Le vite che nessuno vede, Eliane Brum, Sellerio, 252 pagg., 16,00 euro
Eliane Brum narra di “persone comuni” come un tempo gli anziani davanti al fuoco. Le vite indagate sono quelle di coloro che in Brasile nessuno vede, e avrebbe mai visto, se non fosse stato per i suoi reportage – qui raccolti quelli tra il 1999 e il 2015 – di cui lei stessa dice: “Osservando le persone che fanno girare il mondo, ho capito che i grandi avvenimenti sono determinati da piccoli ‘inaccadimenti’ […] piccole cose che provocano grandi ecatombe”. Le vite che nessuno vede sono vite di lotta, spesso usurpate, il cui dramma funge da espiazione per assurgere a esistenze memorabili, grazie alla scrittura carnale della Brum. Si inizia con una storia sulla nascita: l’inchiesta sulle levatrici indie. 700 donne che, nel cuore della foresta, hanno messo al mondo 500.000 abitanti senza mai eseguire un taglio nel corpo delle donne. E si conclude con il reportage sulla morte di Ailce, “la donna che nutriva” bambini affamati. L’autrice ha convissuto con lei gli ultimi 115 giorni della sua esistenza, finita per l’impossibilità di nutrirsi. In mezzo storie appassionanti come romanzi epici che hanno la potenza di risvegliarci dal torpore, scritte “per mostrare che non esistono vite comuni, ma solo sguardi addomesticati [i nostri]. Occhi incapaci di vedere che ogni vita è tessuta con il filo della straordinarietà”. (E. Bussetti)
Storie di gente felice, Lars Gustafsson, Iperborea, 224 pagg., 17,00 euro
Dieci treni prendono il via dalla fantasia dell’autore, ma la loro meta è sempre la stessa: l’orizzonte a cui volge lo sguardo la fantasia del lettore. È questa forse l’immagine più adatta a descrivere la raccolta di racconti pubblicata da Iperborea che, non a caso, comprende anche Le quattro ferrovie di Iserlohn, interessante lavoro allegorico sulla funzione della letteratura. Lars Gustafsson nel racconto appena citato non manca infatti di ricordarci che “la letteratura è come un modello in scala ridotta” della vita reale, ragion per cui la ricerca della felicità di ciascun personaggio può benissimo trasformarsi in un trenino giocattolo deposto dall’autore tra le mani di chi gioca con le vite di carta. “Che cos’è che sacrifichiamo, in realtà, per la compagnia?”, “Che cos’è che va perduto?”. L’autore lancia tanti interrogativi, ma non ha la pretesa di darvi risposta, il suo fine ultimo è piuttosto quello di affondare la penna nell’infinito campo delle possibilità umane, lasciando che lo sguardo segua il percorso del treno. Perché la risposta al nostro bisogno di felicità ci sfugge a ogni passo, coprendosi il volto con quella materia invisibile che scrive la riga di ogni orizzonte. (M. Farina)
L’ultima nave per Tangeri, Kevin Barry, Fazi Editore, 248 pagg., 18,50 euro
Algeciras, terminal dei traghetti: gli avviliti cinquantenni irlandesi Maurice e Charlie, un passato da narcotrafficanti tra Irlanda e Spagna, a-spettano Dilly. Forse sbarcherà dalla prossima nave da Tangeri, tra punkabbestia e cani. In questa notte vivono una speranza. Maurice, principale voce narrante, ricorda i soldi guadagnati e perduti, le proprie donne disfatte – Cynthia, madre di Dilly e amata anche da Charlie… chi è dunque il padre? Ricorda come ha perso l’occhio, com’è che Charlie zoppica a destra, come i due uomini siano rimasti solidali nel declino. Emergono, con schiettezza, famiglie in cui si riciclano inevitabilmente i drammi, l’avidità che costruisce progetti su terreni franosi, la rincorsa verso un dove in cui liberarsi degli errori del passato. Si scontrano generazioni, che hanno della libertà e dell’indipendenza aspirazioni inconciliabili; gli amori montano fino a esondare violentemente e rompersi come vele nella tempesta. Sembra di sfogliare un album di istantanee. La tensione dei protagonisti verso il proprio passato strattona il lettore in una carambola di analessi, per riuscire a immortalare un presente che possa ancora avere un futuro nelle vesti di Dilly. (E. Groppo)