L’amore, la società dei consumi e Tinder nel film Newness di Drake Doremus
Dal Simposio di Platone alle chansons dei trovatori francesi, fino all’avvento dei mass media, l’amore è sempre stato al centro di innumerevoli speculazioni di varia natura – filosofiche, sociologiche, politiche, antropologiche – e creazioni in qualsiasi ambito artistico – letterario, pittorico, cinematografico, musicale. Eppure ancora negli anni Trenta del Novecento Wystan Hugh Auden titolava una sua poesia La verità, vi prego, sull’amore. Sembrerebbe, dunque, che l’amore opponga una strenua resistenza a qualsiasi volontà di definirlo univocamente. Forse perché, per citare Roland Barthes: “Voler scrivere l’amore, significa affrontare il ‘guazzabuglio’ del linguaggio: quella zona confusionale in cui il linguaggio è insieme ‘troppo’ e ‘troppo poco’, eccessivo (per la sommersione emotiva) e povero (per i codici entro i quali viene costretto e appiattito)” (1). Lungi, dunque, dal voler dare una risposta definitiva alla domanda cosa sia l’amore – comunque impossibile, data la natura storica, quindi variabile, di un simile concetto – il film Newness (2017) di Drake Doremus si pone piuttosto l’obiettivo di analizzarlo in rapporto alla sete consumista, al senso di precarietà e sradicamento e all’illusoria fuga dal dolore che affliggono la società odierna.
Siamo a Los Angeles. I trentenni Martin (Nicholas Hoult) e Gabi (Laia Costa) non si conoscono ancora, ma sono entrambi iscritti a una app di incontri chiamata Winx. Fin dalle prime scene, li vediamo intenti a ‘scrollare’ sullo schermo del cellulare le foto dei potenziali partner in una maniera a dir poco compulsiva, sottolineata dal respiro affannoso che si sente in sottofondo e dai velocissimi frammenti di rapporti sessuali che entrambi fantasticano di avere con quanti risultano di loro gradimento. Oltre alla logica da supermercato di carne umana che è facile identificare nella creazione e fruizione di simili strumenti, connessa a una sistematica esasperazione del desiderio – secondo la quale il profilo migliore è sempre il prossimo, la donna o l’uomo più belli e/o interessanti si trovano sempre al di là di quanto vediamo nel presente – ciò che emerge qui è già uno scollamento tra dimensione reale e dimensione virtuale, che risulta tanto più evidente nel momento in cui una collega di Martin propone a quest’ultimo di accompagnarla a una festa e lui rifiuta, adducendo il fatto di aver già preso un impegno per quella sera, nonostante non abbia ancora ottenuto alcun appuntamento su Winx: la possibilità che ciò avvenga è ai suoi occhi più importante di qualsiasi occasione concreta gli si presenti nel mondo fisico che lo circonda; le immagini diventano più importanti dei corpi.
In una scena estremamente significativa rispetto a questo tema, vediamo Martin e Gabi incrociarsi su un marciapiede, senza vedersi, poiché entrambi hanno gli occhi incollati al cellulare. Ciascuno dei due si sta recando a un incontro con il partner del momento trovato su Winx – incontro destinato a risultare insoddisfacente tanto per lui quanto per lei. Già in un dialogo precedente avevamo sentito Gabi lamentarsi con le amiche a causa del fatto che nessuno riesce mai a farle raggiungere l’orgasmo. E capiamo presto il motivo: il rapporto sessuale in cui si trova immediatamente coinvolta con il ragazzo dell’appuntamento si limita a un atto meccanico, privo di qualsivoglia erotismo. E vengono in mente le parole chiave della tesi espressa da Luigi Zoja nel suo interessantissimo saggio Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso (su cui torneremo più avanti): “La vita erotica del XXI secolo incontra nuovi problemi perché deriva da una sottrazione: è quello che sopravvive dell’amore quando è stato privato del mito”. D’altra parte, Martin non riesce nemmeno ad arrivare all’atto sessuale con la ragazza da lui incontrata, limitandosi a farle da infermiere nel momento in cui quest’ultima si sente male a causa dell’assunzione massiccia di Klonopil, farmaco conosciuto anche con il nome di Rivotril, appartenente alla categoria degli ansiolitici; il che è significativo, se si considera, tra gli altri, il tema dell’illusoria fuga dal dolore cui abbiamo accennato nel paragrafo di apertura all’articolo.
