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Home Cultura Musica

Laurie Anderson. Amelia

Augusto Bruni by Augusto Bruni
4 Gennaio 2025
in Musica
0
Laurie Anderson. Amelia
  • (Paginauno n. 89, gennaio – febbraio 2025)

A Hollywood, se dovete fare capire a un produttore che tipo di film volete fare, siete tenuti a usare pochi secondi, utilizzando un linguaggio molto visivo che sintetizzi violentemente ed efficacemente il nucleo della narrazione. Per cui se dite: «Pesce fuor d’acqua» è sufficiente. Più di un codice, alla fine, è un modo di raccontare una storia, col vantaggio che potete giocare parecchio su chi racconta la storia, da quale punto di vista. Ecco, se qualcuno mai si decidesse nel futuro a fare un film su Laurie Anderson, dovrebbe sempre tenere presente che l’artista statunitense in certi contesti è un angelo moderno – e voi capite perfettamente tutto quello che sta dicendo – in altri è veramente un pesce fuor d’acqua, oppure un alieno molto gentile ma sicuramente parecchio inquietante. Dico inquietante perché Laurie è per sua natura molto curiosa, ma anche estremamente spregiudicata quando si pone davanti a un mondo che vuole conoscere e fa domande. Nel brano Cultural Ambassador dall’album The Ugly One with the Jewels (1995) Laurie spiega molto bene cosa le accadde durante un tour in Europa ai tempi della prima guerra del Golfo: “Portavo con me molta elettronica, quindi continuavo a disimballare tutto, collegarlo e spiegare il funzionamento di ogni pezzo. Immagino che sembrassi un po’ sospetta: molti di questi dispositivi si accendevano mostrando sigle luminose a LED con nomi come ‘Atom Smasher’, per cui c’è voluto del tempo per convincere i miei interlocutori che non fossero un qualche tipo di sistema di spionaggio portatile. Così ho finito per fare una serie di piccoli concerti improvvisati di musica sperimentale per gruppi di detective e agenti della dogana; dovevo allestire tutto, loro ascoltavano un po’ e poi chiedevano: «Allora, cos’è questo?» Tiravo fuori qualcosa, magari un filtro, dicendo: «Questo è quello che mi piace considerare la voce dell’autorità.» Mi ci voleva un po’ per spiegare come lo usavo in brani che trattavano temi di controllo. E loro, dopo un po’, mi chiedevano: «E perché mai vorresti parlare così?» A quel punto guardavo intorno a me – le squadre SWAT, gli agenti sotto copertura, i cani, e la radio nell’angolo sintonizzata sulla copertura della guerra durante il Super Bowl – e rispondevo: «Fate un’ipotesi senza sapere altro.»“.

Sono passati quasi trent’anni da quando Laurie ha fortunatamente folgorato la percezione mia e di molti altri ai tempi del singolo O Superman e dello straordinario film Home of the Brave. Ha continuato imperterrita a guardare avanti, stando sempre almeno dieci passi avanti a tutti, e mantenendo una vivida attenzione sulla realtà del qui e ora. Laurie gioca con l’elettronica come una bambina curiosa pur sapendo perfettamente dove mette le mani. Ha costruito e poi evoluto una bizzarria unica come il tape-bow violin, in cui utilizza un nastro magnetico registrato al posto del tradizionale crine di cavallo nell’archetto e una testina di nastro magnetico nel ponte del violino. In Home of the Brave, durante il segmento Late Show manipola attraverso questo strumento una frase registrata da William S. Burroughs, voce precedentemente passata attraverso un MIDI, campionata e attivata dal contatto tra l’arco a nastro e le corde del violino. E poi vi risparmio il Talking Stick, un controllo MIDI che opera sulla ‘sintesi granulare’ della musica – la tecnica di scomporre il suono in piccoli segmenti, chiamati grani, e poi riprodurli in modi diversi: il computer riorganizza i frammenti sonori in stringhe continue o cluster casuali, che vengono riprodotti in sequenze sovrapposte per creare nuove trame. Ogni segmento è molto piccolo, dell’ordine dei centesimi di secondo, e solo se si rallenta, come in una pellicola da film, la velocità di riproduzione, si può distinguere un frammento o, in questo caso, un suono dall’altro. Per un intero trentennio Laurie è stata l’avanguardia musicale, una creazione avanzata che però non comincia descrivendo ciò che crea. Il suo lavoro non è venduto nelle gallerie. È sperimentato dal pubblico che va a vederla esibirsi: canta, racconta storie e suona strani violini di sua invenzione… fonde il bello e il bizzarro, sfidando il pubblico con omelie e umorismo. Ricordo una registrazione fatta da amici di un suo concerto dal vivo a New York, dopo l’uscita di Mister Heartbreak (1994). Lì, durante una versione infinita di Sharkey’s Day, Laurie era la voce più sarcastica e viva della metropoli: raccontava aneddoti divertenti, buffi e strani ma con uno sguardo sempre molto attento a cogliere paradossi e contraddizioni. La leggerezza di un angelo sempre un paio di metri più in alto del formicaio in cui si brancola, e l’umorismo pungente di chi rifiuta d’essere messa in una scatola definitoria a uso dei soli giornalisti. Laurie ha sempre sfumato i confini tra musica, teatro, danza e film. E poi c’è la tecnologia…

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