Felice Bonalumi
Sincerità e menzogna, il bisogno dell’uomo di mentire
“L’uomo può credere l’impossibile,
ma non può mai credere l’improbabile.”
Oscar Wilde, La decadenza della menzogna
L’uomo mente. Non occasionalmente, ma come dato strutturale della sua vita. Uno studio trentennale della psicologa francese Claudine Biland (1) conclude che mentiamo almeno due volte al giorno, che il 62% dei bambini intorno ai tre anni dice bugie e intorno ai cinque anni si arriva al 100%. Con qualche curiosità: una coppia all’inizio della propria storia d’amore mente ogni dieci minuti, poi lo fa per omissione, cioè non viene detto tutto. Un ultimo dato: solo il 18% di bugie viene smascherato! Che sia nel patrimonio genetico o indotta dall’ambiente, dalle circostanze, il dato certo è la necessità da parte dell’uomo di mentire: con se stessi, con i genitori, con gli amici, con i colleghi di lavoro, in pubblico e in privato. Per esempio, gli adolescenti che tutti vogliono in gruppo sono proprio quelli più sgamati a raccontarle grosse, a imbrogliare i coetanei. Non c’era bisogno di psicologia, comunque è confermato: i maschietti esagerano sia in numero che in qualità di prestazioni quando parlano di sesso, mentre le donne giocano al ribasso.
Non a caso, accanto a studi sulla bugia ce ne sono molti su come smascherarla: il tono di voce, le pupille più o meno dilatate, l’evitare o meno gli sguardi, la rigidezza della postura. Insomma, tutta una serie di tecniche sono state messe a punto per individuare il mentitore, segno indiscutibile della quantità di bugiardi in circolazione. Tuttavia, se la menzogna fa parte della nostra vita, definirla e analizzarla è tutt’altro che agevole. Si può parlare di menzogna in senso lato e allora anche di menzogna della natura come, per esempio, nell’ultimo lavoro di Thomas Mann, L’inganno (2). Rosalie, la protagonista, è una donna matura in menopausa che si innamora del giovane insegnante di inglese del figlio. Perdite di sangue la illudono di un ritorno delle mestruazioni e con esse della giovinezza e della vitalità. La realtà è molto più triste: un tumore all’utero di cui muore. Oppure si può accettare il paradosso (“e i paradossi sono sempre cose pericolose”) di Oscar Wilde ne La decadenza della menzogna (3) per cui la vita è menzogna e l’Arte è la sede della verità: “[…] la vita imita l’arte assai più di quanto l’arte imiti la vita”.
Per altro i due termini, menzogna e bugia, equivalenti anche nel parlato, hanno un’origine tarda: dal tardo latino mentionia (con incrocio di mentio, -onis e mentiri) e dal provenzale antico bauzar = ingannare e bauzia = inganno, di origine germanica. L’italiano ha mendacità, dal latino tardo mendacitas, -atis, che però indica non tanto l’atto singolo quanto l’abitudine reiterata di mentire. Nel latino classico i termini sono mendacium e falsum. Più interessanti il tedesco lüge e l’inglese lie dall’antico slavo lovu che indica la preda, il bottino (connesso al latino lucrum) con derivazione dal sanscrito e con presenza in molte lingue europee nel senso di qualcosa di insperato ottenuto grazie a un prendere, a un risultato della caccia, a un bottino, a una vincita.
Ecco, dunque, la prima dimensione della bugia: ottenere qualcosa in più rispetto a un comportamento leale, convenzionale, rispettoso dell’uso.
La fatica linguistica sottintende la fatica concettuale di determinare un atteggiamento che sfugge e non si lascia inquadrare. Lo sanno bene la filosofia e… la Bibbia. Anzi, la riflessione di sant’Agostino nasce proprio dal bisogno di chiarire il significato delle menzogne raccontate nel testo sacro. Un solo esempio: Giacobbe nella Genesi, 25, 29-34 che acquista la primogenitura da Esaù con il famoso piatto di lenticchie e poi carpisce la benedizione dal padre Isacco con l’inganno in parole e in opere (la pelliccia di animale indossata per sembrare il fratello che era molto peloso). Il problema di sant’Agostino, e in realtà dei Padri della Chiesa, è interpretare le menzogne della Bibbia in senso allegorico per salvaguardare il giudizio assolutamente negativo sul mentitore. Insomma, le bugie della Bibbia non sono esempi da imitare.
Il racconto di Giacobbe indica tuttavia altre due caratteristiche della menzogna: si inganna con le parole e con il comportamento e, soprattutto, la bugia deve essere verosimile, cioè esteriormente l’inganno deve essere coerente con la situazione vera. Si può dire in altro modo: il mondo creato dalla bugia risponde alla stessa logica del mondo reale. Sia Platone sia Aristotele dedicano poco spazio alla bugia: il primo la lega all’ignoranza (soprattutto nell’Ippia minore) e il secondo nell’Etica Nicomachea introduce la categoria della menzogna gratuita, cioè il piacere puro e semplice che si prova nel raccontare una bugia per il solo fatto di raccontarla. Il poco spazio riservato dai due filosofi greci alla menzogna è coerente con la cultura greca che non vede nel divino il fondamento della verità: infatti gli dei greci mentono continuamente e lo stesso Ulisse è prototipo dell’astuzia, da cui deriva il suo mentire.