In breve, vediamo ancora Martin e Gabi ‘scrollare’ sullo schermo del cellulare le foto dei potenziali partner su Winx: solo a questo punto si accorgono l’uno dell’altra e, dopo essersi scritti alcuni brevi messaggi, decidono di incontrarsi la sera stessa in un locale. Tra le prime battute che si scambiano, risulta emblematica quella di Martin, il quale, mentendo, afferma di usare poco Winx, poiché il più delle volte lo fa sentire come “un vibratore attaccato a un corpo cavo” – quasi una conferma, sul piano della sessualità, della reificazione dell’essere umano in un mondo dominato totalmente dalla merce. Da Gabi, laureata in psicologia e biologia, veniamo a sapere, invece, che la tipica forma ‘a fungo’ del pene è dovuta alla necessità primordiale di tirare fuori dalla vagina lo sperma di altri uomini nel momento stesso in cui si procede all’immissione del proprio – un’evidente anticipazione tematica del binomio monogamia-poligamia che tanta parte avrà nel corso del film.
È questa, inoltre, l’occasione per offrire allo spettatore qualche informazione in più sui due protagonisti: Gabi fa l’assistente fisioterapica, è originaria di Barcellona, si era trasferita negli Stati Uniti inizialmente per studio, per poi scegliere di restare. Della storia di Martin, invece, si viene a sapere ben poco, a parte il suo lavoro di farmacista; e questa sua reticenza a parlare di sé è già un atto indiziario del personaggio che, come vedremo, nasconde diversi nodi irrisolti nel proprio passato. D’altra parte, Gabi afferma: “Ho voglia di fare sempre cose nuove, sono alla ricerca di continue novità. Quando capita qualcosa di nuovo, mi ci butto e la vivo intensamente, ma mi stanco in fretta e l’abbandono. Non mi piace più, mi annoia, qualunque cosa sia. Questo mi fa sentire una specie di… Non so come spiegarti… In realtà, per me è difficile capire quello che voglio fare davvero”. Discorso che si collega direttamente al titolo del film – Newness potrebbe essere tradotto appunto come ‘stato di novità’ – e da cui risulta chiara l’equazione tra falsi bisogni, insoddisfazione, frustrazione e smarrimento della propria identità nella società dei consumi.
Non solo: centrale nell’economia narrativa del film è il rapporto opposto dei due protagonisti con il concetto di tempo. Di Martin, come dicevamo, risulterà presto evidente il suo essere rimasto bloccato nel passato, mentre Gabi è costantemente proiettata verso il futuro, col risultato che nessuno dei due riesce a vivere davvero nel presente. E questo appunto perché il presente viene percepito come ‘incompleto’, mentre una sorta di pienezza ontologica viene localizzata sempre altrove.
Ciononostante, almeno all’inizio, tra Martin e Gabi sembra attuarsi il classico colpo di fulmine: non solo la corrente sensuale, ma anche quella della tenerezza, delle quali parla Freud nei suoi saggi sulla Psicologia della vita amorosa, li coinvolgono, come si evince nella scena in cui, usciti dal locale, camminando, si tengono per mano, con Gabi accovacciata scherzosamente sulle gambe in quella che è probabilmente una citazione da Il mostro (1994) di Benigni; oppure nella parte che li vede scattarsi una foto presso una macchinetta automatica (sulle fotografie quali oggetti simbolici, collegati alla sfera tematica della memoria, torneremo a breve). Nemmeno l’ammissione di Gabi inerente al fatto che appena poche ore prima era stata a letto con un altro uomo infrange l’idillio: Martin si limita a farci sopra una battuta. Ma ciò che è importante rilevare in tale ammissione è già la forte predisposizione di Gabi alla trasparenza a cui fa da contraltare il paradigma della segretezza – altro binomio destinato ad acquisire un’importanza centrale nel corso del film. In breve, dopo aver trascorso tutta la notte insieme – e aver avuto così tempo di conoscersi – i due si recano a casa di Martin, dove fanno l’amore in una maniera finalmente soddisfacente per entrambi, del tutto diversa dall’atto meccanico in cui avevamo visto coinvolta Gabi poco prima; tant’è che questa volta riesce a raggiungere l’orgasmo.
La mattina dopo la vediamo sfogliare un piccolo raccoglitore che contiene le foto di Martin da bambino – di nuovo un insistere simbolico sull’importanza del ‘racconto’ e della memoria nella dinamica evolutiva dell’Eros. Per la coppia appena formatasi ha così inizio un periodo di grazia che culmina nel trasferimento di Gabi a casa di Martin, nella cancellazione dei rispettivi profili su Winx e nello scambio reciproco delle fatidiche parole: “Ti amo”.
