Una colonna sonora facile facile
Una delle poche cose buone di tutte le restrizioni imposte dal lockdown è che c’è davvero molto tempo per riflettere su se stessi. Ma se non volete passare attraverso una fase di autoanalisi, c’è sempre la possibilità di riflettere sui vostri gusti musicali non meno che su quelli televisivi. Io ho già usato questo tempo per rimettere un po’ d’ordine nei miei archivi oramai digitalizzati. Ma siccome tutte le cose hanno una fine, ecco che mi avanza un sacco di tempo: mi riguardo vecchi film con l’occhio del poi; ho un mucchio di tempo per guardarmi film nuovi e mettermi un poco al passo. Orbene, ho deciso di papparmi la saga del Mandaloriano, che per chi non lo sapesse è una sorta di costola di Star Wars. Credo d’aver fatto bene perché ci sono un sacco di cose interessanti.
La prima cosa che mi salta all’occhio è la struttura narrativa della saga. Il regista Jon Favreau (classe 1966) è sicuramente meno colto di George Lucas (classe 1944), che potrebbe essergli padre, almeno anagraficamente. Ho la nettissima impressione che Favreau abbia lavorato sui rimasugli narrativi di Star Wars, trovandosi bella che pronta una accozzaglia di temi mitologici e cinematografici. Si sa che Lucas ha attinto moltissimo dalle lezioni di mitografia di Joseph Campbell e anche dalla frequentazione di diversi insegnanti di buddhismo tibetano – pare accertato che la fisionomia di uno di questi, Tsenzhab Serkong Rinpoche, sia servita per modellare il maestro Yoda. E c’è da scommettere che nel tentativo di assimilare più nozioni possibili Favreau si sia ingozzato in pari misura di vecchi film western e classici film giapponesi sull’epopea dei samurai. Un po’ come Tarantino (classe 1963), ma solo un po’, visto che la genialità di quest’ultimo come autore di stupendi frullati narrativi è nata col tempo, l’esperienza e la visione di cataste di video nel negozio dove lavorava, cose che difettano a Favreau. Niente da dire sul ragazzo se parliamo della regia visiva. Si può invece spendere qualche parola sulla originalità delle trame del Mandaloriano.
Posto che l’originalità assoluta è veramente dura da raggiungere, ci si può comunque aspettare un onesto utilizzo di millenarie figure e strutture per confezionare una bella storia che appassioni il pubblico. Ora, chiunque ha dei debiti nei confronti di Star Wars – parlo in particolare degli episodi che raccontano nascita, sviluppo e apoteosi di Luke Skywalker. Lucas in buona sostanza ha scritto un Bildungsroman, un’opera di formazione, portandolo via dalla terra e ambientandolo tra le galassie. Ha rispettato tutti, ma proprio tutti, gli step narrativi individuati da Campbell nei racconti mitici. Addirittura nei sequel Luke diventa l’unico e ultimo Jedi depositario del segreto della Forza, proprio lui, ritiratosi dopo la distruzione quasi completa dell’Ordine e tirato per i capelli a tornare in scena quando si manifesta una degna discepola. Consegnato il lignaggio in buone mani, Luke può svanire e la saga ricominciare con una nuova speranza. Tutta questa architettura, dicevo, è stata organizzata in modo perfetto e coerente, cosicché è diventata una specie di modello-base per chiunque volesse percorrere nuovamente i sentieri dello science fiction a sfondo mitologico. Col limite, beninteso, che si continuasse a scrivere anche solo sottotraccia un Bildungsroman. Diversamente, la narrazione scifi si mette nelle mani di altre strutture narrative altrettanto solide della prima – un esempio per tutti è Star Trek, modellato principalmente sull’Eneide. E veniamo alla colonna sonora.
Non c’è alcun dubbio che chiunque si accosti a quella corazzata narrativa che è Star Wars deve fare i conti anche con John Williams, autore di una delle corazzate sonore più famose di tutti i tempi. In nove film e in più di quarant’anni, John Williams è stato un personaggio centrale nella Skywalker Saga, popolando la galassia con dozzine di temi indimenticabili – per la Forza, per Darth Vader, per Yoda – in uno stile elegante ma enfatico, come può esserlo solo uno statunitense che si ostini a seguire lo stile neoclassico in architettura. Il fantasma di Williams aleggia anche nei numerosi videogiochi e nelle serie TV di cartoni animati legate a Star Wars, così come nelle serie collaterali. Quando Michael Giacchino ha assunto l’incarico per la colonna sonora di Rogue One nel 2016, è andato sul sicuro parafrasando Williams e riscuotendo ampi consensi: ascoltate la Suite Imperiale e ditemi se non pensate immediatamente a tutto quello che avete udito di Star Wars: https://www.youtube.com/watch?v=-C2wCcuKmLI&list=PLXaiRCts4b1ZNGa6PkDFk43mv7x0HLnDc&index=20&ab_channel=DisneyMusicVEVO.
Quando John Powell ha avuto l’incarico per Solo, ha avuto più limitazioni, nel senso che gli è stato affidato un nuovo tema di Williams per Han Solo e l’incarico di tracciare un percorso familiare – sul piano auditivo – attraverso la galassia. Mica per caso Powell nel 2018, ha scherzato sul fatto che il processo per entrare in questo terreno sacro era stato come “camminare in un campo minato con scarpe da clown”.
