Inside story dell’inchiesta Log in. Fenomeno rider
Michele Biella, Gian Mario Felicetti
Finalmente, dopo vari mesi dalla firma del contratto, riesco a trovare un slot! Finora infatti ogni settimana mi veniva concesso di accedere alla prenotazione solo alle 17:00 del lunedì e trovavo sempre tutti i turni già presi. Tutti intendo tutti, anche quelli alle undici di sera o mezzanotte. In qualsiasi zona. A parte magari Rozzano, che ha qualche slot libero, ma è veramente troppo lontano rispetto a dove vivo.
Ma ecco che un lunedì riesco a prenotare un turno per la settimana successiva, dalle 18:30 alle 20:00, in una zona appena fuori Milano. Una zona che in realtà contiene più comuni limitrofi, e forse è per questo che la fascia oraria è più lunga dei classici 60 minuti. Sono in gran parte strade di periferia urbana, statali e tangenziali, una viabilità pensata per auto e camion: non me la sento di usare la bicicletta, troppo pericoloso, e opto per lo scooter.
Per essere alle 18:30 nella zona di attività, parto alle 18:00. Sono appostato in un centro commerciale, vicino a un McDonald’s. Penso di avere il massimo delle possibilità che una eventuale richiesta parta da qui. Mi chiedo chi prenoti hamburger alle 18:30. E in effetti passo 18 minuti ad aspettare. Mi sento osservato, bardato con il giubbotto da moto con le protezioni e questo enorme scatolotto per la consegna del cibo.
Arriva la prima consegna. Però la perdo perché non riesco ad accettarla: continuo a premere sul pulsante “accetta l’ordine”, ma non accade niente. Spengo anche la app e la rilancio, ma niente. Chiedo aiuto al personale di McDonald’s, forse possono farmi accettare l’ordine dal loro sistema, ma niente. Lo perdo, ma me ne viene riproposto subito un altro. Mentre lo smartphone produce diabolici suoni per ricordarmi che ho 100 secondi di tempo per accettare l’ordine, telefono anche al numero di supporto, che mi dice di mandare una segnalazione perché probabilmente si tratta di un bug. Insomma: chiamo per avere supporto, e loro mi chiedono di supportare il team informatico, per di più durante il turno di lavoro!
Arriva un terzo ordine, e ho un’illuminazione: e se invece di premere, strisciassi il dito? Funziona. Ecco, basta saperlo. Il mio primo ordine è stato accettato (STEP1).
Mi presento al bancone di McDonald’s, informo la app che sono arrivato al punto di consegna (in realtà ero già lì) (STEP2), apro lo scatolotto e indico il mio numero a una dipendente del fast food; attendo meno di un minuto, informo la app che il ristoratore mi ha consegnato il cibo (STEP3) e mi viene mostrato il nome della persona che attende la consegna, il suo indirizzo, il suo telefono. Beh, che dire, ho vari chilometri da fare, come immaginavo, circa 7. E procedo.
Anche con il navigatore, non è facile orientarsi nella zona. Percorro la tangenziale, esco superando degli incroci molto trafficati, più raramente percorro alcune strade extra urbane dove le macchine sfrecciano e mi sorpassano, a volte nervosamente, noto che il bordo strada non è tra i migliori e penso che in bicicletta sarebbe stato un inferno nonostante il bel tempo. Con lo scooter almeno devo solo stare attento a evitare le buche. Arrivo a destinazione ma il navigatore mi fa fermare 150 metri dopo il posto giusto… percorro questi 150 in contromano. Ho il timore che se rispetto le indicazioni stradali sarò costretto a tornare in tangenziale e fare chissà quanti chilometri per tornare qui al punto giusto. E mi sento anche sotto pressione per consegnare il prima possibile. Mi rendo conto che, mio malgrado, mi sento più intimorito da come mi ‘osserva’ la app che da un eventuale poliziotto che possa sbucare e multarmi. Mi stupisco, perché di solito non mi comporto così. E mi chiedo se è dovuto all’inesperienza del principiante e se con il tempo questo comportamento diventa piuttosto un’abitudine.