Senonché tale periodo di grazia ha una durata molto breve. Già dopo un’uscita a quattro con Paul (Matthew Gray Gubler), il migliore amico di Martin, e Quinn (Maya Stojan), moglie del primo – coppia che, come vedremo, rappresenta la stabilità, il tradizionale rapporto monogamico e famigliare in opposizione alla liquidità (Bauman) delle relazioni, dilagante nella società odierna – si manifesta il preludio a un’incrinatura del rapporto tra Martin e Gabi: adducendo di essere stanco, lui rifiuta le avance sessuali di lei, dopodiché la macchina da presa li inquadra significativamente dall’alto, mentre si trovano sulle sponde opposte del letto, girati in modo da darsi le spalle, ognuno con gli occhi di nuovo incollati al cellulare; il motore del desiderio – dal latino de-sidera, mancanza di stelle – esacerbato dalla logica iper-consumista che opera nell’epoca attuale, è sempre un’assenza; ‘possedere’ significa, dunque, smettere di desiderare o quantomeno sperimentare una riduzione del desiderio nei confronti di quanto si possiede o si crede di possedere.
Ma è subito dopo un pranzo con i genitori di Martin che assistiamo al primo violento litigio di coppia. Qui Gabi viene a sapere che la madre di lui è malata di Alzheimer – ancora un riferimento ‘in negativo’ al tema della memoria – motivo per cui quest’ultima la scambia per Bethany (Pom Klementieff), ex moglie di Martin. Non solo: osservando delle foto – il che è significativo rispetto a quanto scrivevamo a proposito del valore simbolico di tali oggetti – Gabi scopre che Martin aveva una sorella, morta a sedici anni in un incidente d’auto. Di nulla di tutto ciò lui le aveva mai fatto menzione, salvo un cenno superficiale al suo precedente matrimonio. Ed è appunto questo a scatenare l’ira di Gabi: “Non sono qui solo per divertimento o per litigare o per scopare. Voglio sapere tutto quanto di te”. Dal suo punto di vista, è come se Martin l’avesse tradita, tenendole nascoste quelle parti del proprio passato che, per quanto lo riguarda, non essendo ancora risolte, non ha alcuna intenzione di rivangare: “Non voglio parlare. Parliamo della tua merda. Di tutti quelli che ti sei scopata, prima che ci conoscessimo”. Ed è significativo che proprio in coda a tale litigio lui riceva un messaggio da Winx in cui gli si fanno gentilmente delle pressioni perché si riscriva.
Vale ora la pena aprire una breve parentesi sul funzionamento di queste app di incontri. Se è vero, infatti, che Winx è un nome di fantasia, chiaro risulta il suo rimando al mondo reale: non solo Tinder, ma un’infinità di altre piattaforme simili, ognuna con le proprie specificità, comprese quelle dedicate ai cattolici (Catholic Match) o agli introversi (Boo). Strumenti che – e questo dovrebbe risultare ovvio in un mondo dominato esclusivamente dalla logica del profitto – non nascono certo con lo scopo di far trovare l’amore a quanti li utilizzano. Come Google, Facebook o Instagram, che ‘offrono’ gratuitamente i loro servizi di base al pubblico, anche per Tinder & Co., al di là degli abbonamenti premium che è possibile acquistare per aumentare le chance di ottenere degli appuntamenti, la più larga parte degli introiti è realizzata attraverso la vendita a soggetti terzi – aziende, istituzioni, governi – dei dati generati dal traffico degli utenti. Sicché risulta evidente l’interesse a mantenere questi ultimi collegati alla rete più tempo possibile. Come scrive Luigi Zoja: “Tinder, la app più popolare, già nel 2014 toglieva un’ora e mezza ogni giorno agli americani che la usavano. Domandiamoci perché si accetta una perdita così pesante: pochi scambierebbero il posto di lavoro con un altro che richiede un’ora e mezza in più per lo spostamento. Forse è il prezzo da pagare per avventure erotiche inesauribili? Assolutamente no. I dati ufficiali dicono che in media ogni 100 swipes («strisciate» o, con un anglicismo, «scrollate») si arriva a soli 1,63 match: e il match non consiste in una notte di passione, ma solo nello scambio di un like. Lo spaventoso investimento di tempo, energie e ansia che gli utenti ricavano dal trovarsi di fronte a una «scelta infinita» e sempre aperta corrisponde a un nuotare senza scorgere l’orizzonte di approdo. I casi in cui l’«investimento» rende e, addirittura, si formano delle coppie restano una minoranza. La ricerca rappresenta piuttosto una compulsione, in cui molti utenti rimangono intrappolati, come il workaholic nel ritmo incalzante di un lavoro di cui non riconosce più il senso né conteggia il guadagno; o l’animale abituato alla gabbia, che non si azzarda a uscirne anche quando la porta gli viene aperta” (2). Inoltre, il che sembra fare da corollario accademico alle difficoltà dimostrate da Gabi nel raggiungere l’orgasmo all’inizio del film: “In teoria, con Tinder o piattaforme simili le cose sono chiare. Ognuno sa cosa si aspetta: anche se quella «cosa» da tempo non riguarda più la relazione ma […] solo l’idraulica di una relazione. Incrementando la fretta e l’ansia che sono condizioni anti-erotiche per la psiche, l’uso dell’elettronica fa decadere la «qualità» del rapporto sessuale: secondo Julian, solo il 31 percento degli uomini e l’11 percento delle donne raggiunge l’orgasmo con un nuovo partner incontrato tramite app. […] La tecnica, dunque, ha permesso un enorme balzo, ma non verso una sessualità più soddisfacente. La delega a una app del graduale processo di avvicinamento e conoscenza elimina le infinite, non programmabili declinazioni dell’eros. Tende a ridurlo a una meccanica del corpo, per il quale l’esperienza diventa nettamente meno piacevole” (3).