Quando, con la cultura cristiana, il tema del male viene in primo piano anche il mentire diventa oggetto di riflessione e sant’Agostino nel De mendacio (4) affronta l’argomento. Il suo merito è di avere legato la bugia all’intenzionalità. L’intenzione dell’animo e non la verità o falsità delle cose in sé devono determinare il giudizio. Con una conclusione apparentemente paradossale: non chiunque afferma il falso, mente. La domanda del vescovo di Ippona è: “A questo punto ci si potrebbe chiedere (ma si tratta d’una questione quanto mai sottile!) se quando manca l’intenzione di trarre in inganno, manchi del tutto anche la menzogna. Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare?” (5). Con la conclusione (si veda l’intero 4.4) che si può dire il falso senza mentire, quando si pensa che sia così come si dice (e non lo è realiter), mentre si può dire il vero mentendo, quando si pensa che sia falso e lo si dice come vero (e lo è realiter).
La definizione di menzogna che sant’Agostino propone, in 4.5, è di fatto la base di partenza di tutta la filosofia posteriore: “È dunque cosa evidente che la menzogna è una affermazione falsa proferita con l’intenzione d’ingannare”. Non ci si deve fare ingannare, è il caso di dirlo!, dalla centralità che la filosofia moderna ha dato ai concetti di sincerità e trasparenza. Tali concetti sono sviluppati in quanto legati ontologicamente al problema dell’essere e della verità. La menzogna, che è altro rispetto alla verità, rientra nel campo dell’etica e del comportamento umano soprattutto in quanto si valutano negativamente le conseguenze del mentire sia a livello individuale sia a livello sociale. Così in Nietzsche: “[…] gli uomini cercano di evitare, non tanto l’essere ingannati, quanto l’essere danneggiati dall’inganno: anche su questo piano essi in fondo non odiano l’inganno, bensì le conseguenze brutte e ostili di certe specie di inganni” (6).
Il Settecento insiste sul tema della sincerità e, per contrasto, del mentire, Kant compreso che lo colloca all’interno delle considerazioni sul dovere: “Per ciò che riguarda il dovere necessario obbligatorio verso gli altri, colui che ha intenzione di fare agli altri una promessa menzognera si accorgerà immediatamente che vuole servirsi di un altro solo come di un mezzo, senza rispettarlo al tempo stesso come uno scopo” (7). Da parte sua Montesquieu in uno scritto giovanile dal titolo Elogio della sincerità (8) considera quest’ultima una virtù e un dovere tanto che coloro che mentono “ci privano di un bene che ci appartiene”. Una virtù e un dovere in declino nella società, ma con l’ottimismo che riconosciamo al suo secolo, “[…] gli uomini non sono né tanto buoni né tanto malvagi quanto li si immagina, e, anche se i virtuosi sono assai pochi, non c’è nessuno che non possa diventarlo”.
Insomma, si può andare indietro fino ad Abelardo e a Cicerone, passando per Montaigne (9) e Tommaso d’Aquino, ma anche andare avanti fino a Vladimir Jankélévitch (10) e a Sartre che ha riflettuto a lungo, a partire dall’Essere e il Nulla, sul tema dell’autenticità, promettendo un’opera mai scritta (11). L’indeterminatezza nella definizione porta a differenti classificazioni della bugia tra i vari filosofi, tuttavia il comune denominatore sta forse nella considerazione che la menzogna è un fatto sia privato sia pubblico. Mi attengo a questa macrodivisione che pure presenta problemi. Fatto privato in quanto opera di soggetti privati: per esempio, al classico bar dove ci sono avventori conosciuti ma anche sconosciuti e in cui il mentitore fa sfoggio delle sue prodezze. Fatto pubblico in quanto opera di soggetti pubblici. Per esempio, politici o attori o cantanti il cui comportamento e le cui dichiarazioni, anche riguardanti la sfera privata, sono o possono essere di dominio pubblico.
Restringo in queste righe il campo al privato e alla menzogna attraverso le parole. Tre sono gli elementi indispensabili: l’iomentitore, l’oggetto della menzogna ossia il racconto, l’altro in quanto bersaglio della menzogna. Va da sé che l’altro può essere l’io-mentitore stesso, un singolo o un io collettivo. Il dato imprescindibile è la coscienza dell’io-mentitore che sa e usa la strategia della menzogna. Cosa sa? La verità innanzitutto su cui costruisce una negazione, parziale o totale, che è il suo racconto menzognero. Senza coscienza e senza verità non si dà menzogna! La domanda legittima è: perché lo fa? Qui entra in gioco la strategia: ha un fine immediato il cui raggiungimento considera irrinunciabile tanto da non valutare le conseguenze. Accetta il gioco della menzogna sapendo che su questo primo tassello dovrà con quasi assoluta certezza metterne altri: dunque, la bugia accetta solo il presente, l’immediato, rifiutando una valutazione dei casi passati (propri o altrui) e tacitando le conseguenze future.
