumulano nei tessuti grassi a causa dell’ingerimento di erba in suolo contaminato, ha superato i limiti stabiliti dalle direttive comunitarie. Vicino allo stabilimento Ilva si trovano una discarica, una raffineria di petrolio di proprietà dell’Eni, un cementificio e tre inceneritori.
Non c’è da stupirsi se la diossina in questa zona ha raggiunto il 92% della diossina industriale italiana, e l’8% di quella europea (24).
Inoltre, per quanto riguarda l’altra percentuale in crescita, quella dei tumori, uno studio sui casi a Taranto ha dimostrato come le tipologie di cancro maligno al polmone, alla pleura, alla vescica e al sistema linfoemopoietico, derivino dall’esposizione ambientale a cancerogeni inalabili, che agiscono sulla formazione di nuove cellule tumorali. “Complessivamente, il profilo di mortalità della popolazione residente nell’area di Taranto mostra un andamento temporale e una distribuzione geografica che sono in linea con la cronologia e la distribuzione spaziale dei processi produttivi ed emissivi che caratterizzano l’area industriale di questo SIN da molti decenni” (25).
Si ha rilievo di questi fattori anche nel rapporto “Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica” uscito a ottobre 2012. Come riportato dall’analisi, sebbene Taranto non presenti un degrado diverso da quello degli altri centri urbani italiani, il materiale particellare (PM10) in questa zona può costituire un fattore di rischio, se non il principale fattore, degli eccessi di mortalità e morbosità. Questa contraddizione avviene perché “il PM10 è una miscela eterogenea di sostanze chimiche che varia in funzione della natura della sorgente da cui viene emesso”. Nel PM10 sopra il quartiere di Tamburi si trova il già citato benzo(a)pirene (a Taranto in concentrazione più alta che in tutta Italia) e, come detto, le diossine prodotte dai camini, che creano danni quando si depositano al suolo, entrando nella catena alimentare.
I nuovi dati sugli studi epidemiologici riscontrano, per il periodo 2003-2009, un eccesso del 30% per gli uomini e del 20% per le donne, dei tumori in tutta la provincia (vedi Tabella 4).
“Dai risultati presentati emerge con chiarezza uno stato di compromissione della salute della popolazione residente a Taranto”, e questi risultati trovano seguito anche nella cronaca locale. A novembre 2013 sono state scoperte tracce di piombo, oltre i limiti consentiti, nelle urine di Piero Mottolese, ex operaio Ilva morto per un tumore al cervello (26). Il piombo è stato anche oggetto di ricerca di un gruppo di studiosi italiani e americani a Oxford, i quali, analizzate le urine di 147 tarantini, hanno riscontrato in tutti i casi limiti di piombo oltre la media consentita, vale a dire 10,8 microgrammi/litro anziché 0,5/3,5 microgrammi/litro (27).
Sorte simile è toccata a un operaio di Brindisi, addetto ai forni a pozzo, ammalatosi di tumore. Dopo la sentenza di primo grado, che escludeva un rapporto tra la diossina e il tumore, imputato a problemi genetici, la Corte di appello di Lecce ha riconosciuto all’operaio “una rendita per danno biologico corrispondente al 30% d’invalidità permanente”, obbligando così l’Inail al risarcimento della relativa indennità (28). I problemi, però, non colpiscono solo le persone.
Il valore della casa di chi vive nel rione di Tamburi è crollato (29). Il deprezzamento è dovuto alle 21 mila tonnellate di polvere inquinanti annue emesse dallo stabilimento, come accertato dalla sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato definitivamente Ilva per le emissioni pericolose, dando il via a 149 cause per richiesta di risarcimento del valore abitativo. I cittadini di Tamburi, e delle zone limitrofe, dormono in case ammorbate dalla produzione, e si nutrono di alimenti infettati dalla produzione. Persino la pesca è vietata, in quanto i mari sono inquinati tanto quanto il suolo, ma fino all’accertato disastro ambientale, le cozze venivano vendute regolarmente. Per le stesse ragioni sono stati abbattuti migliaia di capi di allevamento, e di conseguenza centinaia di persone hanno perso il posto di lavoro. La questione sanitaria non può essere svincolata da quella lavorativa. L’aspetto occupazionale è un altro tumore che sta affliggendo i cittadini di Taranto.
Cancro occupazionale
“Uno studio trasversale sull’esposizione professionale a idrocarburi policiclici aromatici (IPA) è stato effettuato su 355 lavoratori (impiegati nelle operazioni di manutenzione e nelle ditte di pulizia) della cokeria delle acciaierie Ilva di Taranto. Lo studio ha evidenziato livelli urinari di 1-idrossipirene (1-OHP, biomarcatore della dose interna di IPA) significativamente più elevati nel gruppo di lavoratori addetti alla manutenzione, mentre nessuna differenza è stata osservata in relazione alle abitudini al fumo. […] Per quanto riguarda il potenziale contributo delle esposizioni lavorative nello spiegare il dato di mortalità, l’evidenza epidemiologica di associazione con l’occupazione è stata valutata ‘sufficiente’ per il tumore del polmone, della pleura, per le malattie dell’apparato respiratorio, polmonari croniche e per l’asma (‘limitata’ per le malattie respiratorie acute)” (30).