Salvo la logica del profitto e le sue modalità di applicazione nell’universo delle piattaforme di incontri, tutto questo emerge nel film di Doremus in senso orizzontale, mai verticale. Eppure, a proposito di quanto dicevamo prima riguardo al traffico di dati, emblematico risulta il dialogo che Martin ha con Paul riguardo alla possibile cancellazione da Facebook da parte di Bethany (scopriremo poi che, in realtà, lei non si è cancellata davvero, ma ha semplicemente bloccato l’ex marito): “Questo mi spaventa di Internet,” dice Paul, “alla fine, non puoi cancellare niente”. Tale battuta, tuttavia, può essere letta anche in chiave simbolica, riferendola a Martin e alla ferita ancora aperta che Bethany rappresenta per lui – declinazione particolare del macro-tema della memoria.
Ma non solo per questo motivo il personaggio di Paul si pone alla stregua di un coro greco intento a commentare le vicissitudini degli altri personaggi. Non per niente, il libro che sta scrivendo tratta di una sorta di mutazione antropologica (Pasolini), destinata a ripercuotersi inevitabilmente nella sfera degli affetti. Come illustra a Martin, leggendogli un frammento del suo testo: “È questo che ci sta privando della capacità di comprendere ciò che è umano. Sta letteralmente distruggendo la nostra emotività. C’è solo volere o vergogna, piacere o dolore, solo estremi, niente grigi, e questo è curioso, perché sono stati i grigi a renderci umani nella storia”. Una mutilazione ontologica dell’essere umano, dunque, il cui processo di reificazione determina una sempre più spiccata incapacità di riconoscere l’Altro e connettersi a quest’ultimo.
Con tali premesse, pare inevitabile che Martin e Gabi si tradiscano a vicenda, non appena sorgono le prime difficoltà di coppia. In un mondo dal quale sono stati cancellati i grigi, come sostiene Paul, il minimo attrito con l’alterità è vissuto alla stregua di un attacco alla propria indipendenza, invece di offrire l’occasione di un confronto costruttivo che potrebbe portare a una crescita personale per entrambi i soggetti coinvolti. A tal proposito, la testi espressa da Byung-chul Han in Eros in agonia risulta puntuale: nell’amore addomesticato si resta uguali a sé e si cerca nell’Altro soltanto una conferma di se stessi. La relazione diventa allora una forma di consumo al di là di ogni rischio e sofferenza: “Non è più una trama, una narrazione, un dramma, bensì emozione ed eccitazione prive di conseguenze” (4).
Ma proprio nel tentativo di eliminare la sofferenza dalla propria vita – e torniamo qui al tema dell’illusoria fuga dal dolore, al quale abbiamo già accennato un paio di volte nel corso dell’articolo – si finisce per sprofondare nella depressione, strettamente collegata, secondo Byung-chul Han, alla crisi dell’Eros in quanto forza in grado trascinare il soggetto al di fuori del proprio Io. Così l’Uomo postmoderno ha barattato il suo essere-nel-mondo con l’Inferno dell’Uguale – quella situazione, cioè, in cui l’Altro viene degradato a specchio in cui riflettersi narcisisticamente; l’unicità di ogni individuo cede il posto alla sua totale intercambiabilità; chiunque si trova a rivestire allo stesso tempo il ruolo di consumatore e mero prodotto di consumo. Il che ci riporta al lavoro di Zoja: “Marx avrebbe detto – e Bauman ha precisato [il riferimento qui è, in particolare, al suo saggio Amore liquido, n.d.a.] – che le partnership sono disponibili sotto forma di merci, anche se sono gratuite. Ma le piattaforme online hanno fatto un ulteriore passo verso un territorio sconosciuto. Da una parte, sono fra i risultati del disgregarsi della coppia. Dall’altra, in un circolo vizioso, cercando di garantire impegni limitati all’incontro e non altro, lavorano già in partenza contro il formarsi della coppia: accettano come sottinteso che l’utente voglia difendersi da aspettative ansiogene che conducono a una relazione fissa” (5).
