di Luciana Viarengo |
Recensione di Paradiso, Toni Morrison
Può succedere che avvenimenti attuali riportino alla memoria un libro letto tanto tempo prima, anche se il libro in questione sembra avere poco o nulla in comune con gli avvenimenti stessi.
I ‘veri’ romanzi vivono di vita propria, hanno in sé infiniti universi e altrettanto infinite chiavi interpretative, alcune delle quali riservano a volte vere e proprie epifanie, squarci nella cortina dell’apparente, collegamenti fra universi lontani e difformi.
Nel caso specifico, niente sembrerebbe più lontano di un paesino di 360 abitanti nell’Oklahoma degli anni ’70 dal nostro Paese nel momento di regresso politico e di oscurantismo ideologico che stiamo attraversando.
Può apparire inspiegabile che la norma sulla denuncia medica dei clandestini, o quella sulle ronde cittadine o, ancora, il carcere per i graffitari argomenti di discussione e di decisioni parlamentari lungo tutto lo scorso febbraio – riportino alla mente Paradiso di Toni Morrison.
Eppure, sebbene con genesi ed excursus comprensibilmente differenti, il legame tematico che sta alla base di queste due realtà, oggettivamente e cronologicamente lontane, permette di rimarcare quanto talune dinamiche restino valide e inalterate in ogni tempo e a ogni latitudine.
Impossibile condensare in breve il valore delle opere di Toni Morrison, meglio lasciare alla rilettura la riscoperta della sua straordinaria ricchezza tematica, linguistica e poetica, focalizzandoci ora su uno solo dei tanti motivi che rendono Paradiso un romanzo da ri-leggere oggi: uno dei temi portanti del romanzo è il rifiuto e l’esclusione dell’altro, la paura del nuovo e del diverso, una paura che stimola in modo abnorme la fame di sicurezza; una paura che spinge a cercare di imporre un’idea di perfezione – non da tutti condivisa in un mondo assolutamente imperfetto. Imporre a costo di reprimere e massacrare chi è fuori dai canoni, chi ha alle spalle storie di emarginazione e di dolore, chi non si assoggetta alle regole comunitarie, chi risponde a principi etici personali o non ne ha affatto.
Non importa che sia inoffensivo o che rappresenti una risorsa per la comunità, il sottoinsieme sociale composto da questi individui è quello che maggiormente si presta a essere demonizzato, nel momento in cui chi detiene il potere ha la sensazione di perdere autorità e controllo su altri fronti. E alla demonizzazione seguono, quasi sempre, le vie di fatto. Non a caso, Paradiso ci riserva un incipit folgorante: “Sparano prima alla ragazza bianca. Per il resto c’è tempo”.
Da quel momento, attraverso i lunghi e bellissimi ritratti di cinque donne, il romanzo si srotola su un arco narrativo che comprende più di duecento anni di storia americana, immaginaria e non, partendo dall’atto finale e mischiando i piani temporali attraverso quella narrazione ricca di andirivieni nei quali Toni Morrison è maestra, come già avevamo avuto modo di sottolineare a proposito del suo Canto di Salomone.
Si approderà quasi al termine del romanzo prima di capire chi siano gli autori dell’azione punitiva e perché in una mattina fresca di rugiada e carezzata dal primo sole essi sentano il bisogno di irrompere con violenza in una residenza decadente e sterminare il piccolo gruppo di donne che ci vive.
La genesi di quest’azione brutale è tracciata un centinaio di anni prima, quando una decina di patriarchi afro-americani, ex schiavi in Louisiana e nel Mississippi, si radunano con moglie e figli, e si dirigono verso ovest per stabilirsi nei territori dell’Oklahoma, approdando, dopo mille traversie, alla città di Fairy alla cui cittadinanza – nera anch’essa, ma di pelle più chiara – i portavoce chiederanno di poter risiedere. Il rifiuto inferirà una lacerazione indelebile nella memoria collettiva. Se il sentimento riservato ai bianchi è una sorta di orrore generico e astratto, a chi li ha insultati ed esclusi sarà riservato l’odio, riversato su chiunque sia appena leggermente più chiaro della loro pelle d’ebano. Il razzismo possiede nuance infinite.
Non è affatto casuale che il lettore non possa scoprire chi tra le ospiti del convento sia la ragazza bianca uccisa per prima, saperlo non avrebbe cambiato nulla della storia, poiché non è per il colore della sua pelle che verrà uccisa. Come a dimostrare che, oltre alla razza, sono molti altri i parametri utilizzati per discriminare.
