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Home Economia Economia

L’influenza di Big Crypto nelle elezioni statunitensi

Rivista Paginauno by Rivista Paginauno
3 Maggio 2025
in Economia, Internazionale, Nuove Tecnologie, Ultimo Numero
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L’influenza di Big Crypto nelle elezioni statunitensi

Photo by Traxer on Unsplash

    • (Paginauno n. 91, maggio – giugno 2025)

    Mentre Trump firma ordini esecutivi affossando le valute digitali delle banche centrali e favorendo le criptovalute private, le società del settore, da Coinbase a Ripple, spendono 260 milioni per condizionare la corsa elettorale per il Congresso, sostenendo trasversalmente candidati Repubblicani e Democratici

    Il 23 gennaio Trump firma l’ordine esecutivo Strengthening American Leadership in Digital Financial Technology (1), con cui apre la strada alle criptovalute. Premettendo che “il settore delle risorse digitali svolge un ruolo cruciale nell’innovazione e nello sviluppo economico negli Stati Uniti, nonché nella leadership internazionale della nostra nazione”, l’atto intende “proteggere e promuovere la capacità dei singoli cittadini e delle entità del settore privato di accedere e utilizzare per scopi legittimi reti blockchain pubbliche e aperte senza persecuzioni, inclusa la capacità di sviluppare e distribuire software, di partecipare all’estrazione e alla convalida, di effettuare transazioni con altre persone senza censura illegittima e di mantenere l’autocustodia delle risorse digitali”. Contemporaneamente, l’ordine presidenziale è la pietra tombale sul progetto di dollaro digitale emesso dalla FED e, in generale, sull’utilizzo all’interno degli Stati Uniti di qualsiasi valuta digitale nazionale: si legge infatti esplicitamente l’intenzione di “adottare misure per proteggere gli americani dai rischi delle valute digitali delle banche centrali (CBDC), che minacciano la stabilità del sistema finanziario, la privacy individuale e la sovranità degli Stati Uniti, anche vietando l’istituzione, l’emissione, la circolazione e l’uso di una CBDC all’interno della giurisdizione degli Stati Uniti”. Ciò non significa che gli USA, come Stato, si auto-escludono dalle monete digitali, anzi. L’executive order specifica infatti la volontà di “promuovere e proteggere la sovranità del dollaro statunitense, anche attraverso azioni volte a promuovere lo sviluppo e la crescita di stablecoin legali e legittime basate sul dollaro in tutto il mondo”. In soldoni – è il caso di dirlo – cosa sta mettendo in piedi Trump?

    Sintetizzando, si può affermare che il neoeletto Presidente statunitense chiuda la porta del mercato delle criptovalute alle banche centrali – e dunque alle istituzioni pubbliche – e lasci campo libero ai soli privati. Mettendo una pietra al collo, di fatto, anche all’idea di un euro digitale, da tempo accarezzata dalla BCE. Una delle peculiarità delle valute a controllo centrale, ma digitali, sarebbe infatti la interoperatività a livello internazionale (euro digitale con dollaro digitale con yuan digitale ecc.), che l’amministrazione Biden aveva promosso; ma se ora il dollaro, valuta di riferimento mondiale per le transazioni finanziarie e commerciali, viene a mancare, è chiaro che l’interno sistema perde di senso. Trump dunque sceglie stablecoin ancorate al dollaro, emesse da società private, per inserire gli Stati Uniti nel mondo delle valute digitali e così preservare, a suo avviso, il dominio dollarocentrico. Non è, come è evidente, una decisione di poco conto. Significa iniziare a intaccare il monopolio statale della moneta. Difficile non intravedervi il pensiero anarco-capitalista (2), così diffuso nell’ambiente Tech che ha sostenuto Trump nella corsa elettorale.

    Il 6 marzo, con un altro ordine esecutivo (3), il Presidente USA istituisce una “riserva strategica di bitcoin”, nella previsione di ampliarla ad altre criptovalute al fine di “stabilire una riserva di asset digitali degli Stati Uniti”. Al momento nel conto andranno “tutti i bitcoin detenuti dal Dipartimento del Tesoro che sono stati definitivamente confiscati come parte di procedimenti penali o civili […] o in soddisfazione di qualsiasi sanzione pecuniaria civile imposta da qualsiasi Dipartimento esecutivo o agenzia”; ciò non toglie che “il Segretario del Tesoro e il Segretario del Commercio svilupperanno strategie per acquisire ulteriori bitcoin governativi, a condizione che tali strategie siano neutrali per il bilancio e non impongano costi incrementali ai contribuenti degli Stati Uniti”. La società di dati blockchain Arkham Intelligence, che tiene traccia dei grandi portafogli di criptovalute, stima che le attuali disponibilità del governo USA sommino oltre 198.000 Bitcoin (4): al valore di metà marzo, parliamo di circa 17 miliardi di dollari. In sé non è una cifra importante, ma anche in questo caso è la decisione a essere peculiare: una criptovaluta emessa da privati entra tra le riserve di uno Stato. E tra gli addetti ai lavori – pur registrando addirittura delusione perché Trump ha, per ora, negato la possibilità che gli Stati Uniti acquistino bitcoin sul mercato, limitandosi a quelli già confiscati in procedimenti giudiziari – già si immaginano altri Paesi istituire riserve di bitcoin, con ciò che può comportare in termini di crescita per il settore privato delle cripto: “Con l’espansione delle riserve, l’infrastruttura per i servizi finanziari Bitcoin dovrà seguire, tra cui soluzioni di portafoglio, framework di regolamento on-chain e binari più forti tra Bitcoin e sistemi fiat. La riserva segna un cambiamento nel ruolo di Bitcoin all’interno del sistema finanziario globale, da attività speculativa a strumento di riserva macroeconomica legittimo e riconosciuto” (5).

    Il punto da focalizzare, tuttavia, è che Trump non è solo. Sempre più figure politiche in corsa alle ultime elezioni statunitensi, trasversalmente tra Repubblicani e Democratici, hanno espresso valutazioni positive sulle criptovalute, spesso modificando la posizione critica precedentemente assunta. Secondo un Report di Public Citizen uscito ad agosto scorso, Big Crypto, Big Spending, le società di cripto hanno fortemente influenzato la tornata elettorale per il Congresso, spendendo milioni di dollari per sostenere o attaccare i candidati a favore o contrari. Pubblichiamo qui una sintesi dei dati rilevanti, da noi aggiornati a marzo 2025, con tabelle a cura di Paginauno. Il nodo centrale da non perdere di vista, continuando a osservare ciò che accade nell’incrocio tra Stato e mercato, è quanto il settore tech stia conquistando a grandi falcate territori un tempo ontologicamente monopolio di Stato (6), con il potere che ne deriva.

    Alle ultime elezioni statunitensi le società di criptovalute hanno investito molto denaro per far sì che la regolamentazione del settore diventi una questione prioritaria per i candidati. Il maggior beneficiario dei versamenti aziendali è stato Fairshake PAC, un super PAC che a giugno 2024 ha raccolto 202,9 milioni – diventati 260 a dicembre 2024 – la maggior parte dei quali proviene da imprese del settore…

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    Tags: bitcoincapitalismo digitalecriptovalutaelezioni USAlobbyStati Uniti
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