Ciononostante, Martin e Gabi sembrano ancora intenzionati a salvare il loro rapporto e, dopo essersi confessati a vicenda le rispettive infedeltà, si recano da un consulente di coppia che propone loro un esercizio: per almeno un’ora al giorno dovranno porsi reciprocamente delle domande e rispondere a quelle dell’altro in assoluta onestà. Da qui la decisione di sperimentare una relazione aperta: a entrambi, infatti, manca la possibilità di avere altri partner sessuali. In questo modo, dovrebbe attuarsi una perfetta sintesi tra desiderio di libertà e desiderio di sicurezza – sorta di pendolo schopenhaueriano tra i cui campi opposti l’amore sembra destinato fatalmente a oscillare. Per citare il discorso di una scrittrice alla cui presentazione di un saggio a tema Martin e Gabi assistono con grande interesse: “Il principio indiscutibile dell’ideale romantico è la monogamia, e l’idea stessa che possa essere negoziata sta chiaramente a significare che c’è qualcosa che manca. Il discorso sull’infedeltà e il discorso sulle relazioni aperte non sono la stessa cosa, perché l’essenza dell’infedeltà è segreta, è organizzata intorno a un segreto. Il concetto di relazione aperta verte sul fatto che le vostre esplorazioni con gli altri non sono segrete e verte sulla nozione per cui, quando vado a cercare qualcun altro, non è sempre perché voglio scappare da te, ma piuttosto perché voglio scappare dalla persona che io stessa sono diventata. […] Ci sono tante persone che cercano fondamentalmente di riconciliare due sistemi di valori, due sistemi fondamentali di bisogni umani: vorrei avere una relazione nella quale con te posso avere sia l’àncora che le onde, posso avere la stabilità e la sicurezza, ma posso anche avere la libertà e l’autonomia”.
Riemergono qui tutti quei binomi tematici a cui abbiamo già accennato nel corso dell’articolo: monogamia/poligamia, segreto/trasparenza e – ultimo ma non ultimo – sicurezza/libertà. E per un po’ di tempo Martin e Gabi sembrano vivere davvero un nuovo idillio. Ma anche una relazione aperta presenta delle insidie che nessuno dei due aveva preventivato all’inizio. E profetiche si riveleranno poi le parole che la scrittrice, impegnata nella firma delle copie del suo saggio, rivolge loro al termine della presentazione: “Tanto per chiarire, non è che io la consigli [una relazione aperta, n.d.a.], ma ciò non vuole dire che non sia ammissibile. Perciò, se la considerate una cosa che non vi uccide, ma vi rende più forti, allora va bene. Ma vorrei tanto che la immaginaste meno come una meta finale e più come una tappa”.
Tra le scene più significative inerenti a questa nuova fase della relazione tra Martin e Gabi, vale la pena soffermarsi su quella in cui, dopo aver svolto l’esercizio proposto loro dal consulente di coppia, i due fanno sesso di fronte alla finestra, esposti potenzialmente allo sguardo dei vicini – chiaro rimando simbolico al tema della trasparenza. Inoltre, quando lei dichiara di voler sperimentare un rapporto a tre con un’altra donna e Martin propone di coinvolgere Blake (Courtney Eaton), un’amica di Gabi, quest’ultima si rifiuta, adducendo il fatto che con persone che entrambi conoscono sarebbe complicato: certo, l’amicizia contempla già una forma di relazione con l’alterità, e, per riprendere la terminologia di Bjung-chul Han – ricalcata su quella di Lacan – ciò che occorre loro non è un Altro, ma uno specchio.