Non solo, se, come detto in apertura, il bugiardo vuole avere un di più che al momento non ha, parte da un situazione di debolezza rispetto all’altro, pensa di non poterlo superare in modo corretto e allora gioca la carta della menzogna. Se è debole in quella situazione, l’io-mentitore si considera tuttavia personalmente superiore all’altro tanto da decidere di essere lui a condurre il gioco, a costruire un mondo che, almeno spera, l’altro condividerà. Pertanto deve essere credibile e giocare le proprie carte sul codice dell’altro perché solo così può condividere con l’altro la verosimiglianza del racconto. Il rapporto io-mentitore/altro è di disequilibrio a favore del primo e chiarezza e verosimiglianza del racconto sono capisaldi senza i quali la menzogna naufraga. In questo senso la bugia è un atto di comunicazione come ogni altro e deve rispettarne le regole.
E l’altro? L’uomo è pre-disposto a credere ai suoi simili e in questo spazio, che si può al limite chiudere solo in presenza di un netto smascheramento del bugiardo, l’iomentitore ha buon gioco. Si può forse sostenere che solo un errore o una pre-esistente immagine non positiva dell’io-mentitore aprono la strada allo smascheramento. Come si nota il racconto è quanto di meno importante ci sia. Non importa su cosa si mente, importa come e qui viene in primo piano quella che anche a livello popolare è riconosciuta come arte di mentire. Devo portare nel mio mondo l’altro in modo che lui per primo vi si riconosca e riconosca me come suo punto di riferimento: solo così la manipolazione ha qualche possibilità di raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato.
Che fatica essere bugiardi, verrebbe voglia di dire! Certo, ma evidentemente tutti pensiamo che ne valga la pena. E forse è vero, perché se la menzogna nasce dalla rivalità fra individui, l’alternativa alla bugia è la violenza, l’altro modo che l’uomo conosce per appianare le rivalità!
(1ª parte) – Leggi la seconda parte qui
1) C. Biland, Psychologie du menteur, Odile Jacob, Parigi, 2009. Salvo mio errore, non mi risulta pubblicato in italiano
2) Thomas Mann, L’inganno, introd. Rossana Rossanda, Marsilio, 1992. Il testo è del 1953, Die Behtrogene, che letteralmente significa L’ingannata
3) Oscar Wilde, La decadenza della menzogna, Mondadori, 1995. L’intero testo si presta a molte considerazioni: “Le sole persone reali sono le persone che non sono mai esistite […]” o ancora “Il segreto che la verità è interamente e assolutamente una questione di stile; mentre la vita – la povera, probabile, tanto poco interessante vita umana […]”
4) Testo italiano, La menzogna, in www.augustinus.it/italiano/index.htm
5) Sant’Agostino, op. cit., 3.4
6) Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, ovviamente nell’edizione Colli-Montinari, Adelphi, 1973. Lo scritto, del 1873, è uno di quelli che segnano il passaggio del filosofo tedesco dagli interessi filologici a quelli più filosofici e in questo senso non va sottovalutato
7) Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Rusconi, 1994, con introduzione, traduzione, note e apparati di Vittorio Mathieu. Corsivo nel testo
8) Montesquieu, Scritti filosofici giovanili (1716-1725): cito da www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Filos_giov.pdf. Il testo è probabilmente del 1719
9) Il filosofo francese tocca, a mio avviso, il punto centrale della questione quando scrive: “Se la menzogna, come la verità, avesse una sola faccia, saremmo in una condizione migliore. Di fatto prenderemmo per certo il contrario di quello che dicesse il bugiardo. Ma il rovescio della verità ha centomila aspetti e un campo indefinito”. Montaigne, Saggi, a cura di Fausta Garavini, Adelphi, 1992
10) In particolare La menzogna e il malinteso, Raffaello Cortina, 2000. Anche nel caso di Jankélévitch vale la pena sottolineare la centralità, di derivazione agostiniana come si è detto, dell’intenzionalità. “È dunque l’intenzione ingannatrice che costituisce tutta la differenza tra la menzogna e le altre pseudegorie […]” e “[…] la menzogna è una disposizione di coscienza, e non il fatto esteriore, epifenomenico, di dire la non-verità […]”
11) Per ovvi motivi di spazio una sola precisazione: Sartre distingue sincerità e autenticità e solo in quest’ultima, intesa come consapevolezza della gratuità dell’esistenza e, contemporaneamente, del bisogno di dare a essa senso e fondamento, può entrare il progetto di libertà che è la caratteristica dell’uomo