A che punto siamo?, Giorgio Agamben, Quodlibet, 106 pagg., 10,00 euro
A febbraio l’articolo di Agamben intitolato L’invenzione di un’epidemia scatena polemiche; seguono altri interventi, ora raccolti in questo testo. I punti centrali della riflessione sono due: 1. com’è potuto accadere che la popolazione accettasse le restrizioni alla propria libertà imposte dai DPCM; 2. l’epidemia è l’evento che permette alla politica, tramite lo “stato di eccezione”, di costruire una nuova società, che ha nella tecnologia e nel distanziamento sociale i paradigmi e nella “biosicurezza” il dispositivo di governo. La riflessione è doverosa, e fortunatamente è stata fatta da più voci (anche su questa rivista, nel numero di aprile); quel che manca, tuttavia, in questi brevi interventi di Agamben che finiscono per attorcigliarsi su se stessi, ripetendosi, è un approfondimento e un passo in avanti. In qualche modo, manca la realtà: da una parte i meccanismi mediatici con cui il governo ha instillato quotidianamente la paura nei cittadini, dall’altra le ragioni del confinamento e della repressione messi in atto, ossia evitare i rischi di tensioni sociali conseguenti alla disastrosa situazione della sanità pubblica e alla successiva crisi economica. Sono aspetti da cui non si può prescindere se si vuole capire e reagire a ciò che sta accadendo. (G. Cracco)
Verso la secessione dei ricchi?, Gianfranco Viesti, Laterza, 56 pagg.
Promossa prima del Covid, sotto accusa durante l’epidemia, tornata in auge in estate, silenziata adesso: l’autonomia regionale è da decenni un fiume carsico. Due dati a premessa: già ora il grado di decentramento è il 30%, e Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre Regioni che fanno dell’autonomia una battaglia politica, generano il 40% del Pil. Al di là di quali materie (ben 23) siano investite dalla richiesta – dalla sicurezza sul lavoro alla ricerca scientifica – Viesti la definisce “una secessione dei ricchi”: trattenere in regione una maggiore quota di imposte, a fronte di spese pubbliche nazionali invariate, significa infatti ridurre le risorse per i cittadini delle altre regioni; ne consegue che il finanziamento (e dunque l’esistenza) di servizi pubblici sarebbe rapportato al gettito fiscale regionale, legando di fatto i diritti di cittadinanza al reddito. C’è poi il punto nodale dell’istruzione: le regioni più ricche potrebbero investire di più, creando una scuola pubblica di miglior qualità, ma anche decidere di tagliare per ridurre le imposte, impoverendola. In sintesi, determinare differenti diritti di cittadinanza in base alla residenza nega il principio di eguaglianza dei cittadini sancito dalla Costituzione. È vero che già ora è solo sulla carta, ma con l’autonomia regionale non sarebbe nemmeno più un diritto da rivendicare. (G. Cracco)
Anschluss. L’annessione, Vladimiro Giacché, Diarkos, 328 pagg., 18,00 euro
“Un’accumulazione originaria di proporzioni gigantesche”: è la definizione che più si attaglia a ciò che è stata l’“unificazione” tedesca. L’unione monetaria ha azzerato in una notte la competitività delle imprese dell’Est; l’annessione attraverso l’art. 23 della Costituzione con la creazione e incorporazione di 5 nuovi land – e non di uno Stato sovrano – ha permesso di applicare all’Est tutto l’ordinamento legislativo dell’Ovest (proprietà privata, libero mercato, concorrenza…); la Treuhandanstalt ha liquidato o svenduto società, immobili e terreni alle imprese dell’Ovest, che si sono così liberate dei concorrenti e hanno visto spalancarsi un nuovo mercato di vendita per le loro merci; la trasformazione in debiti reali dei debiti fittizi tra imprese pubbliche e Stato (tipici di un’economia socialista), ha portato un’enorme iniezione di denaro in quelle banche dell’Ovest che per due soldi hanno comprato le banche dell’Est. Crollo del Pil, crollo dell’export, de-industrializzazione, disoccupazione, emigrazione, denatalità: questo è stata per la DDR la “Germania unita”, ed è ciò che spiega la situazione politica di oggi in quei cinque land. Giacché parla di una “sensazione di sorpresa e di viaggio nell’ignoto” che l’ha accompagnato nell’analisi delle fonti alla base di questo libro, ed è ciò che prova anche il lettore. Da leggere. (G. Cracco)