E veniamo al nostro Mandaloriano. Potete perdonarmi se vi dico che appena ho fatto partire il film (avevo installato casse e amplificatore più potenti proprio per godermi un sonoro che mi si diceva fosse fantastico) mi è venuto da ridere. Dovete sapere che il compositore della colonna sonora è un trentenne svedese dall’aspetto decisamente post-hippie tecnologico, a nome Ludwig Göransson, che ha inopinatamente vinto l’Oscar per la colonna sonora di Black Panther (fantascienza politically correct solo per afroamericani) e ha consolidato la vittoria con la soundtrack per Creed (Rocky Stallone allena il figlio del suo rivale Apollo Creed). In nessuna delle due occasioni mi sono particolarmente scaldato, né per la trama e men che mai per la colonna sonora. Göransson, la cui anima musicale è stata forgiata con i Metallica quando era alle elementari, usa come cuore delle sue composizioni una chitarra elettrica Ibanez a otto corde che è il modello distintivo di Fredrik Thordendal della band metal svedese Meshuggah (a cui penso vorrebbe assomigliare fisicamente). Va particolarmente orgoglioso dello strumento per la sua versatilità, visto che le due corde in più gli assicurano la produzione di una vasta gamma di basse frequenze e che un eventuale distorsore fa assomigliare la chitarra a uno strumento in ottone. Ma tutto questo, ovviamente, non dice nulla sulla qualità della musica. Mi sono letto un po’ di interviste e di nuovo, pervicacemente, Göransson insiste sugli aspetti tecnologici della sua musica, tra i quali il recupero di strumenti vintage come il mellotron (i tasti attivano nastri pre-registrati, lo usarono massicciamente i Genesis e la PFM) e una serie infinita di marimbe, vibrafoni, celeste, sino ad arrivare a strumenti da bambini come il flautino che molti di noi hanno studiato a scuola. Solo che è lungo 60 cm buoni, in cima è piegato di 45° gradi come un tubo di stufa e ha un’imboccatura facile facile.
Attenzione: ecco qua la causa delle mie risate a inizio film e a inizio serie, e prima ancora di capire quale fosse la trama! Ma sono bastati quattro minuti e la trama era già evidente. Il Mandaloriano è una via di mezzo tra Lucky Luke e Toshiro Mifune, tra un cowboy stagionale e un ronin fuoricasta e senza padrone. Un guerriero del futuro, però triste come può esserlo un orfano educato in una casta militare. Fa il cacciatore di taglie, e si capisce perfettamente già quando entra nell’equivalente di un saloon e scatena una rissa. Il Mandaloriano è una sintesi felice di quel personaggio che in tecnica di sceneggiatura si chiama Traveling Angel, Angelo Viaggiatore e che io ho ribattezzato il Nomade. È un personaggio senza fissa dimora, che nessuno sa da dove viene né dove andrà. Si sa solo che è micidiale con le armi, taciturno, essenziale, definitivo. Sbroglia i problemi di una comunità, comunque intesa, e poi riparte. Il Mandaloriano è come Mr. Wolf in Pulp Fiction: risolvo problemi. Vi ricordate di Mary Poppins? E del pistolero di Per un pugno di dollari? Stessa cosa, narrativamente parlando. E la variazione più interessante è che a risvegliare un minimo di senso parentale e di affettività nel guerriero Mandaloriano è la missione di portare in salvo un piccolo Yoda (che scopriremo si chiama Grogu). Il modello, manco a dirlo, è True Grit – Il Grinta (versione John Wayne e Jeff Bridges).
Potete capire allora che dopo dieci minuti dall’inizio sapevo che avrei dovuto armarmi di pazienza, aspettandomi e pregando che le variazioni sul tema fossero tante e gustose, così da non avere l’impressione di aver perso tempo.
La colonna sonora, dicevo. Chi ha presente le prime tre memorabili note che introducono Il buono, il brutto e il cattivo (le altre due ripetono la seconda e la terza) con le altre tre che ‘chiudono’, sa che esse riproducono né più né meno l’ululato di un coyote. Sono il marchio di fabbrica del duo Leone/Morricone, e tanto basta. Cosa ha fatto Göransson? Di note ne ha utilizzate DUE, dicasi due, mica cinque. E poi le ha ripetute ad libitum, solo cambiando la tonalità. E infine le ha suonate sul flautino da bambini che vi dicevo. E poi vai con la percussione che suggerisce un incedere da cavaliere e i fiati grassi e magniloquenti che arrotondano il tutto. Minimo sforzo, massimo rendimento.
Manco a farlo apposta, ho ascoltato bene anche la traccia sonora che introduce la seconda stagione del Mandaloriano. L’incedere ritmico è identico e c’è un bel po’ di citazioni/omaggi alla colonna sonora originale di Star Wars, soprattutto per il fatto che nella storia comparirà Luke Skywalker (cioè Mark Hamill, passato attraverso un incredibile make-up digitale che gli toglie quarant’anni buoni) saldando con la sua presenza le due saghe. Il regista ha infatti dichiarato che The Mandalorian è ambientato cinque anni dopo la caduta dell’Impero nell’Episodio VI: Il ritorno dello Jedi (1983) e venticinque prima dell’ascesa del Primo Ordine, il regime autoritario che ha saldamente il controllo della galassia nell’Episodio VII: Il risveglio della Forza (2015). Qui la suite della seconda stagione: https:// www.youtube.com/watch?v=DSn1AJ_Yis4&ab_channel=SamuelKimMusic.
Insomma, come avrete oramai capito, c’è ben poco da entusiasmarsi. Non fosse per i metallari mongoli, potete tranquillamente far finta che questa colonna sonora non esista.