I nodi vengono al pettine nel momento in cui Gabi conosce e inizia a frequentare Larry (Danny Huston), un uomo molto più grande di lei, ricco e con già due matrimoni alle spalle. In teoria, non ci sarebbe nulla di male nel fatto che i due abbiano rapporti sessuali, il problema si pone nel momento in cui la ragazza si accorge di aver sviluppato anche dei sentimenti nei suoi confronti. Non per niente, con Larry raggiunge l’orgasmo – unico caso tra gli altri uomini che incontra nell’ambito della sua relazione aperta con Martin. D’altro canto, quando quest’ultimo viene a sapere da Paul che Bethany ha avuto un figlio, ciò determina un ritorno del rimosso relativo al passato condiviso con l’ex moglie, portando Martin a rispolverare vecchi video di lei che suona Satie al pianoforte o ripresa in alcune scene di vita quotidiana, salvati significativamente su una memoria esterna. Come spiega a Blake, incontrata per caso in un locale: “La mia ex moglie ha dovuto abortire qualche anno fa. […] Io e lei parlavano spesso di avere figli e… Ovviamente, quando le è successo, lei era sconvolta. Mi sembra normale. Ma poi mi ha chiesto come stessi e ho capito che… Cazzo, mi sono sentito sollevato. Non avevo più un figlio e continuavo a fuggire. Sono sempre fuggito da tutto. Ero fuggito da lei. Prima ancora ero fuggito da scuola. Avevo fatto un’infinità di cose stupide, dando il peggio di me stesso. Era tutto così evidente, ma solo adesso ho capito che non riuscivo a dirle qual era la verità. La verità è che non ero pronto. Io non me la sentivo di avere un figlio. È così, ma non ho avuto il coraggio di dirglielo. Nonostante tutto, ho sempre pensato che lei sarebbe stata disposta ad aspettarmi. Ero proprio convinto che lei fosse l’unica ragazza che mi avrebbe amato per sempre”.
Laddove dovrebbe esserci ormai un’assoluta trasparenza, si assiste così a un ristabilirsi della segretezza, sottolineato, sul piano simbolico, dalla collanina d’oro con un ciondolo a forma di G – anticipazione del tema dell’identità di cui parleremo a breve – regalo di Larry, che Gabi nasconde a Martin, e dall’email che quest’ultimo scrive a Bethany, in cui dichiara testualmente: “Sei continuamente nei miei pensieri. Qualunque cosa io pensi o faccia è un riflesso del tempo trascorso insieme e mi fa sentire continuamente la tua mancanza”. Del resto, proprio Larry, dimostrandosi scettico di fronte alla fiducia di Gabi nel concetto di trasparenza, aveva anticipato tale epilogo in una scena precedente: “Nella mia esperienza, posso dirti che ci sono cose che non riesci a vedere. E forse è meglio così”. Il suo è lo sguardo disincantato sul mondo di chi vede nell’amore solo una transizione: tu dai qualcosa a me, io do qualcosa a te. Il che ci rimanda alle analisi di Bauman, riprese da Zoja, secondo cui le relazioni nell’epoca postmoderna divengono disponibili solo sotto forma di merci, per quanto la moneta di scambio non sia necessariamente il denaro.
Ma questo non è abbastanza per Gabi, trasferitasi da Larry dopo la rottura apparentemente definitiva con Martin. E bisogna soffermarsi, a tal proposito, sul sogno raccontato dalla figlia di Larry – appena una bambina, ma proprio per questo perfetta rappresentante simbolica della dimensione della possibilità – una mattina a colazione: “Ho sognato che ero in un’altra dimensione ed ero finita nel 2040. E io ero come… Sì, insomma, ho visto me stessa nel futuro. E le ho chiesto: «Chi sei tu?» E allora la me stessa del futuro mi ha risposto: «Chi sei tu?»“. Emerge qui in maniera evidente il tema già accennato dell’identità, legato a filo doppio con quello della scelta. Non per niente, in questo momento della storia, Gabi si trova appunto di fronte a un bivio: restare a Los Angeles e condurre la vita che ha sempre fatto oppure seguire Larry in un lungo viaggio di lavoro che per un anno o due lo condurrà in Europa e, in particolare, a Barcellona, città natale della ragazza.
Sul concetto di scelta in relazione all’amore ruota anche il dialogo in cui sono coinvolti Paul e Martin nella scena immediatamente precedente: “I miei nonni sono stati insieme cinquantasette anni. Quando ho chiesto a Quinn di sposarmi, li ho chiamati subito e ho chiesto a mio nonno quale fosse il segreto. E lui non mi ha dato una risposta. Ci ha pensato un sacco, prima di darmela. Alla fine, mi ha detto: «L’amore è due persone [lo evidenziamo per l’opposizione tematica al concetto di relazione aperta o, per usare un neologismo in voga di questi tempi, poliamore, n.d.a.]. Vive, finché dura la fiducia». Più semplice di così…” Al che Martin domanda: “Vuoi dire che è una scelta?” E vengono in mente, a tal proposito, i concetti di libertà positiva (libertà ‘di’) e libertà negativa (libertà ‘da’) proposti per primo da Immanuel Kant e poi ripresi da vari pensatori, schierati su posizioni politiche anche molto differenti, se non addirittura agli antipodi (vedi il caso di Norberto Bobbio e Isaiah Berlin), e scrittori come David Foster Wallace in Infinite Jest (6). Il che ci rimanda alle analisi di Zoja per cui le moderne app di incontri propongono una scelta apparentemente infinita che si risolve, in realtà, nell’impossibilità di scegliere davvero.