Secondo la relazione del Commissario straordinario, per l’anno 2013 i dipendenti diretti di Ilva ammontano a 14 mila, mentre quelli con contratto atipico, in altre parole con contratti di somministrazione o collaborazione, ammontano a 156. Se i dipendenti all’estero sono 719, quelli che invece potranno usufruire del cosiddetto contratto di solidarietà saranno 3.579, tra operai dell’area ghisa, acciaieria, laminazione a caldo e a freddo, tubifici, logistica e manutenzione centrali. Per contratti di solidarietà s’intendono quegli accordi stipulati tra la società, in questo caso Ilva, e i rappresentati sindacali, in questo caso Fim-Cisl e Uilm-Uilm, con lo scopo di diminuire l’orario di lavoro per evitare la riduzione del personale e mantenere l’occupazione in stato di crisi. L’onere dell’accordo, data la difficoltà economica di Ilva, come evidenziato nei capitoli precedenti, sarà a carico della Regione Puglia. La ‘solidarietà’, cinque mesi dopo i dati relazionati dal commissario Bondi, è stata estesa a tutti i lavoratori, sia operai sia impiegati, 5 mila dipendenti che dal 2 maggio scorso si sono ridotti di un’ora la giornata lavorativa per far fronte alla crisi finanziaria dovuta a un calo di produzione di circa 150 milioni di euro rispetto al preventivato.
Nonostante questo, nonostante i continui infortuni gravi, nonostante i tumori e le malattie che hanno colpito, e stanno colpendo, colleghi e famigliari, gli operai dell’Ilva di Taranto non si arrendono a perdere il posto di lavoro, persistendo a manifestare contro il sequestro dello stabilimento.
Sono queste le conseguenze di un sistema produttivo capitalistico in cui il lavoro, per quanto sfruttato e sottopagato, è diventato oro colato: il rischio di morire è meglio della certezza della disoccupazione.
“La legge che equilibra sempre da un lato la sovrappopolazione relativa, ossia l’esercito industriale di riserva, e dall’altro l’entità e l’energia dell’accumulazione, tiene legato l’operaio al capitale ancora più strettamente di quanto le catene di Efesto inchiodassero Prometeo alla sua rupe” (31).
1) “Provvedimento che autorizza l’esercizio di un’installazione a determinate condizioni”, http://aia.minambiente.it/
3) Adottato con Decisione comunitaria CEE n. c/2007/5726 del 20 novembre 2007
4) http://fesr.regione.puglia.it/
5) Cfr. La metamorfosi dell’Ilva, una doppia sfida per Bondi il Ristrutturatore, Roberto Mania, La Repubblica, 20 gennaio 2014
6) Decreto n. 136, 10 dicembre 2013, art. 7 comma 11 bis
7) Cfr. L’Ilva verso l’aumento di capitale, Domenico Palmiotti, Il Sole 24ore, 9 gennaio 2014
8) Decreto n. 136/2013, art. 7 comma 11 ter
9) Decreto n. 136/2013, art. 7 comma 11 quinquies
10) Cfr. L’industria siderurgica italiana, Relazione annuale Federacciai, Assemblea annuale 2013
11) Cfr. http://www.gruppoilva.com/chisiamo.aspx
12) Cfr. L’acciaio risale, ma pesano le crisi, Matteo Meneghello, Il Sole 24ore, 16 gennaio 2014
13) Roberto Mania, La Repubblica, art. cit.
14) Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo
15) Il benzo(a)pirene è “un idrocarburo policiclico aromatico (IPA) classificato come cancerogeno”, Rapporto “Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica”
16) Fabio Riva è accusato di truffa allo Stato per l’importo di 100 milioni in quanto, tramite il supporto della Riva Fire, avrebbe fondato una società in svizzera, l’Ilva Sa, per ottenere i contributi pubblici destinati alle aziende che operano all’estero
18) “La nuova direttiva comunitaria per gli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante”, http://www.isprambiente.gov.it/it
19) Ilva Taranto, il gip avvisa: «O rispetta prescrizioni AIA o sarà di nuovo sequestro», Francesco Casula, Il Fatto quotidiano, 5 novembre 2013
20) Friedrich Engels, Antidühring
21) Ibidem
22) Cfr. S.I.N. Sofisticati Interessi Nazionali, Francesco De Scisciolo, Paginauno n. 32/2013
23) I successivi dati contenuti nell’articolo, salvo diversamente indicato, sono tratti dallo studio SENTIERI
24) Ilva, a Taranto il dolore non muore mai, Daniel Tarozzi, Il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2013
25) Studio SENTIERI
26) Daniel Tarozzi, Il Fatto quotidiano, art. cit.
27) Cfr. Inquinamento a Taranto, la ricerca: “Piombo nelle urine dei tarantini”, La Repubblica Bari, 24 luglio 2012
28) Ilva, diossina concausa del tumore di un operaio, La Repubblica Bari, 20 gennaio 2014
29) Casa deprezzata per colpa dell’Ilva, l’azienda risarcisce per il 20 per cento, La Repubblica Bari, 16 gennaio 2014
30) Studio SENTIERI
31) Karl Marx, Il capitale, libro I sezione VII capitolo 23