Raggiungo il punto di consegna. Supero un cancello a piedi, cerco il portone di un enorme palazzone che sembra essere introvabile, poi per fortuna sbuca una ragazza non so da dove, e dopo qualche saluto di circostanza, consegno al volo con un bel sorriso, per farmi fare in bocca al lupo, visto che è la mia prima volta. Lo dico alla app (STEP4), e mi godo questi 4 euro appena guadagnati.
Passano pochi secondi e la app mi chiede subito se voglio accettare una nuova consegna. Mi chiedo se l’algoritmo mi dia la precedenza perché sono in scooter e in questa zona è sicuramente un vantaggio. Ma non lo saprò mai. Mi mostra il percorso che dovrò fare per raggiungere di nuovo il McDonald’s (un altro, non lo stesso di prima) e poi il destinatario. Questa volta sono 5,50 euro, e in effetti un po’ di chilometri in più: 9, quasi 10. Ovviamente accetto. E riprende il giro di tangenziali, incroci, strade.
Il turno passa così, con tre consegne. Tre McDonald’s. Ma visto dove sono c’era da aspettarselo. L’ultima consegna è agli estremi della zona, e ahimè dalla parte opposta rispetto a casa.
Unica nota di colore. Mentre attendo un paio di minuti sotto il palazzo dell’ultimo cliente, un’anziana signora si ferma a parlare e mi chiede per quale ristorante lavoro. La figlia però è veloce come una saetta e la porta via, nemmeno il tempo di dire “Buonasera signora, non è un ristorante, è una piattaforma online di intermediazione…”. Vabbé, tanto non avrebbe capito. Però questo episodio mi fa pensare, per contrasto, a quanto anonimato ci sia in questo lavoro. Rapporti fugaci, fugacissimi con i ristoratori, qualche ‘collega’ con cui al massimo incroci lo sguardo con un sorriso, ma durante la consegna non hai tempo – se mai ce ne fosse l’esigenza – per due chiacchiere. E il cliente: un po’ non sa chi sei, un po’ ha voglia di rientrare a casa (c’è quel film, il sugo in pentola, l’amante, i figli lasciati soli che poi si fanno male…) e anche lì tutto inizia e finisce con un “ciao” e un “grazie” solo se è gentile. Insomma: un’ora e mezza di totale solitudine, pur facendo cose tra la gente e per la gente.
Comunque, devo ammettere che anch’io non ho una gran voglia di fare chissà quali chiacchiere. Ormai è tardi, le 20:00 del fine turno passate già da 15 minuti, ho fame (trasportare per ore il cibo del McDonald’s è una penitenza dantesca, non so cosa ci mettano per farti venire così voglia di mangiarlo) e la schiena dolorante dopo due ore abbondanti in viaggio con il portavivande sulle spalle. Mi aspettano ancora 30 minuti per tornare a casa, dove arrivo finalmente alle 20:45.
Il turno dunque è stato di un’ora e mezza. Ma io sono stato due ore e tre quarti sullo scooter. Quasi il doppio. Certo, gli spostamenti ci sono in ogni lavoro. Ma se lavori otto ore, il tempo di spostamento ha un senso. Se lavori solo un’ora e mezza, beh, pesa molto, molto di più.
Dunque, impiegando 2 ore e tre quarti del mio tempo ho guadagnato 16,00 euro lordi, 12,5 euro netti, a cui vanno tolti circa 2,5 euro di benzina, avendo percorso più di 45 chilometri. Quindi 9,5 euro in totale, che fanno un guadagno netto di poco più di 3,5 euro all’ora. Non proprio una grande cifra. Ed è quel che penso mentre mangio dei fagiolini per cena, che adesso mi sembrano la cosa più insipida che si possa mangiare. E anche un po’ amara.