Approssimandoci alla chiusura dell’articolo, si pone necessario, tuttavia, fare una precisazione: dal nostro punto di vista, non si tratta di vedere nella relazione monogamica un valore assoluto da difendere moralisticamente di fronte alla decadenza della società occidentale – decadente sì, ma per motivi molto più complessi e stratificati – né tantomeno di disconoscere l’importanza che hanno avuto le rivendicazioni novecentesche in merito alla libertà sessuale, ma piuttosto di rilevare come tale libertà, che nella sua accezione meno ingenua e ideologica è una libertà ‘di’, sussunta al Capitale, si sia trasformata in una sorta di liberismo del sesso – una libertà ‘da’ – il quale agisce alla stregua di un dispositivo biopolitico in funzione contraria all’Eros. Per dirla con Zoja, il quale riporta nel suo saggio diversi studi statistici in cui viene dimostrato come non solo la qualità, ma anche il numero dei rapporti sessuali tra le fasce più giovani della popolazione – i cosiddetti nativi digitali – sia in netta diminuzione rispetto al passato: “Per lungo tempo, dopo la rivoluzione sessuale, abbiamo osservato lo sviluppo di una dipendenza compulsiva dalla sessualità. Purtroppo, tutto quello che si ripete in forma di ossessività ha rinunciato a essere godimento in sé. Questa deformazione non è stata particolarmente percepita, proprio perché generale. Non possiamo scientificamente dimostrare, ma ragionevolmente supporre, che l’eros nel mondo si sia diluito e indebolito anche attraverso l’accumulo di dinamiche come questa. La «bulimia del desiderio» lavora ogni giorno e ogni anno alla disgregazione del desiderio stesso” (7).
Per tornare a Martin e Gabi, ciò che rende loro dei personaggi potenzialmente tragici è soprattutto il fatto di non sapere cosa vogliono realmente: più che vivere, si sono sempre lasciati vivere in una sorta di adolescenza prolungata, tratto tipico della generazione dei cosiddetti millenial. E, oltre a rimandare al tema dell’identità, risulta emblematico, a tal proposito, il discorso tenuto da Gabi a Larry – ricordiamo, un uomo molto più grande di lei – al momento della loro rottura: “Diciamo, a volte, cose che non pensiamo veramente, ma io credo che tu non voglia conoscermi. […] Dev’essere tutto facile per te, non è così? E va bene così. Ormai tu hai una vita che è già ben definita, giusto? Hai fatto. Ma io non ho neanche cominciato a vivere la mia e non so come la vivrò… Ma so che voglio cominciarla. E non voglio farlo con te”.
Nel frattempo, Martin ha finalmente affrontato i nodi irrisolti del suo passato in un incontro catartico con Bethany, che richiama molto da vicino il finale di Io e Annie (1977) di Woody Allen, in cui i due protagonisti, finita ormai da tempo la loro relazione, si ritrovano in un bar e, parlando e scherzando con Annie (Diane Keaton), Alvie (Woody Allen) scopre di avere ormai superato quella che, per usare il linguaggio di Igor Alexander Caruso, è stata per lui una vera e propria catastrofe dell’Io – l’esperienza della morte in vita a cui corrisponde la separazione dalla persona amata (8). La differenza con il film di Doremus è che ciò prelude a una riunificazione tra Martin e Gabi, ormai consapevoli di volere un rapporto esclusivo con l’altro e capaci di scegliere in tal senso.
Dimodoché la storia narrata in Newness può essere letta, nella sua struttura generale, come la classica vicenda di un amore ostacolato, con tanto di lieto fine, dove gli innegabili elementi di originalità sono da rilevarsi proprio negli ostacoli che i due protagonisti si trovano a dover superare – unico caso, a conoscenza di chi scrive, in cui sia stata portata sullo schermo una così impietosa e puntuale disamina sulle relazioni di coppia ai tempi di Tinder e del consumismo in generale. Solo per questo Newness meriterebbe di essere visto, al di là dell’indiscutibile valore artistico, dovuto anche e soprattutto allo sceneggiatore Ben York Jones.