Al termine del loro cammino, i patriarchi fonderanno Haven, al centro della quale costruiranno un enorme forno comune e nella quale vivranno in volontario isolamento dal resto del mondo.
I loro eredi, al ritorno dalla seconda guerra mondiale, ritroveranno una città svuotata dalla migrazione alla ricerca di lavoro e di ricrescita postbellica. Smantelleranno il forno e con esso ripartiranno alla ricerca di una nuova terra, fondando la città di Ruby, intorno alla quale, esattamente come essi desiderano, c’è solo il nulla per 90 miglia.
Ad eccezione del Convento.
Questa grande villa dalla storia intricata, alla fine degli anni Sessanta è occupata solo da una vecchia suora morente e da Consolata, che la assiste amorevolmente da più di trent’ anni. Ma, con il suo consenso diffidente, il Convento si trasforma via via in un porto sicuro per donne in fuga. In fuga da mariti, genitori o dai disastri che loro stesse hanno combinato altrove. Se arrivano e non hanno altro posto dove andare, Consolata consente loro di restare, in questa grande casa attorniata dall’orto e dai campi.
Con le storie dei personaggi di spicco di Ruby e delle ospiti del Convento, Toni Morrison delinea due luoghi concettuali: un primo nel quale sono gli uomini a dettare legge, e un altro nel quale le donne si rifugiano per sfuggire alle leggi degli uomini.
Tuttavia, sarebbe estremamente riduttivo leggere in tutto questo unicamente una parabola femminista.
Che il sottoinsieme sociale sia composto tutto da donne è un’aggravante ulteriore all’interno della vicenda, ma è il concetto di alterità e di capro espiatorio delle pulsioni securitarie che ci permette di leggere questo romanzo, universalmente valido, come una metafora del nostro tempo. La differenza di età, di razza, di estrazione sociale che denota questo piccolo gruppo fa emergere il suo comune denominatore: la necessità di aiuto materiale e morale e l’estraneità agli schemi sociali.
Il primo luogo concettuale è quello dell’ordine costituito, il secondo è quello dell’accoglienza, della libertà e dell’accettazione dell’essere umano in quanto tale. Un luogo al di fuori delle regole, nel quale la religione imposta è sostituita da una spiritualità primordiale, libera e anarchica, vitale e liberatoria. In questo è il suo stesso destino di sventura e repressione, poiché niente di ciò che cresce al di fuori dell’ordine costituito, mettendone in discussione i principi, può essere tollerato.
L’epopea dei fondatori di Ruby ripercorre lo schema portante della Storia americana, che i Puritani hanno a loro volta mutuato dalla Bibbia, e come ogni popolo eletto che ritiene di essere giunto nella terra promessa per volere di Dio, anche i patriarchi neri di questo piccolo paese si sentono investiti di una responsabilità morale che li spinge a considerarsi superiori al resto del mondo. In particolare, gli uomini sono un miscuglio di vizi e virtù, orgogliosi, indipendenti, ottusi e polemici. I più anziani non accettano le nuove abitudini. Condannano il lassismo sessuale, gli orari lavorativi ridotti, i giovani che bighellonano nei pressi del Forno con le radio a tutto volume, la messa in discussione senza remore dell’autorità degli anziani, i graffiti che offendono la vista e insultano la tradizione, come il grosso pugno nero dalle unghie rosse dipinto sulla parete posteriore del Forno.
Questo vento nuovo che a partire dagli anni Sessanta si diffonde su tutto il mondo occidentale, per gli ottusi abitanti di Ruby significa unicamente una minaccia rivolta al solo posto al mondo in cui si siano mai sentiti al sicuro.
Ogni gruppo con una pretesa superiorità ha bisogno di un colpevole al quale attribuire la causa del proprio degrado. Nel caso di Paradiso, è lo sparuto gruppo di donne diverse e indipendenti, ma ciò che muove alla tragedia finale – ovvero il senso di appartenenza e la strenua difesa di valori e radici (pensili) dei cittadini di Ruby – è molto simile al nostro bisogno di decretarci legittimi rispetto ai clandestini, di proclamarci proprietari di qualcosa che in realtà non ci appartiene, di rivendicare radici religiose falsamente condivise con le quali delegittimare le loro, nell’eterna lotta che non potrà mai vedere vincitori.
Per molti il nostro Paese, come il Convento di Toni Morrison, è visto come un’estrema possibilità di vita – magari non perfetta, ma vita – e si rivela invece un terreno di sconfitta e di morte.
Paradiso, Toni Morrison, Frassinelli, 1998