C’è un simbolo, in particolare, di cui non abbiamo parlato e che dobbiamo ora commentare a chiusura dell’articolo in quanto rappresenta la sintesi morale di tutto il film. Nella scena sopracitata in cui Gabi fa colazione con Larry e sua figlia, tutti e tre stanno mangiando delle uova strapazzate, piatto che la ragazza sosteneva di non amare all’inizio, ma che proprio lei cucina agli altri due, avendo imparato ad apprezzarlo grazie a Martin. “Il segreto sta nei dettagli” è la battuta che si sente ripetere qui alla stregua di un’eco tra la situazione descritta e la prima mattina trascorsa in compagnia di Martin. Chiaro il riferimento alla dimensione dell’amore, bisognosa di tempo, attenzione, memoria, laddove la società attuale sembra negare tutto questo.
Ma, allargando il discorso, può essere utile riprendere il concetto di Cura proposto da Martin Heidegger, ovvero la struttura fondamentale dell’esistenza, l’Esserci (Dasein) in quanto relazione con l’alterità, la quale può attuarsi in maniera autentica o inautentica. Inautentica: sottraendo agli altri le loro cure procurandogli direttamente ciò di cui hanno bisogno; è, quindi, rivolta verso gli oggetti più che agli uomini ed è espressione di ‘essere insieme’. Autentica: aiutando gli altri ad assumersi le proprie cure e, dunque, a essere liberi di realizzare il proprio essere; è espressione di ‘coesistere’. Non per niente, quando Martin insiste affinché Gabi assaggi le sue uova strapazzate, dichiara: “Magari ne faccio un po’ strapazzate e poi, se proprio non ti piacciono, te ne faccio anche uno fritto, così puoi scegliere”.
Di fronte alla reificazione dell’essere umano sempre più evidente nelle società a capitalismo avanzato, ciò rappresenta un primo tassello perché possa attuarsi un cambiamento, se non altro, nella sfera sovrastrutturale degli affetti. Poiché, se è possibile trovare un significato universale alla parola ‘amore’, questo andrà a toccare necessariamente quella zona ‘osmotica’ di confine tra la nostra identità di individui e il mondo come risultato delle modalità che abbiamo di interagire con esso. Per dirla con Marathe, il personaggio creato dalla penna di David Foster Wallace: “Siamo ciò che amiamo”.
1) Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi
2) Luigi Zoja, Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso, Einaudi
3) Ibidem
4) Bjung-chul Han, Eros in agonia, Nottetempo
5) Luigi Zoja, op. cit.
6) David Foster Wallace in Infinite Jest fa pronunciare il seguente discorso a Marathe, membro di una cellula rivoluzionaria che lotta per l’indipendenza del Quebec dall’Onan, il gigantesco Superstato che riunisce in sé Canada, Messico e Usa nel mondo narrativo creato dal genio di Ithaca: “Ma qualcuno in un tempo passato vi ha fatto dimenticare come scegliere, e cosa. Qualcuno ha fatto dimenticare al tuo popolo [quello degli Stati Uniti, n.d.a.] che era l’unica cosa importante, scegliere. […] Qualcuno ha insegnato che i templi sono per i fanatici solamente e ha portato via i templi e ha promesso che non c’era necessità per i templi. E adesso non c’è rifugio. E niente mappa per trovare il rifugio di un tempio. E tutti voi incespicate nel buio, in questa confusione fatta di permissività. La ricerca senza fine di una felicità della quale qualcuno vi ha fatto dimenticare le vecchie cose che erano quella felicità e la rendevano possibile. […] Con voi sempre questa libertà! Per il vostro Paese murato, sempre a strillare ‘Libertà! Libertà!’ come se fosse ovvio a tutti che cosa vuole significare, questa parola. Ma ascolta: non è così semplice. La vostra libertà è libertà ‘da’: nessuno dice ai vostri preziosi ego Usa individuali che cosa devono fare. Ha solo questo significato, è una libertà dalla costrizione e dall’imposizione. […] E libertà ‘di’? Non si è solo liberi ‘da’. Non tutti gli obblighi vengono dall’esterno. Voi fingete di non vedere questo. Dov’è la libertà ‘di’. Come fa la persona a scegliere liberamente? […] Come ci può essere libertà di scegliere se non si impara come scegliere?”
7) Luigi Zoja, op.cit.
8) Igor Alexander Caruso, La separazione degli amanti. Una fenomenologia della morte, Einaudi